A GIOVANNI DELLA ROBBIA VASE WITH LID, FLORENCE, CIRCA 1510/1520
VASO DECORATIVO CON COPERCHIO, FIRENZE, GIOVANNI DELLA ROBBIA, 1510/1520 CIRCA
in terracotta invetriata, il vaso color azzurro ceruleo, il tappo con una policromia naturalistica. Sul fondo due etichette di provenienza GALLERIA BELLINI - FIRENZE, una con numero di inventario 2045; 36,5x23,5x19; vaso alt. cm 25,5, diam. bocca cm 15, diam. piede cm 11,5
Provenance
Firenze, Collezione Stefano Bardini;
New York, Vendita Bardini (1918), lotto 284;
Firenze, Collezione Bellini;
Collezione privata
Literature
American Art Galleries, The beautiful art treasures and antiquites. The Property of Signor Stefano Bardini, New York 1918, p. 160 n. 284;
A. Marquand, Giovanni della Robbia, Londra 1920, p. 36 n. 25 (I);
G. Cora, Vasi Robbiani, in “Faenza”, XLV (1959) fasc. III-IV, p. 58 n. 21;
G. Gentilini (a cura di), I Della Robbia e l’“arte nuova’’ della scultura invetriata, Firenze 1998, p. 276
Il vaso è del tipo ad anfora biansata, con manici a S in forma di delfino - frequente nella maiolica rinascimentale in quanto allusiva alle acque – innestati sul collo, a sua volta decorato da embricazioni a ‘scaglie e freccette’, motivo ricorrente anch’esso nei vasi robbiani che conferisce all’anfora un carattere architettonico a guisa d’urna. Il corpo ha forma composita, costituita da una coppa svasata, decorata da robuste baccellature rilevate, e da una balza ornata da lacci geometrici variamente intrecciati, del tipo a decorazione di margini di miniatura, separata dal resto da cornici sporgenti, di cui quella superiore con una debole ovolatura. Il piede tornito, basso e solido, è invece costituito da semplici modanature levigate impreziosite da un anello a treccia. L’interno, data la funzione puramente decorativa di simili vasi, si presenta non invetriato, mentre al centro del piede è visibile un foro per l’ancoraggio, praticato durante la foggiatura. Mentre il vaso, grazie alla sua efficace colorazione simula un virtuoso intaglio nel prezioso lapislazzuli, il coperchio finge la fragile, effimera bellezza di un rigoglioso mazzetto di frutta, ortaggi e fiori, animato dalla presenza di piccoli animaletti, in accordo ad una vena decorativa peculiare dell’arte robbiana, riproposta con esiti magistrali sia nelle ghirlande di stemmi e medaglioni, sia nelle cornici e nei festoni di altari e tabernacoli, che, appunto, nei vasi e nei canestri decorativi. Come di norma il tappo si innesta nel collo mediante un perno cilindrico modellato contestualmente.
Fu Andrea della Robbia, scultore versatile e intraprendente, nipote del celebre Luca dal quale aveva ereditato il “segreto” della scultura invetriata, ad avviare verso il 1490 una tale fortunata produzione di raffinati vasi ornamentali ‘all’antica’, traducendo in opere autonome tridimensionali le coppie che da qualche tempo venivano modellate a rilievo nelle cornici delle ancone robbiane come sorgivo supporto dei caratteristici festoni vegetali, smaltate a simulare il marmo o le pietre dure (lapislazzuli e porfido, perlopiù alternati). Manufatti decorativi che, insieme alle canestre e a singoli frutti, nell’abbondanza di verzura, frutta e fiori alludevano alla prosperità e alla fertilità della famiglia - come suggeriscono alcune formelle raffiguranti la Nascita del Battista replicate nei fonti battesimali dello stesso Giovanni della Robbia (San Leonardo a Cerreto Guidi, 1511; pieve di San Donato in Poggio, 1513; San Giovanni Battista a Galatrona, 1518 etc.), dove compare una coppia di simili vasi posta sulla cimasa del letto -, ma anche, se posti a coronamento delle immagini sacre, alla profusione della grazia. In seguito tra i numerosi figli di Andrea attivi nella bottega robbiana è proprio Giovanni, incline a un’esuberante vena decorativa nutrita dal repertorio archeologico in voga nel primo Cinquecento, il principale responsabile di una consistente produzione di vasi invetriati, raggruppabili per forma e ornato in quattro tipologie, ovoidi o ad anfora, di complessità crescente, perlopiù replicate con l’ausilio di calchi, ma spesso introducendo alcune varianti nell’ornato.
Il vaso in oggetto, appartenuto in passato tra gli altri agli antiquari fiorentini Stefano Berdini e Luigi Bellini e pubblicato da Allan Marquand già nel 1920, fu catalogato da Galeazzo Cora nel 1959 e inserito tra i quattordici esemplari noti della categoria A-III (“zona superiore: embricazioni; zona inferiore: baccellature; in mezzo: intrecci; piede liscio; forma quasi sferica. Al labbro foglioline, sopra al fregio centrale ovuli ed asta, sul piede perline sopra e cordonato sotto), insieme agli esemplari oggi conservati al Museo di Sèvres, al Victoria and Albert Museum di Londra e all’Ashmoleam Museum di Oxford