DAL RINASCIMENTO AL PRIMO '900. PERCORSO ATTRAVERSO CINQUE SECOLI DI PITTURA

11 MAGGIO 2022

DAL RINASCIMENTO AL PRIMO '900. PERCORSO ATTRAVERSO CINQUE SECOLI DI PITTURA

Asta, 1117
FIRENZE
Palazzo Ramirez Montalvo

ore 15.00
Lotti 1 - 104
Esposizione
FIRENZE
Sabato 7 maggio 10-18
Domenica 8 maggio  10-13
Lunedì 9 maggio 10-18
Martedì 10 maggio 10-18
 
 
 
Stima   1000 € - 70000 €

Tutte le categorie

31 - 60  di 98
33

Giovanni Bernardo Carbone

(Genova, 1616 - 1683)

RITRATTO MASCHILE CON CAGNOLINO NERO

olio su tela, cm 99x74

 

PORTRAIT OF A MAN WITH A BLACK DOG

oil on canvas, cm 99x74

 

Provenienza

Padova, collezione privata

 

Bibliografia

D. Sanguineti, Giovanni Bernardo Carbone 1616-1683, Genova 2020, cat. C44, p. 272

 

Il dipinto è stato inserito nella recente monografia dedicata a Gio. Bernardo Carbone e assegnato a una fase avanzata dell’attività del ritrattista genovese, data la potenziata caratterizzazione psicologica del volto e la maggiore semplificazione del contesto in cui è raffigurato il gentiluomo (Sanguineti 2020, cat. C44, p. 272).

Dalla fine degli anni quaranta, Carbone si cimenta nel genere del ritratto rifacendosi ai prototipi vandyckiani che Genova, unica città italiana, offriva in straordinaria quantità. Numerosi sono gli esempi in cui il genovese adotta lo schema reso celebre prima da Rubens quindi da Van Dyck in cui l’effigiato, a mezzo busto o a figura intera, era posto accanto a una fontana, a un servitore moro o a un cane, stagliandosi contro un tendaggio che lasciava visibile su un lato una imponente colonna, dettagli che facevano da cassa di risonanza alla descrizione del suo stato sociale già richiamato da vestiario, acconciatura e toeletta.

Se la location è nella tela offerta limitata alla sola immancabile colonna e alla lussuosa poltrona rivestita di velluto rosso dove è seduto il gentiluomo, estremamente attenta è l’indagine del suo volto, propria delle tele di Carbone degli anni settanta, come si diceva in apertura. Il pittore descrive la sua leggera pinguedine, accentuata dall’età, i grigi capelli sottili e radi spartiti al centro, il naso prominente ma dritto, le labbra sottili e soprattutto lo sguardo che cattura quello dello spettatore. La veste nera, entro la quale quasi sparisce il fedele compagno sedutogli in grembo, da cui spuntano i candidi polsini della morbida camicia sottostante e il largo colletto piatto a bavero, risponde ai canoni in uso dell’ultimo quarto del XVII secolo.

 

Si ringrazia vivamente Daniele Sanguineti per l’aiuto nella schedatura della tela.

 

Stima   € 6.000 / 8.000
34

Artista Romano, sec. XVII

BATTAGLIA DI PONTE MILVIO

olio su rame, cm 25,5x40,5

 

Roman Artist, 17th century

THE BATTLE OF PONTE MILVIO

oil on copper, cm 25,5x40,5

 

Sebbene gli eserciti contrapposti non siano identificati da insegne o attributi specifici, la localizzazione della scena non lascia dubbi sull’evento che qui si vuole illustrare: lo scontro di soldati romani sulle rive del fiume è infatti dominato dalle arcate di ponte Milvio – così come si presentava prima dei rifacimenti ottocenteschi – mentre sullo sfondo è chiaramente individuabile – per quanto del tutto anacronistica – la cupola di San Pietro con i palazzi Vaticani, l’obelisco sulla piazza, e il coronamento del mausoleo di Adriano, già nel suo aspetto moderno di Castel Sant’Angelo.

Si tratta dunque della prima immagine della Città Eterna che si offriva allo sguardo di chi giungeva a Roma da nord, dalla Cassia o – come le truppe di Costantino – dalla Flaminia per poi attraversare il ponte o proseguire sulla riva destra lungo la via Trionfale.

Attento alla descrizione dei luoghi e alla loro coerenza con l’evento raffigurato, l’autore di questo dipinto non sembra potersi identificare come semplice battaglista: anche la definizione delle figure in primo piano, in qualche modo monumentali nonostante le ridotte dimensioni, fanno pensare a un pittore di storia educato sui modelli classici. Tra le diverse personalità che a Roma coltivarono entrambe le specialità si può suggerire il nome di Francesco Allegrini (1587-1663). Sebbene alcune scene di battaglia a lui tradizionalmente attribuite siano state ormai restituite al fiammingo Vincent Adriaenssen, il Manciola, gli è confermato il dipinto con la Battaglia di Muret nel convento di Santa Maria sopra Minerva, restituitogli da Federico Zeri, e il relativo bozzetto, e due episodi della Gerusalemme Liberata confrontabili col dipinto qui offerto.

 

 

Stima   € 6.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
36

Attribuiti a Cristoforo Munari

(Reggio Emilia, 1667 – Pisa, 1720)

CESTA DI PERE, CAVOLO E ZUCCHE SU UN PIANO

FINOCCHIONA, GHIACCIAIA E DUE BECCACCINI, CON MORE E AGRUMI SU UN PIANO

coppia di dipinti, olio su tela, cm 93x72

(2)

 

Attributed to Cristoforo Munari

(Reggio Emilia, 1667 – Pisa, 1720)

BASKET OF PEARS, CABBAGE AND PUMPKINS ON A STONE LEDGE

FINOCCHIONA, ICE BOX AND TWO BIRDS, WITH BLACKBERRIES AND CITRUS FRUITS ON A STONE LEDGE

oil on canvas, cm 93x72, a pair

(2)

 

Bibliografia

G. e U. Bocchi, Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra XVII e XVIII secolo, Casalmaggiore 1998, p. 337, fig. 412.

 

Resi noti da Ulisse e Gianluca Bocchi come opere di Cristoforo Munari – sebbene con un punto di domanda che potrebbe alludere a un intervento della bottega nel caso del primo dipinto della coppia in esame – i dipinti qui offerti si legano indubbiamente, anche nel formato verticale tipico del pittore emiliano, a un gruppo di “cucine” o “dispense” in cui l’artista dispone su un piano di pietra posto di sguincio rispetto alla superficie della tela una serie di frutti e ortaggi estivi e invernali - come nel nostro caso in cui more e ciliegie si accompagnano ad agrumi - o più coerenti tra loro nella stagione rappresentata, come nel primo dipinto della coppia qui in catalogo.

In molti casi, ai doni della Terra si accompagnano attrezzi di cucina e dispensa e selvaggina di piuma, a ricostruire le abitudini alimentari dell’area padana da cui l’artista proviene: motivi che solo più tardi cederanno il posto alla raffigurazione di oggetti fragili e preziosi quali vetri, porcellane e strumenti musicali con cui, una volta in Toscana, Munari corrispose alle richieste di collezionisti allineati sul gusto europeo.

 

Stima   € 25.000 / 35.000
39
Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
42

Bernardino Nocchi

(Lucca, 1741 – Roma, 1812)

LA TRINITÀ CON GLORIA DI ANGELI E SANTI CAPPUCCINI

olio su tela, cm 62,5x38

 

THE HOLY TRINITY WITH A GLORY OF ANGELS AND CAPUCHIN SAINTS

oil on canvas, cm 62,5x38

 

Bibliografia

F. Baldassari, Bernardino Nocchi e Pio VI: il modello per la pala perduta a Tor Tre Ponti, in Omaggio a Bernardino Nocchi (Lucca 1741-Roma 1812). A cura di Alessandro Agresti, Roma 2019, pp. 27-32.

 

Il dipinto è stato riconosciuto da Francesca Baldassari come modello per la pala ricordata nella biografia di Bernardino Nocchi come eseguita intorno al 1796 per il convento dei Cappuccini di Tor Tre Ponti, nei pressi di Latina, e mai consegnata.

La commissione si lega verosimilmente alla lunga e proficua attività del pittore lucchese per la famiglia del pontefice regnante, Pio VI Braschi, di cui è documento anche il ritratto del cardinale Giancarlo Bandi, zio materno del papa, venduto da Pandolfini l’8 giugno 2021. Un’opera che nel 1776 segnava l’inizio di un rapporto di committenza destinato a concludersi solo con l’esilio di Pio VI nel 1798, probabile causa della mancata consegna della pala d’altare di cui la tela qui offerta costituisce il modello di presentazione e l’unico documento visivo.

Vi sono raffigurati i principali santi dell’ordine: Giuseppe da Leonessa, Serafino, Lorenzo da Brindisi, Bernardo da Offida, con la Beata Coletta: la loro identificazione è confermata anche dalla descrizione della perduta pala, ceduta dall’artista alla famiglia Belloni ancor prima del 1809, quando ne fa cenno in una lettera al figlio Pietro, e ricordata nell’inventario manoscritto di quella famiglia.

La commissione deve verosimilmente associarsi con la presenza del pittore nel monastero di San Paolo a Tor Tre Ponti, fondato da Pio VI nell’ambito del progetto di bonifica delle paludi pontine e consacrato solennemente nel 1796: un evento celebrato in un dipinto a tempera su muro dove il Nocchi aveva raffigurato la corte pontificia, i frati cappuccini, e addirittura se stesso con il figlioletto.

Anche di quest’opera resta oggi notizia solo nella biografia di Tommaso Trenta (1822) che insieme ad altre carte d’archivio ha consentito a Roberto Giovannelli seguito da altri studiosi di ricostruire l’attività di Bernardino Nocchi tra Lucca e Roma.

 

 

Stima   € 8.000 / 12.000
52

Cesare Mussini

(Berlino 1804 - Firenze 1879)

SAN GIOVANNI A PATHMOS

olio su tela, cm 127x93

retro: iscritto "Cesare Mussini. inv.tò e / dip. a Firenze / nel 1876"

 

SAINT JOHN ON PATHMOS

oil on canvas, 127x93 cm

on the reverse: inscribed "Cesare Mussini. inv.tò e / dip. a Firenze / nel 1876"

 

Nato a Berlino, fratello maggiore del pittore Luigi, Cesare Mussini si aggiudicò nel 1828 il premio di pensionato artistico a Roma, dove frequentò artisti e intellettuali soprattutto francesi e strinse una profonda amicizia con Felix Mendelssohn. È in questi anni che l’artista compie un graduale passaggio da una rigorosa impostazione neoclassica verso orientamenti romantici, sino ad affermarsi presso un’altolocata clientela internazionale, viaggiando in Europa e ottenendo la stima dell’imperatore russo Nicola I.

Gli ultimi anni di Mussini sono caratterizzati dall’attività ritrattistica, ma anche da frequenti soggetti religiosi, quale il San Giovanni  che presentiamo in catalogo.

Al fianco di Gesù sin dall’inizio del suo ministero sino all’ultima Cena e ai piedi della croce assieme a Maria, l’apostolo Giovanni prese a diffondere il cristianesimo in Asia Minore, sino alla condanna all’esilio sull’isola di Pathmos impartitagli dall’imperatore Dominiziano. In questo luogo Giovanni ricevette la rivelazione del libro dell’Apocalisse, con cui avrebbe contemplato la Vera Luce del Verbo, come descritto nel Prologo del quarto vangelo, così come l'aquila, si riteneva, può fissare direttamente la luce solare.

 

 

Stima   € 3.000 / 5.000
54
Stima   € 2.500 / 5.000
Aggiudicazione  Registrazione
56

Lorenzo Bartolini

(Savignano 1777 - Firenze 1850)

BOZZETTO PER UN MONUMENTO A PERSONAGGIO IGNOTO

terracotta, cm 43

firmato in basso "Bartolini F[e]ce"

 

STUDY FOR A MONUMENT TO AN UNKNOWN GENTLEMAN

terracotta, 43 cm

signed at bottom "Bartolini F[e]ce"

 

Provenienza

Collezione privata

 

L'opera è accompagnata da studio di Annarita Caputo del 10 ottobre 2018.

 

La scultura di Bartolini che presentiamo in catalogo rappresenta un Genio, simbolo della Sapienza, che cinge col braccio destro le spalle dell’uomo raffigurato col solo busto all’eroica e lo guarda con dolcezza.

Per l’opera in questione, che proviene da una collezione privata, era stato inizialmente pensato si trattasse del monumento funebre che l’autore aveva progettato per sé stesso, ma in realtà i tratti somatici non corrispondono.

Se l’identificazione per tradizione orale quale progetto del Bartolini per un proprio monumento funebre è da escludersi, certa è la paternità dello scultore che vi inserisce la firma, risultata autografa a confronto con le altre poste su documenti dell’artista. Stilisticamente la piccola scultura è databile fra il 1836 e 1846, decennio in cui Bartolini era impegnato in molti monumenti celebrativi, destinati per lo più a Santa Croce luogo deputato alla memoria di persone illustri, ma l’identità dell’effigiato del bozzetto rimane  ignota.

Lo schema dell’opera è affine a quello del monumento eseguito da Luigi Pampaloni a Lazzaro Papi, interpretato in forma di erma su un cippo e abbracciato dalla musa Calliope (Lucca, San Frediano, 1835), mentre alcuni elementi simbolici del modellino riportano all’ideazione del monumento a Leon Battista Alberti (Firenze, Santa Croce, 1838-1851).

Il tema dell’invidia, cui Bartolini era sensibile personalmente, potrebbe essere il significato specifico da attribuire, una volta identificato il personaggio del bozzetto in esame, al serpente quasi schiacciato dal piede del Genio della Sapienza che protegge e accompagna con dolce affetto l’uomo sino all’ultimo. Attualmente si può attribuire al serpente, tra i molti significati possibili, anche quello più generale di vita e morte.

 

 

Stima   € 3.000 / 5.000
Aggiudicazione  Registrazione
57

Luigi Preatoni

(Novara 1845 - ?)

VIRGINIA ZUCCHI

terracotta, cm 30x12

titolato alla base, firmato e iscritto "Roma" sul retro

 

VIRGINIA ZUCCHI

terracotta, 30x12 cm

titled at the bottom, signed and inscribed "Roma" on the reverse

 

La donna immortalata nella raffinata scultura in terracotta di Luigi Preatoni che presentiamo in catalogo è la celebre ballerina Virginia Zucchi (Cortemaggiore 1849 - Nizza 1930). Nipote dei ballerini Giuseppe e Domenico, Virginia riuscì presto ad affermarsi grazie alla sua tenacia e alle sue doti tecniche, debuttando appena quindicenne a Varese, nonostante non fosse ammessa a frequentare la scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano, dove  nel 1883 fu interprete della rivisitazione dell’Excelsior di Luigi Manzotti. Sempre nello stesso anno si esibì al teatro Eden di Parigi,  a Berlino Paolo Taglioni allestì per lei una nuova versione de La Fille Mal Gardée. Nel 1885 lo Zar Alessandro III rimase così colpito da una sua esibizione da offrirle un contratto con la compagnia del balletto del Teatro Imperiale, ove danzò nelle coreografie di Marius Petipa: La Figlia del Faraone, La Fille Mal Gardée e La Esmeralda.

Alla “Divina Virginia”, come veniva chiamata in Russia, è attribuita l’invenzione del tutù corto, affrancandosi dal casto tutù romantico.

Rientrata dalla Russia nel 1888, l’artista danzò in Europa sino al ritiro avvenuto intorno al 1900, cui seguì la decisione di aprire una scuola di danza a Montecarlo dove insegnò sino a tarda età.

 

 

 

Stima   € 2.000 / 3.000
Aggiudicazione  Registrazione
58

Giuseppe Gronchi

(Firenze 1882 - Firenze 1944)

GIUSEPPE VERDI

marmo, cm 30x23, base in marmo giallo, cm 16x16x10

 

GIUSEPPE VERDI

marble, 30x23 cm, yellow marble base, 16x16x10 cm

 

La fama di Giuseppe Gronchi, scultore fiorentino tra i più attivi in città, si consolida nei primi anni Trenta del  ‘900.

Negli anni Venti  lavora al teatro Savoia a Firenze (odierno Cinema Odeon), inaugurato nel 1922, realizzando fregi, maschere decorative e formelle all’interno del teatro. In queste opere il suo stile,  precedentemente influenzato da scultori quali Auguste Rodin e Vincenzo Gemito, è ormai aggiornato all'arcaismo di Émile-Antoine Bourdelle, in bilico tra influenze Decò e sinuosità Liberty, che contraddistinguerà la sua opera per tutto il Ventennio. Cospicua è la sua produzione di opere commemorative per i cimiteri fiorentini , tra lapidi e veri e propri monumenti dedicati ai caduti della Prima Guerra Mondiale, alcuni delle quali sono andate distrutte nel conflitto o nel Dopoguerra . In questo periodo il suo stile testimonia un certo eclettismo che, nella matrice déco, si  alterna tra il simbolismo, la vigorosa propaganda del regime, l'interpretazione del classicismo e il modellato solenne di Antonio Maraini con cui aveva lavorato al Teatro Savoia. 

Nel 1931 fa parte del gruppo di scultori chiamati alla decorazione della stazione di Milano Centrale e tra il 1930 e il 1932 esegue la fontana pubblicitaria per la Campari, opera replicata in numerosi esemplari di cui solo tre superstiti, dove evidenti sono le influenze secessioniste e di Ivan Meštrović.

A Firenze tra il 1934 e il 1935 partecipa alla decorazione della Biblioteca Nazionale Centrale, in particolare per i due telamoni dei rampanti dello scalone d'onore.

L’artista fiorentino è autore della maschera in marmo di Giuseppe Verdi che presentiamo in catalogo.
L’opera sembra strettamente concepita con il suo supporto sia per la ricerca di contrasto cromatico sia per la precisa  delineazione  del mento studiato per adattarsi alla base in marmo giallo.
Per la matrice simbolista con cui l’artista sceglie di realizzare il volto del Maestro sotto forma di maschera, invece che scultura a tutto tondo, l’opera si può collocare stilisticamente nel primo Ventennio del ‘900, proprio quando lo scultore esegue le decorazioni  per il Teatro Savoia, differenziandosi dal busto in bronzo di Verdi realizzato con timbro più verista.

 

 

 

 

Stima   € 2.500 / 5.000
59

Domenico Morelli

(Napoli 1826 - 1901)

L'AMORE DEGLI ANGELI

olio su tela, cm 76x116

firmato in basso a sinistra

 

THE LOVE OF THE ANGELS

oil on canvas, 76x116 cm

signed lower left

 

Provenienza

Collezione privata

 

 

Gli scritti di Byron e Gli amori degli angeli di Thomas Moore, furono la lettura prediletta del grande artista napoletano Domenico Morelli nell'ultimo periodo della sua attività. A questo periodo stilistico, tra il 1882 e 1885, si collocano le versioni dell'opera L’amore degli Angeli. È una rara redazione di questo soggetto che presentiamo in catalogo.

Tre giovani bellissimi conversano tra fiori profumati sulla china di un colle illuminato dagli ultimi raggi del sole che tramonta. La loro bellezza e il loro sguardo fanno capire che non sono di questo mondo, ma condannati a restare sulla terra per le passioni che li hanno vinti. Parlano degli spazi infiniti, con rimpianto senza rimedio, illanguiditi dai sentimenti provati. Gli angeli descritti da Moore hanno struggenti sentimenti e desideri, a metà tra l'umano e il trascendente. Sono presi da passioni terrene, dall'amore per la bellezza delle donne, rese ancora più belle da una bruciante ansia di conoscenza. Lo svolgimento de L’amore degli Angeli testimonia l'abbandono del verismo da parte di Morelli  e coincide con un mutamento di orientamento verso temi simbolico-religiosi che caratterizzano il  suo secondo periodo figurativo. Nell'ultimo periodo  infatti la pittura dell’artista si orienta verso una ricerca interamente proiettata ai nuovi interessi tematici del Cristo e degli Angeli, e proprio a chiusura secolo si volge ad una maturità di linguaggio pittorico che prelude al simbolismo.

 

 

Stima   € 15.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
31 - 60  di 98