Domenico Mancini (attivo a Venezia allinizio del XVI secolo) MADONNA IN TRONO COL BAMBINO, SAN PIETRO E SAN GIOVANNI BATTISTA olio su tavola parchettata, cm 69x103 Provenienza: già collezione Gonzaga, Mantova; dalla fine dellOttocento, Collezione Conte Carlo Gamba, Firenze; successivamente Eredi Cini di Pianzano, Firenze Domenico Mancini fu attivo in area padana allinizio del secondo decennio del XVI secolo, sebbene non si conoscano il luogo e la data di nascita di questo pittore. Il corpus delle opere di questo maestro non è ancora unanimemente definito dalla critica, purtuttavia per una sua ricostruzione gli storici dellarte si basano su ununica tavola certa (firmata e datata 1511), la Madonna con un angelo musicante, Lendinara, Rovigo, sagrestia di Santa Sofia. Da tale punto di partenza, negli anni si sono susseguite riconduzioni di altri dipinti alla mano del maestro, fra cui anche il nostro, da sempre opera ritenuta dalla critica la più convincente, assai vicina a quella di Lendinara. Il Conte Carlo Gamba, in un articolo del 1949 dedicato al pittore, presentava il dipinto, già appartenente alla sua collezione, con queste parole: estendere la conoscenza di Domenico Mancini offro la riproduzione di un quadro di mia proprietà che è stato esposto a Palazzo Strozzi, alla Mostra della Casa Italiana nei secoli nel 1948, e che ritengo opera sua. Lo acquistai a Mantova cinquantasei anni fa, sperando che da un ripulimento sparisse il fondo nero e comparisse un paese, che aiutasse per sua parte a riconoscerne lautore. Gustavo Frizzoni, che lo vide allora, lo ritenne opera di Pellegrino da San Daniele; onde io, quando nebbi possibilità cercai di rendermene persuaso studiando le opere di quel pittore: ma riuscii invece a convincermi che lattribuzione non calzava troppo bene. In una pubblicazione dei primi dellOttocento illustrante la Collezione del Conte Carlo dArco di Mantova, donatami da Carlo Loeser e purtroppo perduta nei varii traslochi di guerra della mia biblioteca agli Uffizi, è riprodotta la tavola in questione con il nome di Palma il Vecchio, e come proveniente dalla Galleria Gonzaga. Il pittore vi si manifesta un bellinesco, seguace di Palma il Vecchio con qualche influsso di Giorgione. Quando a Lendinara vidi la Madonna di Domenico Mancini firmata e datata 1511, rimasi subito convinto questi essere senzaltro lautore della mia tavola, convinzione riconfermata allEsposizione di Venezia. La mia Madonna mostra un medesimo modo bellinesco di sfumare le carni argentine, un manto di uno stesso tono di azzurro, trattato con simili pieghe spezzate, ma gonfie e soffici, e con simili giochi di luce specie sulla serica fodera grigia cangiante. Il Gesù Bambino gira la testa e gli occhi dallo sguardo lucido, quasi febbrile, con espressione simile a quella dellangiolo di Lendinara; il S. Pietro è ammantato del medesimo giallo aranciato della sua tunica, e il S. Giovanni ha un drappo di impasto grasso e succoso color smeraldo come quello del suddetto angiolo. Un giorno capitò da me B. Berenson e mentre osservava un altro oggetto vide di sbieco il mio quadro e disse senzaltro: Domenico Mancini. Degna conferma alla mia convinzione Qualche anno più tardi, Bernard Berenson pubblica il dipinto riferendolo al Mancini in un articolo su La revue des Arts (1951), inserendolo successivamente negli elenchi, sempre come Domenico Mancini (1957). Non più visibile agli studiosi e non presente alla mostra di Giorgione nel 1955 a Venezia, dove invece comparivano la paletta Lendinara e il Ritratto di suonatore di Vienna (poi espunto dal corpus delle opere del maestro), essa tuttavia viene citata nella successiva letteratura artistica sulla base solo di riproduzioni fotografiche. Nel 1999 il dipinto è stato nuovamente considerato in un contributo sulla pittura veneta di Anchise Tempestini, nel quale lo studioso afferma: dobbiamo dimenticare la bella Madonna col Bambino e San Pietro nella collezione Gamba di Firenze che, insieme con la Madonna col Bambino in trono e un angelo musicante, firmata e datata 1511, nel Duomo di Lendinara (Rovigo), è una delle due uniche opere riferibili senza problemi a Domenico Mancini, pittore di notevolissime capacità che innesta su una matrice chiaramente belliniana (la Madonna di Lendinara riprende puntualmente quella della pala di San Zaccaria) unabilità tecnica, una pienezza sensuale nelle forme ed un naturalismo del panneggiare che lo qualificano come uno dei più dotati seguaci di Giorgione e soprattutto del giovanissimo Tiziano Bibl.: C. Gamba, Contributi alla conoscenza di Domenico Mancini, in dArte, VIII (1949), 3, pp. 211-217, fig. 161; B. Berenson, Une Conservazione de lé de Giorgione au Louvre, in revue des arts 1, fasc. n. 2, 1951, pp. 67-76, fig. 13; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance. Venetian School, Londra 1957, 2 voll., I vol., p. 107, II vol., fig. 692; F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia 1962, 2 voll., I vol., p. 20, cat. 59c; Dizionario enciclopedico dei pittori e degli incisori italiani, Milano 1983, 11 voll., VII vol., pp. 132-133; A. Tempestini, La Conversazione nella pittura veneta dal 1500 al 1516, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, Milano 1999, 3 voll., pp. 939-1014, in partic. pp. 968-969 e 992, fig. 1072. Per una bibliografia completa su Domenico Mancini, F. Sorce, ad vocem, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2007, vol. 68, pp. 474-476.