FROM THE RENAISSANCE TO THE EARLY 20TH CENTURY. AN ITINERARY THROUGH FIVE CENTURIES OF PAINTING

2 FEBRUARY 2021

FROM THE RENAISSANCE TO THE EARLY 20TH CENTURY. AN ITINERARY THROUGH FIVE CENTURIES OF PAINTING

Auction, 1012
FLORENCE
Palazzo Ramirez-Montalvo
3.30 pm
Viewing

FLORENCE
Friday        29 January   10am-6pm
Saturday    30 January   10am-6pm
Sunday      31 January   10am-6pm
Monday      1 February   10am-6pm

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Estimate   2000 € - 80000 €

All categories

1 - 30  of 47
2

Scuola fiorentina, fine sec. XVI

SACRA FAMIGLIA E ANGELI

olio su tavola, cm 116x92

 

Florentine school, late 16th century

HOLY FAMILY WITH ANGELS

oil on panel, cm 116x92

 

Questa dolcissima scena di amore familiare mostra pienamente l’ossequio nei confronti del naturale che contraddistingue il linguaggio artistico degli ultimi decenni del Cinquecento a Firenze, agli albori di quella che Luigi Lanzi chiama “Epoca quarta” della pittura fiorentina, della quale Cigoli, Passignano e Gregorio Pagani, per citare alcuni dei più noti, sono considerati i riformatori.

Se il più anziano Santi di Tito ricoprì il ruolo di guida per questi pittori per via della sua pittura semplice e narrativa e lo strenuo esercizio del disegno dal naturale, la generazione successiva rinnovò ulteriormente la scena artistica locale abbandonando del tutto la raffinata pittura smaltata e stereometrica di matrice bronzinesca per una maniera di colorire più vera.

La Sacra Famiglia si configura all’interno di questa tendenza senz’altro come un tema privilegiato in quanto fornendo la possibilità di ripercorrere la tradizione di modelli illustri di inizio Cinquecento – soprattutto quelle di Andrea del Sarto ammirate per verità e vivezza – dava la possibilità di restituire con naturalezza i legami affettivi tra i personaggi: nel nostro caso, gli sguardi protettivi dei genitori nei confronti del bimbo che placidamente dorme in grembo alla madre.

Come nei dipinti dei riformati fiorentini anche nella tela presentata la pittura si fa morbida e calda con una grande attenzione nella resa dei volti.

 

Estimate   € 5.000 / 8.000
Price realized  Registration
7

Angeluccio

(attivo a Roma alla metà del XVII secolo)

PAESAGGIO CON UN VIAGGIATORE ASSALITO DAI BRIGANTI

olio su tela, cm 97X133

 

LANDSCAPE WITH BANDITS

oil on canvas, cm 97x133

 

Bibliografia

L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, II, Roma 1978, p. 480, fig. 78.1

 

Pubblicato da Luigi Salerno quando si trovava in una collezione romana, il dipinto qui presentato appartiene all’esiguo catalogo (circa venti dipinti e una trentina di disegni) attendibilmente riferiti al misterioso Angeluccio, citato da Lione Pascoli fra gli allievi di Claude Lorrain. La fisionomia dell’artista, che per vari motivi si ritiene attivo a Roma tra il terzo e il sesto decennio del Seicento, è stata ricostruita da Marcel Röthlisberger, massimo studioso di Claudio di Lorena, dopo che Giuliano Briganti aveva riunito nel 1950 un nucleo di opere certe perché attribuite ad Angeluccio negli inventari della collezione del cardinal Flavio Chigi e ancora conservate presso i discendenti della famiglia. Tutti i paesaggi documentati o attribuibili all’artista romano per motivi stilistici sono caratterizzati dalla folta vegetazione, legata al modello di Herman Swanevelt più che a quello di Claude, in cui si apre una prospettiva a canocchiale la cui profondità è segnata da figure spesso dovute alla mano di pittori Bamboccianti, in particolare Jan Miel e Michelangelo Cerquozzi. Fu soprattutto quest’ultimo a popolare con bellissime figure di dame e cavalieri, o di semplici borghesi in cerca di ristoro nella natura, i viali ombrosi e serpeggianti dei giardini di Angeluccio, mentre spetta al pittore fiammingo la scelta di temi legati alla caccia o al viaggio. Rimane invece sconosciuto l’autore delle figurine del paesaggio qui offerto, che per il soggetto – un viaggiatore assalito dai briganti -  si lega ai temi favoriti di Pieter van Laer, coltivati anche da Jan Miel.

 

Estimate   € 4.000 / 6.000
Price realized  Registration
8

Bernardo Daddi

(attivo a Firenze tra il 1320 e il 1348)

CROCIFISSIONE

tempera su tavola, fondo oro, cm 56,5x25,8

 

CRUCIFIXION

tempera on panel, gold ground, cm 56,5x25,8

 

Bibliografia di riferimento

R. Offner, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting. vol. 3, section 3, The Fourteenth Century: The Works of Bernardo Daddi, nuova ed. a cura di M. Boskovits, Firenze 1989; M. Boskovits, A. Tartuferi, Cataloghi della Galleria dell'Accademia di Firenze. Dipinti. Dal Duecento a Giovanni da Milano, 2003, pp. 48-79.

 

Referenze fotografiche

Fototeca Zeri, n. scheda 2754

 

Elemento centrale di un complesso più ampio, con ogni probabilità un altarolo portatile destinato alla devozione privata, questa suggestiva Crocefissione rientra nella cospicua produzione di Bernardo Daddi e della sua fiorentissima bottega che rispondeva al gusto della ricca borghesia fiorentina trecentesca.

Menzionato nelle Trecentonovelle di Francesco Sacchetti – manoscritto del XIV secolo conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, stampato per la prima volta nel 1724 - come uno dei maggiori seguaci di Giotto, le testimonianze più antiche di Daddi mostrano infatti una stretta interpretazione della cultura giottesca sulla quale successivamente innesterà le sollecitazioni culturali provenienti dalla pittura senese contemporanea: proprio in quest’ottica è stata rivalutata l'importanza storica rivestita da tale maestro trecentesco.

La nostra tavola va inserita tra le opere eseguite nella fase finale della sua attività - documentata dal 1320 al 1348 - quando riesce a esprimersi con analoga naturalezza e finezza esecutiva sia in grandiosi polittici che nelle opere di piccole dimensioni.

Al 1343 risale la Crocifissione conservata presso la Galleria dell'Accademia di Firenze che è considerata fra i dipinti più significativi di questo decennio, quando mostra una più armoniosa fusione tra la sua formazione giottesca e le sue propensioni gotiche: la padronanza nell’organizzazione scenica e lo stesso linguaggio narrativo, vivace e cromaticamente brillante, caratterizzano anche il nostro esemplare.

Le figure si distinguono per gli immancabili occhi a forma di mandorla e le aureole dorate attorno alla testa, riprese frontalmente con alle spalle sfondi dorati e decorati, mostrano l’impiego di punzoni come in altre opere di grande impegno quali il polittico di San Pancrazio oggi agli Uffizi e l’Incoronazione di Maria Vergine tra angeli e santi, (Firenze, Galleria dell'Accademia).

Estimate   € 80.000 / 120.000
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9

Santi di Tito Titi

(Firenze,1536 – 1603)

RITRATTO DI UN GENTILUOMO DI CASA PASSERINI CON IL FIGLIO

olio su tavola, cm 115x82,5

 

PORTRAIT OF A GENTLEMAN OF CASA PASSERINI WITH HIS SON

oil on panel, cm 115x82,5

 

Provenienza

Vienna, Dorotheum, asta del 15 Ottobre 2013, lotto 553

 

Esposizioni

Capolavori che si incontrano. Prato, Museo di Palazzo Pretorio, 5 Ottobre 2014 – 6 Gennaio 2015

 

Bibliografia

Capolavori che si incontrano. Bellini, Caravaggio, Tiepolo e i Maestri della pittura toscana e veneta nella collezione della Banca Popolare di Vicenza. Catalogo della mostra a cura di Fernando Rigon, Ginevra – Milano, 2014, pp. 168-69; 171-72; N. Bastogi, “voce” Santi di Tito, in Dizionario Biografico degli Italiani, 90, 2017

 

Attribuito a Santi di Tito nella raccolta di provenienza, il dipinto è stato confermato da Carlo Falciani all’artista fiorentino in occasione del passaggio in asta nel 2013, quando fu presentato in catalogo da un saggio approfondito ed articolato di Nadia Bastogi, che ne ha proposto una datazione all’inizio dell’ultimo decennio del Cinquecento. Sono appunto gli anni più fecondi e felici del pittore fiorentino, che nel 1593 firma il suo capolavoro, la Visione di San Tommaso d’Aquino nella chiesa di San Marco, vertice incontestato della sua produzione sacra e di quella riforma naturalistica di cui a Firenze egli fu protagonista.

E’ Filippo Baldinucci, autore della prima biografia sull’artista, a ricordare come il pittore fiorentino, autore di pale d’altare e di rari soggetti profani, tra cui le sofisticate mitologie per lo Studiolo di Francesco I a Palazzo Vecchio, eccellesse anche nella pittura di ritratti, richiesti dalle principali famiglie dell’aristocrazia fiorentina e lodati per la sua capacità di cogliere la somiglianza del soggetto, presentandolo in maniera formale ma senza dubbio più intima e accostante di quanto facesse Agnolo Bronzino, per molti aspetti il suo modello immediato.

È appunto questa la caratteristica del dipinto qui offerto che, in base allo stemma e alle iniziali impresse a fuoco al retro della tavola, è stato possibile identificare come ritratto di un membro della famiglia Passerini, verosimilmente Domenico di Lorenzo, Podestà di Dicomano (carica cui potrebbe alludere la lettera che il personaggio ostenta tra le dita) e il figlio Lorenzo, nato nel 1591. Considerata l’età di quest’ultimo, intorno ai tre anni, l’esecuzione del dipinto può circoscriversi intorno al 1594.

 

Estimate   € 30.000 / 50.000
10

Leandro da Ponte, detto Leandro Bassano

(Bassano del Grappa,1557 – Venezia,1622)

SCENA CAMPESTRE

olio su tela, cm 134,5x184,5

 

COUNTRY SCENE

oil on canvas, cm 134,5x184,5

 

Non capita spesso di imbattersi in un soggetto del tutto inedito, per giunta di incerta lettura, uscito dalla bottega bassanesca: è appunto questa l’occasione offerta dal dipinto che qui presentiamo, documento evidente della creatività ancora in parte inesplorata della bottega di Jacopo Bassano e dei suoi figli.

Come confermato da Alessandro Ballarin, che vivamente ringraziamo, è senza dubbio il giovane Leandro l’autore di questa scena contadina forse ideata da Jacopo ma eseguita in massima parte dal suo terzogenito: la sua firma (…. LEANDER FILIUS) disposta su due righe, la prima delle quali di difficile interpretazione, si intravede infatti in basso a destra accanto al piede del pastore addormentato.

Si tratta dunque di un’opera della prima giovinezza di Leandro Bassano, che sappiamo attivo nella bottega paterna fino al trasferimento a Venezia nel 1584 o, al più tardi nel 1588.

In quell’anno Leandro risulta infatti iscritto alla Fraglia dei pittori veneziani, e invece del tutto assente dai registri delle imposte della città natale. A Venezia, dove era stato insieme al padre nel 1577-78, inizia una proficua carriera come autore di ritratti e di pale d’altare, non senza tornare ripetutamente sulle invenzioni paterne, dal ciclo dedicato a Noè e alla costruzione dell’Arca, a quello dei Mesi e delle Stagioni (Vienna, Kunsthistorisches Museum) a cui, per molti aspetti, si appoggia la nostra composizione.

Le spighe raccolte in fasci in primo piano a sinistra, i buoi aggiogati al carretto sullo sfondo alludono certamente a lavori estivi sospesi per una siesta: quasi tutti i personaggi sono infatti addormentati, ma non per questo allentano la presa su bastoni e pezzi di legno di incerta funzione.

Caratteristica del giovane Leandro è l’accentuazione delle ombre in contrasto con la vivacità dei colori e delle lumeggiature, che risaltano nell’ambiente cupo. Anche lo sfondo montuoso inquadrato da una quinta arborea e dal fronte di una villa ritorna identico nel suo paesaggio con Atteone sbranato dai cani nel museo di Berlino, della metà degli anni Ottanta.

Inedito e non replicato, verosimilmente appoggiato a un’invenzione di Jacopo e forse col suo intervento o almeno la sua supervisione, il dipinto qui offerto costituisce un’aggiunta significativa al catalogo di Leandro e contribuisce a una migliore conoscenza della sua prima attività nella bottega del padre.

 

 

 

 

 

Estimate   € 60.000 / 80.000
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12

Jan Weenix

(Amsterdam, 1642 – 1719)

NATURA MORTA CON CIGNO, CANE E VOLATILI

olio su tela, cm 165x159

 

Amsterdam, 1642 – 1719

STILL LIFE WITH SWAN, DOG AND BIRDS

oil on canvas, cm 165x159

 

Sebbene privo di firma e apparentemente non documentato, il dipinto qui offerto appare riconducibile al ricco catalogo di Jan Weenix, attivo a Utrecht e ad Amsterdam dove, a partire dal 1675, riscosse enorme successo nei diversi generi sperimentati, imponendosi principalmente come autore di nature morte di caccia.

Estremamente versatile e pronto ad adattarsi alle richieste del mercato, Jan Weenix coltivò solo per breve tempo il paesismo italianizzante – genere praticato con successo dal padre Jan Baptist – dedicandosi invece alla pittura di fiori, di ritratto e di caccia.

Si deve anzi a lui l’invenzione – o quanto meno la diffusione su larga scala – di un genere che ambienta animali vivi e morti sullo sfondo di parchi ornati da sculture classicheggianti e talvolta arricchiti da piccole figure quando non da ritratti di ampie proporzioni. Pensate per idealizzare la pratica della caccia come occupazione tipica della aristocrazia e quindi per decorare in maniera permanente le residenze delle più importanti famiglie della città, le sue tele assunsero talvolta notevolissime proporzioni, come nel caso del ciclo di scene con cacciagione nel paesaggio eseguite nel 1697 per il mercante portoghese Jacob Henriques de Granada, che le collocò nella sua nuova casa sullo Herengracht.

I motivi presenti nel nostro dipinto, caratterizzato dalle ali candide del cigno che ricade sul terreno in morbide curve, sono presenti in numerose tele che dai primi anni del Settecento si scalano fino al 1716, data iscritta sul bellissimo dipinto nel Museum Boijmans Van Beuningen a Rotterdam.

Più vicino al nostro, in una certa essenzialità compositiva, il dipinto non datato ma verosimilmente eseguito intorno al 1697 nel Rijksmuseum di Amsterdam, in cui la selvaggina di piuma è valorizzata da pochi elementi architettonici di grandi proporzioni e privi di decorazione. Da notare, nel nostro dipinto, il gusto per il trompe l’oeil che finge sapientemente una mancanza nel gradino di marmo in primo piano.

 

 

Estimate   € 20.000 / 30.000
Price realized  Registration
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13

Giovanni Battista Ramenghi, Il Bagnacavallo

(Bologna, 1521 – 1601)

SACRA FAMIGLIA CON SAN GIOVANNINO E SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA

olio su tela, cm 92x76

 

THE HOLY FAMILY WITH SAINT JOHN AND SAINT CATHERINE OF ALESSANDRIA

oil on canvas, cm 92x76

 

Provenienza

Bassano del Grappa, collezione Luigi Gasparini

 

Bibliografia

L. Magagnato, Palazzo Thiene sede della Banca Popolare di Vicenza, Vicenza 1966, tav. 189; A. Mazza, Una fotografia come pagina critica. Quattro frammenti nella Pinacoteca Civica di Budrio per una pala di Bagnacavallo, in “Quaderni di Palazzo Pepoli Campogrande” 1996, p. 31; C. Ceschi, Collezionismo di opere emiliane nel Veneto, in La Pittura Emiliana nel Veneto, a cura di S. Marinelli e A. Mazza, Modena 1999, p. 236; U. Ruggeri, in La Pinacoteca di Palazzo Thiene. Collezione della Banca Popolare di Vicenza. A cura di Fernando Rigon, Ginevra – Milano 2001, pp. 95-96, n. 13.

 

Acquisita dalla Popolare di Vicenza come opera del Sodoma, e come tale pubblicata da Licisco Magagnato nel catalogo della raccolta, il dipinto è stato restituito al Bagnacavallo junior da Angelo Mazza, la cui proposta è stata poi ribadita da Chiara Ceschi e, più recentemente, da Ugo Ruggeri.

Soggetto tra i più amati dall’artista bolognese e dalla sua clientela, lo Sposalizio di Santa Caterina o, come nel nostro caso, la Sacra Famiglia accompagnata dalla Santa, fu appunto declinato in numerose varianti nel corso della sua lunga e fortunata carriera.

Databile nell’epoca della sua piena maturità, verso gli anni Ottanta, il dipinto qui offerto mostra i riferimenti costanti del più giovane Ramenghi, vale a dire un raffaellismo di fondo aggiornato, soprattutto sotto il profilo dei tipi fisici e degli accostamenti cromatici, sui modelli di Orazio Samacchini.

Estimate   € 10.000 / 15.000
Price realized  Registration
16
Estimate   € 8.000 / 12.000
17

Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano

(Volterra 1611 – Firenze 1690)

CONVERSIONE DELLA MADDALENA

olio su tela, cm 150x113

in basso a sinistra, etichetta con numero di inventario 68

 

THE CONVERSION OF MARY MAGDALENE

oil on canvas, cm 150x113

 

 

Splendido esempio di cortonismo fiorentino intorno alla metà del secolo, questo inedito dipinto è stato restituito al Franceschini da Alessandro Grassi, autore insieme a Maria Cecilia Fabbri e Riccardo Spinelli della monografia di riferimento sull’artista (Volterrano. Baldassarre Franceschini 1611-1690, Firenze 2013).

Nella scheda esauriente ed articolata– quasi un breve saggio – che accompagna l’opera e a cui rimandiamo, lo studioso ne inquadra il soggetto e i bellissimi dettagli che lo compongono – la chioma scomposta e gli occhi arrossati di pianto della bella penitente, gli oggetti preziosi di cui Maddalena si è circondata nella sua vita dissoluta e che ora abbandona a terra, incurante – nel clima espresso da due testi letterari pubblicati a Firenze e dedicati alla Maddalena,  un tema particolarmente caro alla corte medicea negli anni di Maria Maddalena d’Austria e a lungo coltivato dai pittori fiorentini per la straordinaria varietà di sentimenti e di situazioni che esso poteva evocare.

Il primo di essi, pubblicato nel 1610, è il poema in ottave di Giovan Battista Andreini a cui sembra ispirarsi il giardino ornato di sculture e fontane nel nostro dipinto, i drappi sontuosi che incorniciano la figura, i gioielli e il vasellame abbandonati in primo piano. Si deve allo stesso autore il testo per la rappresentazione teatrale La Maddalena lasciva e penitente messa in scena nel 1617, dato alle stampe nel 1652, una data senz’altro più pertinente al nostro dipinto.

I confronti stilistici e tipologici richiamati da Grassi per la tela qui offerta rimandano infatti a una serie di opere, per lo più a fresco, dipinte dal Volterrano tra il sesto e il settimo decennio del secolo e, più specificamente, a ridosso del soggiorno a Venezia nel 1662 da cui l’artista toscano tornerà con una rafforzata propensione per l’inquadramento scenografico delle figure, di gusto neo-veronesiano, le stoffe cangianti e le pennellate sinuose e veloci. Ricca di pentimenti è poi la stesura di alcuni dettagli, e in particolare delle mani della nostra figura, a conferma della novità di questa invenzione.

Estimate   € 25.000 / 35.000
18

Michele Rocca

(Parma, 1671 – 1751)

ANNUNCIAZIONE

olio su tela, cm 90x66

 

THE ANNUNCIATION

oil on canvas, cm 90x66

 

Inedito e custodito da tempo in una collezione romana, il dipinto qui offerto costituisce un’interessante aggiunta al catalogo di Michele Rocca, e più precisamente all’esigua produzione sacra dell’artista parmigiano, attivo a Roma fin dai primi anni Ottanta.

Rinomato per le scene mitologiche raffinate e scherzose destinate al collezionismo privato, Rocca fu attivo anche come autore di pale d’altare, a partire dalle Stimmate di San Francesco eseguita nel 1694 per la chiesa di San Paolo alla Regola e dalla Maddalena penitente messa in opera nel 1698 sull’altare maggiore della chiesa dedicata alla Santa. Furono queste, con ogni probabilità, le opere che gli valsero l’aggregazione all’Accademia di San Luca nel 1719, e prima ancora alla Congregazione dei Virtuosi del Pantheon.

Artista di largo successo nella Roma del primo Settecento, e non a caso attivo per il cardinale Ottoboni insieme a Francesco Trevisani di cui per molti aspetti fu debitore, Michele Rocca dipinse anche soggetti sacri a piccole figure, in una vena non diversa da quella, sostanzialmente frivola e decorativa, dedicata alle sue raffinate mitologie.

Appare dunque in qualche modo inusuale l’impostazione del nostro dipinto, del tutto in linea con una tradizione iconografica consolidata. Anche per questo motivo, è opportuno confrontare la nostra tela con quella, minore per dimensioni e già nota agli studi, in collezione privata a Parma, in controparte rispetto alla nostra e con numerose varianti (cfr. fototeca Zeri n. scheda 61813) (G. Sestieri, Michele Rocca e la pittura rococò a Roma, s.l. 2004, tav. XLII, e p. 264, n. 61 a). I vivaci accostamenti cromatici del nostro dipinto, esaltati dalla luce dorata, tradiscono il proficuo accostamento del Rocca ai modi di Sebastiano Conca, altro protagonista della cerchia ottoboniana.

 

Estimate   € 6.000 / 8.000
19

David de Coninck

(Anversa, circa 1646 – Bruxelles? dopo il 1701)

COMPOSIZIONE DI FRUTTA E FIORI ALL’APERTO, CON UN TENDAGGIO E UN PAPPAGALLO

olio su tela, cm 96x132

 

STILL LIFE OF FRUITS AND FLOWERS WITH CURTAINS AND A PARROT

oil on canvas, cm 96x132

 

Splendido esempio della produzione di natura morta fiammingo-romana, questo dipinto costituisce un’importante acquisizione al catalogo di David de Coninck, artista anversese attivo a Roma tra il 1672, data in cui la sua presenza è documentata per la prima volta dagli Stati d’Anime, e il 1694 quando decide di far ritorno in patria.

Allievo di Jan Fyt nella città natale, De Coninck conserverà per tutta la sua carriera un forte legame con il maestro, soprattutto nella sua produzione di soggetto animalista ma anche negli inserti floreali delle sue composizioni; fu poi la comune origine fiamminga a spingerlo, una volta a Roma, a frequentare Abraham Brueghel (Anversa 1631-Napoli 1697) presente in città fino al 1675, e a riprenderne i modelli, pur trasformandoli con personalissime variazioni.

Non è dunque un caso che questo dipinto, comparso sul mercato antiquario milanese nel 1977, sia stato un tempo attribuito a Brueghel dallo stesso Federico Zeri, come risulta da una nota autografa al verso della relativa fotografia conservata nella Fototeca Zeri presso l’Università di Bologna (vedi scheda 85502). Più recentemente, lo stesso studioso decise invece di archiviarla nel fascicolo dedicato a David de Conink.

La Fototeca Zeri conserva altresì nello stesso fascicolo (scheda 86669) la foto di un’altra natura morta che differisce da questa per le dimensioni assai più ampie (cm 120x170) e per una variante nella frutta raffigurata in primo piano a sinistra (due zucche, un melone e varie specie di fichi) ma nell’insieme quasi identica alla nostra.

La tela in questione è conservata dal 1925 nel Musée des Beaux Arts di Nantes (inv. 2031) insieme a un pendant (inv. 2030) dove la composizione di frutta all’aperto è accompagnata dagli animali tipici di David de Conick e dai suoi caratteristici elementi scultorei classicheggianti, avvalorando quindi l’attribuzione della coppia di tele al pittore fiammingo.

Al di là della documentazione citata, molti elementi del nostro dipinto rimandano a opere certe e da tempo note di De Coninck: in primo luogo l’ambientazione all’aperto, sullo sfondo di una villa italiana, motivo da lui spesso ripetuto, e soprattutto il recipiente in argento a guisa di conchiglia, decorato a scanalature parallele e ornato nei margini e nell’impugnatura da elaborati motivi fitomorfi e animali. Un oggetto che compare, quasi una sigla del pittore, in numerosissime composizioni di fiori e frutta, firmate per esteso o comunque da tempo acquisite al suo catalogo e riprodotte a colori nel saggio dedicato a De Coninck da Ulisse e Gianluca Bocchi (Pittori di natura morta a Roma. Artisti stranieri 1630 – 1750, Viadana 2005, pp. 148-174, figg. DC. 22-23-24).

Attivo a Roma per quasi due decenni dopo la partenza per Napoli di Abraham Brueghel (1675), De Coninck ne diventa in qualche modo l’erede non solo nel tipo di composizioni proposte, a cui affianca però una notevolissima produzione animalista, ma anche nella committenza aristocratica, documentata da citazioni inventariali.

Le sue nature morte all’aperto, sullo sfondo di giardini all’italiana e di ville nobiliari, talvolta con l’aggiunta di figure, costituiranno un modello per i pittori stranieri attivi a Roma alla fine del secolo e nel primo Settecento, tra cui Christian Berentz.

 

Estimate   € 30.000 / 50.000
Price realized  Registration
22

Felice Ficherelli, detto il Riposo

(San Gimignano, 1603 – Firenze, 1660)

SACRIFICIO DI ISACCO

olio su tela, cm 119,5x163

 

THE SACRIFICE OF ISAAC

oil on canvas, cm 119,5x163

 

Bibliografia

G. Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Fiesole 1983, p. 78; S. Benassai, Il collezionismo dei Bardi: nuove acquisizioni per Felice Ficherelli, in “Paragone” 53, 2002, serie 3, 43, pp, 40 e 50, nota 50; fig. 26; F. Baldassari, La pittura del Seicento a Firenze: indice degli artisti e delle loro opere, Milano 2009, ad vocem.

 

“… Felice Ficherelli, uomo di quietissima indole, agiato in ogni opera, e quasi per non incomodare la lingua solito a tacere fin che altri non lo interrogasse; di che i fiorentini lo chiamarono felice riposo. non moltiplicò in pitture; ma quelle che uscirono dal suo studio, si possono proporre in esempio della diligenza pittoresca: semplice, naturale, studiatissimo senza parerlo”. Così Luigi Lanzi, sulla scorta della biografia del baldinucci per quel che attiene l’indole del pittore, caratterizzava l’artista fiorentino che avrebbe conseguito, a suo dire “la squisitezza del suo dipingere” grazie allo studio dei grandi maestri fiorentini del cinquecento condotto nella bottega del suo primo maestro, l’Empoli.

È stato da più parti evidenziato come al pacato comporre del maestro e al suo disegno impeccabile Felice Ficherelli sovrapponesse ben presto, nelle opere di destinazione privata, il chiaroscuro sensuale di Francesco Furini e a lui si ispirasse per il sentimento prevalente nelle sue scene sacre e profane, sempre in bilico fra violenza e tenerezza.

da questa inclinazione, peraltro condivisa da molti fra i suoi colleghi fiorentini, la scelta di temi che potessero dare origine a scene a tratti crudeli o morbose ma raramente brutali, come ha sottolineato Giovanni Leoncini nella sua ricostruzione dell’artista (in Dizionario Biografico degli Italiani, 47, 1997, ad vocem). ne è un ottimo esempio il celebre Tarquinio e Lucrezia a Roma all’accademia di San Luca, ripetuto in più esemplari, o il Giuditta e Oloferne venduto in asta da Pandolfini nel 2014, o ancora la sensualità lacrimosa della Santa Prassede dipinta per casa Serzelli, e copiata perfino da Johannes Vermeer nel 1655: un dato, questo, che ha trasformato in una sorta di icona il quadro del maestro fiorentino riapparso sul mercato nel 2017.

Non stupisce quindi scoprire che l’episodio biblico del Sacrificio di Isacco compaia tra i suoi temi preferiti, e che Felice Ficherelli ne dipingesse almeno tre versioni diverse, poi replicate in ulteriori esemplari. qualunque ne sia il formato, alla figura eretta e vigorosa di Abramo, sempre vestito di rosso, si contrappone il bel nudo di Isacco, abbandonato in primo piano e appena velato da bianchi panneggi. una certa predilezione descrittiva introduce elementi ulteriori e talvolta incongrui come il turibolo e la navicella nella versione verticale del tema, o come la legna del sacrificio accuratamente disposta sotto il capo della vittima, nel nostro.

Il successo della nostra versione, evidentemente richiesta da altri collezionisti fiorentini, è documentata dall’esistenza di una replica venduta a Londra da Phillip’s nel 1988, anch’essa pubblicata da Silvia Benassai (in “Paragone” 2002, citato, fig. 27) che per prima ha reso noto il nostro dipinto, riferito a Matteo Rosselli nella fototeca della fondazione Roberto Longhi.

Estimate   € 70.000 / 100.000
24

Giuseppe Ruoppolo

(Napoli, 1630 - 1710)

NATURA MORTA CON STOVIGLIE DI RAME, SEPPIE E OSTRICHE

olio su tela, cm 101x151,5

 

STILL LIFE WITH COPPER DISHER, CUTTLEFISHES AND OYSTERS

oil on canvas, cm 101x151,5

 

Provenienza

Milano, asta Finarte, 21 aprile 1988, lotto 105a; Milano, asta Finarte 22 settembre 2002, lotto 125a

 

Bibliografia

G. De Vito, Giuseppe Ruoppoli(o) contemporaneo di Giovanni Battista, in “Ricerche sul ‘600 napoletano. Saggi e documenti”, 2005, pp. 7-26, tav.V; A. Della Ragione, La natura morta napoletana dei Recco e dei Ruoppolo, Napoli 2009, p. 24, n. 122.

 

Referenze fotografiche

Fototeca Zeri, n. scheda 88482

 

Pendant di un dipinto firmato “G. Ruoppoli”, oggi di ubicazione sconosciuta ma di cui esiste documentazione fotografica (Fototeca Zeri, inv. 209035), la peculiare natura morta mostra il pittore napoletano cimentarsi in una particolare declinazione di questo genere pittorico su cui si era soffermato anche Bernardo De Domenicis nelle notizie biografiche dedicate a questo artista: “Dipinse anch’egli ad imitazione del suo zio Gio: Battista cose di rame, che furono a’ suoi tempi tenuti in pregio per esser naturalissime, e con buon componimento messe insieme” (B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani, III, Napoli 1743, p. 299).

Le notizie su Giuseppe Ruoppolo, del quale si conosce un non troppo cospicuo numero di opere, non sono molte e si ricavano sempre da De Dominicis. Nipote del più celebre Giovanni Battista, si formò con lo zio, affondando come questi le radici del suo linguaggio nel naturalismo degli specialisti napoletani di primo Seicento quali Luca Forte.

Recentemente è stata avanzata l’ipotesi di identificazione di tale pittore napoletano con il Monogrammista GRU (G. De Vito, È Giuseppe Ruoppolo il Monogrammista GRV?, in “Ricerche sul ‘600 napoletano. Saggi e documenti”, 2009, pp. 59-70), autore di nature morte siglate GRU con rami e vettovaglie rese in maniera molto vicina al nostro esemplare.

 

 

 

 

Estimate   € 15.000 / 20.000
26

Bottega di Filippino Lippi

MADONNA COL BAMBINO E DONATORE

tempera e olio su tavola, diam. cm 76

 

Workshop of Filippino Lippi

MADONNA AND CHILD WITH A DONOR

tempera and oil on panel, cm 76

 Provenienza

Genova, collezione marchede De Ferrari

Bibliografia di riferimento

P. Zambrano, J. Katz Nelson, Filippino Lippi, Milano 2004

Riferimenti fotografici
Fototeca Federico Zeri, scheda 14683

 

L’importante tavola, di notevole impatto visivo anche per la ricca e scenografica cornice intagliata e dorata, presenta tutte le componenti che contribuirono a innalzare Filippino Lippi tra i punti di riferimento del passaggio della figurazione dal linearismo quattrocentesco al nuovo senso della forma di pieno Rinascimento, venendo ad anticipare addirittura certi aspetti del manierismo.

Formatosi alla scuola del padre Filippo e poi di Sandro Botticelli, Filippino svolse un’intensa attività pittorica in diverse città, tra cui Firenze e Roma: è dopo l’esperienza romana che le sue opere rivelano un fare più grandioso, che stempera quel linearismo complesso e vibrante, di ascendenza botticelliana, delle sue prime prove.

La nostra Madonna col Bambino e donatore trova i confronti più stringenti proprio tra i dipinti di Filippino eseguiti dopo il ritorno a Firenze, nell’ultimo decennio del Quattrocento.

La tipologia e fisionomia della Madonna mostra strette affinità con la cosiddetta Madonna Strozzi del Metropolitan Museum di New York (Zambrano, Nelson 2004 cit., cat. 33), tipologia che si trova poi ulteriormente messa a punto nella Pala Rucellai (Londra, National Gallery, cat. 34) e in quella di Palazzo Vecchio (Firenze, Galleria degli Uffizi, cat. 35). Si tratta di una notevole trasformazione della figura della Vergine dalla quale nascerà il tipo di Madonna dai capelli fulvi chiusa entro amplissimi manti, con la testa avvolta da veli, ricorrente nelle opere a partire dalla metà degli anni 80 e oltre e così in quella qui offerta.

La posa slanciata del Bambino, proteso verso il donatore, ripropone invece un tema già affrontato dal maestro nella vetrata della cappella Strozzi di Santa Maria Novella e nel tondo con la Sacra Famiglia del Museum of Art di Cleveland (cat. 42), dipinto subito dopo il soggiorno romano di Filippino: in quest’ultima sono poi presenti altri elementi caratterizzanti anche il tondo presentato quali l’attenzione per l’espressività delle fisionomie soprattutto dei personaggi maschili – nel nostro caso la sorta di ritratto del donatore in ginocchio – e la conoscenza diretta dell’antico rivelata dai rilevi sui pilastri alle spalle della Madonna.

Il ricorrere all’elemento naturale e paesaggistico è poi un ulteriore elemento tipico della poetica di Filippino, i cui riferimenti, inizialmente nordici, sono poi autonomamente sviluppati a seconda dei casi come veduta urbana, paesaggio lacustre o campagna con città turrita.

L’esecuzione delle figure della Madonna e del Bambino così come quella dei panneggi, assai vicine alla pala d’altare conservata presso il Museo diocesano di Spoleto riferita a Filippino e bottega (cat. 41), rivelano il contributo di un assistente anche nel nostro caso.

Nonostante si sia perduta la memoria collezionistica della tavola, il formato tondo così come la presenza del donatore suggeriscono che possa essere stata commissionata per una dimora signorile, forse in occasione di un matrimonio o una nascita.

Si ringrazia il prof. Jonathan Nelson che, dopo aver visionato l'opera, ha suggerito una datazione alla fine delgi anni novanta del Quattrocento come opera di alta qualità della bottega di Filippino.

 

Estimate   € 80.000 / 120.000
Price realized  Registration
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27

Giovanni Maria delle Piane, detto Mulinaretto

(Genova, 1660 – Monticelli d'Ongina, 1745)

RITRATTO MASCHILE

olio su tela, cm 103x78

 

MALE PORTRAIT

oil on canvas, cm 103x78

 

Bibliografia di riferimento

D. Sanguineti, Genovesi in posa. Appunti sulla ritrattistica tra fine Seicento e Settecento, Genova 2011, pp. 63-77; D. Sanguineti, Percorsi della pittura di ritratto a Genova (1650-1750) in Da Cambiaso a Magnasco. Sguardi genovesi, catalogo della mostra a cura di A. Orlando, Genova 2020, pp. 50-79.

 

Inedito ritratto di notevole qualità di Giovanni Maria delle Piane, detto Mulinaretto perché “Mulinaro fu l’Avolo suo” come ricorda Carlo Giuseppe Ratti nella dettagliata biografia dedicata all’artista (C. G. Ratti, Delle Vite De’ Pittori, Scultori, Ed Architetti Genovesi, Genova 1769, p. 146), uno dei principali artefici del rinnovamento in chiave francese di questo genere pittorico.

Fu la committenza genovese, in prima istanza, a favorire l’apertura agli influssi più alla moda provenienti da Parigi, indirizzando i pittori, soprattutto tramite la commissione di copie, verso una ben precisa tipologia ritrattistica che mutuava gli schemi compositivi con cui Hyacinthe Rigaud ritraeva i genovesi che transitavano nel suo atelier parigino.

Dopo l’apprendistato svolto con Giovanni Battista Merano e un periodo di perfezionamento a Roma di circa otto anni presso la bottega di Giovanni Battista Gaulli, Mulinaretto riuscì a conquistare un ruolo di

specialista nell’ambito della ritrattistica, vacante a Genova, per via del ritiro dalla scena artistica del vecchio e malato Giovanni Bernardo Carbone.

L’assimilazione del lato più decorativo ed elegante dello stile di Baciccio e la diretta conoscenza delle tendenze più aggiornate, tramite i ricordi delle opere di Jacob Ferdinand Voet, portarono il pittore a una facile comprensione della ritrattistica francese, sempre più presente a Genova a partire dall’ultimo decennio del secolo.

La tela offerta può essere accostata al bellissimo Ritratto di Giacomo Doria del 1692 di collezione privata (cfr. Sanguineti 2011 cit, p. 66) che, analogamente, adegua il taglio compositivo ai canoni francesi senza rinunciare alle materiche pennellate ricche di realistici riflessi volte a suggerire le consistenze tessili e, nel nostro caso, la lucentezza dell’armatura – da mettere in rapporto anche con la tradizione vandyckiana fortemente sentita a Genova - e all’attenzione, mutuata da Gaulli, nel restituire gli incarnati e le fisionomie.

Si ringrazia vivamente Daniele Sanguineti per aver confermato l'attribuzione e per i suggerimenti forniti durante la redazione della scheda.

 

Estimate   € 7.000 / 10.000
Price realized  Registration
29

Antonio Lagorio, detto Genovesino

(documentato a Parma, 1652 circa – 1690 circa)

ALLEGORIA DELLA VERITÀ

olio su tela, cm 93x63

sullo sfondo, la scritta "VERITAS"

 

THE ALLEGORY OF THE TRUTH

oil on canvas, cm 93x63

on the background "VERITAS"

 

Provenienza

Bassano del Grappa, collezione Luigi Gasparini, 1959

 

Bibliografia

L. Magagnato, Palazzo Thiene sede della Banca Popolare di Vicenza, Vicenza 1966, n. 182; H. Sueur, in Italies, Peintures des musèes de la Région Centre. Catalogo della mostra, Orléans 1996; A. Mazza, Nuovo collezionismo bancario: uno sguardo alla situazione nazionale, in Il filo di Arianna. Raccolte d’arte delle fondazioni Casse di Risparmio marchigiane Jesi macerata Pesaro, catalogo della mostra di Ancona a cura di A. M. Ambrosini Massari, Milano 2000, p. 32; A. Morandotti, Studi sulla pittura barocca nell’era del Web, 1: profilo di Antonio Lagorio, in “Nuovi studi”, 5, 2000 (2001), 8, p. 86; fig. 102; U. Ruggeri, in La Pinacoteca di Palazzo Thiene. Capolavori della Banca Popolare di Vicenza, a cura di Ferdinando Rigon, Ginevra-Milano 2000, pp. 121-23, n. 34; F. Rigon, Capolavori che si incontrano. Bellini, Caravaggio, Tiepolo e i Maestri della pittura toscana e veneta nella collezione Banca Popolare di Vicenza. Catalogo della mostra, Ginevra-Milano 2014, pp. 40-41, ill.

 

Sebbene Antonio Lagorio non compaia fra gli allievi attivi nella bottega di Valerio Castello elencati da Raffaele Soprani, il biografo degli artisti genovesi, il debito da lui contratto nei confronti di tale maestro è assolutamente innegabile.

Alcuni documenti confermerebbero i natali genovesi di Lagorio, confermando il soprannome di “Genovesino” con cui fu noto; si ignorano tuttavia i suoi estremi biografici e le ragioni del suo prolungato rapporto lavorativo con il territorio dei Farnese.

Riferita al veneziano Federico Cervelli nella raccolta di provenienza, l’Allegoria della Verità che qui presentiamo, restituita al pittore da Angelo Mazza (2000, cit., p. 32), rientra a buon diritto nell’ormai consistente nucleo di opere oggi assegnategli, dopo il suo recupero critico, che però in assenza di sufficienti appigli cronologici non è possibile ordinare in una precisa scansione temporale.

Peculiare è la maniera di Lagorio di trattare le figure, con panneggi ritagliati in pieghe profonde e riconoscibilissimi visi, con nasi corti e dritti, dalle evidenti narici e insistite ombreggiature soprattutto intorno agli occhi, che rivela la sua personale fusione tra la lezione di libertà formale di Valerio Castello e il tardo Manierismo di Parmigianino.

Gli attributi della Verità rispettano le indicazioni di Cesare Ripa che nell’Iconologia la descriveva come donna bellissima con in una mano il sole, in quanto amica della luce, e nell’altra una pesca, antico simbolo della lingua.

 

Estimate   € 6.000 / 8.000
Price realized  Registration
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