Important Reinassance Maiolica

mon 27 October 2014
Live auction 25
36

COPPA

€ 30.000 / 40.000
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COPPA

Urbino, bottega di Nicola di Gabriele Sbraghe, 1530-1535 circa

 

Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco e bruno di manganese nei toni del marrone e del nero

alt. cm 3,5; diam. cm 25,5; diam. piede cm 10,9

Sul retro sotto il piede iscrizione in corsivo “Circero Glaucho. In./ Cantatricie” e simbolo

Numero manoscritto “5335” ripetuto due volte sul lato del piede

 

Sbeccatura sull’orlo in alto a destra

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, white, and brownish and blackish manganese

H. 3.5 cm; diam. 25.5 cm; foot diam. 10.9 cm

On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Circero Glaucho. In./ Cantatricie’ and a symbol

Two numbers ‘5335’ hand-written on the side of the foot

 

Chip to rim at 1 o’clock

 

An export licence is available for this lot

 

La coppa, poggiante su piede ad anello molto basso, ha cavetto largo, tesa alta e stretto bordo estroflesso. La decorazione istoriata interessa l’intera superficie del cavetto. Sul verso, decorato da linee concentriche gialle a sottolineare i profili, è delineata all’interno del piede la scritta “Circero Glaucho. In./ Cantatricie”.

La scena mostra Circe seduta davanti al suo palazzo, raffigurato secondo i dettami dell’architettura rinascimentale, a colloquio con Glauco, appoggiato al fusto di un albero. Alle spalle dell’uomo un albero dal tronco ricurvo chiude la scena. Sullo sfondo, un paesaggio marino con una scogliera e una città turrita: lo stretto è quello che sorveglia il confine tra la Sicilia e la terraferma, e la città potrebbe essere l’antica Zancle (Messina) o Reggio Calabria.

In Ovidio (Ov., Met., XIII-XIV) lo scenario è familiare: il palazzo di Circe, figlia del Sole, si leva su colli erbosi nelle acque del Tirreno, e Glauco, un pescatore, ha percorso un lungo tratto di mare per venire a colloquio con la maga: in questa raffigurazione egli è ancora umano, non si è ancora mutato in divinità marina. Glauco ama Scilla, che però non si lascia persuadere a cedergli: per il “dio-pescatore”, alla ricerca di una formula d’amore, la soluzione è quella di rivolgersi a Circe. A questo punto, però, è la dea figlia del Sole che desidera Glauco: per questo gli offre di assecondare con un solo gesto chi lo ama e, contemporaneamente, di vendicarsi di chi lo disprezza. Il giovane rifiuta e ciò fa infuriare la maga, che mormorando un sortilegio muta la rivale in un mostro. Questo però non gli serve a ottenere il favore di Glauco, che invece fugge piangendo la perdita dell’amata.

Il soggetto è dipinto con una copiosa quantità di materia: il manganese abbonda ed è quasi a rilievo, ma anche il blu del mare che si fonde con le montagne è abbondante, steso con pennellate parallele. Il verde dell’erba è invece diluito e mosso da sottilissime pennellate scure, mentre il terreno è reso in ocra, come pure i capelli delle figure e il manto di Circe. Il tendaggio che chiude la scena sulla sinistra è realizzato in verde ramina scuro, lumeggiato con giallo antimonio. Su un tale sfondo le figure risultano quasi eteree, dalle forme elegantemente allungate, di colore chiaro, con muscolatura lumeggiata in bianco e con lievi ombreggiature ocra; i volti e i tratti fisiognomici sono invece sottolineati da una sottile linea scura. Il cielo sullo sfondo è movimentato da una nuvola scura sagomata con piccole volute a chiocciola. Protagonisti, insieme ai personaggi, sono un albero dal tronco sinuoso, molto nodoso alla base, e l’architettura, con il fornice alto e scuro, gli ampi cornicioni e la finestra a occhio, chiusa da una barra a croce, realizzata in smalto stannifero.

Le affinità con oggetti ormai unanimemente attribuiti al pittore marchigiano sono molte: il piatto con donna, unicorno e cavaliere del Museo Correr, per esempio, ci ricorda, per la posa e l’atteggiamento delle figure, la scena raffigurata sulla nostra coppa.

La stessa quinta architettonica è presente invece nel piatto con scena biblica, lustrato a Gubbio e datato “1524”, di cui abbiamo diffusamente parlato nelle schede che precedono (vedi lotti 34 e 35 di questo catalogo): tale piatto fa comunque parte di una serie probabilmente dipinta nella bottega di Mastro Giorgio da pittori prossimi a Nicola da Urbino.

Di grande interesse infine il confronto con una coppa ad orlo estroflesso del Museo Civico Medievale di Bologna che reca sul verso l'iscrizione “quando Aenea uene/ in Italia”. L'opera condivide con quella in esame forma, materia e stile pittorico: si vedano il modo di sottolineare i volti con un tratto scuro, i capelli disposti sul capo delle figure maschili a formare un ciuffo allungato sulla fronte e le braccia affusolate che terminano in mani allungate, ma anche la coincidenza nel modo di dipingere le architetture e soprattutto la presenza del tendaggio verde, foderato di giallo, che mostra notevoli affinità con quello presente sulla coppa in esame. Ravanelli Guidotti proponeva per questo oggetto un'attribuzione alla bottega di Guido Durantino e al periodo cronologico compreso tra il 1528 e il 1530; tuttavia, la studiosa ricordava come la scritta sul retro, secondo Liverani, richiamasse quella di alcuni piatti attribuiti a Nicola da Urbino. Nella stessa scheda Ravanelli Guidotti rammentava come Polidori avesse a suo tempo assegnato la coppa del museo bolognese alla paternità di Nicola da Urbino, all’epoca chiamato ancora Pellipario.

Proprio in base a questo confronto John Mallet ha recentemente asserito che questo piatto sia dello stesso pittore qui ricordato per i lotti 34 e 35, e ha avanzato il nome di “pittore di Enea in Italia”.

Timothy Wilson, dal canto suo, ci ha detto di ritenere che tale piatto sia più vicino nello stile a quello di Nicola rispetto agli altri due.

Importante a questo punto l’analisi della calligrafia sul verso della nostra coppa. La “c” allungata, a capoverso, posta a racchiudere quasi l’intera frase e la “h” con astina molto alta ci ricordano il piatto bolognese con Enea in Italia.

La sigla di bottega posta alla fine dell’iscrizione, pur se con alcune variazioni, ci pare simile a quella presente nel piatto con Astolfo, oggi in una collezione tedesca, attribuito a Nicola da Urbino, che presenta anche una grafia simile a quella del nostro esemplare.

La coppa apparteneva alla collezione Adda, nel cui catalogo è pubblicata come piatto urbinate databile al 1530 circa per le affinità con un pezzo del servizio con stemma Montmorency attribuito alla bottega di Guido Durantino, e proveniente dalla collezione Henry Harris.

Anch’essa passò da Humphris nel 1967 in occasione della mostra dedicata agli oggetti provenienti dalla collezione Adda.