Dal Rinascimento al Primo '900 Percorso attraverso 5 secoli di pittura | DIPINTI ANTICHI

1 LUGLIO 2020

Dal Rinascimento al Primo '900 Percorso attraverso 5 secoli di pittura | DIPINTI ANTICHI

Asta, 0338
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 15.30
Esposizione
FIRENZE
Venerdì      26 giugno 2020   10-18
Sabato      27 giugno 2020   10-18
Domenica   28 giugno 2020   10-18
Lunedì        29 giugno 2020   10-18
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   3000 € - 80000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 59
40

Andrea de Leone

(Napoli, 1610 – 1681)

VENERE E ADONE

olio su tela, cm 76x102

firmato “Andrea D Lione F.” sul frammento architettonico a destra

 

VENUS AND ADONIS

oil on canvas, cm 76x102

signed “Andrea D Lione F.” on the architectural fragment lower right

 

Provenienza

New York, collezione Mario Lanfranchi; Milano, collezione Leonardo Mondadori; Finarte, Milano, 21 aprile 1988, lotto 83; Milano, Porro & C., 26 maggio 2008, lotto 42

 

Esposizioni

Painting in Naples from Caravaggio to Giordano. Londra, Royal Academy of Arts, ottobre – dicembre 1982, n. 2

 

Bibliografia

M. Soria, Andrea De Lione, a master of the bucolic scene, in “Art Quarterly” 1960, pp. 22-35; R. Causa, La pittura del Seicento a Napoli dal naturalismo al barocco, in Storia di Napoli, V, Napoli 1972, fig. 355; L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, II, Roma 1978, pp. 516-17, fig. 85.2; R.E. Spear, Princeton, Italian Baroque Paintings, in “The Burlington Magazine” 1980, p. 720; Painting in Naples from Caravaggio to Giordano. Catalogo della mostra, Londra 1982, pp. 107-108, n. 2; A. Brejon de Lavergnée, Nouvelles toiles d’Andrea di Lione. Essai de catalogue, in Scritti di storia dell’arte in onore di Federico Zeri, Milano 1984, pp. 670-72, fig. 660 e p, 680, n. 41; N. Spinosa, La pittura napoletana del 600, Milano 1984, n. 229; F. Zeri, Andrea de Lione e la natura morta, in Scritti di storia dell’arte in onore di Raffaello Causa. A cura di Pierluigi Leone de Castris, Napoli 1988, p.206, fig. 6; N. Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli. Da Caravaggio a Massimo Stanzione, Napoli 2010, pp. 217-18, n. 102; M. Di Penta, Andrea De Leone (Napoli 1610 – 1685) Dipinti – Disegni, Roma 2016, pp. 128-29,Q.68

 

Capolavoro della maturità di Andrea De Leone, come universalmente riconosciuto fin dalla prima comparsa in pubblico, il raffinatissimo dipinto qui offerto fonde sapientemente motivi della pittura di paesaggio e di storia, e perfino elementi di natura morta, come acutamente osservato da Federico Zeri nella sua ricostruzione del De Leone specialista in tal genere, praticato in pochi ma straordinari esemplari.

Evidente, come è stato osservato, il riferimento a Tiziano per la figura di Venere che invano tenta di trattenere Adone dalla caccia fatale: ma il modello di una delle più affascinanti “poesie” dipinte per Filippo di Spagna, replicato in esemplari che Andrea forse vide nel corso del suo soggiorno romano, appare mediato dalla rilettura di Tiziano proposta da Nicolas Poussin intorno ai primi anni Trenta.

Da qui la tenerezza degli incarnati avvolti da ombre soffuse, la naturalezza con cui i protagonisti, lontani dai modelli statuari di Tiziano, si fondono nel paesaggio, costruito su una sapiente gradazione di toni che vanno dal bruno al dorato.

Incorniciati dalle diagonali convergenti di due tronchi, Venere e Adone ne seguono l’andamento; i colori delle vesti – prezioso blu di lapis per la tunica di Adone, oro screziato per il drappo che appena vela le gambe della dea - sono richiamati in primo piano da altri panni lasciati cadere nell’impazienza dell’incontro.

Ancora al classicismo romano rimanda infine il frammento architettonico su cui il pittore ha tracciato con orgoglio il proprio nome.

 

Stima   € 80.000 / 120.000
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
41

Luca Giordano

(Napoli, 1634-1705)

BATTAGLIA DI CAVALIERI

olio su tela, cm 202 x 310

firmata e datata su un cartiglio al centro “Lucas Jordanus/Inventor Aetatis Sua…./XV P. 1651”

A BATTLE SCENE

oil on canvas, cm 202x310

signed and dated on a cartouche " Lucas Jordanus/Inventor Aetatis Sua…./XV P. 1651"

 

Provenienza

Bruun Rasmussen, Copenhagen, 5 marzo 2002, lot 1192; Sotheby’s, Londra, 11 luglio 2002, lot 186; Galleria Mossini, Mantova; collezione privata

Bibliografia

“Relatione della vita di Luca Giordano pittore celebre fatta sotto li 13 agosto 1681” in G. Ceci, Scrittori della storia dell’arte napoletana anteriori al De Dominici in “Napoli Nobilissima” VIII, 1899, XI, p. 166; O. Ferrari – G. Scavizzi, Luca Giordano. Nuove ricerche e inediti, Napoli 2003, p. 27, AO1; tav. AO1; V. Farina, "Disegnò ben dodici volte l'intera battaglia di Costantino". Un foglio ritrovato ed altre novità per Luca Giordano disegnatore, in "Confronto. Studi e ricerche di storia dell'arte europea" II, 2, dicembre 2019, pp. 105-132.

Comparso in asta per la prima volta nel 2002, l’interessante dipinto qui offerto è stato inquadrato criticamente da Oreste Ferrari che lo ha giustamente identificato con una delle opere giovanili citate nella Relatione del 1681, conservata a Firenze nella Biblioteca Magliabechiana tra le carte di Filippo Baldinucci e di Anton Francesco Marmi, e pubblicata da Giacomo Ceci nel 1899.

Vivace nello stile e ricca di dettagli inediti sulla attività del pittore, ritratto dall’Anonimo come un fanciullo-prodigio dotato di straordinario talento, la Relatione ricorda infatti il viaggio a Roma compiuto dal giovanissimo Luca per studiare l’Antico e le opere dei maestri: un tirocinio di cui resta memoria nei disegni superstiti, dedicati appunto alle statue classiche, ai pittori del Cinquecento e a quelli più recenti, tra cui Pietro da Cortona nella volta Barberini. Raffaello costituiva il principale modello per qualunque giovane artista, e non è dubbio che Luca Giordano si esercitasse disegnando nelle Stanze del Vaticano, come recentemente chiarito da Viviana Farina. “Tornato in Napoli con così fresca memoria – così l’anonimo relatore – subito di suo capriccio fece due quadri grandi di battaglie ad imitatione di Messentio (sic) con generale applauso, e oggi si conservano in Bologna dal Sig. Marchese Tanari”.

Sebbene non ne sia riemerso il compagno, non è dubbio che il nostro dipinto – ispirato alla Battaglia di ponte Milvio ma insieme reminiscente della sua moderna reinterpretazione ad opera del Cavalier d’Arpino nella Sala degli Orazi e Curiazi – corrisponda a una delle tele in casa Tanari: lo conferma anche la data del 1651 apposta sul cartiglio centrale, appena successiva a quella del 1650 generalmente riferita al soggiorno romano. Da segnalare, la civetteria con cui il giovane artista vi si dichiara appena quindicenne, quando sappiamo invece che aveva già diciassette anni, età giovanile ma non del tutto inusuale per un esordio nella professione di pittore.

Si potrebbe invece dubitare dell’esecuzione “a suo capriccio” per due tele di così ampie dimensioni e per l’uso di pigmenti pregiati: dati che potrebbero suggerirne l’esecuzione su richiesta di un committente.

Vi si chiarisce altresì un elemento significativo nella formazione del pittore napoletano, che sulla scorta di un passo di Bernardo De Dominici si poneva nell’imitazione delle battaglie di Aniello Falcone, ma che sembra invece debitrice dei modelli più aulici della tradizione cinquecentesca.

 

 

Stima   € 70.000 / 100.000
Aggiudicazione  Registrazione
46

Pasqualino Lamberti (?) detto Pasqualino Veneto

(attivo a Venezia dal 1490 al 1504)

MADONNA COL BAMBINO E SAN GIOVANNINO

olio su tavola, cm 83x66

firmato e datato sul cartiglio in basso al centro “1503/PASQUALI/NUS/V. P.”

 

MADONNA WITH CHILD AND SAINT JOHN THE BAPTIST

oil on panel, cm 83x66

signed and dated lower center on the cartouche "1503/PASQUALI/NUS/V. P.”

 

 

Provenienza

Svizzera, collezione privata; New York, Newhouse Gallery, 1975; Milano, Galleria Sacerdoti; Milano, collezione privata

 

Bibliografia

R. Palluccchini, Un’altra aggiunta a Pasqualino Veneto, in “Storia dell’Arte” 1980, 38-40, pp. 215-16, figg. 1-2; P. Humfrey, Cima da Conegliano, Cambridge 1983, p. 194, cat. 240; fig. 19 3b; M. Biffis, voce “Pasqualino Veneto” in Dizionario Biografico degli Italiani, 81, 2014.

 

Referenze Fotografiche

Fototeca Federico Zeri, scheda 26498

 

Pubblicata per la prima volta da Rodolfo Pallucchini, questa bellissima tavola – notevole anche per l’ottimo stato conservativo - costituisce un interessante documento della articolata situazione pittorica del primissimo Cinquecento veneziano. Insieme alla Madonna col Bambino e la Maddalena del Museo Correr, firmata e datata del 1496, presenta inoltre l’unica data certa della produzione di Pasqualino, ponendosi quasi all’estremo della sua attività conclusa prima del 6 dicembre del 1504.

L’ultimo documento che lo riguardi direttamente registra infatti, nel gennaio di quell’anno, la prestigiosa commissione della Scuola Grande della Carità per un telero raffigurante la Presentazione della Vergine al Tempio, affidata al pittore a seguito di una competizione vinta dal suo disegno ma ben poco progredita, a giudicare dell’esiguo pagamento riscosso dal fratello nel gennaio 1505, esattamente un anno dopo.

Difficile immaginarne la composizione, certo ampia e articolata, alla luce del catalogo del pittore oggi conosciuto: le opere riunite da Berenson, Puppi e Pallucchini e dagli studi più recenti intorno alle tavole firmate declinano in maniera quasi esclusiva il tema, squisitamente belliniano, della Madonna col Bambino, eventualmente accompagnati da un'altra figura, come nel caso del nostro Giovanni Battista.

La cronologia ricostruita, per quanto in via di ipotesi, a partire da sole due date certe e soprattutto dalla relazione con gli artisti attivi a Venezia in quello scorcio di secolo ha suggerito che Pasqualino compisse la sua formazione nella bottega di Giovanni Bellini verso la metà degli anni Ottanta, per poi legarsi a Cima da Conegliano, suo riferimento costante già nella citata Madonna del Museo Correr come in quella presso l’Accademia dei Concordi a Rovigo, per poi virare nella direzione di Giovanni Mansueti, chiamato in causa da Rodolfo Pallucchini a proposito del dettagliatissimo paesaggio del dipinto qui offerto, di cui costituisce l’elemento distintivo.

 

Stima   € 60.000 / 80.000
25

Artista Caravaggesco, sec. XVII

INCORONAZIONE DI SPINE

olio su tela, cm 126x150

 

Caravaggesque Artist, 17th century

THE CROWNING OF THORNS

oil on canvas, cm 126x150

 

È decisamente misterioso l’autore di questo bellissimo e inedito dipinto, che propone uno dei temi più cari ai primi seguaci di Caravaggio accostando il motivo del Cristo deriso a quello dell’incoronazione di spine. Sebbene le prime formulazioni di questo soggetto risalgano al primo decennio del Seicento (e il confronto con il Cristo dolente dipinto da Ludovico Cigoli per Monsignor Massimi nel 1607 e ora alla Palatina non è del tutto fuori luogo) la qualità monumentale e in qualche modo classicheggiante dei nostri protagonisti suggerisce di ritardarne l’esecuzione almeno al terzo decennio del secolo se non decisamente ai primi anni Trenta.

L’autore si palesa infatti distante dalla brutalità teatralmente esibita di un Manfredi o di un Valentin e, nonostante il fondo scuro, indifferente alla ricerca di effetti di lume di un Gherardo delle Notti: attento piuttosto a graduare sapientemente le ombre e a legare i personaggi nella muta complicità degli sguardi e dei gesti.

L’ipotesi più verosimile consiglierebbe di ricercarlo tra i numerosi stranieri presenti nella Roma già barberiniana, e più verosimilmente nella comunità franco-fiamminga, ritenendo la nostra Incoronazione di spine la precoce manifestazione di un talento volto poi a seguire modelli di radice diversa da quella, ormai superata, del caravaggismo di stretta osservanza.

 

Stima   € 50.000 / 80.000
Aggiudicazione  Registrazione
49

Artista Lombardo, sec. XVII

LA MADDALENA AL SEPOLCRO

olio su tela, cm 120x162

 

Lombard Artist, 17th century

MARY MAGDALENE AT THE TOMB OF CHRIST

oil on canvas, cm 120x162

 

Tradizionalmente riferito ad Alessandro Turchi, l’Orbetto, nell’antica raccolta di provenienza, questo inedito dipinto appare piuttosto riconducibile al mondo del caravaggismo lombardo e più precisamente, a nostro avviso, all’ambito di Giuseppe Vermiglio (1587 circa – dopo il 1635) se non addirittura al Maestro stesso.

Innegabile è infatti la relazione tra il nostro angelo giovinetto seduto su un lato del sarcofago e quello che nelle diverse versioni del Sacrificio di Isacco, il tema preferito del pittore lombardo, interviene a bloccare il gesto del Abramo, indicandogli la nuova vittima sacrificale: vicinissimo il profilo affilato, la chioma scomposta – quasi una sigla del pittore – le ali appena venate di rosa, le pieghe replicate della veste.

Anche la Maddalena china sul sepolcro vuoto, la chioma rosseggiante sciolta nella brezza mattutina, richiama a qualche distanza le sue eroine femminili, quali la Giaele nel dipinto della Pinacoteca Ambrosiana, o la moglie di Putifarre in una tela di raccolta privata: modelli qui declinati in maniera più ingenua e meno raffinata, e in una vena classicista più scolastica tale da spiegare, in qualche misura, l’antico riferimento all’Orbetto. Estremamente sofisticata appare invece la scelta cromatica del nostro dipinto, tutta giocata sul richiamo a distanza del bianco e del rosa nei panni delle figure, accesi dall’oro rossastro dei capelli e dal mantello della giovane donna contro lo scuro sfondo roccioso.

 

Stima   € 40.000 / 60.000
58

Jacopo Amigoni

(Napoli, 1682 – Madrid, 1752)

FERDINANDO VI DI BORBONE E BARBARA DI BRAGANZA CON LA CORTE

olio su tela, cm 46,5x61

 

FERDINANDO VI DI BORBONE AND BARBARA DI BRAGANZA WITH THE COURT

oil on canvas, cm 46,5x61

 

Bibliografia

V. von Hermann, Jacopo Amigoni und die anfänge der Malerei des Rokoko in Venedig, in “Jahrbuch der Königlich Preussischen Kunstsammlungen”, 39, 1918, p. 168 (cit.), fig. 18, p. 165; F. Zambelli D’Alma, Contributo a Carlo Giuseppe Flipart, in “Arte Antica e Moderna” V, 1962, p. 190 (cit.), fig. 68d (l’incisione del dipinto); J. Luna, El retrato de Ferdinando VI y Barbara con su corte, por Amigoni, in “Archivo Espanol de Arte” 52, 1979, pp. 339-341; R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, I, Milano 1994, pp. 124-26 (sulla vicenda generale).

 

Questo raffinatissimo dipinto costituisce l’unico documento pittorico oggi conosciuto del ritratto dei sovrani spagnoli circondati dalla corte e incoronati dalla Fama eseguito da Jacopo Amigoni per il palazzo del Buen Retiro in occasione del suo soggiorno madrileno, tra il 1747 e il 1752. Documentato dall’incisione trattane da Charles-Joseph Flipart (1721–1797) allievo a Venezia dell’Amigoni stesso e, come incisore, di Joseph Wagner, il grande dipinto fu visto da Anton Raphael Mengs nel 1768 nella sua collocazione originaria, per poi finire distrutto, verosimilmente nel corso della guerra peninsulare del 1808 che vide la fine del palazzo reale voluto da Filippo IV nel primo quarto del Seicento.

L’incisione di Flipart, la cui lastra si conserva nella Calcografia madrilena, è stata per lungo tempo l’unica conferma alla citazione del Mengs, così come ricostruito dall’indagine di Juan Luna (1979) riportata da Rodolfo Pallucchini che tuttavia non conosceva il nostro dipinto. È tuttavia proprio lo studioso veneziano a citare questa composizione, a lui nota attraverso l’immagine incisa, in relazione a un altro celebre ritratto di gruppo dipinto da Jacopo Amigoni proprio negli stessi anni, quello che unisce in una conversazione tra amici i protagonisti del dramma in musica settecentesco, ovvero Pietro Metastasio, Carlo Broschi - il celebre Farinelli - la cantante Teresa Castellini e il pittore stesso (Melbourne, National Gallery of Victoria).

Anche il nostro dipinto dà conto del ruolo della musica alla corte madrilena, ponendo nella cantoria a destra sullo sfondo un gruppo di musici in cui si è voluto riconoscere il violinista Joseph Herrando e lo stesso Farinelli, presente alla corte di Madrid dal 1737 e forse artefice dell’invito all’Amigoni, che lo raggiunse dieci anni dopo.

Pittore di corte, attivo nella decorazione dei palazzi reali di Aranjuez e del Retiro, ritrattista dei sovrani e dei cortigiani più in vista, Jacopo Amigoni concluse a Madrid una fortunata carriera interamente spesa al servizio delle maggiori corti europee e dell’aristocrazia internazionale, lontano da Venezia che pure lo annovera tra i suoi protagonisti.

 

Stima   € 40.000 / 60.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
18

Antonio Pirri

(Bologna? – documentato nel 1511)

PRESENTAZIONE DI GESÙ AL TEMPIO

olio su tavola, cm 69x53,5

 

THE PRESENTATION OF THE CHRIST CHILD IN THE TEMPLE

oil on panel, cm 69x53,5

 

Provenienza

Roma, Palazzo Caetani

 

Bibliografia

A. Martini, Un inedito di Antonio Pirri, in “Arte Antica e Moderna” 1961, 13-16, pp. 195-96, tav. 77; M. Natale, Museo Poldi Pezzoli. Dipinti, Milano 1982, p. 129; S. Tumidei, voce “Pirri, Antonio” in La Pittura in Italia. Il Cinquecento, a cura di Giuliano Briganti, Milano 1988, p. 806

 

Referenze fotografiche

Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione; Fototeca Federico Zeri, scheda 59713.

 

Presentiamo qui per la prima volta la preziosa tavoletta nota fino a questo momento solo grazie alla fotografia pubblicata nel 1961 da Antonio Martini che la aveva rintracciata nell’archivio di Corrado Ricci, pioniere negli studi sulla pittura romagnola.

Se le note di quest’ultimo riferivano l’opera alla produzione di Francesco e Bernardino Zaganelli da Cotignola o, in alternativa, ad Antonio Pirri, il confronto con le opere firmate di quest’ultimo, in particolare la Visitazione del Museo Poldi Pezzoli a Milano suggerì invece a Martini di restituirgli l’opera con assoluta certezza, in seguito condivisa da quanti si sono occupati del pittore.

Sebbene le tavole firmate del Poldi Pezzoli (oltre alla citata Visitazione, un San Sebastiano) fossero note fin dagli inizi del XX secolo, si deve a Roberto Longhi la prima lettura critica di Antonio Pirri e la sua collocazione accanto agli Zaganelli, ad Amico Aspertini e al primo Mazzolino, ovvero tra gli episodi salienti intercorsi tra Bologna, Ferrara e la Romagna ricostruiti nelle pagine dell’Officina ferrarese, dove Longhi rendeva nota un’altra tavola firmata di Antonio Pirri, la terza e ultima che di lui si conosca.

Sorprendente è poi constatare come le righe dell’Officina che lo riguardano seguano immediatamente il noto passo sulla “civiltà delle grottesche” trasmesse da Roma all’Italia del nord attraverso l’Umbria e la Romagna grazie ad artisti itineranti come Amico Aspertini, e diffuse dalla “brigata” a cui Longhi, pur non conoscendo l’opera qui presentata, aggregava anche il Nostro.

Sono appunto i motivi classicheggianti liberamente rielaborati nei modi più eccentrici ed esaltati dalla vivace policromia sul fondo dorato a caratterizzare il nostro dipinto, ripetuti sulle lesene e gli archi delle campate dell’improbabile loggiato “all’antica” ove ha luogo la presentazione del Bambino. Al rigore geometrico dello spazio prospettico, sottolineato dalle specchiature di marmi variegati, fa contrasto il gusto nordicizzante delle figurine, forse esemplato su modelli incisi non rintracciati, evidente nelle vesti e nelle acconciature delle protagoniste femminili, come nel profilo aguzzo del personaggio anziano a sinistra dell’altare. Motivi che ritroviamo testualmente nella Visitazione milanese e, declinati in modo appena diverso, nella predella con miracoli di Sant’Antonio di Francesco Zaganelli a Berlino, Gemäldegalerie e in altre opere dell’artista romagnolo.

La coesistenza di motivi nordici con altri derivati dall’antico ma piegati a un’intenzione anti-classica quando non decisamente grottesca caratterizza la produzione di Amico Aspertini in opere di formato esiguo come in quelle monumentali, quali gli affreschi nell’Oratorio di Santa Cecilia, verso il 1506. Sono questi probabilmente, insieme alle prime prove di Lorenzo Costa, presente anche lui nell’oratorio bolognese, i testi su cui si forma Antonio Pirri. L’unico documento che a lui si riferisca, la perizia sulla pala d’altare licenziata nel 1511 dal bolognese Antonio Rimpatta per la chiesa napoletana di San Pietro ad Aram lo ricorda infatti come “Maestro Antonio Pirro di Manfreda da Bologna”.

 

Opera dichiarata di interesse culturale particolarmente importante dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Prato e Pistoia il 29 aprile 2020 (n. notifica 597).

 

The Italian Soprintendenza considers this lot to be a work of national importance and requires it to remain in Italy; it cannot therefore be exported from Italy.

 

 

Stima   € 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione
5

Domenico di Zanobi (Maestro della Natività Johnson)

(Firenze, documentato dal 1467 al 1481)

MADONNA IN ADORAZIONE DEL BAMBINO CON SAN GIUSEPPE E SAN GIOVANNINO

tempera e oro su tavola centinata, cm 159x88,5

 

MADONNA WITH CHILD, SAINT JOSEPH AND SAINT JOHN THE BAPTIST

tempera and gold on arched panel, cm 159x88,5

 

Bibliografia di confronto

E. Fahy, Some notes on the Stratonice Master, in “Paragone”, 197, 1966, p. 28; G. Landolfi, Il Maestro della Natività Johnson, in Il “Maestro di San Miniato”. Lo stato degli studi, i problemi, le risposte della filologia, a cura di G. Dalli Regoli, Pisa 1988, pp. 242-307; A.M. Bernacchioni, Documenti e precisazioni sull’attività tarda di Domenico di Michelino: la sua bottega di Via delle Terme, in “Antichità Viva”,6, 1990, pp. 5-14; A.M. Bernacchioni, Le botteghe di pittura: luoghi, strutture e attività, in Maestri e botteghe, a cura di M. Gregori, A. Paolucci, C. A. Luchinat, Cinisello Balsamo 1992, pp. 23-34; C. Lachi, Il problema della bottega di Filippo Lippi: nuove scoperte, in M.P. Mannini, La natività di Filippo Lippi: restauro, saggi e ricerche, Pisa 1995, p. 34; A.M. Bernacchioni, Una proposta di identificazione per il Maestro della Natività Johnson, collaboratore di Filippo Lippi a Prato, in La Toscana al tempo di Lorenzo il Magnifico, 1, Pisa 1996, pp. 313-323; C.B. Strehlke, Italian paintings, 1250-1450, in the John G. Johnson Collection and the Philadelphia Museum of Art, Philadelphia 2004, pp. 121-123.

 

La tavola, incorniciata entro un elegante tabernacolo intagliato e dorato, si colloca all’interno della serie di Adorazioni eseguite dal Maestro della Natività Johnson - identificato con il fiorentino Domenico di Zanobi - secondo schemi compositivi talvolta ripetuti e realizzate in gran parte, come nel nostro caso, con un formato centinato.

Il nome convenzionale di Maestro della Natività Johnson fu proposto da Everett Fahy nel 1966 sulla base dell’Adorazione del Bambino della collezione Johnson, l’opera meglio conosciuta agli studi storico artistici del corpus di tale artefice, accresciutosi, sulla base dei dipinti raccolti da Fahy, negli approfondimenti critici successivi che ne hanno ricostruito anche la formazione attraverso i cambiamenti stilistici.

Nel 1990 Anna Maria Bernacchioni ha identificato l’artista con Domenico di Zanobi che risulta iscritto nel 1445 alla compagnia di San Zanobi delle Laudi che si adunava in Santa Maria del Fiore.

A seguito di tale identificazione è stato inoltre possibile chiarire taluni aspetti relativi ai collaboratori di Filippo Lippi tra cui va senza dubbio annoverato Domenico di Zanobi da individuare con il maestro di nome Domenico documentato come aiutante di Lippi nel 1460 per l’altare della compagnia dei Preti di Santa Trinità a Pistoia. Il pittore fu infatti a lungo scolaro e collaboratore di Lippi e anche dopo la morte di quest’ultimo collaborò con il figlio Filippino per portare a termine opere lasciate incompiute da Filippo.

Domenico di Zanobi ricevette quindi negli anni ’70 due importanti commissioni quali la Lamentazione sopra la testa di Cristo per la chiesa di Santa Felicita, da parte di Caterina Frescobaldi Pitti, e la Vergine del Soccorso per la cappella dei Velluti in Santo Spirito.

Se innegabile è l’identità di impostazione con il dipinto già di proprietà di John G. Johnson (oggi Philadelphia Museum of Art, cat. 61), con l’inserimento dell’episodio dell’annuncio ai pastori alle spalle dei protagonisti della scena, altresì evidente è l’utilizzo della medesima tipologia di volti riscontrabile per esempio nella dolcissima Madonna con in braccio il bambino conservata presso Upton House (The National Trust, Banbury, Warwickshire, Regno Unito, inv. 58; Fondazione Zeri, scheda 13502).

Stima   € 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione
48

Andrea Scacciati

(Firenze, 1642-1710)

VASO DI FIORI ALL’APERTO, SU UNA PIETRA; SULLO SFONDO, PIANTE SELVATICHE E UN TAPPETO, CON URNA E VASI METALLICI SU UN PIEDISTALLO

olio su tela, cm 125x180,5

firmato e datato "A. Scacciatj 1679" in basso a destra su una pietra (le C incrociate)

 

FLOWERS IN A VASE, ON A STONE; WILD PLANTS AND A CARPET ON A BACKGROUND WITH AN URN AND VASES ON A BASE

oil on canvas, cm 125x180,5

 

Provenienza

New York, Sotheby’s, 19 Gennaio 1984, n. 62.

 

Bibliografia

L. Salerno, La natura morta italiana 1560-1805, Roma 1984, p. 297, fig. 84.1.

M. Cinotti, Catalogo della pittura italiana dal 300 al 700, Milano 1985, p. 307.

G. e U. Bocchi, Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra XVII e XVIII secolo, Casalmaggiore 1998, p. 498, fig. 626.

S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del 600 e 700: biografie e opere, Firenze 2009, I, p. 252.

S. Bellesi, Andrea Scacciati pittore di fiori, frutta e animali a Firenze in età tardobarocca, Firenze 2012, p. 110, n. 20.

 

 

Pubblicata per la prima volta da Luigi Salerno nel 1984, questa sofisticata composizione di Andrea Scacciati è stata ripetutamente celebrata come uno dei capolavori dell’artista fiorentino.

La storia del nostro dipinto è stata doviziosamente ricostruita da Sandro Bellesi attraverso stringenti confronti con un gruppo di opere analoghe per imponenza di formato e per impianto compositivo. Si menzionano in particolare la coppia di tele, di cui una firmata e datata 1678, che, esposte nel 1964 alla storica mostra sulla natura morta italiana tenuta a Napoli, a Zurigo e a Rotterdam, segnarono in qualche misura la riscoperta di Andrea Scacciati, fino a quel momento confuso con altri fioranti, e la sua consacrazione tra i protagonisti della natura morta barocca (La natura morta italiana. Catalogo della mostra, Milano 1964, pp. 79-80, nn. 166-167, tavv. 76 a-b).

Al pari del nostro dipinto, le tele citate raffigurano una variazione sul tema, assai familiare all’estetica barocca, del paragone tra natura e artificio accostando un bouquet di fiori variopinti raccolti in un vaso sbalzato a una pianta selvatica, fiorita spontaneamente sul terreno sassoso.

Impreziosiscono la nostra composizione i vasi in metallo e il tappeto dalla frangia dorata posti a sinistra, motivi che confermano la relazione intrattenuta da sempre da Scacciati con la scuola romana, sottolineata per la prima volta da Mina Gregori nel 1964 a proposito della sua produzione di fiori.

Insolita l’ambientazione notturna, che non riscontriamo nelle altre sue composizioni all’aperto fin qui note: una scelta atta a far risaltare la brillante cromia dei suoi fiori recisi, anemoni e tulipani in tutte le gradazioni del rosa, le pieghe sontuose del panno con la bordura dorata e i bagliori metallici.

 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
54

Adam Frans van der Meulen

(Bruxelles 1632 – Parigi 1690)

L’ARMATA DI LUIGI XIV ACCAMPATA DAVANTI A TOURNAI NEL 1667

olio su tela, cm 74x115

 

THE ARMY OF LOUIS XIV IN VIEW OF TOURNAI IN 1667

oil on canvas, cm 74x115

 

Attivo a Parigi a partire dal 1664 come collaboratore di Charles Lebrun nella realizzazione degli arazzi della manifattura di Gobelins destinati a celebrare la vita e le imprese del Re Sole, Van der Meulen fu nominato “Pittore delle conquiste del Re” documentando, in particolare, la campagna di Fiandra del 1667 nell’ambito della Guerra di Devoluzione. A questa serie appartiene appunto la veduta di Tournai, realizzata in primo luogo nella tela di grandi dimensioni (cm 207x344) ora nel Musée des Beaux Arts di Bruxelles, di cui il dipinto qui offerto costituisce la replica.

Nominato “Peintre ordinaire du Roi” nel 1673, anno in cui entrò a far parte della Académie des Peintres, Van der Meulen replicò infatti, su richiesta reale, le tele di grandi dimensioni che ne documentavano le imprese militare realizzandone versioni minori destinati ai castelli e alle residenze aristocratiche. Tra queste, il dipinto qui offerto costituisce un ottimo esempio delle sue accurate vedute topografiche animate nel primo piano da scene di vita militare con veri e propri ritratti. La verosimiglianza dei luoghi e delle singole scene è testimoniata dai numerosissimi disegni eseguiti dal pittore fiammingo e relativi ai luoghi visitati al seguito dell’Armata, come risulta dai documenti che certificano i suoi viaggi, e dagli studi di figure e cavalli che costituiscono il suo ricchissimo corpus grafico.

 

 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
22

Seguace di Annibale Carracci, sec. XVII

IL MANGIAFAGIOLI

olio su tela, cm 87,5x113

 

Follower of Annibale Carracci, 17th century

THE BEAN - EATER

oil on canvas, cm 57,5x113

 

Provenienza

Londra, mercato antiquario, 1952; Roma, collezione Luigi Salerno; Roma, Finarte, “Mobili, arredi, dipinti e libri dallo studio di Luigi Salerno”, 5 Aprile 2000, lotto 760; Milano, collezione privata

 

Esposizioni

Bologna 1584. Gli esordi dei Carracci e gli affreschi di palazzo Fava. Bologna, Pinacoteca Nazionale, 13 ottobre – 16 dicembre 1984, n. 83

 

Bibliografia

E. Battisti, Profilo del Gobbo dei Carracci, in “Commentari” V, 1954, p. 298; D. Posner, Annibale Carracci. A Study in the Reform of Italian Painting around 1590,  Oxford 1971, p. 5, n. 8; Bologna 1584. Gli esordi dei Carracci e gli affreschi di palazzo Fava. Catalogo della mostra, Bologna 1984, n. 83.

 

Esempio straordinario del primo naturalismo “lombardo” alla fine del Cinquecento, e più recentemente assurto a vera e propria icona della cucina italiana, il Mangiafagioli dipinto da Annibale Carracci circa il 1584 conobbe, imprevedibilmente, fortuna immediata tanto da essere modello per la versione appena più tarda che qui presentiamo, e per una copia seicentesca segnalata dagli studi moderni ma non rintracciata.

Nato come studio “dal naturale”, al pari del Ragazzo che beve recentemente trafugato a Oxford, il Mangiafagioli è documentato per la prima volta nel 1678 nella collezione Pallavicini con la corretta attribuzione (“Un villano che mangia fagioli… mezza figura al naturale di Annibale Carracci), così poco scontata da lasciar intuire l’esistenza di una precoce documentazione circa il suo autore. Passò quindi nella collezione Colonna dove alla fine del Settecento la guida del Ramdohr lo ricordava come “Bambocciata di Annibale Carraccio, piena di verità”.

Più complicata la sua vicenda critica nel corso del Novecento, e oscillante tra i nomi di Bartolomeo Passerotti e Pietro Paolo Bonzi (Il Gobbo dei Carracci, per l’appunto, secondo il Malvasia) con significative varianti nella datazione, fino al generale riconoscimento di Annibale Carracci, proposto in occasione della mostra bolognese del 1956 e mai più messo in discussione.

Avanzata da Hoogewerff nel 1923, l’attribuzione a Pietro Paolo Bonzi (Cortona 1576 circa – Roma 1636) per il dipinto della Galleria Colonna si era intanto estesa anche alla tela qui presentata, ricordata da Eugenio Battisti in un primo intervento sul pittore cortonese.

Ne resta oggi non identificabile l’autore che, nell’accentuazione delle ombre e degli aspetti in qualche modo caricaturali della figura, sembra recuperare il gusto più arcaico di un Passerotti piuttosto che lo studiato naturalismo di Pietro Paolo Bonzi, come documentato nel Ragazzo con melone già a Berlino, dalla collezione Giustiniani che, sebbene distrutto, costituisce uno dei rari esempi della sua produzione documentata.

 

Stima   € 15.000 / 20.000
27

Giacomo Cipper detto Todeschini

(Feldkirch 1664 – Milano 1736)

COPPIA DI AMANTI E SUONATORE DI ZAMPOGNA

olio su tela, cm 89x123

 

A COUPLE OF LOVERS AND A PIPER

oil on canvas, cm 89x123

 

Esposizioni

La natura e la grazia, Cesena, Galleria Comunale d’Arte, 30 giugno – 9 settembre 2012, n. 29

 

Bibliografia

P. Di Natale, in La natura e la grazia. Catalogo della mostra a cura di A. Giovanardi, Cesena 2012, pp. 90-91, n. 29

 

Opera tipica del Todeschini, attivo a Milano dall’ultimo decennio del Seicento e così chiamato per le sue origini transalpine, il dipinto ripropone – forse inconsapevolmente- un motivo tipico della pittura veneziana del primo quarto del Cinquecento in cui una coppia di amanti è accompagnata da un musico, scoperta allusione all’armonia della relazione amorosa. Se tuttavia gli aristocratici amanti della scuola detta (impropriamente) giorgionesca, accompagnati da un suonatore di liuto, aspiravano a una relazione esclusivamente spirituale, gli strumenti a fiato – in questo caso la zampogna – alludono invece all’amore carnale, di cui sono generalmente protagonisti personaggi di estrazione popolare.

Questa connotazione appare sottolineata, nel nostro dipinto, anche dai cibi rustici – pane e formaggio, e un boccale di vino che il protagonista solleva con entusiasmo – splendido brano di natura morta in primo piano nella composizione.

Come sottolineato da Pietro Di Natale, che per primo è intervenuto sul dipinto, la nostra tela presenta le più strette assonanze compositive con i Giocatori di carte di raccolta privata, di nuovo tre figure ai lati di un tavolo con la stessa natura morta rustica, e identico sfondo di roccia e cielo. I personaggi del nostro dipinto si ritrovano poi in altre tele del Todeschini, quali la figura femminile nel Ciabattino e donna che lavora a maglia, mentre la figura a sinistra nei Giocatori di filetto e soldato differisce dal nostro protagonista maschile solo per l’aggiunta di un paio di baffi spioventi sulle labbra carnose.

 

Stima   € 15.000 / 20.000
28

Francesco Zuccarelli

(Pitigliano, 1702 – Firenze, 1788)

 

MACBETH E LE STREGHE

olio su tavola, cm 33x44,5

iscritto al retro “Ante Dressing Room/Lord George Cavendish”

 

MACBETH AND THE WITCHES

oil on panel, cm 33x44,5

inscribed on the back “Ante Dressing Room/Lord George Cavendish”

 

Esposizioni

Galleria Levi, Milano, 1967 (come da etichetta al retro)

 

Bibliografia

M. Precerutti Garberi, 700 veneto: paesaggi e vedute. Catalogo della mostra, Milano, Galleria Levi, 1967, pp. 8-9, n.1, fig.1; R. Pallucchini, La Pittura nel Veneto. Il Settecento, Milano 1996, II, p. 330; F. Spadotto, Francesco Zuccarelli, Milano 2007, pp. 38-39; p. 55, nota 135; pp. 153-54, n. 304; fig. 47.

 

Da tempo noto agli studi sull’artista, e assente invece dal mercato per oltre mezzo secolo, il dipinto qui offerto costituisce uno degli esiti più interessanti del primo soggiorno londinese di Francesco Zuccarelli, durato un decennio a partire dal 1752. Si tratta, più esattamente, dell’unica versione attualmente nota di un soggetto di ispirazione shakespeariana così richiesto dal pubblico inglese da essere replicato in più esemplari, uno dei quali esposto dall’artista alla Society of Artists nel 1767.

Come ricostruito da Michael Levey, cui si deve uno dei primi studi moderni sul pittore (Francesco Zuccarelli in England, in “Italian Studies” XIV, 1959, pp. 1-20, in particolare le pp. 6-8, tav. I) fu probabilmente il successo della rappresentazione del Macbeth portata in scena a Londra da David Garrick (1717 – 1779) a suggerire a Zuccarelli questo soggetto per lui inconsueto e appunto dedicato al pubblico inglese. Fu realizzato una prima volta su tela nel 1760 in una composizione quasi identica alla nostra, oggi non rintracciata ma documentata da un’incisione di William Woollett del 1770 che riproduce il dipinto allora nella collezione di William Lock; la stampa ne costituisce attualmente l’unico ricordo, oltre alla menzione in un catalogo di vendita nel 1801.

Già nel 1761 era andato in asta presso Prestage un dipinto raffigurante “Macbeth and Banquo meeting the wayward Sisters in a Storm” descritto come dalla collezione di Sir William Hamilton; verosimilmente è lo stesso dipinto di nuovo sul mercato londinese nel 1783 per conto di Charles Hamilton. Il catalogo di vendita presso Christie’s non ne specifica tecnica e dimensioni e non è quindi possibile sapere se si tratti della versione qui offerta; è invece curiosa, ma in qualche modo appropriata, la nota che lo paragona con favore a “P. Lauro”, ovvero Filippo Lauri, celebrato per le sue scene a piccole figure.

Una versione su tavoletta “molto stretta”, e quindi probabilmente diversa dalla nostra, era infine documentata a Grosvenor House nel 1821; rimasta nella collezione, fu venduta dal Duca di Westminster nel 1925.

 

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
11

Alberto Carlieri

(attivo a Roma; ?1672 – c. 1720

PROSPETTIVE ARCHITETTONICHE CON FIGURE

coppia di dipinti, olio su tela, cm 71x97

(2)

 

ARCHITECTURAL CAPRICCI WITH FIGURES

oil on canvas, cm 71x97, a pair

(2)

 

Insolitamente articolati negli sfondi marini, forse dovuti alla mano di un collaboratore, i dipinti qui presentati appaiono tuttavia senz’altro riconducibili alla produzione di Alberto Carlieri, pittore di prospettive architettoniche individuato per la prima volta nel 1959 da Hermann Voss sulla base di alcune tele firmate per esteso, e ricostruito in modo esauriente da David Marshall, che ne ha curato un catalogo coerente e ricco di numeri (D.R. Marshall, The architectural piece in 1700: the paintings of Alberto Carlieri (1672-c. 1720) pupil of Andrea Pozzo, in “Artibus et Historiae” 25, 2004, 50, pp. 39-126). Molte fra le opere a lui restituite erano state in precedenza catalogate da Ferdinando Arisi come prove giovanili di Gian Paolo Panini, ciò che spiega il successo commerciale delle opere di Carlieri comparse sul mercato negli anni Novanta del secolo scorso.

Anche i nostri dipinti, in particolare il secondo della coppia qui presentata, rimandano a una questione legata, forse impropriamente, all’artista piacentino: il motivo del porticato con colonne ioniche aggettanti che sorreggono un architrave sormontato da statue, ricorrente in parecchi numeri del Carlieri, deriva dal noto dipinto (in realtà molto citato ma visto da pochi) nel Museo Cristiano di Esztergom, la cui attribuzione oscilla da tempo tra Panini e Ghisolfi (D.R. Marshall, Early Panini reconsidered: the Esztergom “Preaching of an Apostle” and the relationship between Panini and Ghisolfi, in “Artibus et Historiae” 18, 1997, 36, pp. 137-99).

Dallo stesso dipinto, sebbene qui con maggior respiro grazie al formato orizzontale, deriva il colonnato di ordine corinzio a sinistra nella nostra tela. Anche le figurine in primo piano trovano precisi riscontri nelle opere del Carlieri, su cui si veda l’esauriente intervento di Giancarlo Sestieri (in Il capriccio architettonico in Italia nel XVII e XVIII secolo, Roma 2015, I, pp. 160-209) con ampio corredo di immagini e numerosi confronti con le tele qui presentate.

 

 

Stima   € 12.000 / 18.000
55

Pier Leone Ghezzi

(Roma 1674 – 1755)

RITRATTO DEL CARDINALE ANNIBALE ALBANI

olio su rame, ovale, cm 18x14

firmato e dedicato sulla lettera

 

PORTRAIT OF CARDINAL ANNIBALE ALBANI

oil on copper, an oval, cm 18x14

signed and dedicated on the letter

 

Inedito e per il momento non documentato, questo delizioso ritratto – prezioso anche nel supporto lucente e nel piccolo formato – costituisce un esempio assai raro di ritratto informale, quasi immagine “rubata” all’insaputa del soggetto, e insieme un magnifico esempio di quell’attitudine a coglierne l’essenza che Leone Pascoli attribuiva al Ghezzi riferendosi però alle sue caricature: “dilettasi ancora di far ritratti caricati, e veduto che ha una volta sola il soggetto ne forma sì forte e viva impressione, che nulla più gli bisogna per farli simili”.

Colto nell’attimo di volgere lo sguardo dalla lettera che ha in mano, quasi inseguendo un pensiero improvviso o rispondendo al saluto di un interlocutore sopraggiunto a sua insaputa, il nipote del papa regnante è qui davvero giovanissimo, appena dopo la nomina a cardinale, avvenuta il 23 dicembre 1711 e perfezionata il 2 marzo 1712 con l’attribuzione del titolo di S. Eustachio.

Nato a Urbino nel 1682 e dunque appena trentenne al momento di vestire la porpora, fin dal 1709 Annibale Albani aveva iniziato la carriera diplomatica come nunzio apostolico a Vienna e poi a Colonia. Tornato a Roma nel 1711, insieme alla nomina cardinalizia ricevette quella di segretario dei memoriali.

Si potrebbe supporre che il nostro dipinto nasca nelle stesse circostanze di quello, da tempo noto, che Ghezzi dipinse su tela ritraendo il giovane porporato frontalmente e in una posa appena più formale mentre, assorto in un pensiero, solleva lo sguardo dalla lettera che, come nel nostro caso, reca la dedica di Pier Leone Ghezzi (fig. 1; già collezione Castelbarco Albani; Firenze, Sotheby’s, 22-24 maggio 1973). Sebbene i tratti vi appaiano più marcati e soprattutto appesantiti dalla posa frontale, identica è la sprezzatura nei riflessi della mozzetta.

È quindi verosimile che il nostro rametto ne costituisca una variante più intima, omaggio personale di Pier Leone Ghezzi al nipote di Clemente XI che appunto nel 1712 inaugurava la sua committenza al pittore nel campo delle opere pubbliche, affidandogli l’esecuzione di una delle pale nella cappella di famiglia a S. Sebastiano fuori le mura, cui seguiranno nel 1715 gli affreschi nella basilica di S. Clemente e nel 1718 gli Apostoli a S. Giovanni in Laterano.

 

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
36

Stefano Camogli detto il Camoglino

(Genova, 1610 circa – 1690)

VASO DI FIORI CON SCIMMIA

olio su tela, cm 90x146

 

FLOWERS IN A VASE AND A MONKEY

Oil on canvas, cm 90x146

 

Provenienza

Londra, Christie’s, asta 14/4/1999, lotto 113

 

Bibliografia

A. Orlando, “Pittore eccellente di arabeschi, di fogliami, di fiori, di frutti”. Stefano Camogli in casa Piola, in D. Sanguineti, Domenico Piola e i pittori della sua “casa”, Soncino 2004, pp. 77-100, fig. 28; A. Orlando in Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600-1640, catalogo della mostra a cura di A. Orlando, Genova 2018, fig. 2, p. 248.

 

Riconosciuto quale autografo di Stefano Camogli da Anna Orlando successivamente al passaggio sul mercato inglese come cerchia di Nicola Giuli, la tela costituisce un tipico esempio dell’attività del pittore genovese, allievo del fiammingo Jan Roos - attivo a Genova dal 1616 al 1638 – e in seguito naturamortista indipendente e stretto collaboratore del cognato Domenico Piola.

Rispetto al maestro che dipinge attraverso un susseguirsi di diafane velature, Camogli ha un modo assai più materico di rendere la consistenza di fiori, vasellame e animali, avvalendosi di una preparazione rossastra: la scimmietta che, dispettosa, sembra voler strappare le due ortensie bianche presenta la pennellata a tratteggio tipica del Grechetto, utilizzata anche dal Camoglino.

Ritroviamo poi nell’opera offerta uno dei suoi topoi compositivi, il protagonismo di un vaso descritto nella ricchezza dei diversi dettagli preziosi, nel nostro caso la montatura dorata con un’aggettante testa di cherubino, forse citazione di una delle opulente suppellettili che ornavano le dimore dei facoltosi committenti genovesi. Assai probabile una sua collocazione quale sovrapporta per il gioco di finzione sullo sfondo con la decorazione architettonica a conchiglia entro cui sono sistemati in perfetto equilibrio i vari elementi raffigurati.

Anna Orlando, accostando questo Vaso di fiori con scimmia alla Natura morta con vaso di fiori e volatile come Vanitas, di collezione privata, esposta a Genova nel 2018 (A. Orlando in Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600-1640, catalogo della mostra a cura di A. Orlando, Genova 2018, scheda II.4, pp. 248-249.), suggeriva una sua collocazione tra le opere più precoci di Stefano Camogli, quando più evidente è la lezione del Roos, soprattutto a livello compositivo; una lezione volta successivamente dal genovese, nei tardi anni trenta, in chiave più decisamente barocca.

 

Stima   € 10.000 / 15.000
38

Maximilian Pfeiler

(attivo a Roma – documentato dal 1694 al 1721)

NATURA MORTA DI FRUTTA E FIORI SU SFONDO DI PAESAGGIO

olio su tela, cm 97x123

firmato sulla pietra in basso a sinistra; in basso a destra il numero 1315 a vernice gialla

 

STILL LIFE WITH FRUITS AND FLOWERS IN A LANDSCAPE BACKGROUND

oil on canvas, cm 97x123

signed on the stone lower left; the number 1315 in yellow varnish lower right

 

Splendida composizione di frutta all’aperto, il dipinto qui presentato riunisce, anche in virtù delle importanti dimensioni, molti fra i motivi sperimentati da Pfeiler nel corso della sua fortunata attività. Alcuni di essi – fichi e gelsomini riflessi su un piatto d’argento; pesche rosseggianti dalle lunghe foglie arricciate; l’elegante brocca in metallo – derivano dai modelli del suo primo maestro, Christian Berentz, che Pfeiler include nel suo repertorio combinandoli instancabilmente in composizioni sempre più esuberanti, tipiche delle istanze decorative della natura morta tardo-barocca.

Significativo fu anche l’esempio di Franz Werner Tamm, non tanto nella scelta dei singoli elementi quanto nella loro presentazione all’aperto: un dato particolarmente evidente nel dipinto qui offerto in cui la composizione di frutta, immaginata sulla riva di un corso d’acqua come talvolta nelle opere del maestro amburghese, si iscrive con sapienza tra fronde e elementi marmorei sullo sfondo di cielo.

Per la varietà di motivi e la qualità con cui furono realizzati, questo dipinto si accosta in particolare alla serie di quattro tele di formato verticale in collezione privata a Modena pubblicate da Gianluca e Ulisse Bocchi (Pittori di natura morta a Roma. Pittori stranieri 1630 – 1750, Viadana, 2006, pp. 332-335).

 

 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
19

Giuseppe Nogari

(Venezia 1699-1763)

BUSTO DI RAGAZZO

olio su tela, cm 53x43

 

BUST OF A BOY

oil on canvas, cm 53x43

 

Il bel dipinto qui offerto è indubbiamente una delle prove più riuscite di Giuseppe Nogari, il cui catalogo è stato troppo spesso appesantito da repliche e derivazioni che, pur documentando il successo di opere richieste dai maggiori collezionisti del tempo, non ha giovato a una corretta valutazione del suo talento, che qui pienamente si esprime.

Iscritto alla Fraglia dei pittori veneziani nel 1726 dopo la formazione nella bottega di Antonio Balestra e un possibile viaggio a Bologna, Nogari esordì nel 1733 come pittore di pale d’altare: un genere poco congeniale alle sue qualità e subito abbandonato su suggerimento del nobile milanese Ottavio Casnedi che gli commissionò, secondo quanto riporta l’Abecedario di Pellegrino Orlandi (ed. 1753) una serie di mezze figure.

Che questa conversione a un genere nuovo e richiesto in tutte le corti europee, coltivato negli stessi anni da Giovan Battista Piazzetta come da artisti francesi, avvenisse prima del 1736 è documentato dalla data di quell’anno iscritta al verso di una delle quattro tele commissionate a Nogari dal conte Carl Gustav Tessin, ora nel Museo Nazionale di Stoccolma. Anche alla corte di Torino, dove fu attivo in palazzo Reale e a Stupinigi con una serie di sovrapporte di soggetto allegorico, Nogari riscosse il maggior successo con le “teste di carattere” di gusto olandese dipinte per il Gabinetto degli Specchi o delle Miniature, oltre che in singole tele ora alla Sabauda. La sua adesione ai modelli olandesi del Seicento si iscrive nella moda rembrandtiana coltivata a Venezia anche attraverso l’incisione, in particolare da Giovan Battista Tiepolo. Richieste da Carlo Emanuele III di Savoia come da Augusto III di Sassonia, le sue figure di genere sono ricordate dai più sofisticati conoscitori della seconda metà del secolo, tra cui Francesco Algarotti e Pierre-Jean Mariette.

 

 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
23

Bartolomeo Arbotori

(Piacenza 1585 – 1676)

POLLAME E ORTAGGI SU UN PIANO, CON UNA TESTA DI VITELLO

olio su tela, cm 125,5x162,5

 

POULTRY AND VEGETABLES ON A STONE LEDGE WITH A CALF’S HEAD                     

oil on canvas, cm 125,5x162,5

 

La composizione riunisce molti dei motivi tipici della vasta produzione di Bartolomeo Arbotori, in perfetta corrispondenza con le rare opere firmate intorno alle quali è stato ricostruito il suo catalogo a partire dagli studi di Ferdinando Arisi e di Luigi Salerno, e con quanto riportato negli inventari di collezioni piacentine e parmensi, pubblicati per la prima volta da Giuseppe Campori nel 1870, dove questi soggetti figuravano sotto il nome del misterioso “Rovertore”.

Probabile maestro di Felice Boselli e fonte di gran parte dei soggetti trattati dal più giovane pittore piacentino, Arbotori si dedicò con maggiore costanza alla raffigurazione di interni di cucina o comunque degli ingredienti – animali o vegetali – di molte ricette tipiche dell’area padana, arricchite da utensili e da animali vivi.

Il nostro dipinto trova confronti specifici con la Natura morta con pollame e testa di vitello nella raccolta della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, disposta anch’essa su un piano di pietra irregolare e, sebbene più essenziale, con la magnifica coppia di tele già in collezione Candiani, dove selvaggina, pesci e pollame si alternano su lastre di pietra sapientemente articolate. Per queste e altre opere dell’Arbotori, si veda l’intervento di Lanfranco Ravelli, in Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra XVII e XVIII secolo. A cura di Gianluca e Ulisse Bocchi, Casalmaggiore 1998, pp. 248-76, in particolare le figg. 320-21 e 331-32.

Stima   € 8.000 / 12.000
31

Bernardino Nocchi

(Lucca, 1741 – Roma,1812)

AUTORITRATTO

olio su tela, cm 58x44,5

firmato e datato “Ber. no Nocchi 1763” sul margine del dipinto raffigurato sul cavalletto

 

SELFPORTRAIT

oil on canvas, cm 58x44,5

signed and dated "Ber.no Nocchi 1763"

 

Provenienza

Lucca, Bartolomeo Antonio Talenti (?); Lucca, eredi Nocchi

 

Bibliografia

R. Giovannelli, Nuovi contributi per Bernardino Nocchi, in “Labyrinthos” 4, 1985, 7/8, p. 119, fig. 1; R.P. Ciardi, Bernardino Nocchi, in “Recensir col tratto”. Disegni di Bernardino e Pietro Nocchi, catalogo della mostra (Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi), Lucca 1989, pp. 9 e 31, nota 5; A. Nannini, Bernardino Nocchi. Un esordiente pittore lucchese si misura con i grandi artisti del suo tempo, in “Luk” 19, 2013, pp. 29-30, fig. 4; p. 32, nota 23.

 

Già noto agli studi sul pittore lucchese grazie alla fotografia in bianco e nero conservata dai suoi eredi e a un inventario manoscritto che lo descrive con esattezza, l’autoritratto giovanile di Bernardino Nocchi è qui presentato per la prima volta al pubblico di studiosi e collezionisti.

È possibile (ma la presenza in casa di Ida Nocchi sembra smentirlo, e suggerire l’esistenza di un’altra, più compiuta versione) che si tratti del dipinto donato dal pittore al suo primo mecenate lucchese, Bartolomeo Antonio Talenti: in una lettera scritta da Lucca nel 1806 Pietro Nocchi scriveva al padre di aver visto in casa Talenti il suo ritratto “in veste da camera di anni 22, che è molto annerito", un dato che non trova riscontro nella condizione smagliante del nostro.

La data del 1763 apposta lungo il margine superiore della tela finta sul cavalletto raffigurante un satiro e un amorino – probabile opera giovanile non ancora rintracciata – fissa comunque a ventidue anni l’età del giovane pittore che, terminata la sua formazione nello studio del Diecimino, già nel 1766 fu associato all’Accademia lucchese di Pittura e Scultura, divenendone l’anno successivo uno dei quattro direttori.

Nel 1769 Nocchi si trasferì a Roma insieme all’allievo Stefano Tofanelli, che nel 1783 raffigurerà il maestro, insieme al padre e al fratello Agostino, nel proprio Autoritratto, ora nel Museo di Roma a palazzo Braschi.

Prima commissione di rilievo, la decorazione della galleria, o sala dei Fasti Prenestini del palazzo del cardinale Gianfrancesco Stoppani, ora Vidoni-Caffarelli, presso la chiesa di Sant’Andrea della Valle, compiuta nel 1774; nel 1776 fu chiamato dal principe Marcantonio IV Borghese a dipingere tempere di soggetto mitologico nel palazzo in Campomarzio.

 

Stima   € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 30  di 59