Dipinti e sculture antiche

16 MAGGIO 2017

Dipinti e sculture antiche

Asta, 0203
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 15:30
Esposizione
FIRENZE
12-15 Maggio 2017
orario 10-13 / 14–19 
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   1500 € - 80000 €

Tutte le categorie

61 - 80  di 80
69

λ

Jacopo di Chimenti da Empoli

(Firenze 1551-1640)

SANTA MARGHERITA DI ANTIOCHIA

olio su tela, cm 107,5x82,5

 

Provenienza

Collezione privata, Firenze

 

Bibliografia

M. A. Bianchini, Jacopo da Empoli in "Paradigma", 3, 1980, pp. 91-146, p. 129

G. Cantelli, Repertorio della Pittura fiorentina del Seicento, Fiesole (Firenze), 1983, p. 40

A. Marabottini, Jacopo di Chimenti da Empoli, Roma, 1988, p. 226, n. 69, fig. 69

Jacopo da Empoli 1551-1640, pittore d'eleganza e devozione, a cura di R. Caterina Proto Pisani, A. Natali, C. Sisi, E. Testaferrata, Milano, 2004, p. 204, n. 51, scheda di R. Spinelli

 

 

L'interessante dipinto qui proposto raffigura una Santa Margherita di Antiochia, la figlia di un sacerdote pagano che rinnegò la fede del padre per abbracciare quella cristiana.

Gli attributi che vediamo nel dipinto, la croce e il drago, sono quelli tipici per la santa; infatti secondo la tradizione il demonio le apparve sotto forma di drago. Dopo esserne stata inghiottita Margherita riuscì a liberarsi dall’infernale creatura squartandogli il ventre con una croce. Per questo motivo la devozione popolare ritiene Margherita la protettrice delle donne che devono partorire.

L'opera, citata ma non illustrata da Cantelli nel Repertorio della Pittura fiorentina del Seicento tra le opere di Jacopo Chimenti da Empoli, è datata intorno al 1610-1615. La data è confermata anche da Alessandro Marabottini, che ha pubblicato il dipinto nella monografia dedicata all'Empoli (Marabottini cit. p. 226 fig. 69) e da Riccardo Spinelli, considerando la tendenza dell'artista in quegli anni a rappresentare figure femminili a mezzo busto secondo i canoni della ritrattistica fiorentina del Seicento. Spinelli ricorda anche che "una santa con croce in mano dell'Empoli" era presente nella collezione fiorentina del marchese Filippo Niccolini alla metà del Seicento; questo ci può fornire una preziosa indicazione sulla provenienza dell'opera (Spinelli, cit. p. 204 scheda 51).

Il volto e l'acconciatura di santa Margherita sono confrontabili sia con il Ritratto di dama come santa martire detta Santa Barbara (Londra, collezione privata) che con la Susanna al bagno del Kunsthistorisches di Vienna, fanciulle dai volti calmi e dignitosi. Rispetto ai due quadri citati la nostra Margherita non ha lo sguardo sommessamente abbassato ma rivolge verso lo spettatore gli occhi vittoriosi sul Male.

La figura della santa ci appare dolcemente avvolta dalla luce naturale che mette in risalto le sfumature di colore degli incarnati e della veste rosa antico, oltre a esaltare la ricchezza delle maniche ornate da eleganti motivi floreali. È possibile trovare la stessa tipologia decorativa nella veste della figura di Santa Lucia nella pala con la Trinità, i quattro Evangelisti, Santa Lucia e San Carlo Borromeo (1620-21) della chiesa di San Bartolomeo a Prato; oltre alla somiglianza della posa ritornano infatti gli stessi motivi floreali stilizzati nelle maniche del vestito. Un ulteriore dipinto citato da Marabottini come confronto è la Santa Caterina in deposito dal 1972 nel Seminario Arcivescovile di Venegono Inferiore (Varese).

Jacopo Chimenti si formò nella bottega di Maso da San Friano studiando attentamente sui grandi maestri fiorentini del primo Cinquecento tra i quali Fra' Bartolomeo, Andrea del Sarto e Pontormo. Questa prassi rientra nell'insegnamento suggerito intorno agli anni settanta del Cinquecento da Santi di Tito ai giovani pittori fiorentini invitati a guardare all'antica tradizione del disegno piuttosto che all'ambiguità del tardo manierismo.

Molte delle opere di Empoli sono oggi visibili tra Firenze ed il suo paese natale; tra queste possiamo citare l'Immacolata Concezione del 1591 nella chiesa di San Remigio e l'Annunciazione del 1609 nella chiesa di Santa Trinita, entrambe a Firenze.

 

Stima   € 25.000 / 35.000
70

λ

Taddeo Baldini

(Firenze 1623-1694)

SELENE ED ENDIMIONE

olio su tela, cm 253x202

 

Si ringrazia la dottoressa Francesca Baldassari per l'attribuzione del dipinto a Taddeo Baldini.

La tela verrà pubblicata dalla studiosa in un saggio in corso di stampa: F. Baldassari, Per Taddeo Baldini (1623-1694), pittore fiorentino della Controriforma e della favola mitologica, in Studi di Storia dell'Arte in onore di Fabrizio Lemme, a cura di F. Baldassari e A. Agresti, Etgraphiae (Roma) 2017. 

La studiosa propone una differente identificazione del soggetto che verrà appunto riferita negli Scritti in onore di Fabrizio Lemme di prossima pubblicazione.

 


 

Il dipinto qui presentato illustra il mito di Selene ed Endimione, due figure della mitologia greca che si stagliano dinanzi allo spettatore con un tocco di enfatica teatralità.

Apollonio Rodio è stato uno dei vari poeti a narrare come Selene si fosse innamorata perdutamente di questo giovane cacciatore al punto di chiedere a Zeus di accordargli una giovinezza perpetua così che lei avrebbe potuto visitarlo e amarlo ogni notte per sempre. Il desiderio di Selene venne esaudito e così Endimione cadde in un sonno di eterna adolescenza.

Ricca di lirismo, la scena si distingue per la gestualità dei personaggi, in linea con il linguaggio di età barocca, soprattutto di Selene che teneramente ammira con pathos il suo innamorato.

La tela mostra caratteri stilistici tipici della scuola pittorica fiorentina della metà del Seicento, indirizzati, in particolare, verso le formule figurative di Taddeo Baldini.

Nato a Firenze nel 1623, Taddeo fu introdotto in giovane età allo studio della pittura nella scuola di Matteo Rosselli dalla quale si distaccò intorno al 1648, anno di immatricolazione all’Accademia del Disegno, importante istituzione cittadina dove gli venne conferito il titolo di accademico.

Apprezzato dai committenti del tempo per le raffigurazioni sacre e profane condotte con notevole bravura pittorica, il Baldini mostrò stretti contatti stilistici con alcuni dei maestri fiorentini più importanti alla metà del secolo come Giovanni Martinelli, Vincenzo Dandini, Lorenzo Lippi. Taddeo Baldini morì a Firenze nel 1694.

Il dipinto con Selene ed Endimione, sulle cui provenienza originaria non abbiamo al momento informazioni, potrebbe trovare una collocazione cronologica adeguata negli anni sessanta del Seicento, quando l’artista dipinse alcune pale nella campagna Toscana (Barberino del Mugello e Marti, Pisa) che mostrano analogie con il nostro quadro.

La tela presentata è accostabile anche al dipinto raffigurante Linco che sorregge Dorinda ferita da Silvio passato in asta Pandolfini il 22 aprile 2013 soprattutto nella resa tipologica delle figure, nelle pieghe delle vesti e nella definizione delle mani.

 

 

 

Stima   € 18.000 / 25.000
74

Giacomo del Pisano, attivo a Siena, sec. XV

MADONNA CON BAMBINO

olio su tavola a fondo oro, cm 69,5x40,5

 

Provenienza

Collezione Serristori, Firenze;

Sotheby’s, Asta Serristori, Firenze, maggio 1977, n. 50

 

Bibliografia di riferimento

R. van Marle, Il problema riguardante Giovanni di Paolo e Giacomo del Pisano, in “Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione”, 18, 1924-25 (1925?), pp. 529-542

 

È stato Raimond van Marle a identificare la figura di Giacomo del Pisano quale probabile aiuto di Giovanni di Paolo (Siena, 1398-1482) nella realizzazione di alcune sue opere.

Il nome di questo allievo viene riportato alla luce grazie alla firma che si legge nel trittico con la Madonna con Bambino in trono e angeli tra Maria Maddalena e San Pietro, già al Museo Van Stolk di Harlem e oggi presso la National Gallery of Ireland di Dublino.

Nell’iscrizione, visibile al centro sotto la figura centrale della Vergine, si legge il nome “Jacopo del Pisano”; per van Marle non v’è dubbio che si tratti del nome dell’artista e non di quello del donatore. Lo studioso asserisce che nel secondo caso l’iscrizione sarebbe stata più lunga e che un nome che indica “l’origine della persona è più comune per indicare l’artista” (van Marle cit. p. 534). La firma che Jacopo ci ha lasciato dimostra la sua volontà di tramandare un ricordo di sé nel panorama della pittura senese del Quattrocento.

Grazie a quest’opera firmata, Van Marle procede nel riconoscimento di altre opere da ricondurre a Giacomo del Pisano piuttosto che al maestro, ritenendo che in queste “troviamo la maniera di Giovanni di Paolo ma non la sua mano”: oltre al Trittico di Dublino ne segnala un altro con la Madonna e il Bambino tra santi di collezione privata inglese (vedi van Marle cit. fig. 3).

Le opere di Giacomo del Pisano hanno infatti caratteristiche ben riconoscibili per i modi in cui sono condotte: la forma tondeggiante delle teste, i nasi molto aguzzi e quasi taglienti e soprattutto la forma delle mani allungate e con le dita larghe e schiacciate.

Sono questi dettagli, puntuali come una firma, che ci portano ad attribuire proprio a Giacomo del Pisano anche la Madonna con il Bambino qui presentata, del tutto coerente con il già citato Trittico di Dublino.

 

Stima   € 15.000 / 20.000
77

Jacob de Heusch

(Utrecht 1656 – Amsterdam 1701)

PAESAGGIO COSTIERO CON ROVINE ANTICHE

MARINA CON BARCHE E FIGURE

coppia di dipinti ad olio su tela, cm 60,5x97,5
il primo quadro è firmato "Heusch" in basso a destra sulla roccia 

(2)

 

Provenienza

Collezione Serristori, Firenze;

Sotheby’s, Asta Serristori, Firenze, maggio 1977, n. 36

 

L’inedita coppia di tele qui presentata costituisce un esempio tipico della fortunata produzione di Jacob de Heusch, documentata da numerose opere firmate in parte eseguite a Roma, dove l’artista neerlandese fu attivo quasi per un ventennio, o recanti date successive al ritorno in patria ma sempre ispirate al soggiorno italiano.

Documentato a Roma per la prima volta nel gennaio del 1675 in occasione di una riunione dei Bentvueghels cui parteciparono giovani colleghi destinati a un luminoso avvenire, tra i quali Gaspar van Wittel, De Heusch risulta presente in città nel corso degli anni Ottanta e ancora nel 1692, prima del ritorno in patria dove operò per quasi un decennio.

Formatosi come pittore di paesaggio nella bottega dello zio Willem de Heusch, a Roma Jacob fu attratto dalle soluzioni che nella prima metà del secolo avevano imposto Gaspard Dughet e Salvator Rosa e che i loro epigoni, da Crescenzio Onofri a Pietro Montanini, tuttora praticavano con successo. Sofisticato interprete di quei modelli, e in particolare di quelli rosiani, secondo quanto racconta Houbraken nella sua biografia dell’artista, Jacob de Heusch ne fu in effetti il tramite più efficace per i pittori di paesaggio della prima metà del Settecento, da Adrien Manglard a Andrea Locatelli.

Autore di numerosi disegni di veduta dedicati alle antichità romane, De Heusch inserisce numerosi motivi dal vero nei suoi paesaggi ideati e nelle sue vedute fluviali; ne è un tipico esempio la prima composizione qui offerta, in cui una scena costiera di fantasia è limitata a sinistra dalle rovine del Palatino, così come apparivano nel prospetto su via dei Cerchi. Le ritroviamo in controparte in due composizioni firmate dell’artista dove inquadrano composizioni fluviali di invenzione, una delle quali eseguita a pendant di una veduta di Ripa Grande (A. Busiri Vici, Jacob de Heusch (1656-1701). Un pittore olandese a Roma detto il “copia”. A cura di Cinzia Martini, Roma 1997, numeri 9 e 13).

Ancora più frequente, sebbene con numerose variazioni, la veduta costiera nel secondo dipinto, desunta con ogni evidenza dalle soluzioni compositive proposte nella prima metà del secolo da Salvator Rosa, costante riferimento di Jacob de Heusch anche per le figurine di soldati e bagnanti che anche qui vediamo. Da modelli dell’artista napoletano quali la tela a Roma nella Galleria Doria Pamphilj, o quella al Metropolitan Museum di New York discendono infatti le opere più felici di Jacob de Heusch, quali la Marina con soldati a Vienna, nella galleria della Akademie der bildende Künste, o quella già presso Schlichte Bergen a Amsterdam e, per l’appunto, la tela che qui proponiamo.

 

 

Stima   € 40.000 / 60.000
78
Jacopo Fabris
(Venezia 1689- Copenaghen 1761)
VEDUTA DEL QUIRINALE
olio su tela, cm 71x110

La scenografica veduta di Piazza del Quirinale a Roma qui proposta è opera del pittore veneziano Jacopo Fabris.La sua produzione pittorica fu principalmente legata all'attività di scenografo per cui riscosse molto successo all’estero lavorando, dal 1719, a Karlsruhe, Amburgo, Londra e Berlino e dal 1747 fino alla morte a Copenaghen; qui ricoprì incarichi prestigiosi nel teatro della corte danese di Charlottenborg; A questa attività principale il Fabris affiancò anche quella di vedutista che doveva aver coltivato sin dagli anni giovanili a Venezia e che aveva perfezionato durante il soggiorno nella città papale.Fabris realizzò infatti molte vedute prospettiche ispirate a scorci romani e veneziani, quasi sempre arricchite da inserti fantastici. Questa sua attività continuò anche all’estero, incalzato sicuramente da una prolifica committenza, che lo portò a lavorare su stampe e appunti, nonché sulle sue fonti, Canaletto e Vanvitelli, con disinvoltura e fresca libertà. Il dipinto qui presentato, in cui si apre un’ampia veduta della Piazza del Quirinale con il gruppo dei Dioscuri provenienti dalle Terme di Costantino, rientra tra le opere di Fabris che riproducono luoghi famosi dell’Urbe, di grande successo date le numerose varianti conosciute. Nella composizione è assente l’obelisco egiziano in granito rosso che fu eretto nella piazza del Quirinale solo nel 1786 per volontà di papa Pio VI.
Stima   € 15.000 / 20.000
61 - 80  di 80