ARTE È RICERCA | DIPINTI SCULTURE E OGGETTI D'ARTE DA UNA RACCOLTA FIORENTINA

16 NOVEMBRE 2022

ARTE È RICERCA | DIPINTI SCULTURE E OGGETTI D'ARTE DA UNA RACCOLTA FIORENTINA

Asta, 1187
Firenze
Palazzo Ramirez Montalvo
ore 15.30
lotti: 1-88
Esposizione
FIRENZE
Sabato 12 novembre 2022 10-18
Domenica  13 novembre 2022 10-13
Lunedì 14 novembre 2022 10-18
Martedì 15 novembre 2022 10-18

 
 
 
Stima   800 € - 80000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 88
1

CORNICE DA SPECCHIO A EDICOLA, FIRENZE, 1510 CIRCA

in noce intagliato e scolpito con lumeggiature in oro, sottile battuta liscia si porta su profilo dentellato e successivamente baccellato, di forma architettonica presenta frontone con architrave aggettante analogamente decorato su fascia impreziosita da girali centrato da piccolo stemma; ai lati due colonne a doppia scanalatura di ordine composito poggiano su mensola decorata anch’essa a baccellatura. La luce, occupata da una lastra metallica lucidata a specchio, è coperta da un pannello dipinto a grottesca con riserva centrale iscritta, estraibile sul lato destro tramite presa in foggia di doppia voluta; ingombro 44,5x43, luce cm 22,2x19

 

A FLORENTINE AEDICULA MIRROR FRAME, CIRCA 1510 

 

Provenienza

Collezione G. Salvadori, Firenze;

Collezione privata, Firenze

 

Bibliografia

L. Dami, Cornici da specchio del cinquecento, in “Dedalo”, marzo MCMXXI, anno I, fasc. X, ill. p. 629;

M. Tinti, Il mobilio fiorentino, Milano 1930, tav. CCCXII

 

Bibliografia di confronto

F. Sabatelli (a cura di), La cornice italiana dal Rinascimento al Neoclassico, Milano 2004, p. 34 n. 33

 

Le piccole colonne scanalate e anellate sui due terzi inferiori del fusto, che si risolvono in una zona più riccamente ornata a formare una solida base per la trabeazione, costituiscono una caratteristica tipicamente veneziana, che giunse a Firenze nei primi anni del Cinquecento, quando lo scultore Andrea Sansovino fu chiamato a Roma per realizzare i monumenti funebri dei cardinali Ascanio Sforza e Girolamo Basso della Rovere a Santa Maria del Popolo a Roma, il primo completato nel 1505 mentre il secondo soli due anni dopo.

Stima   € 6.000 / 9.000
Aggiudicazione  Registrazione
2

CORNICE DA SPECCHIO, SIENA, ANTONIO BARILI?, 1490-1500

in legno intagliato e dorato di forma circolare, il centro incorniciato da battuta con motivo intrecciato e bulinato, che si porta su larga fascia riccamente intagliata con frutta, grande fiore centrale e nastro inferiore, chiusa a sua volta da fascia scolpita a motivo di squame con gola ritorta verso cimasa a doppia voluta in grande elemento sagomato a cartouche intagliato a motivi di girali fermati da nastrini terminanti in basso da cherubini addorsati con al centro stemma nobiliare (non identificato) dipinto in policromia; cm 57x40

 

A SIENESE MIRROR FRAME, ANTONIO BARILI?, 1490-1500

 

Provenienza

Collezione G. Salvadori, Firenze;

Collezione privata, Firenze

 

Bibliografia

L. Dami, Cornici da specchio del cinquecento, in “Dedalo”, marzo MCMXXI, anno I, fasc. X, ill. p. 627:

T.J. Newbery, G. Bisacca, L. B. Kanter, Italian Renaissance frames, New York 1990, pp. 80-81, n. 54

 

Bibliografia di confronto

G. Morazzoni, Le cornici veneziane, Milano 1949, tav. 38

 

L’opera presenta stringenti affinità con la cornice a specchio esposta alla mostra Italian Reinaissance Frames al Metropolitan Museum of Art di New York nel 1990. Anch’essa di forma circolare, la cornice in legno di pioppo intagliato e dorato presenta il medesimo intaglio nella corona di frutta, che si diparte dal basso raccogliendosi in un fiore a cinque petali al centro superiore. Anche la decorazione che la circonda, con un ricco gioco di volute e riccioli, sembra essere la medesima con la sola variante delle figure di arpie alate e lo stemma nobiliare che affiancano. Nella cornice del Met lo stemma appartiene alla famiglia Cinuzzi di Siena, e la committenza senese fa propendere per l’attribuzione della cornice alla bottega di Giovanni di Stefano (1443-1504); la nostra invece è stata accostata da Luigi Dami allo scultore e intagliatore senese Antonio Barili (1453-1516) in relazione al celebre cofano intagliato in Palazzo Pubblico a Siena.

Stima   € 4.000 / 6.000
Aggiudicazione  Registrazione
4

Francesco Morandini detto il Poppi

(Poppi, 1544 - Firenze, 1597)

BATTESIMO DI CRISTO

olio su tavola, cm 258x179,5

firmato in basso a destra "Poppi"

 

THE BAPTISM OF CHRIST

oil on panel, cm 258x179,5

signed lower right "Poppi"

 

Bibliografia

R. Borghini, Il Riposo, Firenze 1584, p. 645; P. Barocchi, Appunti su Francesco Morandini detto il Poppi, in "Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz", 1963-1965, XI, p. 146; A. Petrioli Tofani, Di alcuni disegni manieristi, in "Artista", 1989, 1, pp. 136, 138, nota 31; A. Giovannetti, Francesco Morandini detto il Poppi e Castiglion fiorentino, catalogo della mostra, Poppi 1991, p. 37, fig. 104; A. Giovannetti, Francesco Morandini detto il Poppi, Firenze 1995, cat. 43 p. 100, fig. 57 p. 161.

 

Raffaello Borghini nel Il Riposo, principale fonte di informazioni sull'attività di Francesco Morandini detto il Poppi entro il 1584, citava un Battesimo di Cristo in via di esecuzione da parte del pittore nativo di Poppi per Braccio de' Ricasoli: il dipinto, reputato perduto da Paola Barocchi in un articolo apparso negli anni sessanta, è stato successivamente identificato da Alessandra Giovannetti, nella monografia del 1995 dedicata a tale artista, con l'importante tavola qui offerta, essendo l'unica conosciuta con tale soggetto. Secondo la studiosa i caratteri stilistici sono pertinenti a quelle di altre opere realizzate intorno al 1584 dal Morandini, anno della pubblicazione del Riposo e pertanto termine entro cui presumibilmente il Borghini vide il Battesimo.

Il coniglio e la colomba sono stati individuati in due disegni conservati presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (rispettivamente i numeri di inventario 4286F e 4287F).

 

Stima   € 50.000 / 80.000
Aggiudicazione  Registrazione
11

Scultore attivo in area veneta (Vicenza?) intorno al 1500

CRISTO IN PIETÀ SORRETTO DA ANGELI (“IMAGO PIETATIS”)

Lunetta scolpita a mezzorilievo in pietra calcarea giallo dorato (pietra di Nanto?), cm 43,5x80x15

 

Sculptor active in Veneto (Vicenza?) around 1500

CHRIST IN PIETY SORRECTED BY ANGELS ("IMAGO PIETATIS")

Lunette carved in half-relief on golden yellow limestone (pietra di Nanto?), cm 43,5x80x15

 

L’icastica composizione, che ostenta il corpo esangue di Cristo coronato di spine con le braccia incrociate sul ventre, calato sino ai fianchi nel sepolcro e sostenuto da due angeli genuflessi, interpreta con cadenze già orientate verso il classicismo di primo Cinquecento un’iconografia devozionale di origine bizantina, nota come Imago Pietatis (nella variante tedesca denominata Engelpietà), riattualizzata e promossa dalla celebre formella in bronzo realizzata da Donatello nel 1449-1450 per l’altare maggiore della Basilica di Sant’Antonio a Padova, opera che conobbe un’ampia fortuna in area veneta e adriatica nel secondo Quattrocento, anche in pittura (N. Rowley e A. De Marchi, in Donatello e il Rinascimento, catalogo della mostra di Firenze a cura di F. Caglioti, Firenze 2022, pp. 284-293 nn. 9.2-9.6).

Le fattezze crude e accigliate dei volti, l’articolazione statica degli angeli, essenziale ma animata nelle ricadute delle vesti da un reticolo di pieghe più complesse e tormentate di matrice lombardesca, insieme all’uso di una pietra calcarea di colore giallo dorato identificabile come ‘pietra di Nanto’, suggeriscono di ricondurre l’opera in esame al territorio vicentino, dove questo schema iconografico fu ampiamente utilizzato per le cimase delle pale d’altare e il coronamento dei tabernacoli eucaristici - si veda, ad esempio, la Madonna e santi in Santa Maria Annunziata a Nanto, o i tabernacoli nella parrocchiale di Molina di Malo e di Torri di Quartesolo (1488) -, ravvisando esiti stilistici prossimi ai modi di Tommaso da Lugano e Bernardino da Como, autori del trittico nell’oratorio della chiesa di San Vitale a Montecchio Maggiore e responsabili di una prolifica bottega attiva a Vicenza tra il 1475 e il 1510 circa (F. Barbieri, Scultori a Vicenza. 1580-1520, Vicenza 1984, pp. 44-52).

Stima   € 7.000 / 10.000
18

Giovanni della Robbia

(Firenze 1469 - 1529/1530)

ANGELO IN ADORAZIONE, 1515/1520 CIRCA

Formella a bassorilievo in terracotta invetriata policroma; cm 41,8x24,6x9

 

AN ADORING ANGEL, CIRCA 1515/1520

 

Bibliografia di confronto

A. Marquand, Giovanni della Robbia, Princeton 1920, pp. 120-121 n. 124;

L. Sebregondi, in La Compagnia della Santissima Annunziata a Firenze, Firenze 1989, p. 49 n. 1;

B. Paolozzi Strozzi, I. Ciseri, Museo Nazionale del Bargello. La raccolta delle robbiane, Firenze 2012, pp. 180-181, n. 63

 

L’animata formella in terracotta invetriata, impreziosita da una vivida policromia naturalistica, raffigura un florido angelo dalle lunghe chiome inanellate proteso a mani giunte in atto adorante, col volto accorato e l’ampia tunica increspata dal vento, posto all’interno di una sfarzosa nicchia prospettica di gusto classicista, con arco a lacunari e fioroni profilato in giallo oro e l’estradosso tinteggiato a imitazione del porfido. L’opera, inedita, trova puntuali riscontri nella produzione matura di Giovanni della Robbia, il più prolifico, indipendente e innovativo tra i cinque figli di Andrea della Robbia (Firenze, 1435 - 1525) che, dopo aver collaborato col padre, ne ereditò il ‘segreto’ magistero della scultura invetriata e la rinomata bottega di via Guelfa.

La sua cospicua e stimata produzione si distinse per una più spiccata, esuberante vena decorativa, ben aggiornata su un lessico di gusto archeologico in linea col gusto del pieno Rinascimento, per l’intensità cromatica degli smalti, ridefiniti con effetti pittorici e interventi grafici - come qui si apprezza nel variopinto piumaggio delle ali, nei folti riccioli castani o nella resa dei calzari ‘all’antica’ -, per una vivacità formale d’ascendenza verrocchiesca, ravvisabile nelle posture dinamiche, nella tipologia delle teste e nell’andamento animato dei rigogliosi panneggi, e per la sapida attitudine miniaturistica. Peculiarità che ben si riscontrano tutte nell’opera in esame, da considerare una testimonianza autografa assai rappresentativa di Giovanni della Robbia negli anni della sua piena maturità e autonomia artistica, raggiunta nel corso del secondo decennio del Cinquecento (A. Marquand, Giovanni della Robbia, Princeton 1920; G. Gentilini, I Della Robbia. La scultura invetriata nel Rinascimento, Firenze 1992, II, pp. 279-328; F. Domestici, Giovanni della Robbia, in I Della Robbia e l’“arte nuova” della scultura invetriata, cat. della mostra di Fiesole a cura di G. Gentilini, Firenze 1998, pp. 248-281).

 

Del resto, l’impaginato architettonico di questo rilievo ricompare identico in opere ben note di Giovanni, come le formelle col Redentore tra quattro santi che compongono il ciborio a pianta esagonale della pieve di San Giovanni Battista a Galatrona (Bucine) - dove si trovano numerosi arredi in terracotta invetriata monocroma commissionati dal potente Spedalingo di Santa Maria Nuova Leonardo Buonafede (1510 - 1521) -, e quelle, tratte dai medesimi modelli ma con un’invetriatura policroma, accorpate a formare un gradino d’altare oggi nel Museo del Bargello, proveniente dal convento di San Francesco a Montughi (B. Paolozzi Strozzi - I. Ciseri, Museo Nazionale del Bargello. La raccolta delle robbiane, Firenze 2012, pp. 180-181, n. 63), come pure le formelle figurate inserite nelle paraste della monumentale ancona raffigurante l’Assunta e quattro santi del Campo Santo di Pisa, eseguita tra il 1518 e il 1520 per la parrocchiale di San Marco a Calcesana. Inoltre, ancor più calzante è il riscontro con un trittico che si conserva nella Compagnia della Santissima Annunziata (poi Oratorio di San Pierino) in via Gino Capponi a Firenze, attualmente murato nel vestibolo e in precedenza sopra la porta della sagrestia (L. Sebregondi, in La Compagnia della Santissima Annunziata a Firenze, Firenze 1989, p. 49 n. 1), costituito da due formelle con Angeli adoranti in tutto simili a questa, anche nel formato, ma di fattura più corsiva e riferite pertanto alla bottega di Giovanni (Marquand, op. cit., pp. 120-121 n. 124), poste ai lati di un’immagine del Redentore, in atto recare la croce versando il proprio sangue nel calice, analoga a quelle del ciborio di Galatrona e del gradino del Bargello, che quindi potevano appartenere ad un simile tabernacolo eucaristico fornendoci un efficace indizio per ipotizzare anche la destinazione originaria della formella che qui si presenta.

 

Giancarlo Gentilini

Stima   € 15.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
19

Giovanni della Robbia

(Firenze 1469 - 1529/1530)

STEMMA DELLA FAMIGLIA CECCHI (CECCHI DEL CANE), 1520/1525 CIRCA

medaglione in terracotta invetriata policroma; diam. cm 68

 

COAT OF ARMS OF CECCHI’S FAMILY (CECCHI DEL CANE), CIRCA 1520/1525

 

Bibliografia di confronto

B. Paolozzi Strozzi, I. Ciseri, Museo Nazionale del Bargello. La raccolta delle robbiane, Firenze 2012, pp. 188-189 n. 66, pp. 210-223 nn. 76-78, pp. 228-231 nn. 81-82;

R. Dionigi, Stemmi robbiani in Italia e nel mondo. Per un catalogo araldico, storico e artistico, Firenze 2014, pp. 169-170 nn.137-138, p. 225 n. 237, p. 239 n. 270, p. 258 n. 313

 

Particolarmente ricco nell’apparato decorativo e raffinato nella modellazione del blasone, questo importante stemma robbiano, rimasto sino ad oggi inedito nella pur vasta e capillare letteratura sull’argomento (cfr. in particolare A. Marquand, Robbia Heraldry, Princeton 1919; R. Dionigi, Stemmi robbiani in Italia e nel mondo. Per un catalogo araldico, storico e artistico, Firenze 2014), costituisce un’aggiunta significativa alla cospicua produzione araldica di Giovanni della Robbia, il più intraprendente e autonomo tra i figli di Andrea della Robbia (A. Marquand, Giovanni della Robbia, Princeton 1920; G. Gentilini, I Della Robbia. La scultura invetriata nel Rinascimento, Firenze 1992, II, pp. 279-328), al quale risulta agevolmente attribuibile.

Il medaglione, costituito da una preziosa coppa baccellata invetriata in giallo oro, profilata da una modanatura a ‘ovoli e dardi’ e cinta da una rigogliosa ghirlanda di frutti e ortaggi (cetrioli, arance, grappoli d’uva, pere, mele cotogne, nocciole, mandorle, melagrane, limoni, pigne), inframezzata da alcuni fiori e percorsa da una lucertola e una lumaca, accoglie un elegante scudo sagomato con il blasone della famiglia Cecchi, “d’azzurro, al cane retroguardante d’argento collarinato di rosso, ascendente un monte di sei cime d’oro” (E. Ceramelli Papiani, Blasoni delle famiglie toscane, ms. sec. XX, Archivio di Stato di Firenze, fasc. 1367), modellato ‘a stiacciato’ con una spiccata sensibilità naturalistica ed espressiva.

Si tratta dell’arme del più importante ramo di questa famiglia, proveniente da Monterappoli in Val d’Elsa e affermatasi a Firenze, dove si era stabilita nel Quartiere di San Giovanni (Gonfalone delle Chiavi), sulla metà del Quattrocento - quando Francesco di Neri fu nominato segretario regio alla corte di Francia (1461) e Giovanni di Francesco cancelliere della Signoria (1452 e 1455) -, ramo che prese il nome distintivo di Cecchi del Cane (R. Ciabani, Le famiglie di Firenze, Firenze 1992, 2, p. 363). Le loro abitazioni si trovavano nei pressi della basilica della Santissima Annunziata, dove, all’ingresso presso il banco delle candele, era posta la sepoltura terragna di Francesco di Neri Cecchi, contrassegnata da un’arme col solo “monte d’oro in campo azzurro”, cui poi si aggiunse quella dei Cecchi del Cane (S. Rosselli, Sepoltuario fiorentino, ms. 1657, ed. a cura di M. Di Stasi, Firenze 2014, p. 1469, che le dice già scomparse entrambe prima del 1659). Lo stemma in esame, databile per ragioni stilistiche intorno al 1520/1525, fu forse commissionato dal nipote, Francesco di Piero di Francesco, eletto priore della Signoria nel 1524, o da Giovanni Battista, che, dopo la caduta della Repubblica nel 1530, fu ambasciatore in Polonia, poi cameriere del vescovo di Cracovia e al suo ritorno ascritto alla nobiltà fiorentina (Ceramelli Papiani e Ciabani, op. cit.).

Simili stemmi e ornamenti araldici, adottati per contraddistinguere le residenze signorili, il patronato negli edifici religiosi e soprattutto le cariche nei palazzi pretori del territorio fiorentino, occuparono un posto di particolare spicco nella poliedrica attività in terracotta invetriata dei Della Robbia, gelosamente tramandata per oltre un secolo nella bottega fiorentina di via Guelfa attraverso l’impegno di tre generazioni, da Luca - celebrato quale “inventore” della scultura invetriata e tra i padri della “rinascita delle arti” -, al prolifico nipote Andrea, ai suoi cinque figli, Marco, Giovanni, Luca ‘il giovane’, Francesco e Girolamo (Gentilini, op. cit.). La vivida, stabile cromia degli smalti ceramici garantiva infatti una lettura efficace e perenne dell’arme rappresentata, e gli stemmi robbiani, grazie anche alla festosa, seducente capacità di riprodurre nelle ghirlande decorative l’effimera fragranza dei doni della natura, con un virtuosismo tale da emulare le leggendarie creazioni illusionistiche degli antichi tramandate da Plinio, e nelle coppe i materiali più rari e preziosi, conobbero ben presto un’eccezionale fortuna, imprimendosi nell’immaginario collettivo come una delle espressioni più rappresentative e apprezzate dell’arte robbiana.

La paternità di tali manufatti, spesso delegati alla bottega, appare talora sfuggente, ma in questo caso numerosi aspetti formali e tecnici ne garantiscono un sicuro riferimento a Giovanni della Robbia nel suo momento di maggiore indipendenza dai modi del padre, defunto a novant’anni nel 1525, e dalle formule codificate della tradizione familiare. Infatti, la composizione assai folta della ghirlanda, la modellazione turgida di frutti e foglie e la loro disposizione variegata, alternando mazzetti di due o tre frutti della medesima specie a mazzi di cinque o più, la presenza dei vivaci animaletti, l’enfasi esornativa dello scudo sagomato e il gusto archeologico dichiarato dalla coppa profilata da una robusta modanatura a ovuli, le tonalità intense degli smalti, l’uso frequente di tratti neri per definire e profilare i dettagli, trovano innumerevoli riscontri nelle più note opere firmate, documentate o concordemente attribuite del maestro: sarà quindi sufficiente un riscontro con le ghirlande e i festoni dei medaglioni, delle pale e delle lunette conservate oggi nel Museo del Bargello, alcune delle quali datate 1521 (B. Paolozzi Strozzi - I. Ciseri, Museo Nazionale del Bargello. La raccolta delle robbiane, Firenze 2012, pp. 188-189 n. 66, pp. 210-223 nn. 76-78, pp. 228-231 nn. 81-82).

Conferme ancor più evidenti e numerose si evincono dalla ricca produzione araldica a lui riferita: come, ad esempio, i suntuosi stemmi Pazzi e Del Monte nella Collezione Contini Bonacossi oggi agli Uffizi, o lo stemma Minerbetti nel Metropolitan Museum of Art di New York (Dionigi, op. cit., pp. 169-170 nn.137-138, p. 225 n. 237). Così, esaminando quelli lasciati dai podestà, vicari e commissari sulle facciate dei palazzi pubblici, corredati da tabelle epigrafiche e pertanto databili con certezza, possiamo ricordare l’arme di Ippolito Buondelmonti nel Palazzo Pretorio di Pieve Santo Stefano datata 1526 (Ivi, p. 239 n. 270), dove ritroviamo anche l’inconsueta colorazione gialla della coppa che evoca un metallo aureo, più spesso bianca, azzurra o color porfido per simulare i materiali lapidei. Mentre l’animale araldico trova un puntuale riscontro nel candido levriero rampante in campo azzurro, che reca un identico collare borchiato e inanellato, di un simile scudo sagomato con l’arme della famiglia Da Cepparello, oggi privo della coppa e della ghirlanda, confluito in una raccolta privata di Roma (Ivi, p. 258 n. 313).

 

Giancarlo Gentilini

Stima   € 70.000 / 120.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
21

Mario Balassi

(Firenze, 1604 – 1667)

ALLEGORIA DELL'ESTATE

olio su tela, cm 81x64

 

AN ALLEGORY OF  SUMMER

oil on canvas, cm 81x64

 

Bibliografia

C. Innocenti, Orazio Fidani: caratteri ed evoluzione della tematica profana, in "Paradigma", 1985, 6, p. 96, n. 30 fig. 18 (come Orazio Fidani); R. Contini, Orazio Fidani in La pittura in Italia - Il Seicento, Milano, II, p. 740 (come Mario Balassi); F. Baldassari, Postille a Felice Ficherelli e a Orazio Fidani, singolari intrpreti della "favola barocca fiorentina", in "Paradigma", 1992, 10, p. 126; M. Mojana, Orazio Fidani, Milano 1996, cat. 66 p. 141 (come Mario Balassi); S. Bellesi, Catalogho dei pittori fiorentini del '600 e '700, Firenze 2009, I, p. 74; II, fig. 39; F. Berti, Mario Balassi 1604-1667. Catalogo completo dei dipinti e dei disegni, Firenze 2015, cat. 28, p. 129.

 

Reso noto da Clarice Innocenti nel 1985 che ne indicava la provenienza insieme ad altri tre ottagoni con l'Allegoria della Musica, l'Allegoria della Scultura e l'Allegoria della Fedeltà, tutti riferiti a Orazio Fidani (Innocenti 1985), la tela è stata successivamente ricondotta al pennello di Mario Balassi da Roberto Contini (Contini 1989), seguito da Francesco Baldassari (Baldassari 1992). Marina Mojana ha poi espunto questa Allegoria dell'Estate dalla monografia dedicata al Fidani per la "pellicola pittorica levigata e compatta" più in sintonia con Balassi (Mojana 1996). Federico Berti ha infine suggerito una sua possibile identificazione con una tela facente parte di una coppia di ottagoni descritta nell'inventario tardo seicentesco della collezione Gerini (Berti 2015, p. 129).

Stima   € 5.000 / 7.000
Aggiudicazione  Registrazione
22

Pierre de Francqueville detto Pietro Francavilla

(Cambrai, 1548 - Parigi, 1615)

RITRATTO DI FERDINANDO I DE’ MEDICI, 1594-1600

marmo, cm 73x65x25

 

PORTRAIT OF FERDINANDO DE’ MEDICI, 1594-1600

marble, cm 73x65x25

 

Bibliografia di confronto

J. Pope-Hennessy, Giovanni Bologna and the marble statues of the Grand-Duke Ferdinand I, in “The Burlington Magazine”, XCII (1970), 806, pp. 304-307

M. Mastrorocco, Lo scultore Pietro Francavilla: la sua attività alla corte dei granduchi di Toscana Francesco I e Ferdinando I, in “Commentari”, XXVI (1975), 1-2, pp. 98-120;

K. Langedijk, The portraits of the Medici, II, Firenze, S. P. E. S., 1983, pp. 752 ss.;

R.P. Ciardi, C. Casini, L. Tongiorgi Tomasi (a cura di), Scultura a Pisa tra Quattro e Seicento, Firenze 1987, pp. 146–148;

S. Bellesi, de Francqueville, Pierre, in Dizionario Biografico degli Italiani, LI, Roma, 1998;

K. M. Poole, The Cavalieri di Santo Stefano and public sculpture in Pisa and Livorno under Ferdinando I, in A. V. Coonin, A Scarlet Renaissance, New York 2013, pp. 239-266

 

L’effigie marmorea di Ferdinando I de’ Medici (1587-1609), perfetto esempio della ritrattistica ufficiale al culmine del Cinquecento fiorentino, presenta il granduca in armatura ornata dalla croce dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, spallacci decorati e paludamento. La testa è orientata leggermente a destra, lo sguardo è rivolto in alto.

Patente è la vicinanza del marmo ai ritratti granducali realizzati da Pietro Francavilla contestualmente al soggiorno pisano dello scultore tra il 1594 e il 1600, in occasione della realizzazione dei Monumenti a Ferdinando I e a Cosimo I (Pope-Hennessy, 1970; Mastrorocco, 1975). Sulla scia dell’apprezzamento riscosso presso il granduca e i committenti, si collocano i vari ritratti per le città di Pisa e Firenze destinati - come verosimilmente anche il presente busto - ad essere collocati a coronamento di portali o cantonate degli edifici eretti per munificenza sovrana (Langedijk, 1981; Ciardi et al., 1987). Tra i cinque esemplari riferiti a Francavilla, l’autografia va assegnata ai busti dello Spedale di San Paolo dei Convalescenti a Firenze e dei palazzi già dello Stellino e Altini Bonamici a Pisa (Bellesi, 1998; Poole, 2013).

Il Ritratto di Ferdinando I qui presentato, aderente al modulo impiegato dal maestro, presenta nella tipologia del paludamento che termina in alto col risvolto sfrangiato, maggiori affinità con l’esemplare fiorentino (e con la derivazione di bottega sulla facciata di Palazzo Bocca a Pisa). La qualità dell’intaglio del volto, dal piglio austeramente fiero ben si confronta con i busti autografi pisani.

Stima   € 7.000 / 10.000
Aggiudicazione  Registrazione
24

Scultore lombardo, fine sec. XVI

VENERE

marmo, cm 117x57x40

 

Lombard sculptor, late 16th century

VENUS

marble, 117x57x40 cm

 

Bibliografia di confronto

G. Gentilini, A. Morandotti, The sculptures of the Nymphaeum at Lainate. The Origins of the Mellon Venus and Bacchus, in “Studies in the History af Art”, XXIV (1990), pp. 135-171;

S. Zanuso, Marco Antonio Prestinari scultore di Federico Borromeo, in “Nuovi Studi”, III (1998), 5, pp. 85-109;

A. Morandotti, Milano profana nell'età dei Borromeo, Milano 2005, pp. 230-285

 

La figura femminile sedente, con una sontuosa acconciatura e intenta a tenere per la coda un essere pisciforme, forse un delfino, deve interpretarsi come una Venere. Pur presentando la superficie parzialmente consunta, a causa di una probabile, lunga esposizione all'esterno, la statua si rivela integra. Deve inoltre immaginarsi esposta in una fontana, probabilmente in una struttura addossata alla parete vista la lavorazione più corsiva del retro.

Con la sua espressione felina la figura sembra inquadrabile entro il mondo della Milano tardo-cinquecentesca, ancora segnata dalle ricadute di Leonardo e della scuola locale. I tratti guizzanti del viso e il lieve, soffuso sorriso sulle labbra sono alcuni degli aspetti di matrice leonardesca più evidenti, fusi ormai entro uno schema compositivo che risente delle invenzioni di Giambologna. Lo scultore probabilmente più notevole nella Milano di questi anni è Francesco Brambilla, nel cui seguito lavora anche il giovane Giulio Cesare Procaccini, documentatamente impegnato come scultore, anche in marmo, nel corso degli anni novanta del Cinquecento.

Nel Ninfeo della villa di Pirro Visconti a Lainate, un pantheon della statuaria profana a questa altezza cronologica in terra lombarda, si ritrovano altre figure femminili di simile soggetto, che permettono di visualizzare il contesto culturale entro cui si colloca la creazione di questo marmo.

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
25

BOTTIGLIA FARMACEUTICA, DERUTA, 1510-1520 CIRCA

in maiolica decorata in policromia con blu di cobalto, verde ramina, giallo antimonio e rosso ferraccia; alt. cm 41, diam. bocca cm 8,5, diam. piede cm 14,4

 

A PHARMACY BOTTLE, DERUTA, CIRCA 1510-1520

 

Bibliografia di confronto

J. Giacomotti, Catalogue des majoliques des musées nationaux, Parigi 1976, pp. 142-144 nn. 481-487;

B. Rackham, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian Maiolica, Londra 1977, P. 137 n. 397 tav. 64;

T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting. Catalogue of a private collection, Torino 2018, pp. 66-67 n. 21

 

La bottiglia ha corpo di forma ovoidale che si stringe verso un alto collo con orlo svasato e poggia su una base piana con orlo estroflesso. Il decoro interessa prevalentemente il fronte, con una scena istoriata racchiusa in una ghirlanda a foglie lanceolate dal profilo seghettato che accolgono piccoli frutti e sono legate da un nastro arancio da cui si diparte un sottile nastro verde che si estende al verso del vaso con ornato a spirali. La scena, raffigurata in monocromia blu, descrive la lotta fra Ercole e Anteo e trae spunto attraverso le incisioni dal dipinto del Pollaiolo raffigurante le fatiche di Ercole, oggi conservato agli Uffizi. Alle spalle delle due figure in lotta si snoda un cartiglio in caratteri capitali indicante il contenuto “A. BORAGINIS”. La lotta tra l’eroe con Anteo è spesso variamente raffigurata nelle maioliche derutesi e interpretato dai vari pittori.

La fiasca appartiene a un fornimento farmaceutico dipinto con scene allegoriche e mitologiche e iscrizioni apotecarie, di cui alcuni vasi sono conservati al museo del Louvre e altri, con variazione nel decoro ma simile morfologia, sono conservati nei principali musei.

Di recente pubblicazione per un interessante confronto un vaso con “Giuditta trionfante” con uno stemma nella parte posteriore del vaso tra sottili nastri svolazzanti, e un altro in collezione privata più vicino al nostro per impostazione decorativa e soprattutto nella a realizzazione della ghirlanda, raffigurante la figura di un eroe presso un altare.

Stima   € 7.000 / 10.000
Aggiudicazione  Registrazione
26

COPPA, VITERBO O ACQUAPENDENTE, 1565

in maiolica dipinta in policroma nei colori arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno; diam. cm 24,2, diam. piede cm 9,4, alt. cm 3,8

 

A BOWL, VITERBO OR ACQUAPENDENTE, 1565

 

Bibliografia

F. Guidi Bruschi, Un gamelio dalla data inconsueta, in “Faenza”, LXVII (1981), pp. 78-81;
C. Ravanelli Guidotti, Donazione Paolo Mereghi. Ceramiche europee ed orientali, Faenza 1987, pp. 129-130 n.16
 
Bibliografia di confronto
J. Giacomotti, Catalogue des majoliques des musées nationaux, Parigi 1974, p. 246 n. 805;
G.C. Bojani C. Ravanelli Guidotti, A. Fanfani (a cura di), La donazione Galezzo Cora. Ceramiche dal Medioevo al XIX secolo, Milano 1985, p. 107 n. 248;
R. Luzi, B. Mancini, L’attività ceramica ad Acquapendente e le disavventure di un povero vascellaro, in “CeramicaAntica”, a. IV, n.8 (settembre 1994), pp. 53–62.
G. Gardelli, http://www.maiolica.info/2015/06/11/cremelia-la-prima-bella-nella-letteratura-di-acquapendente/, 2006;
T. Wilson, The Golden Age of Italian Maiolica Painting. Catalogue of a private collection, Torino 2018, p. 359 n. 159

La coppa presenta cavetto concavo con tesa alta terminante in orlo sottile arrotondato. Al verso l’orlo mostra tre filettature dipinte concentriche nei toni del giallo e dell’azzurro e al centro del piede, listato con una ampia banda gialla, la data “1565” tra due segni a nodo, tutto delineato in blu.
Sul fronte a piena superficie un ritratto femminile, appena rivolto alla sua destra, mostra grande perizia tecnica nella stesura dei colori abbondanti e variegati. La donna è identificata dal cartiglio, largo e ombreggiato di bistro, che si snoda alle sue spalle su fondo dipinto di blu e reca la scritta a caratteri cubitali “ANTINA BELLA”. La giovane, dalla complessa pettinatura con capelli raccolti attorno a una fascia verde, ha il volto largo con occhi grandi e guance arrossate, larghi padiglioni auricolari e un sorriso appena accennato, ma reso con tratti sicuri. Il busto è coperto da una doppia camiciola pieghettata e ricamata dal colletto rialzato, mentre al collo si vede una collana di corallo.
La coppa è stata pubblicata nel 1998 con una descrizione accurata soprattutto per ciò che riguardava la datazione di questo genere ceramico, allora assegnato tra il 1522 e il 1537. Si rimarca a tal proposito l’importanza di quest’opera nella definizione dell’effettivo successo delle coppe amatorie almeno fino all’ultimo quarto del XVI secolo. Per quanto riguarda la lettura critica di questa tipologia ceramica, stilisticamente affine alla produzione del Ducato di Urbino o a essa ispirata, si ricorda come Guidi Bruscoli attribuisca l’opera all’area di Viterbo, dove effettivamente si riscontrano reperti coerenti con lo stile e l’humus culturale nel quale si muove il pittore di questa coppa. Il confronto con opere simili, quali ad esempio la coppa con GIULIA BELLA oggi in collezione privata attribuita dubitativamente al ducato di Urbino, e la coppa con GINEVRA BELLA del Mic di Faenza, inducono alcuni studiosi a ritenere le tre opere come frutto della mano di un medesimo autore. La vicinanza inoltre anche con la coppa raffigurante GIROLAMA B. del Museo del Louvre apre alla possibilità di un ulteriore approfondimento sull’opera o sulla formazione del suo pittore, ricordando che altre coppe possono inoltre essere associate a questo esemplare, formando così un corpus omogeneo da riferire per ora alla mano di un anonimo pittore.

Stima   € 8.000 / 12.000
27

QUATTRO PIATTI DA PARATA ARALDICI, ITALIA CENTRALE, SECOLO XVII

in maiolica dipinta a policromia con blu di cobalto, giallo antimonio e rosso ferraccia; diam. cm 45,5, alt. cm 5,5

 

FOUR CHARGERS WITH COAT OF ARMS, CENTRAL ITALY, 17TH CENTURY

 

Bibliografia di confronto

M. Brody, Several Seventeenth-century Armorial Bianchi Works for roman and other élite Clients, in J.V.G. Mallet, E.P. Sani, Maiolica in Italy and Beyond, Oxford 2021, pp.105-123

 

I quattro grandi piatti hanno forma coerente con largo cavetto poco profondo, ma con balza verticale e ampia tesa terminante in un orlo appena rilevato; i piatti sono apodi e interamente coperti da uno smalto spesso e bianco, il decoro limitato alla tesa in posizione dominante, raffigurante l’emblema della casata fiorentina Strozzi (D'oro, alla fascia di rosso, caricata di tre crescenti d'argento).

Lo stemma è raffigurato sormontato dalla corona marchionale e attorniato da roccaile e elementi fitoformi che fanno presagire influenze del Barocco, portandoci a pensare a una produzione già seicentesca. E se la difficile identificazione della manifattura merita un approfondimento, benché la qualità dello smalto porti ad ipotizzare una produzione romana o comunque dell’Italia Centrale, l’incertezza attributiva nulla toglie alla grande qualità di questo insieme di piatti, che costituiscono comunque un riscontro storico e sociale circa il modo in cui l’importante casata fiorentina abbia mantenuto nel corso del tempo il gusto della credenza armoriale nell’accezione più sobria del tardo compendiario.

Stima   € 3.000 / 5.000
Aggiudicazione  Registrazione
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