ARCADE | DIPINTI DAL XIV AL XX SECOLo

26 FEBBRAIO 2019

ARCADE | DIPINTI DAL XIV AL XX SECOLo

Asta, 0290
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 10.30 Lotti 1-120

ore 14.30 Lotti 121-234

ore 16.30 Lotti 251-436
Esposizione
FIRENZE
22 - 25 febbraio 2019
orario 10-13 / 14-19 
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   100 € - 40000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 417
173

Antonio Franchi

(Villa Basilica, Lucca, 1638 - Firenze, 1709)

LA MADDALENA CHE RINUCIA ALLE VANITÀ

olio su tela, cm 96x118

 

THE REPENTANT MAGDALENE

oil on canvas, cm 96x118

 

Bibliografia di riferimento

F. S. Baldinucci, Vita di Antonio Franchi lucchese, pittor lucchese, Firenze, Biblioteca Nazionale, Cod. palt. 565, vol. I, c. 25v; M. Gregori, Ricerche per Antonio Franchi, in "Paradigma", 1, 1977, pp. 65-89.

 

Ricordata come dispersa da Mina Gregori nell'approfondimento dedicato dalla studiosa ad Antonio Franchi nel 1977 (M. Gregori, Ricerche per Antonio Franchi, in "Paradigma", 1, 1977, pp. 65-89), l'animata e voluttuosa tela qui presentata può essere identificata con certezza con quella dettagliatamente descritta da Francesco Saverio Baldinucci nella biografia dedicata al pittore lucchese: "Tra gl'altri quadri fatti per questa gran Principessa fu molto stimato quello di due braccia e mezzo in cui rappresentò Santa Maria Maddalena penitente che tornata pomposa ma convertita dalla predica di Cristo, se ne sta sedendo sopra d'un letto, riguardando cogl'occhi lacrimanti il Cielo, donde si vedono venire con vago splendore adorni più angioletti, parte de quali portano strumenti di penitenza; altri, calati in terra, strappano vezzi e collane e spezzano specchi e vasi e alcuni altri con lingue di fuoco significanti l'amor di Dio, fulminano gl'amori carnali, i quali, investiti di tali fiamme, se ne fuggono mezzi incendiati" (F. S. Baldinucci, Vita di Antonio Franchi lucchese, pittor lucchese, Firenze, Biblioteca Nazionale, Cod. palt. 565, vol. I, c. 25v).

La commissione dell'opera al Franchi da parte della "gran Principessa" citata da Baldinucci, ovvero Vittoria della Rovere, madre del granduca Cosimo III de' Medici, trova conferma negli scritti autografi conservati agli Uffizi dove il pittore aveva annotato: "La G. Duchessa Madre mi ha ordinato per mezzo del Sig.r Diacinto Marmi un quadro di circa due braccia di una S. maria madalena in atto di rinuntiar le vanità del mondo, o vero S.ta Pelagia o S.ta Egittiaca a mia elettione." (BSU, ms 354, Carte manoscritte originali del pittore Antonio Franchi il lucchese): contratti, diari, conti, ricevute, ricettari in vari fascicoli di vario formato, 2; c. 17v).

L'appunto risale al 1687 e il 5 ottobre dello stesso anno la tela viene saldata per il valore di 60 scudi: dal 1674 l'artista lucchese si era trasferito a Firenze, andando a ricoprire il ruolo di pittore di corte già del Sustermans e godendo della stima incondizionata di Vittoria della Rovere che gli accordava grande libertà nella scelta dei soggetti da dipingere come chiaramente si evince dallo scritto riportato.

Confronti stringenti si possono stabilire con un paio di dipinti considerati capolavori del Franchi, il Tempio d'Amore e il Salomone adora un idolo pagano, eseguiti intorno al 1675 per il Marchese Pier Francesco Rinuccini, pervenuti in seguito per via ereditaria alla famiglia Corsini e quindi venduti sul mercato antiquario londinese, e con la Venere e amorini realizzata per la principessa Violante nel 1694, ora nei depositi delle Gallerie fiorentine.

Nonostante il soggetto sacro, il nostro dipinto rivela la medesima connotazione mondana e una analoga "vena arcadica ed erotica", come evidenziato da Mina Gregori, nonché un gusto improntato verso un "venezianismo classicheggiante" e una ricca gamma cromatica giocata su tinte smaglianti, indaco, giallo e damasco, proprie della produzione pittorica del Franchi fra gli anni Ottanta e i Novanta del Seicento.

La finezza esecutiva,  dall'attenta resa dei capelli ondulati alla descrizione delle stoffe cangianti impreziosite di lumeggiature, e l'illustre committenza medicea ampiamente documentata, rendono l'opera un ritrovamento di estrema importanza.

 

Il dipinto è corredato di perizie scritte di Paola Betti e di Federico Berti.

Stima   € 40.000 / 70.000
159

Maestro di Popiglio

(attivo a Pistoia e a Pisa nel secondo e terzo quarto del sec. XIV)

MADONNA COL BAMBINO E QUATTRO ANGELI, 1360 circa

tempera su tavola sagomata, fondo oro, cm 132x70

 

MADONNA WITH CHILD AND FOUR ANGELS, around 1360

tempera and gold on panel, cm 132x70

 

Corredato da parere scritto di Andrea De Marchi e Linda Pisani di cui pubblichaimo un estratto.

 

La tavola qui in esame è inedita e, secondo quanto comunica l’attuale proprietario, fu acquistata, circa quarant’anni addietro, da un collezionista di Toledo in Spagna.  

Il dipinto, che, per le dimensioni, è immaginabile come il centro di un trittico o polittico, appare ben leggibile e giudicabile, nonostante i segni lasciati da vecchi interventi di restauro su alcune porzioni della superficie pittorica.

Le sigle e la cultura figurativa dell’opera sono ben riconoscibili e permettono di identificare l’autore col cosiddetto Maestro di Popiglio, attivo fra il territorio pistoiese e quello pisano dagli anni trenta agli anni sessanta del Trecento. La tavola oggetto di questa scheda, inoltre, anche per parametri esterni come i dati della moda (si pensi agli scolli delle vesti, caratterizzati da una linea netta, come negli affreschi della Cappella Guidalotti Rinuccini di Giovanni da Milano), sembra appartenere alla fase tarda del maestro, sul 1360 circa.

Il Maestro di Popiglio (noto anche, ma impropriamente, come Maestro del 1336 e sovrapponibile in parte al cosiddetto Francesco pisano o Francesco dell’Orcagna) deriva il proprio nome critico da un pentittico raffigurante la Madonna col Bambino fra i santi Lorenzo, Pietro, Giacomo Maggiore e Giovanni Battista conservato nel Museo d’arte sacra di Popiglio, ma un tempo presso la chiesa parrocchiale del paese di Popiglio, sulla montagna pistoiese.

Alcune delle opere più antiche di questo maestro rivelano i suoi debiti nei confronti di un altro anonimo, il cosiddetto Maestro del 1310, protagonista della scuola pistoiese del primo Trecento e caratterizzato da una tempra espressiva ancor più forte. Non è un caso che, commentando il pentittico del Maestro di Popiglio raffigurante la Madonna col Bambino fra i santi Francesco, Giovanni Battista, Andrea ed Antonio abate, un tempo presso la cappella di Santa Lucia nella collegiata di Empoli ed oggi al museo della Collegiata, si sia parlato, di volta in volta, e con lessico colorito,  di “figure aggrondanti“e di una “ferinità insieme raffinata e popolare”.  Alle opere principali del Maestro di Popiglio (il namepiece, il pentittico empolese e la Madonna col Bambino della collezione Acton nella Villa La Pietra di Firenze) rinviano anche alcuni dettagli della Madonna con il Bambino ed angeli qui in esame: simili sono, sebbene meno incisivi ed appuntiti, i lineamenti del volto del Bambino, i suoi densi boccoli biondi e persino la collanina su cui spiccano un vistoso ciondolo apotropaico in corallo ed una crocellina dorata, che, per la sua sistemazione sbilenca, sembra esser rimasta impigliata fra i ricami che impreziosiscono la veste del piccolo Gesù.

Tuttavia, come si accennava, la datazione della tavola sembra collocarsi nel decennio successivo alla metà del secolo, a notevole distanza dalle opere citate. Il prosieguo del percorso del maestro, che ha anche immediati riverberi nel territorio pistoiese, come mostrano una tavola ed un affresco a Montecatini Alto, sembra puntare in direzione di Pisa e del suo circondario. Si tratta però di opere molto discusse, la cui piena definizione critica attende ancora un assestamento definitivo. Come nel caso del polittico, molto impegnato, giunto alla Collezione Cini di Venezia dalla raccolta Toscanelli di Pontedera e raffigurante San Paolo in trono fra i santi Giovanni Battista, Pietro, Filippo e Giovanni Evangelista (cfr. F. Zeri, Dipinti toscani e oggetti d’arte della collezione Vittorio Cini, Vicenza 1984, pp. 13-16 e ora la scheda di F. Siddi, nel nuovo catalogo in corso di preparazione a cura di A. Bacchi e A. De Marchi), di cui ancora aperta è l'indagine che potrebbe portarlo a leggerlo quale esito della fase finale del percorso del Maestro di Popiglio

I punti di maggior contatto fra la tavola qui schedata e il polittico Cini chiamano in causa soprattutto la raffigurazione dell’Annunciazione: basti pensare al profilo dell’Arcangelo da affiancare idealmente ad uno degli angeli in profilo che fanno corona alla Madonna col Bambino. Oltre alla somiglianza dei tratti (fatta eccezione per una certa sommarietà nella definizione delle mani), colpisce soprattutto il chiaroscuro intenso usato con funzione modellante.

In sintesi, sembra da proporre una datazione all’inizio degli anni sessanta del Trecento ed un inquadramento nella tarda attività del Maestro di Popiglio.

 

 

 

 

Stima   € 35.000 / 50.000
213

Ilario Spolverini

(Parma, 1657 – 1734)

BATTAGLIA EQUESTRE

olio su tela, cm 180x370

 

EQUESTRIAN BATTLE

oil on canvas, cm 180x370

 

L’opera è corredata di perizia di Giancarlo Sestieri di cui riportiamo un estratto.

 

Questa animata e dinamica composizione, coordinata da un metro figurativo progressivamente ridotto dei combattenti, che si affrontano con sciabole e pistole, è introdotta dalla rappresentazione, in primissimo piano, del fusto di un cannone, con accanto delle palle e un barile di polvere, e da una bandiera bianca, abbandonata sul terreno. Tale impianto espositivo, imperniato su una particolareggiata descrizione di una “battaglia” combattuta tra due rilevanti schieramenti denuncia un intento realistico, probabilmente correlato a un preciso evento storico, pur poi coniugato con un prevalente aspetto decorativo. Finalità corrispondente alle usuali impostazioni di questo filone pittorico, assunto a vera “scena di genere” anche in Italia, a partire dagli anni trenta del Seicento, sulla scia delle precedenti fortune di questo settore nei Paesi Bassi.

Un aspetto comunque distintivo che, unito all’esame strettamente stilistico e pittorico del dipinto, ci riconduce nell’ambito emiliano e in particolare a quello di Ilario Mercanti (Parma 1657-1734) che cambiò il suo cognome ebreo in Spolverini, dallo “spolvero” (il cartone bucherellato usato negli affreschi) forse da lui praticato in gioventù, quale garzone nella decorazione delle Certosa di Parma. Infatti l’impronta figurativa dei personaggi, emergenti a tutto tondo in primo piano, come il gruppo suddetto sulla sinistra, considerata nella loro tipica gestualità, unitamente alla dinamicità scattante delle sintetiche figure minori, ben corrisponde alla cifra stilistica dello Spolverini “battaglista” - celebri le sue due “Battaglie di Fornovo”, nonché vari suoi dipinti del genere eseguiti a Parma e Piacenza per i Farnese - ma anche a quella sua pratica di “cronista pittore”, con cui immortalò eventi storici, oltre che bellici, del suddetto casato, quali le “cerimonie” ei vari episodi legati alle nozze di Elisabetta con Filippo V.

Numerosi sono i raffronti che si possono rilevare tra le figure principali dell’ampia tela qui presa in esame, nonché riguardo al suo generale gusto espositivo, consultando il volume curato da R. Arisi Riccardi, Ilario Spolverini pittore di battaglie e di cerimonie (Cassa di Risparmio di Piacenza, 1979) e quello curato dal sottoscritto, I pittori di Battaglie. Maestri italiani e stranieri del XVII e XVIII secolo (De Luca ed., Roma 1999, pp. 138-144 e 480-489). Così ad esempio in un particolare della “Entrata a Parma del cardinale Gozzadini” (1979, op. cit., fig.61) ritroviamo gli stessi trombettieri presenti sul lato sinistro del ‘nostro’ quadro.

 

 

 

Stima   € 25.000 / 40.000
67

Pittore caravaggesco nordico, sec. XVII

GIUDITTA E LA SUA ANCELLA ABRA                                            

olio su tela, cm 124x162,5                                                

                                                                          

Flemish Caravaggesque painter, 17th century                                               

JUDITH AND HER MAID ABRA                                                  

oil on canvas, cm 124x162,5  

 

Il gusto decorativo, il canone di bellezza femminile, il naturalismo smaltato degli incarnati e la pennellata lucente, sono caratteristiche tipiche della produzione pittorica del caravaggismo di superficie diffuso da Nicolas Regnier (Maubeuge 1591 - Venezia 1667) e dalla sua fiorente bottega aperta a Venezia a partire dal 1625. L’artista fiammingo, dopo un primo apprendistato in patria, si era trasferito a Roma, frequentando l’ambiente di Bartolomeo Manfredi e dei caravaggeschi nordici, risentendo anche di Simon Vouet nell'ampio modellato e nell'eleganza delle composizioni.

La tela qui offerta, per la sua esuberanza decorativa e l’attenzione al particolare, si avvicina alle ultime opere uscite dalla bottega veneziana del pittore, all’interno della quale erano attive le sue figlie e gravitava altresì il suo fratellastro, Michele Desubleo.

 

Stima   € 20.000 / 30.000
134

Pietro Paltronieri detto Il Mirandolese

(Mirandola, 1673 – Bologna, 8 luglio 1741)

CAPRICCI ARCHITETTONICI CON ROVINE E FIGURE

coppia di dipinti, tempera su tela, cm 295x160

(2)

 

ARCHITECTURAS CAPRICCI WITH RUINS AND FIGURES

a pair of paintings, tempera on canvas, cm 295x160

(2)

 

Questi due eleganti dipinti sono opera del pittore bolognese Pietro Paltronieri, detto il Mirandolese, celebre per l’esecuzione di quadri dallo spiccato gusto decorativo e di grande formato, con profili sagomati, destinati ai saloni di nobili palazzi bolognesi (cfr. C. Bandera, Pietro Paltronieri “Il Mirandolese”, Mirandola 1990). Attratto dal mirabile esempio di Francesco e Ferdinando Bibbiena, artisti che avevano rivoluzionato la tecnica delle architetture dipinte con l’introduzione della veduta per angolo permettendo la percezione di spazi infiniti, Paltronieri si trasferì a Bologna formandosi nel genere della quadratura e specializzandosi in seguito nei temi della pittura rovinistica. Risale senz’altro nei successivi anni trascorsi a Roma, la messa a punto di composizioni caratterizzate da stratificazioni di grandiosi monumenti classici in rovina, elementi bizzarri e piccole figure, conseguenza di un contatto diretto con Panini e Juvarra.

Nella fase matura della sua produzione, a cui devono essere probabilmente ricondotti i capricci qui presentati, il cromatismo si presenta alleggerito, in direzione rococò, risentendo della luminosità veneta di Marco Ricci e Giovanni Battista Pittoni.

 

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
189

Nicola Casissa

(Napoli, 1680 ca.-1731)

NATURE MORTE CON COMPOSIZIONI FLOREALI, VOLATILI, ANATRA E CIGNO

coppia di dipinti ad olio su tela, cm 100x140

 

STILL-LIFES WITH FLOWERS COMPOSITION, WINGED ANIMALS, DUCK AND SWAN

a pair of paintings, oil on canvas, cm 100x140

 

Entrambi siglate nella parte inferiore del dipinto sulle rocce.

 

Le due belle nature morte che proponiamo, opere del pittore napoletano Nicola Casissa, mostrano tutti gli elementi stilistici tipici dell'artista, improntati a uno stile elegantemente decorativo e arioso, composto da vivaci animali in movimento, vasi con ornamenti a rilievo ed elementi architettonici, il tutto connotato anche da una minuziosa resa ottica di ogni particolare. I nostri dipinti possono essere messi a confronto con altre opere già conosciute del Casissa come il pendant passato nell' asta Semenzato del 4 maggio 1993, Natura morta con vaso scolpito di fiori, erma e uccelli e Natura morta con vaso sbalzato di fiori, rilievo con putti, fontana e gru; ulteriori confronti possono essere fatti con la  Natura morta con vaso di fiori, anatre e pappagallo già asta Finarte 28 novembre 1995, segnalato da Cribiori, Milano nel 2003 e la Natura morta con vaso scolpito di fiori, fontana e uccelli già asta Sotheby's New York 30 gennaio 1998.
Appartenente alla famiglia dei 'generisti napoletani', Nicola Casissa è stato allievo di Andrea Belvedere (Napoli 1646/52-1732), importante esponente dei 'fioranti' attivi a  Napoli nel XVII secolo tra i quali possiamo citare  Giacomo e Giuseppe Recco, Paolo Porpora e Giovan Battista Ruoppolo.

Stima   € 18.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
151

Jacques Courtois, il Borgognone

(Saint-Hyppolite, 1621 - Roma, 1676)

BATTAGLIA DI CAVALIERI

olio su tela, cm 52,5x78

 

BATTLE SCENE

oil on canvas, cm 52,5x78

 

Provenienza

Finarte, Milano, 8 giugno 1984, lotto 469

 

Bibliografia

G. Sestieri, I pittori di battaglie. Maestri italiani e stranieri del XVII e XVIII secolo, Roma 1999, p. 199, fig. 96

 

Da tempo celato alla vista in una raccolta privata milanese, il dipinto qui offerto si conferma oggi un autografo certo dell’artista borgognone, presentando in modo quasi paradigmatico le figure e l’impianto compositivo caratteristico del suo ricco catalogo di battaglie. La gamma cromatica luminosa e vivace suggerisce l’accostamento alla coppia di battaglie, di piccole dimensioni ed eccezionalmente dipinte su tavola, anch’esse vendute alla Finarte nel 1996 (G. Sestieri, 1999, p. 198, figg. 93-94).

Particolarmente interessante è poi, nel nostro dipinto, la presenza di motivi e soluzioni compositive che passeranno con ben poche varianti nelle tele di Francesco Monti, il Brescianino, che del Borgognone si conferma, insieme a Pandolfo Reschi, il seguace più brillante e dotato. Numerosi confronti consentono infatti di tracciare una linea precisa tra il dipinto qui offerto e le tele del Monti all’Accademia dei Concordi di Rovigo che, non a caso, Sestieri (1999, p. 208, figg. 1-2 e tav. I) conferma al Brescianino ipotizzando però una possibile derivazione da modelli non identificati di Jacques Courtois: modelli, possiamo aggiungere oggi, certo non lontani dalla battaglia che qui presentiamo.

 

Stima   € 15.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
71

Zanino di Pietro

(Bologna, 1389 – Venezia, 1443)

MADONNA CON BAMBINO TRA SAN GIOVANNI BATTISTA E SAN MICHELE ARCANGELO

tempera su tavola, cm 60x49,5

 

MADONNA WITH CHILD, SAINT JOHN THE BAPTIST AND SAINT MICHAEL THE ARCHANGEL

tempera on panel, cm 60x49,5

 

Referenze fotografiche

Fototeca Zeri, busta 0276; fasc. 4, scheda 24027

 

 

Zanino di Pietro è stato uno dei protagonisti della pittura veneziana dalla fine del Trecento fino al quarto decennio del secolo successivo, ponendosi a fianco degli esponenti veneziani della stagione tardogotica come Jacobello del Fiore e Michele Giambono.

La tavola che qui presentiamo è stata riferita a Zanino di Pietro da Federico Zeri, come risulta da un’annotazione al retro di una vecchia foto nella Fototeca Zeri, dove l’opera viene detta di ubicazione ignota. I confronti con altre opere di questo pittore ci rivelano lo stesso elegante ritmo mosso del panneggio, la delicatezza dei volti e i particolari preziosi che decorano le stoffe, caratteri stilistici che dimostrano anche la lezione di Gentile da Fabriano presente a Venezia, secondo i documenti, nel 1408.

Il confronto più stringente tra la nostra composizione e le opere di Zanino si trova nel polittico con l’Incredulità di San Tommaso di Mombaroccio (Pesaro) in cui, in uno scomparto laterale, è raffigurato proprio un San Michele Arcangelo che sconfigge il drago con la stessa posa del nostro ma in controparte; al centro del polittico invece la posa di San Tommaso mentre alza la mano verso il costato viene in parte ripetuta nella posa del nostro Gesù bambino che analogamente solleva la testa verso la madre allungando la manina verso il seno. Infine, anche i volti tratteggiati con fiabesca dolcezza consentono di confermare l’attribuzione a Zanino.

 

Stima   € 15.000 / 20.000
56

Lorenzo De Caro                                                           

(Napoli 1719-1777)                                                        

LA SACRA FAMIGLIA                                                         

olio su tela, cm 140x200                                                          

firmato "L. de Caro" in basso a destra                                      

                                                                          

THE HOLY FAMILY                                                           

oil on canvas, cm 140x200                                                         

signed "L. de Caro" in the lower right                                    

                                                                          

Inedito e apparentemente non replicato, il bel dipinto che qui presentiamo

si collega alla produzione di destinazione pubblica di Lorenzo De Caro,   

documentata a partire dal 1740.                                           

Nelle figure di ampie proporzioni, fortemente caratterizzate nei tratti e 

definite da intenso chiaroscuro che modula la vivace gamma cromatica      

consueta allartista, lopera conferma la formazione di Lorenzo De Caro sui 

modi del tardo Solimena ma altresì quellattenzione alle opere sacre e     

profane di Gaspare Traversi, quasi esattamente suo contemporaneo,         

individuata per la prima volta da Ferdinando Bologna in un illuminante    

saggio del 1962.                                                          

Anche in questo senso, il nostro dipinto si distingue dalla più nota      

produzione di destinazione privata del De Caro, anchessa di soggetto sacro

ma prevalentemente dedicata alla raffigurazione di episodi biblici a      

piccole figure e in toni pastello.                                        

Anche per questo motivo il nostro dipinto costituisce uninteressante      

acquisizione al catalogo di un pittore che, sebbene ormai noto e sempre   

riconoscibile (anche perché solito firmare le sue tele per esteso) riserva

ancora sorprese.                                                          

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
180

Giuseppe Bacigalupo

(Pian dei Preti, 1744 – Genova, 1821)

PAESAGGI CON PASTORI E VIANDANTI

coppia di dipinti, olio su tela, cm 71x85,5

(2)

 

LANDSCAPES WITH SHEEPHERDS AND WAYFARERS

a pair of paintings, oil on canvas, cm 71x85,5

(2)

 

Provenienza

Già Genova, villa Saluzzo Mongiardino

 

Bibliografia di riferimento

F. R. Pesenti, L’illuminismo e l’età neoclassica, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, II, Genova 1987, pp. 349-375; L. Rossi, Giuseppe Bacigalupo, in E. Gavazza, L. Magnani, Pittura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Genova 2000, p. 421; A. Orlando, Dipinti genovesi dal Cinquecento al Settecento, Torino 2010, pp. 24-26.

 

Protagonista della pittura di Giuseppe Bacigalupo è la natura e i suoi personaggi, tratti dai testi evangelici e mitologici o, come nel nostro caso, pastori e viandanti, abitano sempre ampi scenari esemplati sulla campagna romana.

Durante i sei anni trascorsi a Roma, a partire dal 1772, dove era entrato in contatto con Mengs, Batoni e i fratelli Unterberger, l’artista genovese aveva scoperto la sua inclinazione per la pratica del genere paesaggistico, recandosi spesso nei dintorni della città a dipingere quadri immerso nella natura. A questa ricerca del reale, Bacigalupo aveva comunque affiancato lo studio dei modelli della pittura di paesaggio seicenteschi, quali Domenichino, Poussin, e Lorrain.

Rientrato a Genova nel 1779, si afferma pertanto presso l’aristocrazia locale quale esecutore di scene paesaggistiche, spesso realizzate in serie di quattro o più, tra cui la più famosa è quella composta di sei tele con storie mitologiche commissionatagli da Giacomo Filippo III Durazzo per una stanza del suo palazzo in via Balbi, ancora oggi nota come “Sala del Bacigalupo” (collezione Durazzo Pallavicini Cattaneo Adorno).

La coppia di tele presentata proviene da uno dei salotti di villa Saluzzo Mongiardino, fatta edificare all’inizio del XVIII secolo sulle colline di Albaro a Genova: altre due tele con identica provenienza, caratterizzate dalla medesima atmosfera elegiaca e inserite in medesime cornici intagliate e dorate, sono state pubblicate nel catalogo della Galleria Giamblanco del 2014.

La lucida descrizione del dato naturale attraverso minute e calibrate pennellate viene stemperata dall’attento dosaggio della luce dai toni dorati che restituisce quella visione sentimentale e arcadica che fanno del Bacigalupo il continuatore della pittura di “paesaggio ideale”.

                       

Stima   € 10.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
18

Artista toscano del sec. XVII                                             

I TRE GIOVANI EBREI GETTATI NELLA FORNACE ARDENTE                         

olio su tela, cm 200x250                                                  

                                                                          

Tuscan artist, 17th century                                               

THREE YOUNG JEWS THROWN INTO THE BURNING FURNACE                          

oil on canvas, cm 200x250                                                 

                                                                          

                                                                          

Tema del dipinto è un passo tratto dal libro di Daniele (3, 1-50), relativo

ai tre giovani (Anania, Azaria e Misaele) condannati alla pena del fuoco da

Nabucodonosor per aver rifiutato il culto alle divinità assiro-babilonesi e

miracolosamente salvati da un angelo dopo aver innalzato la loro          

professione di fede nel Dio di Israele. Presente nella pittura funeraria e

nei sarcofagi paleocristiani, questo soggetto è invece estremamente raro  

nellarte post-rinascimentale. A Firenze lo dipinse Matteo Rosselli nella  

grande tela ora alla Galleria Palatina che si riferisce però al momento,  

immediatamente precedente, in cui i tre giovani sono condotti davanti al re

per essere giudicati. Anche per questo motivo, probabilmente, nella       

raccolta di provenienza la tela qui offerta era attribuita al Rosselli: una

proposta suggestiva ma difficilmente sostenibile e alla quale, in mancanza

di nomi certi, preferiamo sostituire un riferimento più ampio al Seicento 

toscano.                                                                  

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
216

Agostino Ugolini

(Verona, 1755-1824)

I SANTI VINCENZO FERRER, ROCCO, CARLO BORROMEO E ANTONIO ABATE

olio su tela ovale, cm 110x136

 

SAINT VINCENT FERRER, SAINT ROCH, SAINT CHARLES BORROMEO AND ANTHONY THE ABBOT

oil on oval canvas, cm 110x136

 

Iscrizioni

Sul libro aperto i capolettera “A” ed “U” iniziali del pittore

Sul retro della tela in basso a destra: “August. Ugolini pinx: / Anno MDCCCXIV”

Sul retro della tela in basso a sinistra: “Angelus Locatelli omn. S.S. Archip. / Prior in S. Luca cum sua Paroecia translatus / aere proprio”

Sul retro del telaio in alto: “12 Agosto 1814”

 

Bibliografia

D. Zannandreis, Le vite dei pittori scultori e architetti veronesi pubblicate e corredate di prefazione e di due indici da Giuseppe Biadego [ms., 1831-1834], ed. Verona 1891, p. 512; G. Belviglieri, Guida alle chiese di Verona, Verona 1898, p. 130; A.Tomezzoli, Verona, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, tomo I, a cura di G. Pavanello, Milano 2002, pp. 313-314, p. 363 nota n. 26.

 

Allievo di Giovanni Battista Burato, Agostino Ugolini nel 1775 viene eletto accademico e nel 1786 professore dell’Accademia veronese. Erede del classicismo dei Cignaroli, si distingue nel campo della ritrattistica e della pittura sacra, ricoprendo il ruolo di pittore ufficiale del clero con un fare artistico che si mantiene nel solco della tradizione.

La tela qui offerta mostra le ottime capacità tecniche e di disegno dell'artista e il suo costante studio delle opere dei maggiori pittori del Seicento del classicismo romano-bolognese, di cui il Cignaroli, altro suo importante modello, fu raffinato interprete. Si suggerisce un confronto con la pala raffigurante la Madonna col Bambino e Santi, realizzata dall’Ugolini nel 1794 per la cappella Maffei della cattedrale di Verona, ove tutt’oggi è conservata.

 

Stima   € 8.000 / 12.000
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