Paolo Pagani
(Castello Valsolda, 1655 - Milano, 1716)
GIOCHI DI PUTTI
olio su tela, cm 173x250
PLAYING CHILDREN
oil on canvas, 173x250 cm
Il dipinto è accompagnato da una scheda di Alessandro Morandotti, di cui si riporta un estratto.
"Un gruppo di putti si esercita in spericolati giochi acrobatici, su uno spalto roccioso da cui si domina un paesaggio di acque, di monti e di borghi, rischiarato in lontananza nella luce dorata del tardo pomeriggio. Con scioltezza il pennello delinea le floride anatomie dei fanciulli, tracciandole con una materia pittorica ammorbidita che restituisce agli incarnati una vibrazione atmosferica, accendendoli ora con toni affocati e ora con riflessi diafani e impalliditi, quasi lunari.
Tutto in questo dipinto rimanda al linguaggio inconfondibile di Paolo Pagani, che potremmo riconoscere anche solo grazie allo spirito eccentrico di questa invenzione, una rilettura estrosa e fuori dagli schemi dell’iconografia tradizionale dei giochi di putti, diffusa fin dall’età rinascimentale nella pittura, soprattutto a fresco, e nella grafica a stampa. Nessuno di questi precedenti aveva mai raffigurato i personaggi di spalle, come fa Pagani per concentrarsi su quella che è la sua vera passione, lo studio del nudo, e li aveva mai ambientati in uno scenario naturale così vasto ed evocativo, in cui accanto ai ricordi di certi cieli della pittura veneziana, ben conosciuti dal pittore nei lunghi anni di soggiorno nella Serenissima, si colgono i riflessi dei paesaggi di Pieter Mulier detto il Tempesta (Haarlem, 1637 – Milano, 1701), attivo in Lombardia alla fine del Seicento. Piuttosto inusitata è anche l’adozione di una tela di un formato così ampio per un soggetto di questo genere, un altro segnale dell’approccio anticonvenzionale che caratterizza spesso le scelte iconografiche di Paolo Pagani. In fondo questa grande tela è una sorta di traduzione in grande degli spettacolari disegni di nudo di Pagani, un maestro nello studio dell’anatomia e nell’invenzione di funambolici raggruppamenti di figure, come mostrano i molti fogli che ci sono pervenuti, eseguiti soprattutto durante il periodo veneziano e gli anni di trasferta professionale in Moravia e nei territori dell’impero asburgico (per i disegni si veda A. Morandotti, Paolo Pagani disegnatore e le “accademie di nudo”, in Paolo Pagani 1655-1716, catalogo della mostra a cura di F. Bianchi, Milano, 1998, pp. 81-92, e le schede di A. Morandotti e M. Togner alle pp. 17-191).
A confronto con la produzione pittorica di Pagani finora rintracciata, questi Giochi di putti offrono un'inedita incursione del pittore nel genere del paesaggio, di cui finora non si conoscevano esempi. Accanto alla conoscenza dei paesaggi di Pieter Mulier conservati nelle collezioni lombarde di fine Seicento si nota anche l’attenzione di Pagani per i fatti della pittura genovese coeva, soprattutto in direzione di Domenico Piola (Genova, 1627 - 1703) e all’ispirazione rubensiana di molte sue tele allegoriche animate da putti, e di Bartolomeo Guidobono (Savona, 1654 - Torino, 1709), di cui si conservano alcuni dipinti con putti e satiri in ampi scenari boscosi che dovettero senz’altro suscitare l’interesse di Pagani. Per quanto attiene alla collocazione di questi Giochi di putti nel percorso di Paolo Pagani, i confronti stilistici più stringenti riportano a una serie di opere realizzate nell’ultimo periodo di attività dell’artista, nel primo decennio del Settecento. In particolare lo sciolto dinamismo dei putti richiama da vicino quello degli esuberanti angioletti che affollano le due grandi pale d’altare raffiguranti i Santi Francesco e Antonio da Padova con Gesù Bambino e la Madonna con il Bambino e San Felice da Cantalice, eseguite intorno al 1702 per la chiesa cappuccina di Chiusa val d’Isarco su commissione della duchessa di Parma, Sofia Dorotea di Neuburg, sorella della regina di Spagna".