40 SELEZIONATI DIPINTI DELL'800

17 NOVEMBRE 2015

40 SELEZIONATI DIPINTI DELL'800

Asta, 0074
FIRENZE
Palazzo Ramirez- Montalvo
Borgo degli Albizi, 26


ore 15.30
Esposizione
FIRENZE
13-16 Novembre 2015
orario 10 – 13 / 14 – 19 
Palazzo Ramirez-Montalvo 
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   1500 € - 45000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 40
195

Giulio Salti

(Barberino di Mugello 1899 - Carmignano 1984)

RITRATTO IN BIANCO

olio su tela, cm 86x111

firmato e datato "1931 IX" in basso a sinistra

sul retro della cornice: etichetta "Reale Accademia del Disegno". Sul retro della carta di copertura: etichetta "Unione fiorentina / 'Firenze fra le due guerre - La pittura' / Palazzo Strozzi Aprile-Maggio 1990"

 

Provenienza

Eredi Giulio Salti

 

Esposizioni

Firenze fra le due guerre. La pittura, Firenze, Palazzo Strozzi, marzo 1989

Giulio Salti nasce a Barberino di Mugello, in provincia di Firenze, nel 1899. Nella sua giovinezza frequenta le scuole tecniche nel capoluogo, manifestando il proprio talento artistico nelle caricature. Costretto a lavorare per mantenersi, diventa impiegato negli uffici tecnici delle Ferrovie, un'occupazione che riuscirà a lasciare, per dedicarsi a tempo pieno alla pittura, solo nel 1949. Privo di una preparazione accademica, elegge come suo maestro il pittore lombardo Giuseppe Amisani, a cui è legato da un rapporto di affetto e di stima. Partecipa a numerose importanti esposizioni, quali la III Biennale Romana nel 1925, la Promotrice di Torino, le Biennali di Venezia del 1924 e 1926, l'Esposizione di Arte Sacra a Roma nel 1950, la Mostra Nazionale d'Arti Figurative di Palazzo Reale a Napoli nel 1951 e la Mostra Internazionale d'Arte di Sanremo nel 1967. Muore a Carmignano nel 1984.
"…Ma il Salti non ha mai voluto essere uno specialista, essere soltanto un ritrattista; ha anzi voluto dare pieno sfogo alle sue capacità, alla sua fantasia al mondo che interiormente lo agita e che lo porta ad affrontare indifferentemente, con eguale facilità i soggetti più svariati: dai paesaggi alle nature morte, alle composizioni di figure e di oggetti. E tutto ciò egli tratta con una pittura succosa e sanguigna ma semplice ad un tempo, nella quale, ripeto, ha una certa prevalenza il frequente uso della spatola. Soprattutto con questa, infatti, il Salti esalta il colore nelle sue accensioni più vive; con la spatola, che egli alterna magistralmente col pennello, mostra una non comune abilità, costruendo il quadro con tocchi sicuri ed eleganti, estrosi ed incisivi. Da questo suo procedere tecnico spigliato e fresco derivano la gioia e la felicità dei suoi colori vivaci, spesso puri e violenti, festosi e contrastati, quando sono tesi ad esprimere, esasperandolo, il suo sogno di luce; colori tenui e modulati in altri casi, come quando accompagnano le linee morbide e flessuose di un ritratto femminile".
(A. Nocentini, Giulio Salti, Firenze 1968, p. V) 

Stima   € 4.000 / 6.000
Aggiudicazione  Registrazione
189

Domenico Morelli

(Napoli 1826 - 1901)

NELL'HAREM

olio su tavola, cm 15x20
firmato in basso a sinistra 

sul retro: iscritto "Questo dipinto garantisco / che è di D. Morelli / N. De Corsi"; sul retro del telaio etichetta "Circolo artistico D. Morelli / Torre del Greco / Mostra culturale / 1952"

 

Provenienza

Collezione privata

 

Esposizioni

Circolo artistico "D. Morelli", Torre del Greco, 1952

 

Domenico Morelli iniziò a frequentare l'Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1836 e i suoi primi dipinti furono improntati all'ideale romantico, con numerosi influssi medievali (fu ispirato in particolare dal poeta inglese Byron).

Nel 1848 vinse un concorso che gli permise di recarsi a studiare a Roma dove, dopo aver preso parte ai moti del 1848, fu incarcerato per un breve periodo.

Nel 1850 visitò Firenze dove ricevette il suo primo riconoscimento pubblico per la sua opera Gli iconoclasti. Nel 1855 partecipò, insieme a Francesco Saverio Altamura e Serafino De Tivoli, all'Esposizione Universale di Parigi e, di ritorno a Firenze, prese parte ai dibattiti dei macchiaioli sul realismo pittorico, ciò che lo condusse gradualmente ad assumere uno stile meno accademico e maggiormente libero, soprattutto nell'uso del colore; secondo i critici della pittura napoletana, la sua arte fonde verismo e tardo-romanticismo a modelli neoseicenteschi.

Negli anni sessanta, ormai tra i pittori italiani più conosciuti della sua epoca, fu nominato consulente del Museo Nazionale di Capodimonte relativamente alle nuove acquisizioni di opere, portando così il suo contributo alla gestione delle collezioni d'arte.

Nel 1868 ottenne la cattedra d'insegnamento all'Accademia (dove aveva studiato), mutuando il suo interesse ai temi religiosi, mistici e soprannaturali; infatti, di questo periodo è uno dei suoi lavori più celebri, l'Assunzione del Palazzo Reale di Napoli.

Fu anche uno degli artisti che collaborarono alle illustrazioni della Bibbia di Amsterdam (1895) e, dal 1899 sino alla morte avvenuta nel 1901, fu direttore dell'Accademia di Belle Arti di Napoli.

Stima   € 5.000 / 8.000
187

Donato Barcaglia

(Pavia 1849 - Roma 1930)

BISCOTTINO!

marmo, alt. cm 94, su base in marmo, alt. cm 4,5

firmato

Provenienza
Collezione privata

"Figlio di un impiegato governativo, compiuti gli studi classici frequenta l'Accademia di Brera sotto la guida di Abbondio Sangiorgio. Dopo una partenza tardo neoclassica e prediligendo soprattutto il marmo come materia di espressione, la produzione di Barcaglia si adegua con disinvoltura al gusto del momento e in generale inclina a un mitigato verismo. A capo di un atelier affollatissimo di allievi e aiuti, personaggio tra i più in vista della sua epoca, è quasi sempre presente nelle commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici, elegante e assiduo frequentatore del grande mondo. Diviene clamorosamente noto a diciassette anni per il suo Vendemmiatore, acquistato dalla Società di Belle Arti nel 1866 e in seguito, per volontà del principe Umberto, collocato nel Palazzo Reale di Milano. In tal modo lo scultore inizia la sua carriera che sarà lunga e ricca di riconoscimenti. Socio onorario dell'Accademia di Brera e di Urbino, cavaliere della Legion d’onore e grande ufficiale della Corona d’Italia, è particolarmente attivo nel campo della scultura funeraria (numerose opere per i cimiteri monumentali di Milano e Trieste) e pubblico-celebrativa. Tra i monumenti più importanti da lui eseguiti si ricordano quelli a Vittorio Emanuele II a Intra, al generale Medici a Milano, a Candiani a Turate e ai Caduti a Paderno Dugnano. Molto fertile è anche l'attività espositiva, all'Internazionale di Vienna del 1873 espone e viene premiato per la Bolla di sapone mentre nel 1875, con Amore accieca, ottiene la gran medaglia d’oro all'Esposizione fiorentina. Nello stesso anno espone e viene premiato a Santiago del Cile, mentre l'anno seguente presenta con successo La vita che cerca di trasmettere il tempo (oggi nel Museo Revoltella di Trieste insieme a La vergogna del 1871) alla mostra di Filadelfia. Nel 1881 espone ancora a Milano (Lo svegliarsi dei sensi) e viene premiato nuovamente alle mostre di Boston (1883), Londra e Torino (1884), Milano (1887), Pietroburgo (1902 e 1904) e Buenos Aires (1910)".
(A. Panzetta, Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, Torino 1994, I, p. 33) 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
172

Antonio Puccinelli

(Castelfranco Di Sotto (PI) 1822 - Firenze 1897)

LA MODA

olio su tela, cm 61x130,5

firmato in basso a sinistra

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

Presentiamo in catalogo un'insolita opera di Puccinelli, che descrive un vivace spaccato di vita cittadina. A nostro parere potrebbe trattarsi di una strada fiorentina, successiva al trasferimento della capitale del Regno d'Italia nel capoluogo toscano. E' difficile identificare la via, che potrebbe essere una strada del centro storico dove sorgevano i negozi più chic e alla moda, come quelli illustrati nel dipinto. La datazione dell'opera è ipotizzabile tra la fine degli anni Sessanta e il decennio successivo. 

"Dalla fine del 1839 Antonio Puccinelli fu allievo di Giuseppe Bezzuoli all'Accademia di Firenze, che frequentò fino al 1848, sostenuto da un sussidio granducale. Prima del 1844 entrò in contatto con la Scuola Pia dei Padri Scolopi a Volterra e dall'ambiente intellettuale e aristocratico della cittadina ricevette commissioni, incoraggiamenti e orientamenti politici. Frequentava intanto il Caffè Michelangiolo e aveva realizzato ritratti di amici artisti (Salvino Salvini, 1849, Roma, Accademia di San Luca). Dal 1849 al 1852 usufruì del pensionato di studio a Roma, dove attese ai saggi d'obbligo ed eseguì la Passeggiata del Muro Torto (coll. privata), precoce intuizione di pittura di macchia. Concluso il perfezionamento con un breve soggiorno a Venezia, rientrò a Firenze, dove nel 1854, per l'inglese W. Sloane, dipinse L'Accademia platonica, primo di una serie di soggetti medicei destinati alla restaurata Villa di Careggi presso Firenze (Leone X a Careggi, 1858; Cosimo Pater Patriae, 1867). La notorietà raggiunta all'apparire dell'opera gli valse la nomina all’Accademia fiorentina. Nella produzione di questi anni si inserirono anche una serie di nudi, studi di figure femminili (La tradita, esposto a Genova nel 1855, coll. privata) e ritratti, come quello della Nobildonna Morrocchi  (1855-1860, Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti), testimonianza di una personale ed elevata interpretazione dell’ingrisme toscano. Nei temi storici andava frattanto accogliendo elementi comuni al rinnovamento allora in atto in Toscana (Dino Compagni anima i fiorentini, 1859; Lucrezia Borgia, esposto a Firenze nel 1861, entrambi perduti). Al concorso Ricasoli ottenne nel 1860 l'allogazione del Ritratto di Vincenzo  Gioberti e un secondo premio per Federico Barbarossa vinto dalla Lega lombarda (bozzetto in coll. privata). Nel 1861 fu chiamato alla cattedra di pittura presso l'Accademia di Bologna e da quel momento si divise fra l'insegnamento e i lunghi soggiorni in Toscana, a Firenze e a Pistoia. Dopo il matrimonio con A. Badioli nel 1866, trovò nell'ambiente pistoiese un sostegno fertile e accogliente per tutti gli anni successivi: qui nacquero, tra le prime opere, Ritratto di Nerina Badioli (1866, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna), Chiostro dell'Ospedale del Ceppo (coll. privata), Villa Petrocchi (Faenza, Museo Civico), in cui la forma purista trovava felice sbocco in soluzioni di immediatezza espressiva vicine a quelle macchiaiole. Realizzò temi storici e ritratti per committenti pistoiesi (Paolo e Francesca, coll. privata) e bolognesi (Carlo Alberto a Oporto, 1866 ca., G. Maria Damiani, 1872, Bologna, Museo del Risorgimento). Nel 1875 portò a termine gli affreschi per la cappella degli Alluminati nella chiesa della Madonna dell'Umiltà a Pistoia".

(Pittori e Pittura dell'Ottocento Italiano, Dizionario degli Artisti, a cura di G. Matteucci e C. Bonagura, II, Novara 1999) 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
179

Luigi Rossi

(Cassarate 1853 - Biolda 1923)

IL MOSTO

olio su tavola, cm 45x60

firmato e datato "1910" in basso a destra

sul retro: etichetta "Raccolta Eredi / Pittore Luigi Rossi / Dipinto n. 1", etichetta "Città di Lugano / Museo Civico (Villa Ciani) / Mostra Luigi Rossi (1853-1923) / febbraio-aprile 1980 / no. cat. 142"

 

Provenienza

Eredi Luigi Rossi

Collezione privata

 

Esposizioni

Luigi Rossi pittore e illustratore: 1853-1923, Museo Civico, Lugano, febbraio-aprile 1980. n. 142

 

L'opera è la versione del 1910 del dipinto che viene considerato il capolavoro di Luigi Rossi (per confronti: R. Bossaglia, M. Bianchi, Luigi Rossi 1853-1923, Busto Arsizio 1979, pp. 140-141). I critici sono d'accordo nell'individuare in questa opera una sintesi fra il verismo lombardo e la moderna lettura del simbolismo europeo.

La formazione del pittore avviene all'Accademia di Belle Arti di Brera sotto la guida di Giuseppe Bertini. Esordisce nel 1871, inaugurando un repertorio di scene di genere attraversate da una sottile critica sociale, che si configura come un tratto saliente della sua produzione.

Le sue origini ticinesi gli impediscono di ricevere nel 1878 il prestigioso premio Principe Umberto, riservato ai cittadini del Regno d'Italia. Nel corso degli anni ottanta il suo repertorio si diversifica, affiancando paesaggi montani eseguiti en plein air, a scene di vita contadina e ritratti.

Dal 1885 al 1888 è a Parigi dove svolge anche un'intensa attività di illustratore per Alphonse Daudet e Pierre Loti, in particolare. Rientrato a Milano entra in contatto con il poeta Gian Pietro Lucini; un incontro che segna una svolta nelle sue ricerche pittoriche. Ne derivano alcune delle sue tele più celebri ancora di solida impronta verista, ma aggiornate in direzione delle nuove istanze simboliste.

Partecipa costantemente alle principali rassegne espositive italiane e internazionali con dipinti e acquerelli, nel 1921 allestisce una personale alla Galleria Pesaro di Milano. Alla sua scomparsa è ricordato con due mostre postume allestite presso la Società Permanente di Milano e a villa Ciani di Lugano nel 1924.

 

 

Stima   € 12.000 / 15.000
180

Giovanni Sottocornola

(Milano 1855 - 1917)

MATERNITA'

olio su tela, cm 105x129

firmato in basso a sinistra

 

Provenienza

Dall'artista alla famiglia degli attuali proprietari per successione ereditaria

Giovanni Sottocornola, nato in una famiglia operaia, poté iscriversi tardi (1875) all'Accademia di Brera di Milano, dove fu allievo di Bertini e Casnedi. Si affermò alle esposizioni braidensi, alle quali aveva debuttato nel 1882, come autore di nature morte e di apprezzati ritratti (1883, Ritratto della signora Martelli, Lecco, Museo Civico). Legato da un rapporto d'amicizia a Previati, Longoni, Pusterla, negli anni '90 si avviò all'esperienza divisionista con temi di impegno sociale (Muratore, esposto alla Triennale di Brera nel 1891; Dicembre-L'alba dell'operaio, 1897, Milano, Galleria d’Arte Moderna). In linea con le tendenze del gruppo culturale milanese, cui apparteneva, Giovanni Sottocornola si dedicò negli anni '90 alla pittura di tema sociale, affiancata alla sperimentazione del Divisionismo, temi che però abbandonò al volgere del secolo scegliendo soggetti di paesaggio e sviluppando una tematica più intimista e familiare, che raggiunse alti esiti nell'applicazione della tecnica divisionista anche con il pastello. Nel Novecento Sottocornola schiarisce la tavolozza dando risalto ai toni dell'indaco, del violetto e degli aranciati, ammorbidendo nelle stesure a olio dalle pennellate più ampie, il primitivo rigore dell'applicazione. Ed è allora che il Divisionismo e l'uso del pastello trovarono intonazioni delicate come in La rosa bianca (1907, Novara, Galleria d'Arte Moderna P. e A. Giannoni) o in Luce e lavoro (esposto a Brera nel 1914). 

Stima   € 13.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
186

Odoardo Tabacchi

(Valganna 1831 - Milano 1905)

MOSCA CIECA

marmo, alt. cm 78

firmato e locato "Torino"

 

Provenienza

Collezione privata, Bologna

 

Bibliografia

Pittura e scultura in Piemonte, 1842-1891. Catalogo cronografico illustrato della Esposizione retrospettiva, a cura di A. Stella, Torino 1893, p. 368

C. Corradino, Odoardo Tabacchi. Commemorazione letta all'Accademia Albertina di belle arti il 19 febbraio 1911, Torino 1911, p. 22

M. De Micheli, La scultura dell'ottocento, Torino 1992, p. 140

A. Panzetta, Scultura italiana tra XIX e XX secolo, catalogo della mostra (Galleria Giordani, Bologna, 1996-1997), I, Bologna 1996, p. 110

 

 

"Verosimilmente identificabile con l’opera ricordata da Stella e Corradino, la leggiadra figurina femminile che, bendata, tende il braccio destro in avanti nel gioco della mosca cieca, è parte di quella produzione di Tabacchi meno impegnata, ma di elevatissima qualità, destinata ad un pubblico borghese tendenzialmente antibigotto. Sono figure di giovani donne che, seducenti, con finto candore si offrono agli sguardi esprimendo una gioia di vivere essenzialmente fisica.

In questo marmo, l’eccezionale naturalismo che contraddistingue lo scultore che ha formato i migliori artisti usciti dall’Accademia Albertina di Torino, pare votato ad un maggiore e più maturo controllo delle superfici scabre e dei valori pittorici, a favore di un verismo più elegante, suadente e di sicura presa sul pubblico. Le carni splendide, delicate e molli, la finitezza morbida delle vesti e la sensualità colta e signorile in cui vive questo soggetto, portano ad accostarlo alle notissime Tuffolina e Cica-cica, quest’ultima esposta a Torino nel 1884 e a Milano nel 1886".

 

(A. Panzetta, Scultura italiana tra XIX e XX secolo, catalogo della mostra (Galleria Giordani, Bologna, 1996-1997), I, Bologna 1996, p. 110)

Stima   € 13.000 / 18.000
163

Frederic James Shields

(Hartlepool 1833 - Merton 1911)

a) THE LOST SHEEP

b) THE TALENTS

c) THE GREAT SUPPER

d) THE PRODIGAL SON'S RETURN

oli su tela, cm 81,5x205 (a, d), cm 81,5x276,5 e senza cornice (b, c)

titolati in basso a sinistra (b, c) e in basso a destra (a, d)

(4)

 

Provenienza

Collezione privata, Firenze

 

Per tradizione orale i quattro dipinti si dicono provenienti dalla collezione di Lord Maurice Egerton of Tatton a Tatton Park House in Cheshire, Inghilterra.

 

Frederic James Shields nasce il 14 marzo 1833 a Hartlepool, in Inghilterra. Dopo un'infanzia trascorsa in estrema povertà, si trasferisce nel 1848 a Manchester, dove prosegue la sua formazione artistica già avviata a Londra e dove comincia a lavorare come illustratore. Nel 1864 si sposta a Londra, dove conosce Dante Gabriel Rossetti e il gruppo dei Preraffaelliti, e dove risente dell'influsso della produzione di William Blake. Il rapporto con Rossetti, e con la famiglia di questi, rimane sempre strettissimo. Nel 1865 viene eletto socio della Old Water-Colour Society, e nel 1876, dopo un viaggio in Italia, si trasferisce definitivamente nella capitale inglese. La sua produzione comprende disegni a carboncino, oggetti di arte applicata, vetrate ma soprattutto dipinti murali di soggetto religioso: sue sono le decorazioni della Cappella di Eaton Hall, in Cheshire, della cappella privata di WH Houldsworth a Kilmarnock, della chiesa di St. Elisabeth, a Reddish in Stockport, e della Cappella dell'Ascensione, a Bayswater Road in Londra. Fu un uomo profondamente religioso, e ciò influenza anche la scelta dei soggetti, che diventano col tempo sempre più mistici. Muore il 26 febbraio 1911 e viene sepolto nella Merton Old Church, nel borgo di Merton a Londra.

Stima   € 13.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
167

Bartolomeo Bezzi

(Fucine d'Ossana 1851 - Cles 1923)

VEDUTA DI VERONA

olio su tela, cm 85x120

firmato e datato "914" in basso a destra

Bartolomeo Bezzi nacque a Fucine d'Ossana (Trento) il 6 febbraio 1851 da Domenico.A undici anni, orfano di padre, lasciò Fucine e girò per la penisola. A vent'anni s'iscrisse all'Accademia di Brera, dove ebbe a maestri Bertini e Carcano. Dovette però presto interrompere il suo tirocinio perché ammalato; ma ingegno e volontà gli permisero nel 1882 di vincere a Milano il premio Fumagalli. Fu la prima di una serie di vittorie che il pittore ottenne in Italia e all'estero: egli fu infatti accolto come socio nelle accademie di Milano; Bologna, Venezia, Ferrara, Verona e Monaco di Baviera.A Roma, alla Galleria d'Arte Moderna, sono conservati Mulini a Verona (1884) e A sera (1890). Giorno di maggio gli fece ottenere la medaglia d'argento all'Esposizione Universale di Parigi del 1889 e Notte di primavera fu premiata con medaglia d'oro alla mostra del 1891 a Monaco di Baviera.Dedicò parte della sua attività alla propaganda irredentista, partecipando a manifestazioni artistiche che si prefiggevano l'affermazione dell'italianità del Trentino (cfr. E. Bittanti Battisti, Dalla corrispondenza di un pittore-patriota trentino [B. B.], in Studi trentini di scienze storiche, XXVIII [1949], pp. 182-185).L'argomento pittorico ch'egli preferì a ogni altro fu il paesaggio, ed è nel paesaggio che la sua arte raggiunse i maggiori risultati; ma si conoscono ancora di lui ottimi ritratti e non indegni quadretti di genere. Le regioni che più l'ispirarono furono la Lombardia e le Venezie e in modo particolare il Trentino e, tra le città, Venezia, Verona, Roma. Il paesaggio finisce per essere, per lui, veramente lo specchio d'uno stato d'animo: Bezzi è un romantico e talvolta indulge a riprodurre episodicamente la natura e il particolare, per quell’amore del vero che fu il fondamento di tanta pittura italiana ottocentesca, specie nella seconda metà del secolo. Ma l'intimo ideale della pittura bezziana è un altro: lo porta verso i poetici grigi di Corot, da una parte, e verso gli estatici silenzi di Segantini, dall'altra. Più di un critico infatti ha scritto di lui paragonandolo al grande paesaggista francese. Visse tra Verona (1880-90) e Venezia (sino al 1910); nel 1910 si recò a Roma per preparare lavori per la Esposizione universale del 1911. Nel 1913 si stabilì a Verona, ma una malattia nervosa gli impedì di dedicarsi ancora alla pittura. Morì a Cles, nel Trentino, il 7 ottobre 1923. 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
191

Aroldo Bonzagni

(Cento (FE) 1887 - Milano 1918)

A SAN SIRO

olio su tela, cm 67,5x82

firmato in basso a destra

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

Due secoli fa i nobili milanesi si sfidavano nelle prime corse di galoppo in corso Buenos Aires. La strada che oggi per i milanesi è uno dei templi dello shopping era allora aperta campagna. Ma già nel 1843 veniva costituita la prima Società di Corse lombarda come sezione del circolo dell'Unione e le gare si tenevano su una pista tracciata in piazza d'Armi, alle spalle del Castello Sforzesco. Alla fine dell'Ottocento iniziarono invece le prime corse di trotto in piazza Andrea Doria: i tempi erano maturi perché Milano avesse finalmente un vero Ippodromo. Nel 1886 la scelta della sede più appropriata si orientò sulle grandi distese verdi di San Siro. Il progetto fu affidato all'ingegner Giulio Valerio e dopo quasi tre anni di intensi lavori vide finalmente la luce il tempio dell'ippica milanese: l'Ippodromo di San Siro. Era il maggio del 1888. Per gestire un'attività sempre più articolata, nel 1919 venne costruita la SIRE, Società d'incoraggiamento per le razze equine in Italia. Altri terreni si aggiunsero ai primi, con piste d'allenamento e scuderie. Nel 1920, su progetto dell'architetto Paolo Vietti Violi, fu inaugurato il nuovo ippodromo del galoppo. E cinque anni più tardi, nel 1925, fu la volta dell'ippodromo di trotto. I milanesi poterono così appropriarsi per sempre di un immenso spazio verde, dove alternare alla passione per le corse dei cavalli e il piacere di lunghe passeggiate all'aria aperta.
(cfr. M. Moioli, Il giro di Milano in 501 luoghi, Roma 2014, n. 103) 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
199

Giovan Battista Crema

(Ferrara 1883 - Roma 1964)

PIERROT E LA BALLERINA

olio su tela, cm 90x89

firmato in basso a destra

 

Provenienza

Collezione privata, Bologna

 

Nato a Ferrara il 13 aprile del 1883, Giovan Battista Crema manifestò sin da ragazzo una propensione all'attività artistica contrariamente alle aspirazioni del padre che lo voleva avviare agli studi di legge. Il suo primo maestro fu Angelo Longanesi; a sedici anni si recò a Napoli dove si iscrisse all'Accademia di Belle Arti ed ebbe come insegnante Domenico Morelli, il cui insegnamento segnò il giovane artista. Nel 1902 tornò a Ferrara per poi spostarsi a Roma con la madre dopo la morte del padre, in cerca di fortuna. Per il Crema l'arte moderna aveva il vantaggio di possedere tecniche più avanzate rispetto a quella di epoche precedenti ma dimostrava, a suo parere, la decadenza nel tener troppo in conto tale tecnica e poco il pensiero. L'ambiente romano lo accolse subito: strinse amicizia con Ximenes, Sartorio, Petiti, Mancini, Carlandi e si legò al gruppo dei giovani artisti d'avanguardia: Severini, Boccioni, Balla, Prini, Baccarini e Cambellotti. Il giovane Crema, attratto sin da giovane da un idealismo che discendeva direttamente dal realismo storico del Morelli, con un occhio ai Divisionisti e l'altro ai preraffaelliti, realizzò dipinti d'ambientazione ferrarese con gusto dissimile e talora antitetico, privilegiando sia tematiche pregne di un immaginismo gotico e dannunziano sia di un intimistico rimpianto personale. La stilizzazione divisionista era intanto attenuata sempre più alla ricerca di un ideale equilibrio fra realismo rappresentativo e un simbolismo che troverà una significativa emblematizzazione nel ciclo delle opere sulla Prima Guerra Mondiale. Crema fu nominato ufficiale di fanteria e inviato a combattere nelle trincee attorno a Gorizia. Tornò dal fronte con opere che ben esemplificano la sua dualità stilistica tra il realismo grafico-aneddotico e la carica idealistico-divisionista. Al termine della guerra il Crema elaborò una serie di opere significative che presentò alla Biennale Romana nel 1921, dove l'autore riassunse gli echi stilistici della Scapigliatura lombarda, del grande Previati e del Simbolismo Liberty, ma anche della scenografia e del cartellonismo teatrale del Pananti.

Nel 1922 tenne una grande personale nel palazzo dove era nato, che era poi stato acquistato dal Comune.

Negli anni Venti il Crema, distante dagli esiti dei divisionisti romani quali Noci e Innocenti, divenne invece il paladino di una pittura in cui il divisionismo è intorbidito da una forte connotazione realista, dove la scomposizione ottica spesso è usata soltanto per ottenere effetti decorativi. Negli anni Trenta il tema assoluto è quello dell'agro Laziale, risolto con tagli neo-divisionisti ma con esiti sin troppo illustrativi. Durante la Seconda Guerra Mondiale invece, Crema esprimerà convincentemente le proprie inclinazioni realistiche a contatto con le tragiche motivazioni belliche e i suoi esiti furono poi presentati alla Biennale di Venezia del 1942. La sua freddezza descrittiva riesce ad evitare l'impressione dell'oleografia e del trionfalismo, Crema non evoca mai il gusto di manifesti retorici alla Gino Boccasile. Dopo la guerra s'intensificano i temi a carattere religioso come quelli che esporrà nel 1961 a Livorno tre anni prima della sua morte.

 

(cfr. R. Breda, S. Crema, L'opera pittorica di Giovanni Battista Crema, contributo alla definizione di un catalogo generale, Roma 1994)

 

Stima   € 16.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
171

Luigi Bertelli

(Caselle, San Lazzaro Savena 1833 - Bologna 1916)

MONTE DONATO

olio su tela, cm 86x130

firmato in basso a destra

 

Provenienza

Collezione privata, Bologna

Luigi Bertelli nacque a Caselle, frazione a settentrione di San Lazzaro di Savena, nella tenuta dei conti Malvasia di cui il padre Giuseppe era fattore. Sin da giovanissimo s'appassionò alla pittura di paesaggio e - per forza di cose autodidatta - inizialmente guardò al Basoli ed ai contemporanei paesisti della vicina Bologna. Tuttavia i contatti con Bologna furono del tutto saltuari e non servirono ad affinare la mano del Bertelli che esprimeva, con una pittura spontanea, semplice e spesso rude - come ben dimostrano l'Autoritratto giovanile e le opere intorno al 1860 (cfr. Studio, Bologna, Galleria  d'Arte Moderna) - le emozioni provate di fronte alla natura e cercava di risolvere i problemi di luce e di immagine, riuscendo talvolta anche a dipingere opere, sotto tal riguardo, intense (Cascinale, Bologna, collezione Romagnoli).Utile al Bertelli fu il viaggio a Parigi intrapreso nel 1867in occasione della Esposizione universale: nonostante l'interessamento del Malvasia, la speranza di affermarsi in quella città fu delusa, ma egli ebbe modo di scoprire "che vi sono, in Francia, artisti specialmente di paesaggio, che in Italia non abbiamo confronti" e si riferiva per lo più ai pittori della scuola di Barbizon, a Courbet, Corot e Millet, al quale, forse per la comune origine contadina, il B. guardò in particolar modo, fino ad eseguire la copia di una sua opera. Al ritorno in patria egli cercò di mettere a frutto la lezione dei paesisti francesi e di Millet, rafforzandola con reminiscenze di pittura lombarda, i cui modi, avrebbe assimilato in un soggiorno a Milano.In seguito si stabili a Bologna con la numerosa famiglia (aveva sposato nel 1857 Matilde Benetti); ma la sua situazione economica divenne sempre più disastrosa anche per debiti contratti per rimettere in funzione un'antica fornace di mattoni.Nel 1870 ottenne una medaglia d'argento alla Mostra nazionale di Belle Arti di Parma, dove espose Luogo ameno, e intorno a questa data vanno collocati molti paesaggi, tra cui Muro merlato (Firenze, collezione Crespi) e Il crepaccio. Nel 1880 fu presente alla Esposizione nazionale di Torino con "un bosco assai pettinato" (L. Chirtani, in Illustrazione italiana, 8 agosto 1880, p. 86) e nel 1883 si guadagnò la medaglia d'oro all'Esposizione d'arte sacra a Roma con Due frati.Sempre alla ricerca di nuovi effetti, prese a dipingere frequentemente nelle ore mattutine e serali, attratto dalle diverse possibilità di luce: Stagno al mattino (circa 1880; Bologna, collezione Minelli);Pineta al mattino e Pineta al tramonto (tutt'e due del 1890 circa); Luna sul lago (circa 1895; Bologna, coll. Minelli); Stradina all'alba (circa 1900). E forse per questa esigenza di nuovi effetti il pittore cominciò a cercare soggetti al di là del suo Savena (Il Savena a S. Ruffilo, circa 1885, Bologna, collezione Roda; Valle del Savena, Firenze,  collezione Crespi), che, come scrive il Bertocchi, "ha avuto per B. l'importanza di un luogo dell'anima" (1946, p. 84): dapprima sull'Appennino emiliano, quindi nella pineta di Classe, presso Ravenna, poi a Venezia, dove soggiornò intorno al 1890, dipingendo, tra l'altro, La chiesa della Salute (Bologna, collezione Minelli) e Piazzetta di S. Marco (già proprietà Beliossi, trafugato dai nazisti), ed infine, intorno al 1895, sul lago di Como, dove dipinse numerose vedute. Più tardi trasse ispirazione dalle cave di roccia: Cave di Monte Donato; La cava e la macina; Scoppio nella cava (Bologna, proprietà Pedrazzi), databili intorno al 1900. Mori a Bologna il 23 gennaio1916.Pittore spontaneo, corposo, non di rado ingenuo, il B. fu rivalutato solamente dopo la morte, a partire dal 1920, anno in cui gli fu dedicata la prima retrospettiva a Bologna. Da allora i giudizi critici sulla sua pittura, per certi aspetti accostata a quella dei macchiaioli, sono stati anche troppo benevoli. La sua natura incolta e passionale, vera causa dei limiti di metodo e di respiro del B., è messa in luce dal consiglio, che il pittore dettò per il figlio Flavio: "Osserva che le cose anche più strapazzate, ma con arte e non a caso, riescono di maggiore effetto; non dico per regola, ma per farti comprendere che non si riesce pittore con la sola pazienza, e non perdere tempo in studi inutili che non conducono direttamente a questo scopo".
(G. Di Genova, s.v. Bertelli, Luigi, in Dizionario biografico degli Italiani, IX, Roma 1967) 

Stima   € 18.000 / 22.000
184

Giovanni Fattori

(Livorno 1825 - 1908)

MANOVRE DI ARTIGLIERIA

olio su tavola, cm 9x22

firmato in basso a destra

sul retro: timbro "Collezione Mario Borgiotti", firma di Mario Borgiotti, timbro "Romano Stefanini Galleria d'Arte" con firma di Romano Stefanini

 

Provenienza

Collezione Mario Borgiotti

Galleria d'Arte di Romano Stefanini

Collezione privata, Bologna

"... oggi si tende a spartire recisamente la sua produzione: di qua le battaglie ed altre tele celebrative, di là i piccoli motivi campestri; quelli, prodotti d'obbligo e di mestiere; e questi, illuminazioni geniali e tesori di arte. Contro siffatto vezzo fu spesa (Soffici) qualche franca parola. Per molti aspetti, il Fattori delle tavolette torna in qualsiasi composizione più ampia; dove, fatalmente, il colore si snerva, perde di virtù struttiva e ricorre ad imprestiti chiaroscurali dalla pittura del Costa; mentre si moltiplicano gli elementi illustrativi. Quanto è limpido e stillante nelle tavolette, anticamente adusto in parecchi ritratti, costì, non di rado, il Fattori è laborioso… E badiamo, altresì, che i valori illustrativi, nell'opera militare, son sempre di un maestro. Al loro effetto, tuttavia, il colore ha meno parte; e si scorpora e cade in toni pastello e pallori d'affresco, da farci pensare a quello che il Fattori avrebbe potuto nella pittura murale, con la quale certe sue opere di maggior superficie (per es. nel Museo Civico di Livorno) sembrano una sorta di compromesso. Allora entra in giuoco il nero segno che scolpisce contorni e movimenti: il segno delle acqueforti, di molte delle quali coteste composizioni posson considerarsi quali rifacimenti in grande, ritoccati di qualche povera tinta, che crea un'atmosfera sorda, bruciata: la reale atmosfera della violenza fisica e della guerra".

(L. Bianciardi, L'opera completa di Fattori, Milano 1970, p. 11) 

Stima   € 18.000 / 22.000
1 - 30  di 40