OLD MASTER PAINTINGS

14 MAY 2019

OLD MASTER PAINTINGS

Auction, 0295
FLORENCE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
3.30 p. m. 
Viewing
FLORENCE
10th - 13th May 2019
10 a.m. - 6 p.m.
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Estimate   1000 € - 150000 €

All categories

1 - 30  of 68
1

Scuola lombarda, sec. XVII

RITRATTO DI BAMBINA CON CESTINO DI CILIEGIE E CAGNOLINO

olio su tela, cm 111,5x87,5

 

Lombard school, 17th century

PORTRAIT OF A GIRL WITH A BASKET OF CHERRIES AND A LITTLE DOG

oil on canvas, cm 111.5x87,5

 

La vivezza del rosso dell’abito risalta sulla quasi monocromia dell’essenziale ambientazione all’interno della quale è ritratta la paffuta bambina protagonista della tela offerta. E ancora rosso sono il fiocco che le tiene i riccioli biondi e quelli delle sue candide scarpette, le perle dei suoi gioielli finanche le ciliegie che sembra offrire agli spettatori.

La lucida capacità di rappresentare la giovanissima modella e di descriverne il vestito infiocchettato, con la camicia sbuffante dalle corte maniche aperte all’altezza dei gomiti, riconduce l’opera nell’ambito della grande tradizione della scuola bergamasca avviata da Giovan Battista Moroni e Gian Paolo Cavagna.

Si distinse nei decenni centrali del Seicento, quale grande ritrattista, Carlo Ceresa (San Giovanni Bianco, 1609 – Bergamo, 1679): la nostra tela è prossima a quell’obiettività nella descrizione dei volti, grazie all’utilizzo di una luce che crea riflessi sulla pelle perlacea e restituisce la morbidezza dei capelli, e nella resa dei dettagli dell’abbigliamento, facendo emergere aspetti della vita del Seicento, che contraddistingue alcuni celebri esemplari di tale artefice (Carlo Ceresa. Un pittore del Seicento lombardo tra realtà e devozione, catalogo della mostra – Bergamo, Accademia Carrara 10 marzo – 24 giugno 2012 - a cura di S. Facchinetti, F. Frangi, G. Valaguzza, Milano 2012).

 

 

Estimate   € 6.000 / 8.000
3

Scuola fiorentina, sec. XVII

ERCOLE, NESSO E DEIANIRA

SATIRI E NINFE DANZANTI

coppia di dipinti, olio su alberese, cm 30,5x41,5; cm 28,5x41,5

(2)

 

Florentine school, 17th century

HERCULES, NESSUS AND DEIANIRA

DANCING SATYRS AND NYMPHS

oil on alberese, a pair, cm 30,5x41,5

(2)

 

Bibliografia di riferimento

Pietra dipinta Tesori nascosti del '500 e del '600 da una collezione privata milanese, catalogo a cura di M. Bona Castellotti, (Milano, Palazzo Reale, 22 novembre 2000 - 25 febbraio 2001), Milano 2000; S. Bellesi, Stefano della Bella. Otto dipinti su pietra paesina, Firenze 1998

 

Lo sviluppo della pittura su pietra paesina fu particolarmente fervido a Firenze e in Toscana tra il XVI e il XVII secolo; fu molto utilizzata già nel 1588 dal mediceo Opificio delle Pietre Dure  per intarsi di mobili, stipi, oggetti di arredo, decorazioni di ambienti e produzione di suppellettili. Le opere dipinte su albarese finora certe e documentate di cui si è potuto acclarare l'autografia sono tutte eseguite da artisti che hanno lavorato a Firenze; tra queste possiamo citare due dipinti di Antonio Tempesta (1555-1630) oggi in una collezione privata milanese raffiguranti il Ratto di Europa e Cristo cammina sulle acque. Altri esempi significativi sono conservati all'Opificio delle Pietre Dure di Firenze come Dante e Virgilio sulla discesa all'inferno di Jacopo Ligozzi (1547-1627) e Ruggero libera Angelica dall'orca di Filippo Napoletano (1589-1629). La peculiarità di questa pietra è caratterizzata dalle sue venature e tagli irregolari che spesso, come nel caso dei dipinti che qui proponiamo, definiscono autonomamente il paesaggio circostante; l'artista si limita in certi casi all'esecuzione dei personaggi o di altri elementi decorativi giocando con la struttura della pietra che ne scandisce la spazialità così da creare scorci fantastici e sognanti. 

 

 

Estimate   € 12.000 / 15.000
Price realized  Registration
7

Jan Frans van Bloemen, l'Orizzonte e Placido Costanzi

(Anversa, 1662 – Roma, 1749)

(Roma? 1702 – Roma, 1759)

PAESAGGIO CON SACRIFICIO DI ISACCO

PAESAGGIO CON LA MADDALENA PENITENTE

coppia di dipinti, olio su tela, cm 41x32,5

(2)

 

LANDSCAPE WITH THE SACRIFICE OF ISAAC

LANDSCAPE WITH THE PENITENT MARY MAGDALENE

oil on canvas,a pair,  cm 41x32,5

(2)

 

Provenienza

Albano Laziale, collezione Castel Savelli

 

Bibliografia

A. Busiri Vici, Jan Frans van Bloemen, “Orizzonte” e l’origine del paesaggio romano settecentesco, Roma 1974, p. 117, nn. 255-256, figg. 126-127

 

Come già indicato da Andrea Busiri Vici che per primo li ha pubblicati, i nostri dipinti facevano parte di una serie di quattro, ora divisa, in cui figure di santi nel paesaggio si accompagnavano a soggetti vetero-testamentari, tutti eseguiti da Placido Costanzi: oltre ai nostri la serie comprendeva San Francesco in preghiera e Agar e Isamele.

Tutti e quattro i soggetti sono descritti nell’inventario di Filippo III Colonna del 1783, mentre in quello del cardinale Girolamo II Colonna del 1763 compaiono solo “un Ovato con Sacrificio di Abramo” e “un Ovato con San Francesco in estasi con due angeli”.

Sebbene le misure di due palmi per uno corrispondano alle nostre, l’indicazione del rame quale supporto dei dipinti nell’inventario del 1783 ne vieta l’identificazione con la serie pubblicata da Busiri Vici e quindi con la coppia qui offerta, che ne costituisce verosimilmente una seconda versione.

Le bellissime figure di Placido Costanzi, collaboratore dell’Orizzonte in molteplici occasioni tra cui la decorazione del Coffee-House nel giardino del Quirinale, voluta da Benedetto XIV, conferiscono un interesse particolare ai paesaggi di Jan Frans van Bloemen, lasciando intuire l’importanza della loro originaria committenza.

Lo stesso Costanzi, del resto, aveva conservato per sé otto diversi paesaggi di Van Bloemen arricchiti dalle proprie figure, tra cui due coppie di tele ovali, il cui soggetto non è purtroppo specificato nell’inventario del suo studio in via del Babuino, nel 1759. Nulla vieta di pensare che si tratti proprio dei nostri dipinti e dei loro pendants, ormai divisi.

 

 

 

 

Estimate   € 20.000 / 30.000
9

Luca Mombello

(Orzivecchi, 1518/1520 – ante 1596)

MADONNA COL BAMBINO E I SANTI COSTANZO E CATERINA D’ALESSANDRIA

olio su tela, cm 110 x 94

 

MADONNA WITH CHILD, SAINT COSTANZO AND SAIN CATHERINE OF ALEXANDRIA

oil on canvas, cm 110x94

 

Provenienza

Brescia, collezione Martinengo delle Palle; collezione Monti; collezione privata.

 

Proprietà della famiglia Martinengo delle Palle fin dalla sua realizzazione, il dipinto è opera di Luca Mombello, pittore e intagliatore – a cui si deve con ogni probabilità anche la cornice in cui è inserita la tela - allievo di Moretto e incaricato di completare, dopo la morte del maestro, alcune sue opere, quali L’incontro di Abramo con Melchisedek e il Convito dell’Agnello della cappella del Santissimo Sacramento nel Duomo vecchio di Brescia, interrotte a livello di abbozzo nel 1553.

Suoi dipinti si trovano in varie chiese del territorio bresciano, con puntate nel Veneto, e nella Pinacoteca Tosio Martinengo (cfr. Brescia nell’età della Maniera: grandi cicli pittorici della Pinacoteca Tosio Martinengo, cat. della mostra a cura di E. Lucchesi Ragni - R. Stradiotti, Cinisello Balsamo 2007, pp. 97-109): sua riconoscibile cifra stilistica è l’impostazione, caratterizzata dalla quasi totale assenza di prospettiva, dove tra le figure, disposte in una rigorosa simmetria, trova spazio un piccolo paesaggio che dà respiro alla composizione, e la grandissima cura posta nei dettagli, dalle figure, attentamente e preziosamente descritte nei loro abbigliamenti e attributi, ai frutti e fiori che costituiscono una sorta di quinta scenica, dettagli evidentemente rivestiti di significati simbolici.

 

Estimate   € 12.000 / 18.000
Price realized  Registration
11

Nunzio Rossi

(Napoli?, 1626 circa – Palermo?, 1651 circa)

MOSÈ E IL SERPENTE DI BRONZO

olio su tela, cm 175x135

 

MOSES AND THE RAISED SERPENT

oil on canvas, cm 175x135

 

Esposizioni

Civiltà del Seicento a Napoli. Napoli, Museo di Capodimonte, ottobre 1984 – aprile 1985; Ritorno al barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. Napoli, Museo di Capodimonte, dicembre 2009 – aprile 2010.

 

Bibliografia

G. De Vito, Ritrovamenti e precisazioni a seguito della prima edizione della mostra sul 600 napoletano, in “Ricerche sul 600 napoletano. Saggi vari in memoria di Raffaello Causa”, Milano 1984, p. 15, fig. 57; G. De Vito, in Civiltà del Seicento a Napoli. Catalogo della mostra, Napoli 1984, I, p. 432, n. 2.219; G. De Vito, Un Sacrificio d’Isacco di Nunzio Russo e altri passi lungo il suo percorso, in “Ricerche sul 600 napoletano”, Milano 1989, p. 42; N. Spinosa, in Ritorno al barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. Catalogo della mostra, Napoli 2009, I, p. 126, n. 1.47; G. Forgione, “Rossi, Nunzio”, in Dizionario Biografico degli Italiani, 88, Roma 2017.

 

La riscoperta di Nunzio Russo si deve alle ricerche di Giuseppe De Vito e di Magda Novelli Radici, pionieri negli studi sul Seicento napoletano entrambi recentemente scomparsi, che nei loro ripetuti interventi (si veda innanzi tutto M. Novelli Radice, Inediti di Nunzio Russo, in “Napoli nobilissima” XIX, 1980, 5-6, pp. 185-198) hanno ricostruito a partire dalle fonti il breve e singolare percorso di un artista napoletano attivo a Bologna e a Messina, oltre che nella probabile città natale, peraltro non documentata.

Distinto da una personalissima cifra stilistica che lo rende difficilmente assimilabile ai suoi contemporanei nelle città in cui, imprevedibilmente, si trovò ad operare, Nunzio Russo lavorò essenzialmente per commissioni pubbliche nelle chiese di Bologna, in particolare nella Certosa, con tele documentate o datate del 1644, e successivamente a Napoli, prima di trasferirsi a Messina al servizio di don Antonio Ruffo, noto e raffinato collezionista, avido di novità e di opere d’arte da Guercino a Rembrandt, in questo unico tra i suoi contemporanei italiani. Per lui Nunzio Russo dipinse anche opere di soggetto profano ispirate al mito, stando alle fonti e ai documenti d’archivio che ricostruiscono l’importante collezione dispersa, e intervenne con affreschi nel palazzo messinese distrutto dal terremoto del 1908.

Il nostro dipinto, ripetuto nel soggetto vetero-testamentario in un’altra tela di raccolta privata, si situa alla metà degli anni Quaranta, seguendo a breve distanza le pale bolognesi, stilisticamente affini, ed è considerata di poco anteriore all’Assunta nel Duomo di Castellammare di Stabia (cfr. Civiltà del 600 a Napoli, 1984, n. 2.220).

Sebbene mutilo nella parte destra e a tratti lacunoso, non essendo stato sottoposto a interventi di restauro oltre a quelli meramente conservativi, si impone per la sua originalità nella caratterizzazione a tratti grottesca dei protagonisti – forse debitrice dell’esempio del Lanfranco coevo - e soprattutto per il colore acceso, la “gran macchia” poco gradita alla Bologna dove trionfava Guido Reni, come isolata nella Napoli di Massimo Stanzione, ma appunto tratto inconfondibile di questo maestro minore.

 

Estimate   € 20.000 / 30.000
12

Scuola genovese, sec. XVII

PUTTO DORMIENTE

olio su tela, cm 62x98,5

 

Genoese school, 17th century

SLEEPING PUTTO

oil on canvas, cm 62x98,5

 

Il putto raffigurato sulla tela offerta, addormentato in un contesto boscoso sui simboli del memento, il teschio e la clessidra, rientra nella prolifica attività di Casa Piola, l’importante bottega pittorica che a partire dalla metà del Seicento fu assoluta protagonista nella committenza artistica sul territorio genovese.

Leader di questa importante officina creativa fu Domenico Piola (Genova 1627 - 1703) nel cui corpus pittorico ritenuto autografo si ripetono numerosi soggetti simili al nostro, allegorie della vanitas o tele di gusto più spiccatamente decorativo, con putti impegnati a suonare strumenti musicali o intenti a destreggiare grossi vasi ricolmi di fiori e frutti (si veda D. Sanguineti, Domenico Piola e i pittori della sua "casa", Soncino 2004 e da ultimo il catalogo della mostra, Domenico Piola, 1628-1703: percorsi di pittura barocca, a cura di D. Sanguineti, Genova,  2017): documentati in abbondanza negli inventari delle quadrerie genovesi così come nelle descrizioni sette e ottocentesche dei palazzi della repubblica ligure, furono senz’altro tra le opere più richieste alla sua bottega.

Oltre alla piacevolezza compositiva, la chiave del loro successo va individuata nella voluttuosa e morbida partitura luministica, ricca di effetti tattili e plastici, memore del cromatismo dell’ultimo Valerio Castello, guida del giovane Domenico, e naturalmente di Rubens, esempio imprescindibile per la pittura barocca genovese data la cospicua presenza in città di capolavori del maestro anversano.

Anche nella nostra Vanitas, forme tornite e pieghe dall’apparenza materica sembrano emergere dalla tela grazie a un suggestivo gioco chiaroscurale.

 

 

Estimate   € 5.000 / 8.000
Price realized  Registration
14

Denijs Calvaert

(Anversa, c. 1549 – Bologna 1619)

ADORAZIONE DEI PASTORI

olio su tela, cm 103,5x75,5

 

THE ADORATION OF THE SHEPHERDS

oil on canvas, cm 103,5x75,5

 

Provenienza

Inghilterra, Wilton House, collezione del Conte di Pembroke; Christie’s, Wilton House, 27 maggio 1960, n. 53; Londra, Christie’s, 26 novembre 1976, n. 91; Bologna, Fondantico, 1999.

 

Esposizioni

Bologna, Fondantico, Tesori per il Duemila, 1999; Caldarola, Palazzo del Cardinal Pallotta, 23 maggio – 12 novembre 2009. Le Stanze del Cardinale. Caravaggio, Guido Reni, Guercino, Mattia Preti. A cura di Vittorio Sgarbi; Bologna, Palazzo Fava, 14 febbraio – 17 maggio 2015. Da Cimabue a Morandi. Felsina Pittrice. A cura di Vittorio Sgarbi.

 

Bibliografia

D. Benati, in Tesori per il Duemila, Bologna, Fondantico, 1999, pp. 26-28 n. 4; M. Danieli, in Le Stanze del Cardinale. Caravaggio, Guido Reni, Guercino, Mattia Preti. Catalogo della mostra, Milano 2009, pp. 82-83, n. 4; M. Danieli, in Da Cimabue a Morandi. Felsina Pittrice. Catalogo della mostra, Bologna 2015, pp. 146-47, n. 41.

 

Referenze fotografiche

Fototeca Federico Zeri, scheda 37792                     

 

Da tempo noto agli studi sul pittore, fiammingo di nascita ma stabilitosi a Bologna intorno al 1565, il dipinto qui offerto costituisce un ottimo esempio di quella produzione destinata alla devozione privata per cui la bottega di Calvaert fu rinomata e intensamente attiva tra l’ultimo quarto del Cinquecento e la morte dell’artista.

Oltre alle pale d’altare per le chiese di Bologna, Calvaert dipinse infatti numerosissime composizioni di piccolo formato, su tela o su rame e di soggetto sacro e profano, per soddisfare le richieste dei collezionisti emiliani come di quelli stranieri, a cui l’accattivante dolcezza dei suoi personaggi realizzati con vivace policromia e con tecnica raffinatissima riusciva, allora come oggi, particolarmente gradita.

E’ naturale che in questa intensa attività Calvaert fosse coadiuvato da una bottega efficiente e perfettamente organizzata nella realizzazione delle sue invenzioni: da qui l’esistenza di repliche di altissimo livello che ripetevano quelle di maggiore successo. Tra queste, la nostra composizione, nota attraverso altri tre esemplari di minori dimensioni ma virtualmente identici anche per l’ottima qualità.

Nel presentare per la prima volta il nostro dipinto, Daniele Benati ne sosteneva la precedenza rispetto alle altre versioni note, una delle quali nella Pinacoteca Nazionale di Parma, suggerendo una datazione entro il primo decennio del Seicento, condivisa da Michele Danieli che anticipa l’invenzione all’ultimo lustro del Cinquecento sulla base di un disegno nella Pierpont Morgan Library di New York accostabile alla nostra composizione. Ancor più vicino è poi il foglio a Londra nelle raccolte del Victoria and Albert che la ripete in controparte, forse ai fini di una riproduzione a stampa.

 

Estimate   € 50.000 / 70.000
15

Giovanni Camillo Sagrestani

(Firenze 1660 – 1731)

SAN LUIGI DI FRANCIA

olio su tela, cm 156x120

 

SAINT LOUIS OF FRANCE

oil on canvas, cm 156x120

 

Provenienza

Poggio alla Scaglia (Firenze), villa Tempi, cappella; Roma, Finarte, asta del 20 novembre 1984; Roma, Galleria Gasparrini

 

Esposizioni

70 Pitture e sculture del 600 e 700 Fiorentino, Firenze, Palazzo Strozzi, ottobre 1965, n. 38; Visioni e estasi. Capolavori dell’arte europea tra Seicento e Settecento, Città del Vaticano, 2003.

 

Bibliografia

70 Pitture e Sculture del 600 e 700 Fiorentino, catalogo della mostra, a cura di Mina Gregori, Firenze 1965, p- 59, n. 38, fig. 38; Visioni e Estasi. Capolavori dell’arte europea tra Seicento e Settecento, catalogo della mostra, a cura di G. Morello, Milano 2003, pp. 101 e 196, n. 9; S. Bellesi, Catalogo dei Pittori Fiorentini del 600 e 700. Biografie e Opere, Firenze 2009, III, p. 247; M. C. Fabbri, “Sagrestani Giovanni Camillo” in Dizionario Biografico degli Italiani, 89, Roma 2017.

 

Restituita al Sagrestani da Mina Gregori in occasione della mostra che nel 1965 inaugurava gli studi sul Sei e Settecento fiorentino, la piccola pala qui offerta proviene dalla cappella privata di villa Tempi decorata dall’artista fiorentino e dalla sua équipe, tra cui Ranieri del Pace e Giovanni Moriani, nel primo decennio del Settecento, con pagamenti al Sagrestani nel 1712.

La scelta di effigiare San Luigi di Francia, ovvero il re capetingio Luigi IX (1214 – 1270), il cui nome è latinizzato in Ludovicus, ne lega la committenza al marchese Ludovico Tempi.

Sagrestani lavorò ripetutamente per la famiglia Tempi: oltre alla villa citata, i suoi affreschi decorarono il palazzo urbano di Santa Maria Soprarno (poi Bargagli Petrucci) e la villa detta “del Barone”.

Capofila della corrente antiaccademica che segna a Firenze il passaggio dal tardo barocco al rococò, Giovanni Camillo Sagrestani non può contare ancora su uno studio sistematico della sua produzione artistica.

Nonostante le testimonianze settecentesche di cui disponiamo non forniscano elementi sostanziali per ricostruirne cronologia e catalogo pittorico, gli studi dedicatigli, a partire dalla mostra del 1965 già citata, sono riusciti a metterne a fuoco l’iter professionale: preziosi si sono rivelati i molteplici riferimenti a sé stesso che il pittore inserì nelle Vite di artisti da lui redatte in forma manoscritta a partire dal 1716.

Veniamo pertanto a conoscenza delle precoci frequentazioni a Firenze con Simone Pignoni e più tardi con Sebastiano Ricci a Parma, incontro quest’ultimo che porterebbe a presupporre anche una tappa del giovane Sagrestani a Venezia – oltre che a Roma e a Bologna - per studiare, fra le altre, anche le pitture lasciate nella città lagunare da Luca Giordano.

Le ulteriori riflessioni a Firenze sulle opere del Giordano, come quelle eseguite per i Corsini, i Riccardi e nella chiesa di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi in San Frediano, hanno quindi guidato l’artista verso una pittura caratterizzata da una maggiore velocità e brio portandolo a mettere a punto uno stile rocaille, scintillante e festoso, più tardi avversato dal filone classicista di Antonio Gaburri.

Il San Luigi di Francia presentato rivela proprio la sua acquisita maturità artistica, in grado di coniugare i modi corretti e definiti di Carlo Cignani e l’equilibrata eleganza fiorentina del tardo Pignoni, a nuove e più moderne suggestioni concretizzatesi in vibranti stesure “a macchia” e suggestive soluzioni luministiche.

 

Opera dichiarata di interesse culturale particolarmente importante dal Ministero per i Beni Culturali, Soprintendenza di Firenze, decreto del 21 giugno 1979 - Modulario 12175 - 313269 Prot. 2904.

 

The Italian Soprintendenza considers this lot to be a work of national importance and requires it to remain in Italy; it cannot therefore be exported from Italy.

 

                                                      

Estimate   € 12.000 / 18.000
17

Scuola Veneziana, sec. XVII

RITRATTO DI CONDOTTIERO

olio su tela, cm 122x98

 

Venetian school, 17th century

PORTRAIT OF A WARLORD

oil on canvas, cm 122x98

 

Si deve ad Arabella Cifani, in una comunicazione scritta alla proprietà, la probabile identificazione del ritrattato con Daulo Dotto de’ Dauli, Governatore di Galee (Venezia 1580 – Zara 1646). La proposta della studiosa muove innanzi tutto dallo stemma raffigurato in alto a sinistra nel dipinto (campo ovale, inquartato in argento e rosso, e circondato da tredici stelle su campo azzurro) da lei riconosciuto come pertinente alla famiglia Dauli, antica stirpe padovana.

La presentazione del soggetto in corazza militare e manto rosso foderato di ermellino, nonché il gesto con cui indica il mare quale teatro delle proprie gesta ne hanno suggerito l’identificazione con Daulo Dauli, attivo nella difesa della Serenissima a partire dal 1615, comandante di diverse piazze militari e governatore di Corfù. Protagonista della guerra di Candia, a capo della “galera padovana” da lui armata, morì a Zara nel 1646. Padova gli tributò esequie solenni e un monumento funebre nella chiesa di Sant’Agostino, poi trasferito in quella degli Eremitani e quindi distrutto nella seconda guerra mondiale. Il nostro dipinto lo raffigura ormai anziano, intorno al 1630 e comunque dopo il 1618, anno in cui gli fu conferito l’onore di sedere accanto al Doge a capo coperto, cui si riferisce verosimilmente il manto di ermellino.

Meno convincente, per quanto suggestiva, appare invece la proposta della studiosa circa un’attribuzione del ritratto a Domenico Tintoretto: nonostante l’alta qualità del dipinto si preferisce qui restare in un più generico, se pur sostenuto, ambito veneziano nel primo quarto del secolo.

Possibili confronti rimandano tuttavia alle diverse serie di ritratti celebrativi da tempo riferiti attendibilmente a Pietro Damini (1592-1631) attivo non a caso a Padova, città di origine del protagonista del nostro dipinto. Autore documentato di pale d’altare e di teleri di carattere storico-celebrativo in cui compaiono numerosi personaggi pubblici padovani (si veda, nel museo di Padova, lo Scambio del bastone di comando e delle chiavi di Padova nel 1619 tra i rettori, i fratelli Massimo e Silvestro Valier, cui fanno corteo numerosi personaggi) Damini dipinse altresì le serie di ritratti commemorativi di personaggi della famiglia Tiso da Camposampiero, comparsi a più riprese sul mercato antiquario (Finarte, Roma, 22 novembre 1994; Sotheby’s, Londra, 6 dicembre 2007) o quello, ideale, di Ugo Alberti IV, variando sapientemente le pose e l’atteggiamento dei suoi personaggi ed esaltandone l’autorevolezza senza rinunciare a una descrizione realistica dei modelli. Tratti che ci sembra di poter ravvisare nel dipinto qui offerto, notevole documento del costume della città di esaltare i suoi figli più eminenti.

 

Estimate   € 15.000 / 20.000
Price realized  Registration
18

Scuola di Giovan Francesco Romanelli, sec. XVII

APOLLO E LE MUSE

olio su tela, cm 31x58

 

Workshop of Giovan Francesco Romanelli, 17th century

APOLLO AND THE MUSES

oil on canvas, cm 31x58

 

Provenienza

Londra, Sotheby’s, 8 luglio 1981, lotto 22.

 

Verosimilmente eseguito nella bottega del pittore viterbese, il dipinto qui offerto costituisce il “ricordo” dell’affresco, quasi interamente corrispondente se si eccettuano dettagli nella vegetazione di sfondo, dipinto da Giovan Francesco Romanelli sul soffitto della galleria del palazzo del cardinal Mazarino, ora Biblioteca Nazionale. Accompagnato da scene tratte dalla mitologia classica e dalla storia romana, e dal Giudizio di Paride anch’esso di formato rettangolare, il riquadro con Apollo e le Muse si ispirava, aggiornandola per uno spazio diverso, alla scena dipinta da Raffaello nella Stanza della Segnatura in Vaticano.

Come sottolineato dagli studi moderni (tra cui si veda E. Oy-Marra, Zu del Fresken des Parnaβ un des Parisurteil von Giovanni Francesco Romanelli in der Galerie Mazarin in Paris, in “Zeitschrift für Kunstgeschichte” 2, 1994, pp. 170-200) la decorazione della galleria che celebrava la raffinata cultura e il collezionismo del potente ministro francese, eseguita da Romanelli nel suo primo soggiorno parigino nel 1651, gli aprì la strada alle commissioni reali, e in particolare alla decorazione degli appartamenti di Anna d’Austria nel palazzo del Louvre, eseguita in un secondo soggiorno tra il 1655e il 1657.

                      

Estimate   € 10.000 / 15.000
19

Scuola toscana, inizio sec. XVI

MADONNA COL BAMBINO, SAN GIOVANNINO

olio su tavola, diam. cm 86,5

 

Tuscan school, early 16th century

MADONNA WITH CHILD AND SAINT JOHN THE BAPTIST

oil on panel, diam. cm 86,5

 

L’opera appartiene alla felicissima stagione pittorica fiorentina che vide uscire dalle sue più importanti botteghe, a partire dalla metà del Quattrocento, tondi raffiguranti la Madonna col Bambino in compagnia di angeli o santi, inseriti, come nel nostro caso, entro importanti cornici intagliate e dorate con foglie, fiori e frutti.

L’impostazione del gruppo centrale, dai contorni lineari vigorosamente tracciati, in particolar modo nella definizione delle pieghe dei panneggi, rimanda alla produzione della bottega di Francesco Botticini (Firenze, 1446 – 1497) che va da esemplari piuttosto complessi a livello compositivo come il tondo con la Madonna che adora il Bambino con San Giovannino e cinque angeli conservato presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, dove evidente è la sua vicinanza ai modi di Botticelli con il quale era entrato in contatto grazie alle sue frequentazioni dell’importante officina del Verrocchio, a tavole dove ripete la ritmica grazia delle figure ridotte ai soli protagonisti principali inseriti in più semplici paesaggi punteggiati da esili alberelli e terminanti con il profilo azzurrato delle montagne (si veda L. Venturini, Francesco Botticini, Firenze 1995).

La tavola qui offerta, per via della maggiore sobrietà compositiva e per l’intonazione sommessa, quasi domestica, rientra in questo secondo filone di attività del Botticini, destinato probabilmente alla provincia; attività proseguita dal figlio Raffaello, nato nel 1477, il cui profilo è stato ricostruito a partire dai contributi di Federico Zeri. È proprio tra la documentazione fotografica della Fondazione Zeri, classificata sotto il nome di Raffaello Botticini, che si trovano infatti i confronti più stringenti: si segnalano l’Adorazione del bambino con San Giovannino, localizzata in collezione privata romana intorno al 1960 (scheda 33124) e quella passata a Londra da Sotheby’s nel 1991 al lotto 138 (scheda 33132).

 

Estimate   € 30.000 / 50.000
Price realized  Registration
20
Estimate   € 6.000 / 8.000
Price realized  Registration
25

Giacomo Recco

(Napoli 1603 – prima del 1653)

 

VASO DI FIORI CON ANEMONI E TULIPANI

olio su tela, cm 72,5x58

 

FLOWERS IN A VASE

oil on canvas, cm 72,5x58

 

Provenienza

New York, asta Habsburg Fine Arts, 10 aprile 1991, n. 22; collezione Francesco Quierazza; Bergamo, mercato antiquario, 1994

 

Riferimenti fotografici

Fototeca Federico Zeri, Bologna, scheda 88851

 

Catalogato da Federico Zeri come opera di Giacomo Recco, il dipinto qui offerto si situa con ogni evidenza accanto alle nature morte di fiori raggruppate da Nicola Spinosa e da Angela Tecce nella produzione cronologicamente più avanzata dell’artista napoletano, ormai distante dal noto gruppo, di impianto decisamente più arcaico, riunito intorno al Vaso di fiori con stemma del cardinale Poli (cfr. A. Tecce, Giacomo Recco, in La natura morta in Italia. A cura di Federico Zeri, Milano, Electa, 1989, II, pp. 880-85, figg. 1053-1056). Più libero nella presentazione del bouquet, non più legato alla simmetria rispetto a un asse centrale che caratterizza il gruppo citato, il nostro dipinto si distingue per l’intenso naturalismo con cui le corolle variopinte sono descritte nelle diverse fasi della fioritura, lasciando intendere quell’appassionato studio dal vero che segna gli esordi del genere. In particolare, il nostro dipinto si accosta al Vaso di cristallo con fiori attribuito a Giacomo Recco da Nicola Spinosa (La pittura napoletana del Seicento, Milano 1984, fig. 597) e come tale ripubblicato da Angela Tecce (1989, cit., fig. 1058).

 

Estimate   € 8.000 / 12.000
Price realized  Registration
27

Francesco Curradi

(Firenze, 1570 – Firenze, 1661)

SAN ZANOBI IN GLORIA

olio su tela, cm 182x134

 

SAINT ZANOBI

oil on canvas, cm 182x134

 

Giocata sui caldi toni del giallo oro, del rosso e del bianco, questa Gloria di San Zanobi è un tipico esempio della rassicurante pittura religiosa di Francesco Curradi. Nel corso della sua attività, svoltasi nell'arco di circa settant'anni, l’artista passa da una fase giovanile che ancora risente dell'educazione manieristica ricevuta nella bottega del Naldini a uno stile "riformato" e improntato ai principi del "disegno" e del "decoro" tipici della pittura fiorentina del primo Seicento, stile sostanzialmente rimasto poi omogeneo.

Nei suoi numerosi dipinti di soggetto religioso, pale d'altare destinate a chiese fiorentine e del territorio limitrofo e tele di minore formato per la devozione privata (cfr. F. Baldassari, La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere, Milano 2009, pp. 234-251; S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del '600 e '700, Firenze 2009, vol. 1, pp. 116-119) Curradi si dimostra assai vicino al purismo devoto del coetaneo Rosselli, costituendo in qualche modo il più immediato precedente alla pittura del più giovane Carlo Dolci.

L’artista fu infatti richiestissimo dalla committenza ecclesiastica per la sua fedeltà ai dettami controriformati ma altresì per la sua bravura esecutiva nella delineazione delle figure, trattate con grande naturalezza e nei ben riusciti accordi cromatici, apprezzabile anche nella nostra tela.

 

 

Estimate   € 5.000 / 8.000
28

Attribuito a Marco Palmezzano

(Forlì, 1459 – 1539)

MADONNA COL BAMBINO

olio su tavola, cm 51,5x42

 

Attributed to Marco Palmezzano

(Forlì, 1459 – 1539)

MADONNA WITH CHILD

oil on panel, cm 51,5x42

 

L'attribuzione a Marco Palmezzano si deve ad Anchise Tempestini ed è stata comunicata alla proprietà nel 2006 in una perizia scritta di cui riportiamo di seguito un estratto.

"Risulta innegabile il ricordo di composizioni ideate da Giovanni Bellini [...]. Nella produzione pittorica di Cima da Conegliano si può trovare altresì qualche affinità stilistica con le Madonne giovanili eseguite a metà del nono decennio del Quattrocento, sul tipo di quella del polittico di Olera (BG) o di quella della collezione Johnson nel Museum of Art di Philadelphia. Non è comunque possibile inserire la Madonna che stiamo studiando nel catalogo di uno di questi due maestri della pittura veneta o di un loro seguace tra i più stretti e dipendenti tra loro. Nella tavoletta che abbiamno davanti, in cui il paesaggio marino del fondo ricorda da un lato, per l'edificio turrito e fortificato, idee di Giovanni Bellini, sul tipo di quelle espresse nella pala dell'Incoronazione oggi nel Museo Civico di Pesaro, risalente al 1471 circa, e nella pala dogale Barbarigo del 1488, conservata nella chiesa di San Pietro Martire a Murano, dall'altro il mondo espresso da Vittore Carpaccio nei teleri con le Storie di Sant'Orsola, oggi nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia, in particolare nell'Arrivo di Sant'Orsola a Colonia, risalente al 1490, si verifica una meditazione dell'autore su prototipi del tipo di quelli suelencati ma pure una indipendenza di conduzione che lo fanno ricercare tra i pittori passati a Venezia in quegli anni, inevitabilmente influenzati da Giovanni Bellini, Cima e Vittore Carpaccio cioè da coloro che, insieme con Gentile Bellini e Alvise Vivarini erano i grandi amestri della pittura veneziana ma rimasti pure fedeli al mondo dal quale provenivano e a cui sarebbero tornati. Il pittore che ha eseguito questa deliziosa tavoletta, in ottimo stato di conservazione sembra riprendere fedelmente idee compositive che conosciamo bene, ma ci lascia in qualche modo un unicum in quel Bambino biondo sorretto da un cuscino che non è poggiato sul davanzale come in composizioni ben note di Giovanni Bellini, bensì sul ginocchio destro e sicuramente contro la mano destra di Maria.[...] La stessa Maria, a sua volta, [...] ci rivela con quella sorta di firma costituita dalla ciocca di capelli biondi che sfugge sotto il velo e nasconde allo sguardo l'orecchio sinistro, con il modo in cui è disegnato e dipinto l'abito rosso coperto dal mantello, similissimo a quello che indossa nell'Annunciazione del Carmine, oggi nella Pinacoteca Civica di Forlì, l'identità del misterioso pittore.

Si tratta di Marco Palmezzano, maestro forlivese, allievo e collaboratore del grande Melozzo da Forlì, conosciuto attraverso la benemerita monografia di Carlo Grigioni, risalente al 1956 e adesso anche dalla mostra allestita nella sua città natale fra il 2005 e il 2006. L'artista non è mai veramente documentato a venezia e nessuna sua opera da lui ivi eseguita è finora stata reperita [...]. Marco Palmezzano deve tuttavia essersi trattenuto a Venezia per qualche anno, proprio nel periodo precedente al 1495, anno in cui, in una controversia legale con i suoi due fratelli, proprio a lui venne assegnato l'arredamento di una casa a Venezia, nella quale doveva aver abitato negli anni precedenti.

Se vediamo bene, la Madonna che abbiamo davanti è l'unica memoria pittorica a noi giunta di quel periodo dal quale egli uscì con la memoria di ciò che aveva veduto nella città dogale e che traspare ogni tanto nelle sue opere successive, soprattutto nelle tematiche del Cristo Portacroce e dell'Imbalsamazione di Cristo che gli diventano consuete provenendo pure da prototipi belliniani."

 

 

 

Estimate   € 30.000 / 40.000
Price realized  Registration
29

Pandofo Reschi

(Danzica, 1643 – Firenze, 1699)

ASSALTO ALLA CITTÀ MURATA

olio su tela, cm 136x215

 

THE ASSAULT TO A WALLED CITY

oil on canvas, cm 136x215

 

Di origine polacca ma di formazione romana, Pandolfo Reschi beneficiò, negli anni sessanta del Seicento, del mecenatismo del marchese Pier Antonio Gerini e successivamente del cardinale Francesco Maria de’ Medici, che gli permise di studiare le opere delle loro importanti collezioni, in particolare quelle di Salvator Rosa e di Jacques Courtois, detto il Borgognone.

Proprio dall’attenta osservazione delle battaglie di quest’ultimo e, in alcuni casi dalla loro replica, deriva l’ abilità del pittore nell’organizzare la composizione mantenendo un impeccabile equilibrio tra l’ampia apertura del primo piano e la profondità dello sfondo percorso da leggeri vapori atmosferici e dai fumi della battaglia, adottando come separazione una sorta di quinta rocciosa che, nel nostro caso, vediamo sulla sinistra, resa più suggestiva dalla presenza di vestigia di un tempio antico.

Tipico del Reschi è l’utilizzo di una squillante gamma cromatica per marcare il primo piano – si vedano i rossi e i blu di giubbe, piume e bandiere dei soldati che si stanno avviando verso le mura della città – rispetto alle tinte pastello e ai toni sfumati della mezza distanza dove è già in atto la battaglia e dello sfondo con le mura e il profilo di alcuni edifici che si stagliano contro il paesaggio.

L’impostazione scenografica e l’inclinazione alla chiarezza descrittiva, soprattutto nelle figure, pongono l’Assalto alla città murata, in stretta vicinanza alle opere mature del pittore polacco quale la Scena di vita militare della collezione della Cassa di Risparmio di Prato, datata sullo scorcio degli anni ottanta (cfr. N. Barbolani di Montauto, Pandolfo Reschi, Firenze 1996, p. 94, scheda 46, fig. 35).

 

 

Estimate   € 35.000 / 50.000
30

Scuola romana, sec. XVII

RITRATTO DI PAPA INNOCENZO XI ODESCALCHI

olio su tela, cm 199x129

 

Roman school, 17th century

PORTRAIT Of  POPE INNOCENZO XI ODESCALCHI

oil on canvas, cm 199x129

 

Provenienza

Roma, collezione privata

 

Il dipinto ritrae Benedetto Odescalchi che fu papa dal 1676 al 1689 come Innocenzo XI: la sua immagine ufficiale, a mezzo busto, fu divulgata dal bulino di François Spierre (Roma, Istituto Nazionale per la Grafica, inv. FN 14570), datata proprio nell’anno della sua elezione e desunta dal ritratto realizzato da Ferdinand Voet, segnalato nel 2005 in collezione Odescalchi (F. Petrucci, Ferdinand Voet (1639 – 1689) detto Ferdinando de’ Ritratti, Roma 2005, p. 146).

Considerata la scarsa disposizione di Innocenzo XI a farsi ritrarre, tramandata dalle fonti e dimostrata dal fatto che l’effige realizzata dallo stesso Voet deriva da quella precedente cardinalizia, anche il nostro ancora anonimo pittore non eseguì probabilmente il dipinto dal vivo. Stringente è il confronto con l’incisione di Albert Clouwet, facente parte della serie ricavata dai ritratti eseguiti da Giovanni Maria Morandi ed edita da Giovan Giacomo de Rossi (cfr. F. Petrucci, I volti del potere. Ritratti di uomini illustri a Roma dall'Impero Romano al Neoclassicismo, catalogo della mostra a cura di F. Petrucci, Roma 2004, pp. 111-112, n. 30, con bibliografia precedente). Per la tela con papa Odescalchi, poi incisa dal Clouwet, risalgono al 1677 i pagamenti al Morandi, pittore fiorentino di stanza a Roma, che continuò a svolgere l’attività di ritrattista anche sotto il papato di Innocenzo XI Odescalchi, nonostante la successiva ascesa di Giovanni Battista Gaulli e Ferdinand Voet.

Del tutto corrispondente sono la parte superiore del busto, impreziosita dalla stola papale riccamente ricamata, e il volto scavato caratterizzato dal prominente naso.

Nel nostro caso Innocenzo è rappresentato però seduto su un imponente seggio, con una mano benedicente e l’altra, reggente un biglietto, abbandonata sul bracciolo. Il camice di un bianco abbagliante, vibrante grazie ai sottili corrimenti delle pieghe e finito da una virtuosistica bordura di merletto, crea un notevole contrasto con il rosso della mozzetta di velluto indossata sopra questo così come con la calda tonalità della sottoveste e con i bagliori dorati del trono, della stola e dello scuro tendaggio alle spalle dell’effigiato.

La tipologia d’insieme si rapporta evidentemente al celebre ritratto di Innocenzo X, realizzato da Diego Velázquez durante il suo soggiorno romano tra il 1649 e il 1650 (Roma, Galleria Doria Pamphilj), uno dei quadri più celebri di Roma e uno dei più ammirati anche dai visitatori stranieri, tanto da divenire quasi un’icona dell’immagine papale, e insieme un modello.

La solennità del dipinto, coniugata alla naturalistica forza espressiva impressa nella descrizione del volto, vivacizzato dai baffi girati lievemente all’insù, finalizzata alla restituzione di un’immagine altamente rappresentativa del prelato, nella duplice veste di uomo e vicario del Signore, inseriscono il nostro pittore nell’ambito dell’aulico linguaggio pittorico messo a punto proprio durante il pontificato di Innocenzo XI, il cui principale protagonista fu Carlo Maratta,  autore di austeri ritratti caratterizzati da acuta penetrazione psicologica.

La cornice che correda il dipinto nobilita ulteriormente il ritratto, essendo un’elegante cornice romana a cassetta, coeva.

 

 

 

Estimate   € 6.000 / 8.000
Price realized  Registration
1 - 30  of 68