IMPORTANT MAJOLICA FROM RENAISSANCE TO THE 18TH CENTURY

26 OCTOBER 2023

IMPORTANT MAJOLICA FROM RENAISSANCE TO THE 18TH CENTURY

Auction, 1252

FLORENCE


H. 11.00
Lots 1-89
Viewing
FLORENCE
Saturday 21 October 2023 10 am - 6 pm
Sunday 22 October 2023
10 am - 3 pm
Monday 23 October 2023
10 am - 6 pm
Tuesday 24 October 2023
10 am - 6 pm
Wednesday 25 October 2023 10 am - 6 pm
 
 
 
Estimate   600 € - 25000 €

All categories

1 - 30  of 89
1
Estimate   € 2.000 / 3.000
Price realized  Registration
2

A CHARGER, MANISES, FIRST QUARTER OF 16TH CENTURY

 

GRANDE PIATTO, MANISES, PRIMO QUARTO SECOLO XVI

in maiolica decorata a lustro metallico; diam. cm 39,5, alt. cm 4,2

 

Comparative Bibliography

X. Dectot, Céramiques hispaniques (XII-XVIII siècle), Parigi 2007, pp. 76-77, nn. 40-4\

 

Il piatto da parata mostra una marcata baccellatura sulla larga tesa appena inclinata e ampio cavetto piano con umbone rilevato. in prossimità del bordo, come di consueto, un foro eseguito prima della cottura, per facilitare l’esposizione del piatto a parete. La decorazione del fronte, che si estende sull’intera superficie, si sviluppa adattandosi alla morfologia del piatto. L’umbone mostra un pesce dipinto a lustro su fondo chiaro, circondato su tutta la superficie del cavetto da quattro fasce concentriche decorate rispettivamente con rosette, una doppia serpentina, steli fioriti e di nuovo rosette; la tesa mostra invece un decoro alternato sulle singole baccellature, intervallandone tre generi: roselline a risparmio su fondo scuro, steli fioriti e piccoli circoli, a reticolo. Anche il retro del piatto è interamente smaltato e dipinto secondo il tipico stile ispano-moresco, con un doppio giro di foglie stilizzate e tralci sinuosi tutto intorno al piede, decorato con un motivo a rosone.

Sebbene alcuni generi di decoro presenti nel piatto sembrerebbero suggerire di collocarlo nella parte finale del XV secolo, altri dettagli unitamente alla presenza di un solo tono di lustro ci portano ad una datazione più probabile nei primi anni del secolo successivo.

 

Estimate   € 2.000 / 3.000
Price realized  Registration
4

A CHARGER, SEVILLE, FIRST HALF OF 16TH CENTURY

 

GRANDE PIATTO, SIVIGLIA, PRIMA METÀ SECOLO XVI

in maiolica decorata a lustro metallico e blu. Sul retro vecchia etichetta di collezione con descrizione del piatto; diam. cm 38,2, alt. cm 6

 

Comparative Bibliography

X. Dectot, Céramiques hispaniques (XII-XVIII siècle), Parigi 2007, p. 141, n. 102.

 

Il piatto da parata mostra una marcata baccellatura sulla larga tesa appena inclinata e ampio cavetto piano. La tesa, come di consueto, mostra un foro eseguito prima della cottura, per facilitare l’esposizione del piatto a parete. La decorazione del fronte, che si estende sull’intera superficie, si sviluppa adattandosi alla morfologia del piatto: il cavetto è interamente occupato da due nastri lineari perpendicolari disposti a formare una croce, contornata di azzurro e riempita da rosette eseguite a risparmio sul fondo lustrato, intorno alla quale sono disposti simmetricamente quattro steli fioriti; la tesa alterna invece il decoro sulle singole baccellature, intervallando tre generi di decoro: pieno, a stelo fiorito e a reticolo. Anche il retro del piatto è interamente smaltato e dipinto secondo il tipico stile ispano-moresco, con foglie stilizzate entro ampie riserve circolari sulla fascia esterna, ed una serie di filetti concentrici intorno al piede, decorato con un motivo a rosone.

La morfologia del piatto e la sua decorazione ci portano ad attribuire il piatto alle manifatture spagnole nella prima metà del Cinquecento tra Manises e Valencia, preferendo quest’ultima per alcuni interessanti confronti.

 

Estimate   € 2.000 / 3.000
Price realized  Registration
7

A PLATE (TONDINO), FAENZA, LATE 15TH CENTURY

 

TONDINO, FAENZA, FINE SECOLO XV

in maiolica dipinta in policromia, diam. cm 23,8, diam. piede cm 8,2, alt. cm 3,2

 

Comparative Bibliography

C. . Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza nelle raccolte del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, Faenza 1998, p. 141 nn. 260-261, p. 150, nn. 530,532;

C. Ravanelli Guidotti, Le ceramiche italiane datate dal XV al XIX secolo, Faenza 2004. pp. 124-125, n. 4;

G. Anversa, La collezione Francesco Franchi e la donazione alla Pinacoteca di Varallo Sesia, Borgosesia 2007, p. 36, n.9;

V. Mazzoti in C. Ravanelli Guidotti (a cura di), La grazia dell’arte. La collezione Grimaldi Fava. Maioliche, Milano 2019, pp. 86-88, n. 10.

 

Il tondino in maiolica, frammentario e ricostruito con restauro archeologico, ha cavetto centrale appena umbonato e profondo e tesa orizzontale larga con orlo arrotondato e solcato da una filettatura. Il motivo decorativo prevede al centro della composizione una lepre accovacciata in un paesaggio collinare con lo sfondo riempito da puntinature, intorno una cornice con motivo geometrico ricorrente, mentre la balza è interessata da un ornato a girali con andamento sinuoso in blu cobalto; la tesa mostra un classico motivo a palmetta persiana che alterna boccioli a palmette con forma “a pigna” aperti alternati a rosette multipetalo. Al verso un fitto motivo “a calza”. Il tondino costituisce un esempio principe della produzione faentino romagnola tra la fine del secolo XV e i primi anni del XVI, quando questa tematica con animali di fantasia o reali era associata a tematiche amorose; il coniglio ad esempio trova riscontro anche nelle mattonelle del pavimento della cappella Vaselli di San Petronio a Bologna. Un esemplare simile, con una cerva accovacciata, è conservato al la Pinacoteca di Varallo.

Lo stile ancora arcaico del decoro e la realizzazione raffinata e accurata trovano riscontro in opere analoghe del repertorio gotico con riscontri precisi in esemplari pubblicati da Carmen Ravanelli Guidotti nel Thesaurus, non ultimo l’esemplare datato 1524 del MIC di Faenza che ci suggerisce una datazione di riferimento.

Estimate   € 2.000 / 3.000
8

A DISH, FAENZA, CIRCA 1520

 

PIATTO, FAENZA, 1520 CIRCA

in maiolica dipinta in policromia con giallo, giallo arancio, verde ramina, bruno di manganese, blu cobalto; diam. cm 19,5, diam. piede cm 5,5, alt. cm 3,4

 

Comparative Bibliography

A.V.B. Norman, Wallace Collection Catalogue of Ceramics 1: Pottery, Maiolica, Faience, Stoneware, Londra 1976, p. 103, n. C44;

J. Poole, Italian maiolica and incised slipware in the Fitzwilliam Museum, Cambridge 1995, n. 331;

C. Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza, Faenza 1998, p. 298, n. 67;

D. Thornton, T. Wilson (a cura di), Italian Renaissance Ceramics, A Catalogue of the British Museum’s Collection, Londra 2009, n. 69;

T. Wilson, Italian maiolica in the collection of international Gallery of Victoria, Melbourne 2015, pp. 72-73.

 

Il piatto presenta cavetto poco profondo, piede ad anello rilevato e un’ampia tesa a bordo arrotondato profilato di giallo. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche a policromia con e delfini, mentre la balza è decorata con un motivo fitoforme realizzato con tecnica a “bianco su bianco” e centrato da sottili elementi a rombo delineati in blu; al centro del cavetto, entro un medaglione incorniciato da perle e ovali lumeggiati di arancio campeggia, un emblema forse riferibile a un ambito conventuale, delineato in bruno a doppia croce su fondo riservato sullo smalto. Gli elementi della tesa vedono strumenti musicali, scientifici e libri alati intervallati simmetricamente a cornucopie piccole ali. I colori sono il giallo, il verde e l’arancio a dare luce ai decori che si stagliano su un fondo dipinto in blu con pennellate parallele. Al verso si contano dodici archi tratteggiati di blu che spiccano su un fondo tratteggiato di arancio; al centro del piede si scorge un cerchio ombreggiato di blu.

Il piatto costituisce un tipico esempio della tipologia decorativa che interessò la produzione faentina tra il 1520 e il 1530 e che trova capisaldi cronologici in esemplari datati e iscritti, come il piatto del British Museum, in cui si legge la scritta “IN FAENCA”, ma anche nei reperti dagli sterri della città romagnola conservati nel Museo Internazionale della Ceramica.

Alcuni esemplari di confronto sono presenti in collezioni museali, quali il piatto datato 1520 del Fitzwilliam Museum di Cambridge o quello del “Assumption Painter” del Victoria & Albert Museum di Londra. Più complessa è invece la raffigurazione del piatto della Wallace Collection di Londra, come pure per quello della collezione della International Gallery of Victoria. La marca al centro del piede, qui molto semplificata, dovrebbe raffigurare la cosiddetta palla riferita alle manifatture faentine dalla famiglia Paterni, Dalle Palle e poi ancora utilizzata nella produzione della bottega di Piero e Paolo Bergantini.

Estimate   € 6.000 / 9.000
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9
Estimate   € 2.000 / 3.000
Price realized  Registration
10

A PHARMACY JAR (ALBARELLO), DERUTA, FIRST QUARTER OF 16TH CENTURY

 

ALBARELLO, DERUTA, PRIMO QUARTO SECOLO XVI

In maiolica dipinta in policromia; alt. cm 27,6, diam. bocca cm 11, diam. piede cm 10,8

 

Comparative Bibliography

T. Hausmann, Majolika. Spanische und Italienische Keramik vom 14. bis zum 18. Jahrhundert, Berlin 1972, p. 198, n. 148;

J. Rasmussen, The Robert Lehman Collection. 10. Italian Majolica, New York 1989, p. 57, n. 33;

G.C. Bojani (a cura di), Gaetano Ballardini e la ceramica a Roma. Le maioliche del Museo Artistico Industriale, Firenze 2000, pp. 76-77, n. 6;

Busti Cocchi in E. Sannipoli (a cura di), La via della ceramica tra Umbria e Marche: maioliche rinascimentali da collezioni, Gubbio 2010, p. 76, n. 1.9;

C. Fiocco, G. Gherardi, L.S Fakhri, Majoliques italiennes de la Renaissance. Collection Paul Gillet, Toulouse 2015.

 

Il vaso apotecario ha forma cilindrica rastremata al centro con spalla fortemente angolata e base più arrotondata, che scende in un piede a disco rifinito a stecca; il collo è alto, cilindrico, con orlo arrotondato e estroflesso. Sul fronte, dipinto su uno smalto bianco e spesso, il decoro è racchiuso in una ghirlanda turchina con piccoli frutti trattenuta da nastri gialli e verdi: nella parte superiore due ippogrifi alati, delineati su un campo blu cobalto, che accompagnano uno scudo a testa di cavallo contenente una sigla con più lettere sormontate da doppia croce; al centro un cartiglio farmaceutico su fondo giallo con la scritta DIA.CHASSIA, al di sotto del quale spicca la figura di un moro ritratto di profilo entro un medaglione ovale. Nella parte posteriore alcuni nastri dall’andamento sinuoso completano l’ornato.

Sono stati riconosciuti due diversi fornimenti con queste caratteristiche decorative, ed un gruppo di opere reca le date 1501 e 1502, con differenze nella redazione della sigla, associate a brocche sia policrome che a lustro. La sigla all’interno dello scudo è stata variamente interpretata: per Biganti (1987) è riferibile alla bottega derutese di Pietro Paolo Masci, ma altri studiosi esprimono riserve in merito.

Un esemplare della farmacia, coerente per elementi decorativi ma non per morfologia, è stato pubblicato sia da Otto Mazzuccato nel 1990 che da Carola Fiocco e Gabriella Gherardi nel volume dedicato alle ceramiche di Deruta dal XIII al XVIII secolo. La forma è comunque documentata in albarelli derutesi dei primi del XVI secolo, come ad esempio un esemplare pubblicato da Rackham e datato al 1507 circa, associato ai piatti con petal back, cui si avvicina sempre per forma anche l’albarello datato al 1505-1510 del Met di New York con scena satirica.

Il decoro del nostro albarello, delineato in modo abbastanza rigido e meno accurato rispetto agli esemplari di confronto citati, avvicina l’opera maggiormente alle bottiglie apotecarie, sempre attribuite a Deruta, come ad esempio la fiasca del Museo di Berlino (inv. 02/70), caratterizzato da un decoro a candelabre a nostro parere prossimo per stile al nostro vaso. Il gusto ci pare dunque quello dei vasi farmaceutici non sempre ascrivibili a una bottega certa, prodotti in area umbra, come ad esempio il versatore databile tra il 1500 e il 1510 da collezione privata esposto recentemente a Gubbio.

Estimate   € 8.000 / 12.000
Price realized  Registration
11

A PLATE, CASTELDURANTE OR URBINO, CIRCA 1520-1530

 

PIATTO, CASTELDURANTE O URBINO, 1520-1530 CIRCA

in maiolica dipinta a gran fuoco in blu cobalto, giallo antimonio, bistro e bruno di manganese; alt. cm 5,5, diam. cm 31,8, diam. piede cm 13

 

Provenance

Parigi, Galerie Georges Petit, Succession de Madame d'Yvon, 1892 (n. 41);

Parigi, Asta Drouot-Richelieu, 4 maggio 1993, lotto 55;

Torino, collezione privata

 

Comparative Bibliography

J. Rasmussen, Italian Majolica in the Robert Leheman Collection, New York 1989, pp. 100-101, n. 62;

F.A. Dreirer, J. Mallet, The Hockemeyer collection. Maiolica and Glass, 1998, pp. 230-231;

D. Thornton, T. Wilson, Italian Renaissance Ceramics. A catalogue of the British Museum Collection, Londra 2009, pp. 370-371, n. 217.

 

Il piatto piano a tagliere, privo di cavetto, poggia su base apoda appena accennata, lo smalto è bianco crema e ricopre l’intera superficie. Il decoro a candelabra, con scudi, elmi e loriche collegati tra loro tramite nastri svolazzanti, è realizzato a risparmio, poi ombreggiato con mezzatinta grigia su fondo steso a pennellate parallele blu cobalto. Partendo dal basso, si notano due larghi elementi a cartiglio a forma di riccioli contrapposti, centrati da un elemento sferico, più in alto due grottesche dalle orecchie appuntite, le cui code si arricciano al centro aprendosi poi ai lati in cornucopie piene di frutta, incorniciando al centro un emblema con un’aquila monocipite su fondo giallo; nella parte superiore un mascherone con barba. Collane di perle cingono il collo delle grottesche collegandole alle cornucopie, mentre elementi fogliati e decori secondari completano l’ornato. Una sottile linea gialla marca l’orlo, mentre il retro non è decorato.

Una coppa conservata al Museo di Pesaro e databile al 1548, corredata dalla presenza di spartiti musicali (M. Moretti in P. Dal Poggetto, I Della Rovere: Piero della Francesca, Raffaello, Tiziano, Milano 2004, p. 485 scheda XV.28), si avvicina molto al nostro esemplare e ci fornisce un buon confronto, ma si presta ad una più approfondita chiave di lettura data la presenza di musica, mentre per il nostro esemplare è il motivo araldico-militare che sembra essere più importante. Una via di mezzo tra le due scelte decorative è rappresentata da una coppa con candelabra, trofei, stemma e spartiti musicali al Victoria and Albert Museum di Londra (inv. n. C2224-1910) (D. Chambers, J. Martineau, Splendours of the Gonzaga, London 1981, scheda n.198. J. Mallet attribuisce l’opera a Casteldurante o Urbino): l’emblema Gonzaga, con le aquile coronate su fondo argento, troneggia al centro della composizione, al di sopra di uno spartito musicale e circondato da grottesche: tale coppa, probabilmente urbinate, è databile al 1525.

Una recente ipotesi fa pensare che questo tipo di opere fosse prodotto anche nella città di Venezia, basandosi sul fatto che Cipriano Piccolpasso nel concludere "il terzo libro dell'arte del vasaio", lascia intendere che il decoro a candelabra avesse un suo buon mercato nella città veneta, dove erano comunque soliti operare emigrati da Casteldurante e Pesaro. Piccolpasso stesso peraltro, nel citare i trofei, ci dice che "si fano più per il Stato di Urbino che in altro luogo": il tema militare era infatti caro ai Montefeltro e ai Della Rovere.

Per questa tipologia di opere sono fondamentali gli studi di John Mallet, che stila un elenco di piatti che recano il medesimo stile decorativo (F.A. Dreirer, J. Mallet, The Hockemeyer collection. Maiolica and Glass, 1998, pp. 230-231), mentre per un’attribuzione a bottega urbinate, forse di Nicola da Urbino, si veda quanto detto da Rasmussen (J. Rasmussen, Italian Majolica in the Robert Leheman Collection, New York 1989, pp. 100-101 n. 62) e da Wilson e Thornton negli studi più recenti (T. Wilson, D. Thornton, Italian Renaissance Ceramics. A catalogue of the British Museum Collection, Londra 2009, pp. 370-371 n. 217).

Il piatto è transitato sul mercato nel 1993 con attribuzione a Casteldurante e riferimento all’analisi della termoluminescenza (Oxford 481 U73), di cui conserva traccia sul retro del piede. Nella scheda si proponeva una lettura dell’emblema come attribuibile al Montefeltro oppure, in base a un emblema simile presente al Museo del Louvre, come emblema della Famiglia Sabatini di Rimini. L’aquila mantiene le caratteristiche morfologiche di quella presente nell’emblema Montefeltro su campo oro: l'aquila araldica trasmette il significato di maestà, vittoria, potere sovrano. Una certa affinità con la monetazione, nella quale può comparire un’aquila singola, ci indirizza verso un campo di ricerca tutto da approfondire, ma è interessante anche la suggestione che deriva dal fatto che nell’emblema dello stemma di Valente Valenti Gonzaga di Mantova e la moglie Violante Gambara di Brescia troneggino due aquile su fondo oro ad adornare, per concessione dei Marchesi Gonzaga nel 1518, il capo dello scudo, mutando cioè il campo di fondo da argento a oro (T. Wilson in R. Ausenda (a cura di), Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche, I, Milano 2000, pp. 182-184 n. 193).

Interessante il confronto con un boccale del museo di Urbania datato 1558 con lo stesso emblema, a conferma dell’uso del decoro con l’aquila nel ducato di Urbino e in particolare a Casteldurante (C. Leonardi, La ceramica rinascimentale metaurense, Roma 1982, p. 68 fig. 51). E d’altra parte l’aquila su campo oro compare variamente associata in più emblemi araldici, non ultimo in quello di Guidobaldo II della Rovere (T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting. Catalogue of a Private collection, Torino 2018, pp. 326-329 n. 142) o nell’emblema della Famiglia Mazza (T. Wilson, op. cit. pp. 366-368 n. 163). Va comunque e più semplicemente considerato che l’emblema con l’aquila è presente già nella romanità come simbolo di comando e forse in questo caso l’aquila potrebbe essere letta in associazione con i trofei (G. Gerola, L’aquila bizantina e l’aquila imperiale a due teste, in “Felix Ravenna”, 1934, fasc. I, XLIII, pp. 7-39).

 

Estimate   € 25.000 / 40.000
12

CRESPINA WITH FRUIT AND ANIMALS, WORKSHOP OF GIOVANNI DELLA ROBBIA, CIRCA 1520

 

CRESPINA CON FRUTTA E ANIMALI, BOTTEGA DI GIOVANNI DELLA ROBBIA, 1520 CIRCA

terracotta invetriata policroma, cm 16x25x24

 

Bibliografia di confronto

G. Gentilini (a cura di), I Della Robbia e l’arte nuova della scultura invetriata, Firenze 1998, pp. 277-280 nn. III.19-III.22, pp. 312-313 n. IV.17

 

La composizione è costituita da una crespina con il corpo scandito da profonde baccellature su alto piede circolare, interamente smaltata di bianco, sulla quale poggia una ricca composizione di frutta e verdura adagiata su un letto di foglie, e abitata dai consueti “protagonisti” della bottega robbiana, ossia alcuni animaletti da orto o da aia (lucertola, ranocchia, lumaca), che testimoniano forse l’influenza della sempre crescente produzione pittorica dei maestri fiamminghi, ormai un modello ben presente anche presso le botteghe degli artisti fiorentini. I frutti e gli ortaggi sono resi con grande naturalezza, quasi pronti per essere staccati dalla composizione, e questo porta a pensare ad una funzione esclusivamente decorativa della coppa, destinata probabilmente all’ornamento della casa, seppur mantenendo il significato ben augurante che deriva dall’idea dell’abbondanza che viene trasmessa. Questo modellato ricco e plastico assai naturalistico dei frutti e la scattante vivacità degli animaletti ci porta ad assegnare la composizione alla mano di Giovanni e della sua bottega, maggiormente attenti ai valori dell’ornato.

Questa crespina rappresenta al momento un’interessante aggiunta alla produzione robbiana, in quanto all’abbondanza di cestini a canestro traboccanti di frutta e a quella delle composizioni con funzione di tappo per i vasi decorativi, non corrispondono esemplari di questo genere, fatta eccezione per una coppa di frutta baccellata, assegnata però alla mano di Girolamo della Robbia, e forse eseguita nel periodo trascorso alla corte di Francia.

Estimate   € 6.000 / 9.000
Price realized  Registration
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13

AN EWER, CENTRAL ITALY, HALF 16TH CENTURY

 

VERSATOIO, ITALIA CENTRALE, METÀ SECOLO XVI

in maiolica dipinta in policromia; alt. cm 32,5

 

Bibliography

U. Ojetti (a cura di), Catalogue de la Collection Pisa, Milano 1937, vol. I p. 89 n. 567; vol. II tav. CIX

 

Comparative Bibliography

J. Rasmussen, The Robert Lehman Collection. 10. Italian Majolica, New York 1989, p. 241 n. 157;

G.C. Bojani, C. Ravanelli Guidotti, A. Fanfani, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. La donazione Galeazzo Cora. Ceramiche dal Medioevo al XIX secolo, Milano 1995, pp. 133-134.

 

Il vaso farmaceutico ha corpo globulare rastremato verso il piede, appena aggettante e poggiante su base piana, ansa a nastro, cannello che parte dalla spalla portato alto di forma cilindrica. collo alto cilindrico con orlo tagliato a stecca. Il decoro interessa l’intero vaso con un motivo alla porcellana sul collo e sotto l’ansa, con un decoro geometrico con due file parallele di rettangoli sul piede, mentre sotto il cannello, dipinto di giallo, una larga ghirlanda di fiori circonda l’emblema farmaceutico che lega le lettere dcB; due metope sui fianchi racchiudono un motivo floreale a girali.

Il vaso, noto alla critica in quanto proveniente dalla famosa Collezione Pisa, trova riscontro in esemplari simili con decori di maggiore o minore complessità. Vasi apotecari con il medesimo emblema sono presenti al MIC di Faenza nella collezione Cora (invv. 21441, 21300, 21453), mentre la forma e il decoro della ghirlanda trovano riscontro in un grande orciolo da farmacia con ritratto maschile al centro della composizione, conservato al MET di New York, che presenta la stessa impostazione morfologica e decori analoghi nel piede, nonché scelte cromatiche nella tavolozza molto prossime, vaso questo che non ha trovato nel corso degli studi attribuzioni convincenti, restando opera incerta.

Estimate   € 3.000 / 5.000
Price realized  Registration
14

SIX TILES, SIENA, 1502

 

SEI MATTONELLE, SIENA, 1502

in maiolica dipinta in policromia; lato cm. 15,2, spessore cm 2.

 

Comparative Bibliography

D.Thornton, T.Wilson, Italian Renaissance Ceramics. A catalogue of the British Museum Collection, London 2009, pp. 606-608, nn. 376-377;

M. Anselmi Zondanari, P. Torriti (a cura di), La ceramica a Siena dalle origini all’Ottocento, Siena 2012, pp. 51-52, fig. 50.

 

Le sei mattonelle sono riferibili al pavimento della Biblioteca Piccolomini collocata all’interno della cattedrale di Siena, libreria costruita a partire dal 1492 per volere del cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, con il duplice intento di contenere il cospicuo patrimonio librario del pontefice Pio II, Enea Silvio Piccolomini, con l’aggiunta di codici appartenuti al Todeschini e a suo fratello Giacomo, ma anche con chiaro significato simbolico celebrativo in onore della vita del papa umanista. L’opera, monumentale, fu completata dal bel ciclo di affreschi di Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio, terminati nel 1508, mentre il pavimento fu sostituito nell’Ottocento con ambrogette romboidali della fabbrica Ginori. Le mattonelle originali, di forma triangolare e dimensioni minori, sono in parte conservate nei depositi del Museo dell’Opera, e in parte disperse e presenti in vari musei e collezioni private. La datazione del pavimento originale viene fatta risalire alla progettazione architettonica dell’edificio e pertanto al primo periodo di costruzione (1495-1497), anche se per alcuni studiosi è corretto posticiparla di pochi anni. Un utile confronto in sede museale è costituito da alcune mattonelle conservate al British Museum di Londra, caratterizzate appunto dalla presenza della luna crescente, che compare in questa forma solo nel basamento della statua realizzata a Roma nel 1502 e poi collocata nella biblioteca a Siena, data che costituisce pertanto un termine ante quem per la datazione del pavimento.

Estimate   € 5.000 / 8.000
Price realized  Registration
15

A BOWL, GUBBIO, CIRCA 1540

 

COPPA, GUBBIO, 1540 CIRCA

in maiolica dipinta in policromia con lustro dorato; diam. cm 22, alt. cm 5,8

 

Comparative Bibliography

J. Giacomotti, Catalogue des majoliques des musées nationaux, Parigi 1974, pp. 224-225; n. 736;

C. Fiocco, G. Gherardi, L. Sfeir-Fakhri, Majoliques italiennes du Musée des Arts Décoratifs de Lyon. Collection Gillet, Lione 2001, p. 190, n. 60.

 

La coppa “abborchiata” in maiolica su basso piede ha il corpo realizzato a stampo e presenta, lungo la tesa, un decoro a rilievo con una sequenza continua di Inflorescenze e steli ricurvi dipinti con lustro dorato e sottolineato con ombre a larghe pennellate blu cobalto. Al centro dell’umbone, incorniciato da una sottile fascia rilevata lustrata in oro e rosso, è dipinto un tipico motivo amatorio con un amorino bendato e legato a un albero. Sul retro linee a raggera in lustro rosso e oro.

Questa coppa appartiene ad una tipologia ceramica per la quale la preziosità del manufatto non era data dallo stile pittorico, ma proprio dalla tecnica del lustro e dalla realizzazione morfologica dell’oggetto a stampo, che la rendeva particolarmente fragile.

La raffigurazione del putto bendato, lungamente studiata, è stata da alcuni interpretata come simbolo della lotta tra amore sacro e amor profano: il dio bendato richiamerebbe la castità, con riferimento all’opera petrarchesca circa il trionfo della pudicizia.

La produzione di questi oggetti fu diffusa durante il cinquecento, e gli esemplari datati delimitano l’arco cronologico tra il 1505 e il 1550 circa. Una coppa a rilievo con la medesima raffigurazione è conservata al Louvre (inv. n. OA1516).

 

Estimate   € 3.000 / 5.000
Price realized  Registration
16

A MOULDED BOWL (CRESPINA), FAENZA, CIRCA 1535-1540

 

CRESPINA, FAENZA, 1535-1540 CIRCA

in maiolica dipinta in policromia, diam. cm 21, diam. piede cm 9,8

 

Comparative Bibiliography

C. Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza, Faenza 1998, pp. 366-375;

E. Ivanova, Il secolo d’oro della maiolica. Ceramica italiana dei secoli XV-XVI dalla raccolta del Museo Statale dell’Ermitage, cat. della mostra, Faenza 2003, pp. 44-45, n. 9.

 

La coppa presenta un umbone centrale rilevato, tesa baccellata a conchiglia con orlo sagomato, e poggia su alto piede. L’ornato mostra sulla tesa un motivo “a quartieri” ovaleggianti con motivo a grottesca in azzurro su base arancio, a formare nelle restanti aree riserve centrate da motivi a fitomorfi su fondo blu. Nell’umbone un ritratto maschile a tre quarti disposto di profilo: il giovane, dalla corta capigliatura, indossa una lorica e un mantello, e lo sfondo blu è interrotto da due quinte parallele di colore giallo; entro le riserve sono dipinti tralci fogliati, foglie stilizzate e delfini su fondo arancio, verde e blu. Sul retro un motivo a corolla nei colori blu e arancio a ornare le pareti della coppa.

Questa tipologia di coppa, tipica della produzione faentina cinquecentesca, ebbe grande successo verso la metà del secolo e portò a la diffusione del decoro anche in altri centri produttivi italiani. I capisaldi cronologici di questa produzione sono rappresentati da esemplari che vanno dal 1538 fino al 1547, ma la diffusione prosegue parallelamente alla moda dei “bianchi” almeno fino agli anni Settanta del Cinquecento, rappresentata insieme con le coppe compendiarie nelle principali botteghe almeno fino al 1575, come ad esempio nella bottega Utili. Gli esemplari di confronto con ritratto maschile o femminile, con amorini, figure simboliche o altre raffigurazioni confermano la grande diffusione di questa tipologia decorativa, ma nel nostro caso la qualità del ritratto e del decoro, particolarmente alte, ci fanno avvicinare l’opera alle produzioni degli anni trenta, quali ad esempio la splendida coppa con Atena dell’Ermitage di San Pietroburgo (inv. n. F1490).

Estimate   € 2.000 / 3.000
Price realized  Registration
17

A PLATE, FAENZA, CIRCA 1530

 

PIATTO, FAENZA, 1530 CIRCA

in maiolica dipinta in policromia su fondo “berettino” azzurro, diam. cm 24,8, alt. cm 4,6

 

Comparative Bibliography

C. Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza. Faenza 1998, p.302, n. 69.

 

Il piatto presenta cavetto fondo, piede ad anello non rilevato e un’ampia tesa a bordo arrotondato profilato di blu. Sulla tesa si estende una decorazione a grottesche e delfini, mentre la balza è decorata con un sottile motivo fitoforme in bianco di stagno su fondo berettino, e al centro del cavetto in policromia uno stemma nobiliare non riconosciuto. Al verso si sviluppa un motivo decorativo a linee concentriche larghe e acquarellate su fondo berettino accompagnate da motivi a fiamma e a fioroni molto stilizzati, mentre il centro mostra una grossa spirale.

Il piatto mostra la classica decorazione faentina “a grottesche” che ha caratterizzato la produzione della città romagnola in un periodo compreso tra il 1502 e il 1532 circa, attraverso una fortunata serie di opere spesso associate proprio per l’emblema a alcune delle maggiori famiglie nobiliari del Rinascimento. Il decoro a raffaellesche, che qui vede alternarsi ai delfini dei piccoli boccioli, ha numerosi esemplari di confronto in collezioni private e museali, a conferma del successo che nel corso del Cinquecento ebbe questa scelta decorativa, fondamentale nella storia del gusto. Un confronto vicino, anche se con scelta differente nella disposizione delle grottesche, ci deriva dal piatto proveniente da un contesto urbano faentino (MIC, inv. n. 1137) con stemma della famiglia Amici, molto prossimo al nostro esemplare per qualità materica e stile formale e pittorico.

 

Estimate   € 2.000 / 3.000
Price realized  Registration
18

A PHARMACY JAR (ALBARELLO), DERUTA, 1545

 

ALBARELLO, DERUTA, 1545

in maiolica dipinta in policromia, alt. cm 24,5, diam bocca cm. 10,5, diam. piede cm 9,8

 

Comparative Bibliography

G.C. Bojani, C. Ravanelli Guidotti., A. Fanfani, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza. La donazione Galeazzo Cora. Ceramiche dal Medioevo al XIX secolo, Milano 1985, p. 297, n. 763;

G. Biscontini Ugolini, I vasi da farmacia della collezione Bayer, Pisa 1997, p. 102, n. 29;

F. Busti, G. Cocchi, Museo regionale delle ceramiche di Deruta. Ceramiche di Deruta dei secoli XVII e XVIII, Milano 2008, p.45, n. 32.

 

L’albarello ha forma cilindrica appena rastremata al centro, spalla e calice angolato e poggia su un piede a disco a base piana, il collo è breve e l’orlo tagliato a stecca. Il fronte mostra una ghirlanda floreale decorata al suo interno nella parte mediana da un cartiglio semplice, ombreggiato di blu, reca la scritta in caratteri capitali SENA.ORIENTALE, sormontato da un trimonzio che sostiene la croce accompagnato dalla data 1545, mentre la parte inferiore mostra la figura di San Francesco rivolta a destra che sorregge la croce e il libro della regola o il Vangelo. Il santo, accompagnato dalle iniziali S e F, è dipinto con attenzione e inserito in un paesaggio collinare con cielo sfumato. L’albarello, così come altri esemplari di confronto, datati al 1623 o comunque tra il XVI e il XVII secolo, doveva appartenere ad una farmacia conventuale francescana. Alcuni frammenti con il simbolo del Trimonzio sono stati reperiti in ambito umbro e tutti gli esemplari di confronto portano l’attribuzione in ambito derutese, con datazioni diverse in base agli ordinativi di reintegro. Si vedano ad esempio l’albarello in collezione Bayer di Milano o quello al Museo di Deruta già in collezione Pecchioli. Il nostro esemplare però, probabilmente appartenete ad un corredo differente, si distingue per la maggior raffinatezza nella realizzazione.

 

Estimate   € 3.000 / 5.000
Price realized  Registration
19

A CHARGER, DERUTA, HALF 16TH CENTURY

 

PIATTO DA PARATA, DERUTA, METÀ SECOLO XVI

in maiolica dipinta in policromia, diam. cm 39,8, diam. piede cm 12,8, alt. cm 7,5

 

Comparative Bibliography

J. Rasmussen, The Robert Lehman Collection. 10. Italian Majolica, Metropolitan Museum of Art, New York 1989, p.83 n. 49;

F. Busti, G. Cocchi in E. Sannipoli (a cura di), La via della ceramica tra Umbria e Marche: maioliche rinascimentali da collezioni, Gubbio 2010, p. 84, n. 1.13.

 

La forma è quella caratteristica dei piatti da pompa con cavetto profondo e largo, tesa ampia terminante in un orlo rifinito a stecca appena rilevato, piede ad anello rilevato e forato in origine, prima della cottura, per consentirne l’esposizione. Il retro è ricoperto da uno spesso strato di bistro molto chiaro con un sottile velo di vetrina. Il decoro del cavetto mostra un cavaliere che avanza su un destriero impennato sorreggendo una lancia, e attorno un paesaggio collinare, mentre la tesa è ornata con metope interessate da un decoro a girali alternate a embricazioni. Il piatto trova numerosi riscontri, tra cui ricordiamo quelli conservati nel Museo Regionale della ceramica di Deruta, coerenti per decorazione della tesa e per stile pittorico. Tuttavia la semplicità e l’immediatezza del decoro della tesa unite ad una certa rigidezza compositiva non ci permettono una maggiore precisione attributiva, ma ci portano a pensare ad una ripetizione, ormai tradizionale, di motivi più antichi, spostando la datazione in avanti di qualche decennio, verso la metà del secolo. La tesa trova riscontro infatti anche in esemplari più precoci, come il piatto con figura femminile del MET di New York oppure il piatto con cavaliere turco databile al primo ventennio del secolo XVI conservato in collezione privata ed esposto in una mostra a Gubbio, alla cui analisi rimandiamo soprattutto per quanto riguarda la presenza di uno spolvero con figura di cavaliere probabilmente in uso nelle botteghe derutesi.

 

Estimate   € 3.000 / 5.000
Price realized  Registration
20

A BOWL, CASTELDURANTE OR URBINO AND DUCHY, CIRCA 1540

 

COPPA, CASTELDURANTE O URBINO E DUCATO, 1540 CIRCA

In maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno; diam. cm 22, diam. piede cm 10,5, alt. cm 6

 

Comparative Bibliography

G. Conti, Museo Nazionale del Bargello, Firenze 1971, n. 466;

J. Giacomotti, Catalogue des majoliques des Musées Nationaux, Parigi 1974, p. 246, n. 805;

B. Rackham, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian Maiolica, Londra 1977, p. 186, n. 554.

 

La coppa presenta corpo concavo con tesa alta terminante in un orlo sottile arrotondato e poggia su un piede basso. Sul fronte un bel ritratto femminile, alle spalle del quale si snoda un cartiglio che reca la scritta LUCIA. BE[LLA], a indicare il nome della protagonista. La giovane è dipinta con il volto verso lo spettatore, il busto coperto da un peplo all’antica drappeggiato e fermato sulle spalle da due fermagli rotondi di color verde. Lo sguardo è rivolto a sinistra, la bocca chiusa e atteggiata a un sorriso un poco trattenuto, e attraverso la folta capigliatura di colore fulvo, raccolta in una morbida acconciatura sul capo, si scorge un orecchio.

Questa coppa, che appartiene alla tipologia delle “belle”, utilizzate per celebrare le future spose da parte del promesso oppure come dono di fidanzamento, trova numerosi confronti in collezioni private e pubbliche, fra i quali indichiamo quella con figura femminile del Victoria and Albert Museum (Inv. n. 8930-1863), il bel ritratto di “Girolama” in una coppa conservata al Museo del Louvre (Inv. n. OA 1598), anche se forse più leggero nel tratto, soprattutto nel modo di trattare la capigliatura, rispetto alla coppa in esame, e anche la coppa con ritratto di “Bartolomea” del Metropolitan Museum of Art di New York (Inv. n. 1975.1.1103), databile attorno agli anni 1525-1530, che condivide con il nostro esemplare la resa dello sguardo e alcune particolarità tecniche. Particolarmente vicino per il modo di trattare l’incarnato con tecnica di velature di bianco su bianco, bistro e tocchi di arancio, per la resa degli occhi con l’interno sottolineato da una zona rosata e le ombreggiature sottilissime in bianco, ma anche per i capelli raccolti sulla nuca e altro ancora, è il frammento di coppa conservato al Bargello a Firenze e datato 1546 (3). E non lontano dal nostro ritratto è anche quello di “Dianora bella” del Museo di Lione, simile per la medesima impostazione del ritratto che interessa l’intera coppa, per la sapiente capacità tecnica nella resa dell’incarnato, per il modo di sottolineare il naso solo nella parte terminale lasciando al gioco cromatico il compito di delinearne la forma e infine per il medesimo modo di far cadere alcuni ciuffi arricciati delineati con un sol tocco di pennello.

La coppa è stata esposta alla Mostra culturale “Belle, bellissime su maiolica” che si tenne a Verona parallelamente alla V Biennale antiquaria Tesori dal tempo nella primavera del 2001 (CeramicAntica, XI, n. 4, 2001, p. 6).

Estimate   € 12.000 / 18.000
Price realized  Registration
21

A PLATE (TONDINO), DUCHY OF URBINO, CASTELDURANTE OR PESARO, 1533-1555

 

TONDINO, DUCATO DI URBINO, CASTELDURANTE O PESARO, 1533-1555

in maiolica dipinta in bianco sovra-smalto e policromia verde, blu arancio giallo antimonio e bruno di manganese; diam. cm 19, diam. piede cm 7, alt. cm 2,6

 

Comparative Bibliography

C. Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza, Faenza 1998, p. 254;

R. Gresta, Un piatto con lo stemma Mazza e qualche nota sui soprabianchi, in “Faenza”, CIII, 1, 2017, p. 46-55;

T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting, Torino, 2019, pp. 366-368, n. 163;

R. Gresta, P. Bonali, La maiolica pesarese nella seconda metà del Cinquecento, in “Pesaro nell’età dei Della Rovere”, vol. III.2 diHistorica Pisaurensia”, Venezia, pp. 354-355.

 

Il tondino ha cavetto profondo, tesa obliqua, orlo arrotondato e piede ad anello appena rilevato. Il decoro mostra al centro del cavetto un paesaggio collinare su sui si staglia uno scudo incorniciato con emblema nobiliare bipartito della famiglia Mazza di Pesaro, sormontato dalla lettera M e affiancato dalle iniziali G e P. L’orlo è ornato da una ghirlanda di piccole foglie lanceolate delineate in verde, mentre la tesa è riccamente decorata con la tecnica del bianco sopra bianco già descritta da Cipriano Piccolpasso, che nei Li tre libri dell’arte del vasaio del 1557 circa la riferisce a una tradizione urbinate. Nel ducato di Urbino, tra Casteldurante e Urbino, sono sati ritrovati frammenti databili tra il 1530 e il 1555 con questo ornato, a indicare un ambito cronologico circoscritto, ma non una bottega precisa. Gli studi più recenti portano a un’attribuzione pesarese, comprovata dalle notizie d’archivio che attestano nel 1534 il trasferimento a Pesaro di Giovanni e del fratello Bartolommeo, figli di Antonio Mazza mercante di spezie di Rimini. Probabile dunque che il servizio fosse stato commissionato in loco per la casa di Giovanni o Gasparre (“G”) Mazza (“M”) per il matrimonio con una ipotetica “P”, della quale, per ora, non è nota l’identità.

Sono noti altri piccoli piatti del servizio, di differenti misure, conservati in collezioni pubbliche e private, come ad esempio l’esemplare, privo di iniziali, del Victoria and Albert Museum (C 2262-1910) e quello, sempre senza iniziali, del MET di New York. Un altro ancora è attestato nella collezione Dreyfuss nel 1967, mentre un piattello identico è stato recentemente pubblicato ed è conservato in una collezione privata di Genova.

Estimate   € 3.000 / 5.000
Price realized  Registration
22

A BOWL ON LOW FOOT-RING, ATTRIBUTED TO FRANCESCO DURANTINO, URBINO OR DUCHY OF URBINO, CIRCA 1530

 

COPPA SU BASSO PIEDE, FRANCESCO DURANTINO (ATTR.), URBINO O DUCATO DI URBINO, 1530 CIRCA

in maiolica dipinta in policromia con verde, giallo antimonio, blu di cobalto, bruno di manganese nei toni del nero, nero-marrone, rosso ferraccia, tocchi di bianco di stagno; alt. cm 4, diam. cm 23,3, diam. piede cm 13

 

Comparative Bibliography

B. Rackham, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian Maiolica, Londra (ripubblicato con le aggiunte di J.V.G. Mallet, 1977), p. 285, n. 856 e p. 288, n. 861;

J. Lessmann, Herzog Anton Ulrich-Museum Braunschweig. Italienische Majolika, Katalog der Sammlung, Brunswick 1979, p. 185, n. 163 e p. 188, n. 170.

 

La coppa poggia su un piede ad anello molto basso, ha cavetto largo, tesa alta e stretto bordo estroflesso. La decorazione istoriata interessa l’intera superficie del cavetto. La scena raffigurata mostra un personaggio seduto sotto una roccia con il corpo coperto solo da un drappo azzurro, appoggiato su una spalla e su una gamba, mentre indica in basso verso uno specchio di acqua. Sulla tesa opposta un personaggio ignudo, con il corpo parzialmente coperto da un drappo giallo, sembra alzarsi dallo specchio d’acqua e indicare con una mano il cielo. Al centro della composizione un terzo personaggio, in abito da cacciatore, corre brandendo la lancia. Sullo sfondo, al di là della roccia e degli alberi che fanno da sfondo alla scena, si legge un paesaggio con città che si specchiano in un lago circondate da montagne alte con il profilo squadrato. Sul verso del piatto non compare alcuna scritta didascalica, ma la scena può essere interpretata come la morte di Narciso, raffigurato prima al centro della scena quando, secondo la versione classica, è un giovane talmente bello e ammirato che tutti se ne innamorano, ma egli non se ne cura e passa il suo tempo cacciando in solitudine, e poi, dopo aver rifiutato la ninfa Eco, si trasforma e passa il suo tempo ad ammirare la propria immagine, quindi muore struggendosi d’amore, il suo corpo trasformato nel giallo e splendido fiore di primavera che porta il suo nome. La decorazione sembra quindi descrivere tre momenti del Mito, incentrata esclusivamente sull’immagine di Narciso. Lo stesso mito è stato variamente raffigurato in maiolica, e non è trascurabile il cambio di lettura derivato dall’interpretazione che nel Medioevo muta il giudizio positivo della figura di eroe tragico della classicità alla versione in negativo negativa di colui che ammira l’effimero. Le caratteristiche stilistiche e la sintassi decorativa ci portano a orientare la nostra ricerca tra le botteghe di Urbino o del Ducato nella prima metà del Cinquecento, pensando alla mano di Francesco Durantino per quest’opera che presenta molte problematiche di cottura. La rapidità della stesura e alcuni particolari ci suggeriscono infatti la paternità di Francesco, come ad esempio il personaggio disegnato di schiena, che compare spesso nelle sue opere, oppure la dinamicità nell’impostare le figure dei personaggi. Un piatto attribuito al pittore durantino con Glauco e Scilla del Victoria and Albert Museum datato 1545 (inv. n. 1777-1855, n. 861) costituisce un valido confronto: nelle figure dei personaggi, nell’uso del rosso nelle capigliature del personaggio, nella scena che riproduce tre differenti momenti della narrazione e in alcuni dettagli del paesaggio. Ed anche la presenza di piante con fogliame realizzato in vario modo con spruzzature di giallo e di ciuffi d’erba a piantine separate, nella nostra coppa accennate con tratto blu, si riscontra in altre opere di quest’autore, come ad esempio sempre dal Victoria and Albert nel piatto con Psiche, anch’esso databile al 1545 circa, con un cespuglio al centro della composizione, (inv. C2257-1910, n. 856). Inoltre in un piatto firmato e datato 1543 dell’Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art (KE 6699) con la raffigurazione della Guerra tra i Titani firmato e datato 1543, ritroviamo molti elementi del nostro piatto, ad esempio nei corpi nudi dipinti di schiena, uno sulla tesa a destra raffigurato seduto, un altro in piedi in fondo al cavetto che porta un blocco di pietra, ma anche nei volti con le guance leggermente lumeggiate di rosso, o nel modo di delineare le pieghe delle vesti con tocchi di stagno. Altri indizi che ci riportano all’opera del Durantino sono la posizione un poco rannicchiata con una gamba appoggiata in alto, che si ritrova ad esempio nella figura femminile del piatto con la nascita di Adone (J. Lessmann, Herzog Anton Ulrich-Museum Braunschweig. Italienische Majolika, Katalog der Sammlung, Brunswick 1979, p. 185 n. 163), e ancora le rocce e gli alberi del piatto con Giunone che scopre Io e Giove (op. cit., p. 188 n. 170), o le montagne e la dinamicità della figurina al centro del piatto con Cadmo che uccide il Drago (op. cit., p. 188 n. 169).

Estimate   € 10.000 / 15.000
23

A DISH, PESARO, CIRCA 1579-1580

 

PIATTO, PESARO, 1579-1580 CIRCA

in maiolica dipinta a policromia in blu cobalto, giallo ocra aranciato, giallo antimonio, verde ramina, bruno; diam. cm 23, diam. piede cm 10,5, alt. cm 2,8

 

Bibliografia di confronto

P. Berardi, L’antica maiolica di Pesaro dal XIV al XVII secolo, Firenze 1984, pp. 191-192;

L. Fontebuoni, Raccolta D. Mazza. Ceramiche rinascimentali, vol. IV, 1985-1986, n. 51;

R. Gresta, I Lanfranco Dalle Gabicce e la maiolica pesarese a metà del Cinquecento, Pesaro 2018, pp. 174-175, n. 71.

 

Il piatto ha cavetto piano e larga tesa inclinata con orlo arrotondato poggiante su piede a disco appena rilevato. L’ornato del cavetto mostra al centro, su un paesaggio erboso ombreggiato in arancio, un putto che cammina sorreggendo nelle mani due sottili bastoncini, guarda in alto in un paesaggio brullo tra due alberelli. La tesa, separata da una sottile fascia a cordonatura, mostra un decoro a trofei con scudo animato, e in due cartigli parzialmente coperti si legge una R e quella che sembra una data 15… , ombreggiati a tinte aranciate e lumeggiate a riserva grazie al contrasto con parti risparmiate sul fondo bianco, con nastri graffiti su fondo blu, mentre l’orlo è sottolineato da una linea gialla. Il retro invece non presenta decori, ed è ricoperto da uno strato di smalto con tracce di verdastre.

Gli studi più recenti oscillano nell’attribuzione di questa tipologia di opere tra Pesaro e Casteldurante. Il motivo decorativo centrato da un amorino è utilizzato in molti centri intorno al 1500, spesso in associazione con i trofei, decoro il Piccolpasso considerava tipicamente metaurense: “Vero è che gli trofei si fanno più per lo Stato di Urbino che in altro luogo”. E a Casteldurante questo tipo di decorazione presenta varianti, passando dai toni del grigio all’ocra. Tuttavia la distinzione tra le aree produttive è discussa.

Il piattello, coerente per materia e stile, condivide con l’opera che segue la lettura critica, l’attribuzione e la datazione pur con una diversa impronta stilistica nella redazione dei trofei, qui meno prossimi a quelli utilizzati per la nota “Farmacia della Fortuna”.

Estimate   € 2.000 / 3.000
Price realized  Registration
24

A DISH, PESARO, CIRCA 1580

 

PIATTO, PESARO, 1580 CIRCA

in maiolica dipinta a policromia in blu cobalto, giallo ocra aranciato, giallo antimonio, verde ramina, bruno; diam. cm 28, diam. piede cm 11, alt. cm 4

 

Bibliografia di confronto

P. Berardi, L’antica maiolica di Pesaro dal XIV al XVII secolo, Firenze 1984, pp. 191-192;

L. Fontebuoni, Raccolta D. Mazza. Ceramiche rinascimentali, vol. IV, 1985-1986, n. 51;

R. Gresta, I Lanfranco Dalle Gabicce e la maiolica pesarese a metà del Cinquecento, Pesaro 2018, pp. 174-175, n. 71.

 

Il piatto ha cavetto piano e larga tesa inclinata con orlo arrotondato poggiante su piede a disco appena rilevato. L’ornato del cavetto mostra al centro, su un paesaggio erboso ombreggiato in arancio, un putto che cammina sorreggendo nelle mani due sottili bastoncini. La tesa, separata da una sottile fascia a cordonatura, mostra un decoro a trofei, ombreggiati a tinte aranciate e lumeggiati grazie al contrasto con parti risparmiate sul fondo bianco, con nastri graffiti su fondo blu mentre l’orlo è sottolineato da una linea gialla. Il retro invece non presenta decori, ed è ricoperto da uno strato di smalto con tracce di cartellino di collezione sotto il piede, che risulta forato in un tempo successivo alla produzione per poter appendere l’opera.

In questo esemplare spicca la qualità esecutiva dei trofei, mentre il putto denuncia una certa sicurezza del pittore quasi a testimoniare un’abitudine alla realizzazione di questo ornato. La tesa è quasi miniaturistica, e fa pensare ad un esemplare ancora cinquecentesco. La produzione con motivo a "trofei" si protrae tuttavia fino ai primi decenni del ‘600.

Alcuni confronti sono presenti in collezioni museali, ma il frammento di piattello conservato al Museo di Pesaro con un amorino che avanza mentre suona una chiarina, studiato nel Fontebuoni all’interno della collezione Mazza (cat. 51) mostra molte affinità con la nostra opera e ci fornisce un aggancio cronologico recando la data 1579. Ci pare ancor più prossimo stilisticamente il frammento di piattello conservato al museo di Pesaro, datato 1602 (inv. FR000610) che secondo lo studio del Berardi dovrebbe comunque testimoniare una produzione pesarese. L’opera stilisticamente più affine ci pare tuttavia il piattello (inv. 4182) dei Musei Civici di Pesaro con amorino e tesa a trofei, a conferma della diffusione del decoro nel Ducato di Pesaro, attestata anche dalla serie di vasi della “Farmacia della Fortuna”, databili tra il 1579 e il 1580, recentemente attribuiti alla stessa città marchigiana, ed in particolare alla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce.

Estimate   € 2.500 / 3.500
Price realized  Registration
25

A PAIR OF APOTHECARY BOTTLES, VENICE, MID 16TH CENTURY

 

COPPIA DI BOTTIGLIE, VENEZIA, METÀ SECOLO XVI

in maiolica dipinta in policromia; alt. cm 31 e 30, diam. bocca cm 8 e cm 9,2, diam. piede cm 13,2 e cm 13,5 max cm 29

 

Comparative Bibliography

Alverà Bortolotto, Maiolica a Venezia nel Rinascimento, Bergamo 1988, p. 81, nn. 44-45;

W. Watson, Italian Renaissance Ceramics. The Howard I. and Janet H. Stein Collection and the Philadelphia Museum of Art, cat. della mostra, Philadelphia 2002,  pp. 207-208 nn. 77 A e B

 

I due vasi apotecari hanno forma ovoidale e base piana; il collo, alto e cilindrico, termina in un’imboccatura circolare a orlo verticale poco allargato e tagliato a stecca. La decorazione interessa l'intera superficie delle bottiglie, con motivo a larghe foglie dal contorno irregolare unite a grandi boccioli dai petali sfrangiati e ad altri più piccoli boccioli stilizzati e fruttini tondeggianti. Sul fronte, al di sotto di un emblema farmaceutico con una pisside raffigurata in giallo entro una riserva ovale, si estende un largo cartiglio terminante a ricciolo, iscritto rispettivamente in blu in lettere gotiche A de gramegnia e A de Cicorea.  Al di sotto del cartiglio un altro medaglione circolare sormontato da doppia croce con le lettere A e D.

La ripetitività della decorazione a fogliame in monocromia turchina come ornamento per vasi apotecari è da tempo motivo di riflessione da parte degli studiosi a proposito di una definizione certa della provenienza di questa tipologia apotecaria. Il repertorio decorativo che si sviluppa sul retro, accompagnato in uno dei contenitori da una figura di uccello ad ali spiegate, delineato in blu su fondo berettino, unitamente alla morfologia dei vasi ci pare attinente per forma e decoro ad una produzione di ambito veneto. E grazie soprattutto al confronto con i grandi piatti a fondo berettino con decoro fogliato, come ad esempio quello del Museo di Norimberga, troviamo conferma circa l‘uso di altri colori, soprattutto in associazione agli emblemi. I due vasi, che propongono il motivo a foglia bipartita con grande potenza espressiva con sottolineature e ombreggiature in bianco di stagno, si avvicinano molto alle esecuzioni posteriori agli anni quaranta del secolo XVI, lasciando aperta l’assegnazione delle opere a una delle principali botteghe venete allora presenti nella città lagunare e ancora influenzate da certi stilemi di area adriatica. Si vedano in particolare i decori sottili, quasi alla porcellana, presenti sui riccioli dei cartigli. Il confronto con opere apotecarie in ambito lagunare conferma l’attribuzione, ed i riscontri più prossimi ci derivano da un albarello con insegna policroma di monastero del Museo Praza di Praga e un orciolo con la medesima decorazione in una raccolta privata, entrambi con emblema con un angelo. Un ulteriore esempio di questa produzione viene da due albarelli anch’essi accompagnati dall’emblema dell’angelo e da uno stemma possibilmente dell’ordine domenicano, che era ben presente a Venezia nella chiesa di San Giovanni e Paolo. I due albarelli, esposti al Philadelphia Museo of Art, mostrano nel tessuto compositivo boccioli dai lunghi petali e foglie bipartite.

Estimate   € 4.000 / 6.000
Price realized  Registration
26

A PAIR OF EWERS, DUCHY OF URBINO, PROBABLY PESARO, FIRTS HALF 16TH CENTURY

 

COPPIA DI VERSATOI, DUCATO DI URBINO, PROBABILMENTE PESARO, PRIMA METÀ DEL SECOLO XVI

in maiolica dipinta in monocromia blu di cobalto, alt. cm 18,5 e cm 17,5, diam. bocca cm 8,7 e 8,2, diam. piede cm 9,2 e 8,4

 

Comparative Bibliography

C. Fiocco, G. Gherardi, in R. Ausenda (a cura di), Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche, I, Milano 2001, pp. 253-255 nn. 268-269

 

Le due brocche da farmacia hanno forma e decoro coerente tra loro, con imboccatura rotonda con orlo arrotondato lievemente estroflesso che si apre su un alto collo troncoconico che si apre in un ventre globulare appena rastremato verso il piede, basso, con orlo estroflesso e base piana. L’ansa è larga a nastro e sul fronte, a partire dalla pancia, si alza un cannello cilindrico portato alto e leggermente incurvato. Il decoro, in monocromia blu, vede sul collo un motivo alla palmetta allargata a ventaglio di gusto ancora gotico, unito a un sottile decoro alla porcellana e suddiviso in metope; sul corpo corre un decoro a tralcio derivante dalla porcellana orientale con foglie a trifoglio arrotondate intervallate da corolle a disco, larghe e dentellate, distribuito in fasce parallele e sull’ansa a incorniciare il cartiglio farmaceutico in caratteri gotici, disposto sotto l’ansa al retro per facilitare la presa. Nel primo vaso si legge S. rosato sol., e nel secondo S. de Lupuli.

I due contenitori hanno pochi confronti, ma alcuni riscontri si possono avere dai frammenti della zona adriatica e in particolare dagli scavi pesaresi, che confermano il confronto con due albarelli delle collezioni di Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano, attribuite al Ducato di Urbino e databili al XVI secolo. E la loro morfologia, pur consapevoli dell’attardamento di alcune forme, ci suggerisce una datazione entro la prima metà del secolo. Questa tipologia di decoro ebbe un discreto successo sull’onda della produzione quattrocentesca di ispirazione orientale in tutta l’area che dalla Romagna si spinge verso la toscana e le Marche e da qui, in seguito, fino al Veneto con esiti formali assai simili.

Estimate   € 1.000 / 1.500
Price realized  Registration
27

A BOWL, VENICE, WORKSHOP OF MASTRO DOMENICO, CIRCA 1570

 

COPPA, VENEZIA, BOTTEGA DI MASTRO DOMENICO, 1570 CIRCA

in maiolica decorata in policromia con blu di cobalto, giallo antimonio, giallo arancio, verde ramina bruno di manganese; diam. cm 24,8, diam. piede cm 13,2, alt. cm 4,8

 

Comparative Bibliography

J. Lessmann, Italienische Majolika aus Goethes Besitz. Bestandskatalog, Klassik Stiftung Weimar, Goethe-Nationalmuseum, Stuttgart 2015, pp. 217-230;

T. Wilson, The golden age of italian maiolica painting, Torino 2018, pp. 438-439, n. 199.

 

La coppa, dal profondo e ampio cavetto, ha tesa verticale che si estroflette verso l’orlo, arrotondato e listato di giallo. Sul recto una scena istoriata con due personaggi: un giovane in abito romano che si specchia in un piccolo stagno e una figura femminile che corre verso di lui. La raffigurazione è quella del mito di Narciso, figlio di Liriope e Cefiso, il quale, sprezzante con la ninfa Eco che si era innamorata di lui, fu punito da Nemesi, che lo fece invaghire della propria immagine riflessa nell’acqua al punto da farlo annegare nel lago in cui si specchiava. Lo sfondo è riempito da un paesaggio con balze erbose, inquadrato da una roccia, e si apre sullo sfondo su un lago con montagne dal profilo arrotondato abitate da piccoli villaggi, mentre il cielo ampio e senza nubi accenna a un tramonto.

Il pittore riproduce la nota favola soffermandosi anche sulla figura riflessa nell’acqua e descrivendo i dettagli con precisione. Un confronto molto prossimo a questa coppa ci è fornito da un piatto recentemente pubblicato, caratterizzato da un errore di scrittura da parte del pittore sul retro, che comunque ci fornisce anche un riscontro cronologico, con la conferma di come il soggetto fosse variamente interpretato nell’ambito della bottega veneziana di Mastro Domenico attorno al 1570.

Estimate   € 1.000 / 1.500
Price realized  Registration
28

A PLATE, URBINO, WORKSHOP OF GUIDO DURANTINO (FONTANA), CIRCA 1540

 

PIATTO, URBINO, BOTTEGA DI GUIDO DURANTINO (FONTANA), 1540 CIRCA

In maiolica dipinta a policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno. Sul retro al centro del cavetto in blu di cobalto la scritta “Tutia porta/Al temple aqua col cribulo”; diam. cm 29; diam. del piede cm 11; alt. cm 3,8

 

Comparative Bibliography

C. Bernardi (a cura di), Immagini architettoniche nella maiolica italiana del Cinquecento, cat. mostra, Milano 1980, pp. 47-48, n. 55;

J.V.G. Mallet, “In Botega di Maestro Guido Durantino in Urbino”, in “Burlington Magazine” 129, 1987, pp. 284-298;

J. Poole, Italian maiolica. Fitzwilliam Museum Handbooks, Cambridge 1997, p. 68, n. 29.

 

Il piatto ha ampio cavetto con tesa larga e obliqua e poggia su basso piede privo di anello. Il decoro, che occupa tutta la superficie ed è realizzato con abbondante uso dei pigmenti, raffigura il Sacrificio della vestale Tuccia che, ingiustamente accusata di aver violato il voto di castità, chiese di poter provare la propria innocenza sottoponendosi a una pena di prova, consistente nel tentare di raccogliere l'acqua del Tevere con un setaccio, prova riuscita dopo l’invocazione alla dea Vesta. La donna è raffigurata proprio con il setaccio ricolmo d’acqua tra le mani mentre si avvicina all’altare, su cui arde un fuoco, accolta da due sacerdoti barbati e con il capo velato. L’ara è collocata di fronte a un tempio porticato e con una copertura a cupola; sullo sfondo si scorge una città con edifici arrotondati, cupole e torri sormontate da curiosi e alti pennoni, e tra le due parti scorre un fiume.

Un confronto che aiuta a delimitare l’area di produzione è fornito da una splendida coppa, conservata al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza (Inv. n .540) già attribuita a Nicola da Urbino, che raffigura una Scena di sacrificio al tempio di Apollo, come si deduce dall’iscrizione apposta sul retro nei modi grafici del maestro urbinate. Le due opere, stilisticamente molto differenti, condividono lo stesso humus culturale, più semplificato e corrivo nella nostra opera, più sofisticato e colto nell’opera del museo faentino. Ma è il confronto con un piatto del Museo Fitzwilliam di Cambridge che ci fornisce una collocazione più precisa: si tratta di un piatto istoriato con La regina di Saba che ascolta il giudizio di Salomone, firmato “nella Bottega di Maestro Guido Durantino” e databile agli anni ‘30 del Cinquecento (4). Lo stile, un poco corrivo, a larghe pennellate, e la forma delle architetture, in particolare quella della gradinata, ci inducono ad avvicinare con buona sicurezza l’opera in esame a quella del museo inglese.

 

 

Estimate   € 8.000 / 12.000
Price realized  Registration
30

A PHARMACY JAR (ALBARELLO), FAENZA, LATE 16TH CENTURY

 

ALBARELLO, FAENZA, FINE SECOLO XVI

in maiolica decorata in blu di cobalto, giallo antimonio, verde ramina; alt. cm 30,2, diam. bocca cm 11,4, diam. piede cm 11,2

 

Comparative Bibliography

C. Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza dalle raccolte del Museo Internazionale delle ceramiche in Faenza, Faenza 1998, p. 394, fig. 11.

 

Il vaso ha forma allungata e rastremata al centro, spalla e calice angolati con stacco arrotondato. Il piede è basso a disco appena estroflesso di dimensioni coerenti con la bocca. Sul fronte, entro un medaglione racchiuso in cornice baccellata, è delineato un putto sorridente che corre su un dosso prativo sorreggendo nella mano sinistra una corona vegetale e nella sinistra un cesto con fiori. Al di sotto della cornice corre un cartiglio arrotolato sul retro con ombreggiature arancio, iscritto in lettere gotiche SY DE FONCHO. Il resto del contenitore è decorato con un fitto motivo a trofei, mentre sulla spalla e sul calice corre un motivo a foglie di prezzemolo realizzato in giallo antimonio su fondo arancio. La presenza del cartiglio con scritta apotecaria distingue quest’opera da quelle comunemente prodotte in ambito palermitano. Ed anche le modalità stilistiche dei trofei larghi, realizzati a grisaille, si sviluppano a Faenza, con testimonianze in opere di grande rilevanza formale, note attraverso il confronto con scarti di lavorazione reperiti in ambito faentino. Tuttavia la presenza di artisti faentini a Palermo non esclude che si possa trattare di un esempio di un’opera eseguita nella città siciliana.

Estimate   € 1.500 / 2.500
Price realized  Registration
1 - 30  of 89