Giovan Battista Spinelli
(Chieti, 1613 - Ortona, 1658)
ABRAMO RIPUDIA AGAR
olio su tela, cm 204x308
ABRAHAM CASTING OUT HAGAR
oil on canvas, 204x308 cm
Bibliografia
L Bonelli, G. Fattorini, Per pascere gli occhi e l'anima: le predilezioni estetiche dei proprietari di ville in età moderna, in Vita in Villa nel senese. Dimore, giardini e fattorie, a cura di L. Bonelli Conenna, E. Pacini, Siena 2000, pp. 174-181.
Già a prima vista il bellissimo dipinto qui presentato si impone come capolavoro della maturità di Giovan Battista Spinelli intorno alla metà del secolo. Immediati sono infatti i confronti con due tra le opere più importanti e rappresentative dell’artista, le Storie di David ora agli Uffizi da una raccolta fiorentina restituitegli da Roberto Longhi nel 1969: a lui si deve la riscoperta dell’artista e una prima definizione della sua fisionomia, sostanzialmente confermata e approfondita dalle ricerche di altri studiosi (Giovan Battista Spinelli e i naturalisti napoletani del Seicento, in “Paragone” 20, 1969, 227, pp. 42-52).
Immediato, in particolare, il confronto con il Trionfo di David, di cui il nostro dipinto ripete l’impaginazione e la disposizione di figure nel paesaggio, oltre che le inconfondibili fisionomie. La corrispondenza nelle dimensioni della tela qui offerta e della coppia citata potrebbe far supporre la loro provenienza da un’unica serie di scene vetero-testamentarie, di cui al momento manca però ogni documentazione.
Anche nell’interpretazione del soggetto (Genesi 21, 8-21), arricchito dalla presenza di numerosi personaggi di invenzione e privo invece della figura del piccolo Ismaele, Spinelli conferma l’assoluta originalità con cui interpreta il repertorio biblico comune a molti pittori del Seicento, piegandolo alla sua vena più originale e capricciosa.
A tratti romantici o stravolti ma costantemente stravaganti, i personaggi di Spinelli propongono se mai un’interpretazione grottesca e bizzarra degli eventi miracolosi raffigurati nelle pale d’altare come nei quadri da stanza: ed è forse questa vena negromantica l’aggancio con l’alchimia che, secondo De Dominici, l’artista avrebbe praticato rinunciando alla pittura e addirittura perdendo la vita.
Caratteristiche che il grande pubblico ebbe la possibilità di apprezzare in occasione della grande mostra sul Seicento napoletano (1984) fortemente voluta da Raffaello Causa e realizzata dopo la sua scomparsa dalla Soprintendenza napoletana.
Oltre che con un gruppo di fogli in parte provenienti dallo storico nucleo delle collezioni medicee conservato agli Uffizi, Spinelli era presente in quell’occasione con ben dieci tele in una sala a lui dedicata: una scelta che dava conto della sua personalità appena risarcita e della sua situazione anomala nell’ambito della scuola napoletana, più che del peso che in quella scuola l’artista di origini bergamasche aveva effettivamente rivestito.