DIPINTI ANTICHI E OPERE DI ECCEZIONALE INTERESSE STORICO ARTISTICO

15 MAGGIO 2024

DIPINTI ANTICHI E OPERE DI ECCEZIONALE INTERESSE STORICO ARTISTICO

Asta, 1284
FIRENZE

h 15.30
Lotti 1-72


FIRENZE

Sabato 11 maggio 2024 10-18
Domenica  12 maggio 2024 10-13
Lunedì 13 maggio 2024 10-18
Martedì 14 maggio 2024 10-18
 
 
 
Stima   1500 € - 400000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 72
1

Giovanni Battista Castello, detto il Genovese

(Genova, 1547 - 1637)

COMPIANTO SU CRISTO MORTO

tempera su pergamena, mm 209x160

datata in basso a sinistra "1587"

 

LAMENTATION OVER THE DEAD CHRIST

tempera on parchment, mm 209x160

dated lower left "1587"

 

Bibliografia di riferimento

E. De Laurentiis, Giovanni Battista Castello “il Genovese” (Genova 1549 ca.-1639): l’attività di miniatore per la corte spagnola, in “Polittico”, 1, 2002, pp. 83-103.

E. De Laurentiis, Giovanni Battista Castello “il Genovese”, Giulio Clovio e lo “scriptorium” dell’Escorial, in Genova e la Spagna. Opere, artisti, committenti, collezionisti, a cura di P. Boccardo, J.L. Colomer, C. Di Fabio, Cinisello Balsamo 2002, pp. 156-165.

Pintura europea del Museo de Bellas Artes de Valencia, catalogo della mostra (Valencia, Museo de Bellas Artes, ottobre 2002- gennaio 2003; Alicante, Museo de Bellas Artes, 25 marzo-4 maggio 2003), a F. Benito Doménech, J. Gómez Frechina, Valencia 2002, pp. 44-47 n. 8 [E. De Laurentiis].

Gio. Battista Castello «il Genovese». Miniatura e devozione a Genova fra Cinque e Seicento, catalogo della mostra (Genova, Galleria di Palazzo Bianco, 21 marzo-30 giugno 1990), a cura di Clario Di Fabio, Genova 1990.

 

Questa inedita miniatura, che stupisce per la cura lenticolare con cui sono restituiti tutti i dettagli, si può attribuire senza esitazioni a Giovanni Battista Castello, detto il Genovese (per distinguerlo dall’omonimo ma più anziano, detto il Bergamasco). Molti sono i possibili confronti ma è sufficiente affiancare la miniatura alla Pietà realizzata nel 1582 dall’artista e conservata nel Museo de Bellas Artes di Valencia (inv. 4151): analoghi sono la caratterizzazione fisionomica dei personaggi dalle espressioni contrite e la concezione dei loro panneggi, così come la definizione anatomica del Cristo. Un altro interessante accostamento si può stabilire con la Consegna delle chiavi a san Pietro del Louvre (1598, inv. 3044), un’opera che si confronta pure per il paesaggio in lontananza dai soffusi toni che recedono progressivamente dal verde al blu.

La Pietà e la Consegna delle chiavi a san Pietro si collocano nella fase più rara della produzione di Castello, in cui l’artista dimostra l’adesione alla lezione formale del Manierismo: la Consegna delle chiavi è infatti derivata da un’invenzione di Michelangelo, mentre sia la Pietà (che pure è influenzata da quella in marmo del Buonarroti per il Vaticano), sia il nostro Compianto sono in parte esemplate su invenzioni di Giulio Clovio, il grande miniatore dalmata allievo di Giulio Romano, le cui opere Castello ebbe modo di studiare e conoscere durante la sua attività all’Escorial per Filippo II (1583-1585). Evidenti sono di fatti le affinità compositive con il Compianto miniato da Clovio della National Gallery di Washington (c. 1550, inv. 2006.111.1) e con un’incisione a essa legata eseguita da Cornelis Cort (1568). Conferma tale legame la data presente sulla miniatura offerta, eseguita evidentemente subito dopo il rientro a Genova dal soggiorno spagnolo del genovese.

Celebrato con una biografia da Raffaele Soprani, fondatore della storiografia artistica ligure, come “diligentissimo miniatore” e omaggiato da lodi in versi da vari poeti del Seicento, il Genovese è certamente tra i più rilevanti protagonisti della miniatura tra la fine del XVI e i primi decenni del XVII, genere che rivisse una stagione d’oro nel secondo Cinquecento quando fu resa indipendente dal testo e quando le opere si trasformarono in veri quadri in miniatura. Sono immagini pensate in grande (secondo i canoni della pittura da cavalletto) ma eseguite in piccolo e a scopo devozionale: piccole gemme da godere nell’intimità, come anche l’opera qui presentata.

 

Stima   € 10.000 / 15.000
4

Attribuito a Marcello Fogolino

(Vicenza, circa 1483 – post 1558)

ANDATA AL CALVARIO

olio su tavola, cm 32,5x44

 

Attributed to Marcello Fogolino

CHRIST ON THE ROAD TO CALVARY

oil on panel, cm 32,5x44

 

Attribuito negli anni ’80 ad Altobello Melone da Filippo Todini in una comunicazione privata alla proprietà il dipinto, per quanto è stato possibile accertare, non è mai comparso nella letteratura critica.

Una recente indagine, che ha coinvolto i maggiori studiosi, ha fatto emergere più di un dubbio sull’ attribuzione ad Altobello e ha portato all’ipotesi di spostare l’opera in area veneta. In questo senso si sono espressi oralmente sia Marco Tanzi, autore di numerosi studi sulla pittura cremonese del Rinascimento, sia Giorgio Fossaluzza, uno dei più attendibili esperti di pittura veneta di quel periodo.

Le indicazioni di entrambi gli studiosi avvicinano il dipinto qui presentato alle opere di Marcello Fogolino, la cui attività di frescante e autore di pale d’altare tra la città natale, Trento, Gorizia e le Marche attende ancora una ricognizione sistematica.

Verosimilmente eseguito come elemento di predella per una pala non identificata, il nostro dipinto tradisce l’influenza della grafica nordica nella definizione degli edifici e del paesaggio, comune in Veneto all’inizio del Cinquecento. Motivi estranei alla tradizione classica rimarranno in ogni caso costanti nella produzione dell’artista, per effetto dei contatti con Dosso Dossi, Girolamo Romanino e Antonio da Pordenone, che lo condurranno a esiti imprevisti nella sua prima formazione vicentina. Si veda in proposito, anche per il confronto con un dipinto a piccole figure databile però nell’ambito del quarto decennio, la Conversione di Saulo analizzata da Marco Tanzi (Il vertice anticlassico di Marcello Fogolino, in “Prospettiva” 167-168, 2017, pp. 74-101).

 

Stima   € 10.000 / 15.000
12

Giovanni Bilivert

(Firenze, 1585 - 1644)

DAFNI AMMIRA CLOE ADDORMENTATA

olio su tela, cm 121x175

siglato e datato in basso a destra "GB 1643"

 

DAFNI ADMIRING CLOE ASLEEP

oil on canvas, cm 121x175

signed and dated lower right "GB 1643"

 

Datata al 1643, l’inedita opera qui presentata si propone come una delle ultime imprese pittoriche realizzate prima della sua morte da Giovanni Bilivert, artista legato a quell’ambiente culturale fiorentino a cavallo tra Cinque e Seicento a cui il Contini si riferisce quando, nella sua monografia sul pittore, parla di ‹‹fiorito pittoricismo››, stile che il Bilivert ebbe modo di assimilare all’interno della bottega del Cigoli.

Intorno agli anni Trenta del Seicento, probabilmente dopo un viaggio a Roma, iniziò a cimentarsi in scene eleganti e sentimentali tratte dalla letteratura epico-mitologica, spesso venate da una certa ambiguità.

Il dipinto prende spunto dalle vicende di Dafni e Cloe, due giovani pastori protagonisti delle avventure bucoliche che il poeta ellenico Longo Sofista scrisse intorno al III secolo d.C.

La decisione di spogliare Cloe dei suoi abiti quotidiani, proponendola svestita e adornata da gioielli preziosi, riprende le numerose raffigurazioni femminili che caratterizzano la produzione tardiva del Bilivert.

Il corpo nudo della donna diventa personificazione stessa della bellezza, un oggetto del desiderio amoroso che porta l’uomo a una perpetua e lussuriosa contemplazione.

L’equivocità della scena è qui espressa dallo sguardo indiscreto di Dafni, che sembra quasi violare l’intimità di Cloe; tuttavia, per coloro che conoscono la storia, salta subito all’occhio la zampogna che Dafni tiene sotto al suo braccio sinistro, strumento il cui suono aveva fatto nascere nella fanciulla i primi sentimenti amorosi.

 

Ringraziamo Sandro Bellesi per aver confermato l’attribuzione su base fotografica.

 

 

 

Stima   € 25.000 / 35.000
15

Baccio del Bianco

(Firenze, 1604 - Madrid, 1657)

BALLERINI IN UNA GALLERIA

olio su tela, cm 80x126

al retro della tela, non originale, scritta a vernice nera "Jacobus Callot"

 

DANCERS IN A GALLERY

oil on canvas, cm 80x126

on the reverse, inscript in a black varnish "Jacobus Callot"

 

Bibliografia

M. Gregori, Baccio del Bianco tra Firenze e Madrid, in “Paragone”, LX, 2009, 86 (713), pp. 24-26, tav. 8.

Architetto militare, pittore e scenografo, Baccio del Bianco fu legato al mondo del teatro, che lo vide protagonista a Firenze a partire dalla fine degli anni Venti, anche come musicista e cantore. Così infatti Filippo Baldinucci, che lo ricorda altresì come autore “di abiti capricciosi per commedie, balletti, giostre … le quali invenzioni disegnava di penna, e acquarelli coloriti, con gran facilità e bizzarria…”.

Se quest’aspetto dell’attività dell’artista fiorentino è documentata dalla ricchissima produzione grafica conservata in tutte le principali raccolte pubbliche, a cominciare dal Gabinetto dei Disegni degli Uffizi e dal British Museum, che conserva un volume di suoi costumi teatrali, più rara e sfuggente è la sua produzione pittorica, essenzialmente documentata in casa Buonarroti a Firenze.

Preziosa è dunque l’aggiunta al suo esiguo catalogo della tela qui in esame, restituitagli da Mina Gregori grazie ai confronti con disegni colorati di Baccio del Bianco ispirati a Jacques Callot in cui compaiono figure danzanti molto vicine alle nostre (Firenze, Biblioteca Nazionale, Cod. Magl.Cl. XVIII, Cod. 6; Gregori 2009, fig. 9).

Le ritroviamo infatti in un’incisione di Jacques Callot (il cui nome compare, non a caso, nella scritta di collezione al retro della tela) che illustra la “Guerra d’Amore, festa del Ser.mo Granduca di Toscana fatta l’anno 1615”.

Il mondo del teatro è poi richiamato dalla prospettiva architettonica, una lunga galleria con un tempietto sullo sfondo, sorta di palcoscenico per la danza sfrenata delle maschere. Vi assistono ai lati tre giovani cavalieri all’ultima moda, questi ultimi invenzione originale di Baccio del Bianco a prescindere dai modelli callottiani parzialmente riconoscibili nelle figure danzanti.

Stima   € 50.000 / 80.000
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
16

Scuola fiamminga, sec. XVI

INTERNO DI MACELLERIA

olio su tela, cm 150,5x217,5

 

Flemish school, 16th century

A BUTCHER SHOP

oil on canvas, cm 150,5x217,5

 

Attribuiti alla bottega cremonese di Vincenzo Campi nella raccolta di provenienza, i dipinti qui presentati devono essere piuttosto ricondotti ai modi di Joachim Bueckelaer (circa 1530-circa 1570) attivo ad Anversa nei decenni centrali del Cinquecento o, più verosimilmente, all’attività di un suo immediato seguace. Sono infatti numerosi i motivi di confronto iconografici e compositivi con le numerose opere documentate del pittore fiammingo, su tutti il tavolo in primo piano inclinato verso lo spettatore a mostrare una grande varietà di vettovaglie e utensili da cucina.

Anche i secondi piani appartengono al repertorio del fiammingo, nella Macelleria infatti è presente uno scorcio di un’animata città con tipici edifici nordici, mentre nell’Interno di cucina si intravede una sala da pranzo con un grande camino dove solitamente Bueckelaer ambientava scene neotestamentarie a piccole figure.

L’assenza, nel nostro caso, dei rimandi ai Vangeli che, alla nascita del genere, accompagnavano sullo sfondo le nature morte in primo piano, suggerisce una data relativamente avanzata per i nostri dipinti, eseguiti quando la natura morta, ormai generalmente accettata quale soggetto autonomo, non richiedeva i pretesti narrativi che ne avevano segnato i precedenti, nelle Fiandre come in Italia.

Spiccatamente di gusto nordico sono infine gli scuri copricapi triangolari di due clienti della Macelleria.

 

Stima   € 12.000 / 18.000
18

Giovan Francesco Romanelli

(Viterbo, 1610 ca. – Roma, 1662)

MADDALENA NEL DESERTO

olio su tela, cm 71,5x58,5

 

MARY MAGDALENE IN THE DESERT

oil on canvas, cm 71,5x58,5

 

Provenienza

Commissionato dal Cardinale Francesco Barberini, 1651;

Don Rodrigo Díaz de Vivar de Sandoval y Mendoza, VII duca dell’Infantado;

Londra, Sotheby’s, 31 ottobre 1979, n. 159;

Collezione privata

 

Bibliografia

M. Fagiolo dell’Arco, Pietro da Cortona e i “cortoneschi”. Bilancio di un centenario e qualche novità, Roma 1998, p. 163, 169 nota 25, fig. 43.

F. Gatta, L’impiego delle opere d’arte nella diplomazia e nella politica dei Barberini; il Cardinal Francesco, il VII Duca dell’Infantado e qualche ipotesi attorno a due Maddalene nel deserto di Giovan Francesco Romanelli, di prossima pubblicazione.

 

Reso noto da Maurizio Fagiolo in un saggio ricco di materiale inedito dedicato agli allievi e ai più stretti seguaci di Pietro da Cortona, il bel dipinto qui offerto – palesemente destinato al collezionismo privato – è stato posto in relazione da Francesco Gatta con una tela uguale per soggetto e dimensioni citata, pur senza indicazione di autore, nell’inventario redatto in morte del VII Duca dell’Infantado (1614-1657), ambasciatore del Re di Spagna a Roma nel 1650-51.

Come risulta dai documenti pubblicati nel 1975 da Marilyn Aronberg Lavin, nel novembre del 1651 il cardinale Francesco Barberini pagò 25 scudi per una Maddalena di Giovan Francesco Romanelli come dono per il Duca a conclusione del suo incarico.

È quindi possibile documentare più esattamente l’esecuzione del nostro dipinto che Maurizio Fagiolo collocava in un ambito cronologico leggermente più ampio, al tempo del ritorno a Roma di Giovan Francesco Romanelli dopo il primo soggiorno a Parigi (giugno 1646-settembre 1647) e prima che nel 1655 l’artista viterbese facesse ritorno per due anni alla corte francese.

Anche Fagiolo, peraltro, aveva ricordato la Maddalena di commissione barberiniana del 1651, senza tuttavia poterla identificare con certezza con il dipinto qui in oggetto in assenza dell’inventario che ne specifica le dimensioni. La ricorrenza del soggetto nella produzione del Romanelli è comunque confermata dalla notizia di una Maddalena “in tela da testa” donata dall’artista alla nipote Lucrezia nel 1654.

 

Ringraziamo Francesco Gatta per averci mostrato il suo studio in corso di stampa e confermato l’identificazione.

Stima   € 10.000 / 15.000
21

Maestro del Chiostro degli Aranci (Giovanni di Consalvo ?)

(documentato a Firenze tra il 1435 e il 1439)

SAN GIOVANNI BATTISTA

SANT'ANTONIO ABATE

coppia di dipinti, tempera e oro su tavola, cm 60x22

 

SAINT JOHN THE BAPTIST

SAINT ANTHONY THE GREAT

tempera and gold on panel, cm 60x22, a pair

 

Provenienza

New York, Silberman Galleries, 1964, come da etichetta al retro;

Milano, asta Finarte, 5 dicembre 1991;

Collezione privata

 

Esposizioni

Mostra di dipinti del XIV e XV secolo. Milano, Finarte, 6 febbraio-7 marzo 1971, n. 17.

 

Bibliografia

C. Volpe, Mostra di dipinti del XIV e XV secolo, Milano 1971, pp.42-43, n. 17.

M. Boskovits, Per Giovanni “dipintore di Portogallo”, in Arte, collezionismo, conservazione. Scritti in onore di Marco Chiarini, a cura di M. L. Chappell, M. Di Giampaolo e S. Padovani, Firenze 2004, pp. 155-59.

 

Le tavole qui presentate furono riferite per la prima volta da Carlo Volpe a Giovanni di Consalvo, identificato con il Maestro del Chiostro degli Aranci. L’attribuzione fu poi confermata da Miklòs Boskovits nel suo contributo dedicato a Marco Chiarini, che aveva appunto scelto il ciclo di storie benedettine nel chiostro della Badia fiorentina come suo primo argomento di studi (Il Maestro del Chiostro degli Aranci: Giovanni di Consalvo Portoghese, in “Proporzioni” 4, 1963, pp. 1-24) e che insieme a Federico Zeri aveva confermato oralmente le nostre tavole all’artista portoghese documentato a Firenze in ambito domenicano e, più precisamente, nella stretta cerchia dell’Angelico.

Del tutto convincenti i confronti proposti da entrambi gli studiosi con dettagli degli affreschi citati, tredici scene della vita di S. Benedetto presumibilmente completate da altre undici, la cui esecuzione è documentata da pagamenti – solo in parte intestati al pittore portoghese – nel 1438-39, e in particolare con il Miracolo del vino avvelenato, dove compaiono visi virtualmente sovrapponibili a quello del nostro Sant’Antonio abate.

Tra le rare opere attribuibili al Maestro, documentato a Firenze nel 1435 nei pressi di S. Domenico di Fiesole e attivo a stretto contatto con Zanobi Strozzi, l’insieme tuttora da ricostruire da cui provengono i nostri pannelli e, come già suggerito dal Volpe, la tavoletta con San Lorenzo nella Walters Art Gallery di Baltimora, dalla collezione Massarenti, uguale per sagoma, dimensioni e punzonatura alle tavole qui presentate.

È da ricordare infine il recente studio di Anne Leader (Reassessing the murals in the Chiostro degli Aranci, in “The Burlington Magazine” 149, 2007, 1252, pp. 460-470), in cui il ruolo di Giovanni di Consalvo viene ridimensionato e il Maestro del Chiostro viene identificato con Zanobi Strozzi, a stretto contatto con l’Angelico, possibile ideatore delle scene benedettine e autore delle sinopie tradotte a fresco da aiuti. Il ruolo preponderante di Zanobi Strozzi nell’esecuzione del ciclo è sostenuto anche da Everett Fahy e Lawrence Kanter.

Stima   € 30.000 / 50.000
22

Francesco Signorelli

(Cortona, 1490 ca. – 1553)

STORIE DELLA VERGINE

tempera su tavola, cm 32,5x159,5

 

SCENES FROM THE LIFE OF THE VIRGIN

tempera on panel, cm 32,5x159,5

 

Provenienza

Firenze, collezione Bardini

Londra, Christie, Manson & Wood, asta 27 maggio 1902, lot. 687

 

Bibliografia

Catalogue des objets d’art antiques, du moyen âge et de la Renaissance, provenant de la collection Bardini de Florence, Paris 1902, pp. 127-128.

B. Laurence Kanter, Francesco Signorelli, in “Arte cristiana”, N.S. 82, 1994, pp. 199-212.

 

La predella completava la tavola con l’Annunciazione eseguita nel 1527 da Francesco Signorelli, nipote del più celebre Luca, per una cappella della chiesa di Santa Maria delle Grazie al Calcinaio di Cortona dove ancor oggi si trova sul primo altare a destra.

Nella prima metà del XVI secolo alcune famiglie cortonesi commissionarono quattro grandi pale d’altare per questa chiesa raffiguranti, oltre la già menzionata Annunciazione, l’Immacolata Concezione (1523-1524), l’Assunzione della Vergine (1526) e l’Adorazione dei Magi (1523-1527 circa), credute opera del pittore cortonese Tommaso Bernanei detto “il Papacello” (1505-1559), allievo di Giulio Romano, fino a quando Laurence Kanter ha chiarito la questione attributiva riferendo a quest’ultimo solo l’Assunzione e riconducendo le altre tre a Francesco Signorelli.

L’erudito cortonese Narciso Fabbrini riferiva nel suo Vite d’illustri cortonesi – manoscritto conservato presso la Biblioteca del Comune di Cortona e dell’Accademia Etrusca, ms 705 – che nel 1840, in seguito ad alcuni lavori di restauro condotti nella chiesa del Calcinaio, le pale dovettero essere private di cornici e predelle.

Fabbrini però non fa alcuna menzione della predella dell’Annunciazione che pertanto poteva già essere stata separata dalla pala e dunque non più visibile al momento della compilazione del suo manoscritto sugli uomini illustri cortonesi.

Tale predella, insieme e quella relativa all’Adorazione dei Magi, fu probabilmente acquistata dall’antiquario fiorentino Stefano Bardini nell’Ottocento direttamente dalla chiesa del Calcinaio: si trovano infatti nel catalogo della collezione Bardini relativo a un’asta del 1902 tenutasi a Londra presso Christie, Manson & Wood.

Nello specifico, quella segnata al lotto 687 è quella qui presentata, allogata con la relativa pala dal cortonese Francesco di Mario Baldacchini per uno degli altari del transetto.

 

Stima   € 30.000 / 50.000
23

Giovan Battista Moroni

(Albino, 1521/24 - 1580)

SAN GIOVANNI EVANGELISTA

SAN PAOLO

coppia di dipinti, olio su tavola, cm 153,5x51,5

 

SAINT JOHN THE EVANGELIST

SAINT PAUL

oil on panel, cm 153,5x51,5, a pair

 

Provenienza

Bergamo, conte Sottocasa;

Milano, collezione privata;

MIlano, asta Finarte, 19 maggio 1999, lotti 22 e 23;

Bergamo, collezione privata

 

Bibliografia

G. Marenzi, Guida di Bergamo (1824). Edizione a cura di C. Solza, Bergamo 1985, p. 96.

M. Gregori, Giovan Battista Moroni in I Pittori Bergamaschi. Il Cinquecento, III, Bergamo 1979, p. 285, nn. 149-150; p. 335, figg. 5-6.

S. Facchinetti, Giovan Battista Moroni. Opera completa, Roma 2021, pp. 121-122, cat. 26.

 

Probabilmente identificabili con la coppia di Apostoli, apparentemente su tavola, descritti presso il conte Sottocasa dalla Guida del Marenzi in quanto rintracciati dalla Gregori presso i discendenti di quella famiglia, i dipinti qui offerti sono stati ripetutamente (ed erroneamente) descritti come tele, se non addirittura come trasporti da tavola a tela, nonostante la corretta indicazione nel catalogo della vendita Finarte. Da qui, probabilmente, anche le considerazioni solo in parte condivisibili, e comunque non derivanti da un esame diretto, circa uno stato conservativo molto compromesso, a seguito appunto di tale ipotetico trasporto, in realtà mai avvenuto.

Si tratta dunque di opere del tutto eccezionali, per la tecnica adottata, nel pur ampio catalogo di opere sacre di Giovan Battista Moroni.

Una scelta probabilmente voluta dalla committenza –ad oggi non identificata – forse allo scopo di affiancare una tavola più antica se non addirittura una scultura lignea: forse un Crocefisso, se osserviamo l’albero, riferimento al “lignum crucis”, accanto alla figura di San Paolo.

Non c’è dubbio comunque che i nostri santi siano stati pensati come laterali di un elemento centrale oggi non rintracciato: lo conferma il confronto con analoghe figure, pur contenute entro nicchie a trompe-l’-oeil nel registro inferiore dei noti polittici di Ranica e di Roncola, entrambi nella bergamasca, databili nei primi anni Sessanta.

Nel primo, la figura di San Giovanni a destra (ripetuta dallo stesso cartone anche in una pala in raccolta privata) condivide col nostro San Paolo il panneggio raccolto sul braccio ma soprattutto il capo volto allo spettatore, quasi a coinvolgerlo nella contemplazione dell’immagine sacra al centro.

Una soluzione che ritroviamo, ancor più esplicita, nei donatori che talvolta Moroni ritrae in primo piano, in muto dialogo con lo spettatore con cui, proprio come nei ritratti per cui fu celebrato, l’artista vuole stabilire una relazione.

Sebbene non ne abbia l’ampiezza monumentale, anche Giovanni Evangelista rimanda alla figura di San Defendente che nel polittico di Roncola affianca a sinistra la Madonna col Bambino.

Le nostre tavole precedono senz’altro quelle prove più mature: negli anni Cinquanta, secondo la Gregori, o addirittura nel quinto decennio stando al più recente parere di Simone Facchinetti.

Stima   € 80.000 / 120.000
24

Felice Brusasorzi

(Verona, 1539 - 1605)

BATTAGLIA FRA CENTAURI E LAPITI

olio su tela, cm 181x181

 

BATTLE BETWEEN THE CENTAURS AND THE LAPITHS

oil on canvas, cm 181x181

 

Provenienza

Verona, collezione Sagramoso di San Fermo;

Illasi (VR), collezione Sagramoso;

Collezione privata

 

Esposizioni

Cinquant’anni di pittura veronese 1580-630. Verona, Palazzo della Gran Guardia 3 agosto – 4 novembre 1974, n. 42

 

Bibliografia

B. Dal Pozzo, Le Vite de’ Pittori, degli Scultori et Architetti veronesi…, Verona 1718, edizione a cura di L. Magagnato, Verona 1967, p. 284.

G.B. Da Persico, Descrizione di Verona e della sua provincia, I, Verona 1820, p. 200.

D. Zannandreis, Le Vite dei Pittori Scultori et Architetti veronesi (Ms., 1835 c.), a cura di G. Biadego, Verona 1891, p. 148.

F. Zava Boccazzi, Profilo di Felice Brusasorzi, in “Arte Veneta” XXI, 1967, pp. 129 e 142, nota 26; fig. 147.

L. Magagnato, in Cinquant’anni di pittura veronese 1580-630. Catalogo della mostra, Verona 1974, p. 77, n. 42; fig. 54 bis.

F. Dal Forno, La Galleria di quadri dei marchesi Sagramoso di San Fermo, in “Verona illustrata” 1993, 6, p. 33.

S. Dell’Antonio, Felice Brusasorzi. Un percorso tra “maniera” e natura. Materiali per una ricerca monografica. Tesi di Dottorato. Università di Udine. Anno accademico 2005/2206, I, p. 202.

 

Referenze fotografiche

Venezia, Fondazione Cini, scheda 3659961

 

Ricordata dal Dal Pozzo e da altre fonti veronesi presso il ramo della famiglia Sagramoso “in Contrada San Fermo” insieme a numerose altre opere dello stesso autore (tra cui la serie dei Dodici Cesari qui in catalogo tra le opere di eccezionale importanza storico-artistica) e rimasta nella stessa famiglia fino ad epoca relativamente recente, la grande tela qui presentata è in qualche modo paradigmatica dell’adesione del pittore veronese agli stilemi della Maniera, intorno al penultimo decennio del Cinquecento.

Tra le invenzioni più dinamiche e spettacolari dell’artista, la Battaglia tra Centauri e Lapiti costituisce un interessante precedente per la Vittoria dei veronesi a Desenzano commissionata dalla città nel 1595 come parte di un ciclo dedicato alle glorie cittadine, di cui anticipa il comporre concitato.

La destinazione privata della nostra battaglia e il tema desunto dalla mitologia invece che dalla storia cittadina concede tuttavia al Brusasorzi libertà inaspettate, come la cura per i nudi femminili e il gustoso dettaglio dei piatti sparsi in primo piano: particolare del tutto incongruo ai fini della narrazione e invece occasione di un pezzo di bravura, quasi una citazione da modelli bassaneschi.

Stima   € 40.000 / 60.000
26

Paul Bril

(Anversa, 1554 c. - Roma, 1626)

PAESAGGIO CON CACCIA AL CERVO

olio su tela, cm 116x173

 

LANDSCAPE WITH DEER HUNTING

oil on canvas, cm 116x173

 

Provenienza

Roma, Palazzo Rospigliosi;

Collezione privata

 

Proveniente da palazzo Rospigliosi e più specificamente dalla collezione della principessa Ottavia, il dipinto non è identificabile con sicurezza tra i molti paesaggi di grandi dimensioni censiti nei diversi inventari della raccolta romana (per cui si veda A. Negro, La Collezione Rospigliosi, Roma 1999; Eadem, Paesaggio e figura. Nuove ricerche sulla Collezione Rospigliosi, Roma 2000), è stato confermato al pittore fiammingo dalla sua maggiore specialista, Francesca Cappelletti, in una comunicazione privata alla proprietà.

Ne viene proposta una datazione relativamente precoce, nei primi anni del secolo quando Paul Bril alternava la sofisticata produzione di paesaggi a olio su rame, caratterizzati da un’estrema cura del dettaglio, a grandi tele di più ampia stesura accostabili, anche nei temi, agli affreschi che egli stesso aveva eseguito in palazzo Mattei alle Botteghe Oscure.

È quindi con tele di grandi dimensioni spesso animate da scene di caccia, come nel nostro dipinto, che nei palazzi nobiliari romani si sostituiscono gli arazzi di “verzure” così popolari nel Cinquecento: una moda inaugurata a palazzo Mattei appunto da Paul e Matteo Brill con le grandi vedute dei feudi di quella famiglia, ora nella Galleria Nazionale di Arte Antica a palazzo Barberini.

Stima   € 20.000 / 25.000
1 - 30  di 72