ALBERTO BURRI
(Città di Castello 1915 - Nizza 1995)
Combustione
1964
carta, acrilico, combustione e vinavil su carta
cm 32x20
firmato in basso a destra
al retro cartiglio Aurelio Stefanini, Firenze
L'opera è accompagnata da autentica su foto firmata dall'artista.
L'opera è accompagnata da autentica della Fondazione Palazzo Albizzini - Collezione Burri e ivi registrata col n. 64.74.
Bibliografia
B. Corà, Burri. Catalogo Generale.Tomo II, 2015, pag.78 tav.1060 (erroneamente con immagine riflessa)
Realizzata nel 1964, questa Combustione rappresenta una testimonianza esemplare della capacità di Alberto Burri di piegare la materia a una tensione lirica e drammatica insieme. Se le grandi Plastiche coeve si presentano spesso come territori vulcanici, solcati da fenditure incandescenti, qui l’intervento del fuoco si concentra in un formato intimo, quasi meditativo, dove la carta diventa teatro di una trasformazione tanto violenta quanto controllata.
La combustione non è distruzione, ma scrittura. Come afferma Cesare Brandi “Mai come nelle Combustioni si constata la riduzione fenomenologica con cui Burri esperisce il prelievo dal mondo esterno: la sua epochè figurativa. Isola, cioè, nello sfumato delle fumigazioni, negli aloni dolenti delle bruciature, nei contorcimenti, nelle spaccature, nei sobbollimenti, le trasparenze improvvise, il prezioso tono di tannino, gli sfumati degni della calcedonia, della tartaruga, dell’ambra. […] Maneggia la fiamma come un pennello infernale” [in Burri, Editalia, Roma, 1963].
Come Yves Klein, che negli stessi anni sperimentava le sue celebri pitture di fuoco, intendendo la fiamma come strumento mistico e immateriale, anche Burri affida al fuoco il ruolo di agente primario di metamorfosi. Ma mentre Klein lo eleva a manifestazione dell’invisibile, Burri lo radica nella carne della materia. La sua non è una fiamma ascetica, bensì chirurgica: incide, sfuma, lacera, genera.
La superficie assorbe l’azione del fuoco restituendo una gamma di tonalità che vanno dal bruno del tannino al nero più profondo, rischiarato da improvvise accensioni di biacca acrilica; le lacerazioni non sono ferite aperte, bensì varchi attraverso cui affiora la sostanza segreta della carta, resa fragile e preziosa al tempo stesso dal calore.
Su questo supporto umile e antico, Burri innesta materiali contemporanei, acrilico, vinavil, generando un innesto alchemico tra organico e artificiale. La carta, per sua natura destinata all’assorbimento, diviene così superficie reattiva, membrana viva che reagisce al fuoco anziché subirlo. Il gesto dell’artista non impone la forma, ma ne sollecita la nascita attraverso il rischio e l’attesa: la Combustione si configura dunque come evento, come fenomeno irripetibile, dove l’intervento umano si intreccia con la componente accidentale della materia in trasformazione.
In questa dimensione ridotta ma intensissima, l’opera assume quasi il carattere di una reliquia laica: un frammento combusto che contiene in sé l’intero vocabolario burriano: dalla lacerazione dei Sacchi alla tensione drammatica dei Ferri, fino alla sublime ambiguità delle Plastiche. Ma qui tutto è ristretto, compresso, interiorizzato. La fiamma non esplode, serpeggia: scava una cavità che sembra respirare, restituisce alla carta un’anima corporea, palpitante.
Non semplice esperimento tecnico, ma metafora umana. Nella combustione, Burri non si limita a bruciare la materia: la interroga. E ciò che emerge, tra luce e tenebra, non è solo una nuova immagine ma la possibilità, dolorosa e necessaria, di una rinascita.
Fondazione Palazzo Albizzini-Collezione Burri, Città di Castello ©