PIATTO, URBINO O DUCATO, FORSE PESARO,1541
in maiolica decorata in policromia con blu di cobalto, giallo antimonio, giallo arancio, verde ramina e bruno di manganese. Sul retro al centro in blu di cobalto la scritta: diana con lesoi ni ninfe / 1541; alt. cm 3,5, diam. cm 28,2, diam. piede cm 10
Bibliografia di confronto
E. Ivanova, Il secolo d’oro della maiolica. Ceramica italiana dei secoli XV-XVI dalla raccolta del Museo Statale dell’Ermitage, Faenza 2003, p. 98 nn. 73-74;
J. Lessmann, Italianiche majolicka aus Goethes Besitz, Stuttgart 2015, p. 176-177 n. 61;
T. Wilson, Italian maiolica and Europe. Medieval, Renaissance, and later Italian pottery in the Ashmolean Museum, Oxford 2017, p. 169 n. 65
Il grande piatto ha profondo cavetto e larga tesa obliqua con orlo arrotondato, il retro poggia su un basso piede ad anello appena accennato, listato da tre cerchi concentrici dipinti in giallo. Sul fronte una ricca e complessa decorazione, per la quale non si è trovato finora riscontro nelle incisioni (probabilmente più di una), narra alcuni episodi della vita di Diana. A sinistra sulla tesa la dea Diana è seduta presso una fonte e dialoga con alcune Ninfe raffigurate sedute, di spalle o appena nascoste tra gli alberi, indicando con la mano la Ninfa posta ignuda davanti a lei. Al centro del cavetto un incontro amoroso dietro un albero, Diana che ammira il suo unico casto amore, il giovane Endimione, per amore del quale la dea chiese a Giove di farlo addormentare in un sonno perpetuo in modo da poter trascorrere ogni notte con lui a contemplarlo. Forse, e con maggiore probabilità, pensiamo che si tratti del sottile stratagemma utilizzato da Zeus che si tramutò in Diana per insidiare la Ninfa Callisto, poi trasformata in orsa dalla Dea nel momento in cui durante un riposo dalla caccia questa si scoprì, rivelando il suo stato. Sullo sfondo, poi, la figura di Diana a caccia con i cani e lo scorcio di un paesaggio con città turrite, ponti, un corso d’acqua e alte montagne al tramonto. In basso a destra infine, sulla tesa, una roccia con un gradino scolpito. Alcuni elementi nel piatto, quali il modo rapido di tracciare le figure, il gradino scolpito e soprattutto la figurina di Diana che caccia sullo sfondo, fanno pensare alla mano di Francesco Durantino, ma la data posta sul retro è precoce rispetto alla sua presenza nella bottega di Guido da Merlino. Anche l’erba dalle foglie grasse ai piedi dell’albero sinuoso posto al centro del piatto, decorato con un ramo rampicante di fiori, è un altro elemento molto pregnante. Tuttavia alcuni piatti con datazione molto prossima portano a riflettere su movimenti di maestranze all’interno del Ducato di Urbino: per esempio il piatto dell’Ermitage con il matrimonio di Psiche (Inv. n. F 852) datato 1541 mostra alcuni tratti fisiognomici delle figure femminili vicini alle nostre, come pure il piatto con Venere e Psiche della stessa collezione (Inv. n. F 2507). Un altro gruppo di opere con caratteristiche simili è variamente attribuito tra Pesaro e Urbino, come ad esempio il piatto con Giove e Semele, datato 1542, che Johanna Lesmann attribuisce alla bottega di Girolamo Lanfranco dalle Gabicce. Oppure si veda quanto suggerito da Timothy Wilson nel recente catalogo dell’Ashmolean Museum per il piatto con medesimo soggetto con Giove e Semele e caratteristiche stilistiche simili a quelle del museo tedesco, anch’esso databile attorno al 1542: lo studioso osserva che nonostante alcune caratteristiche che ci fanno pensare a Francesco Durantino, la data anche per questo piatto è precoce, ed il pittore allora era forse ancora a Monte Bagnolo, ipotizzando pertanto uno spostamento di maestranze e forse un contatto tra i pittori proprio in quegli anni. Uno studio più accurato della scritta sul retro e del modo di tracciare in particolare la data potrebbe portare interessanti sviluppi nello studio dell’opera.