MOBILI, DIPINTI E SCULTURE: RICERCA E PASSIONE IN UNA COLLEZIONE FIORENTINA

16 OTTOBRE 2019

MOBILI, DIPINTI E SCULTURE: RICERCA E PASSIONE IN UNA COLLEZIONE FIORENTINA

Asta, 0313
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
ore 16:00
Esposizione

FIRENZE
Sabato       12 ottobre  10-18
Domenica   13 ottobre  10-18
Lunedì        14 ottobre  10-18
Martedì       15 ottobre  10-18

Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   500 € - 100000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 138
136

ÉTAGÈRE CON ALZATA, ANDRÈ COSSA, LOMBARDIA, TERZO QUARTO SECOLO XIX

in ciliegio filettato in legno scurito e intarsiato e pirografato, in acero ed ebano; piano di linea spezzata centrato da intarsio raffigurante bouquet di fiori entro cornice polilobata tra riserve sagomate che inquadrano volatili e draghi tra ramages vegetali, su gambe a lira profilate da volute e intarsiate a racemi vegetali poggianti su pianetto di linea spezzata dietro al quale si apre una vetrina scantonata con apertura a scorrere su fondo specchiato; alzata mistilinea profilata a volute che si portano in alto a formare la piccola cimasa scolpita a palmetta tra due volute e centrata da monogramma entro medaglione circolare, quattro pianetti sagomati sorretti da aquile ad ali spiegate scolpite a tutto tondo, cm 178x154x55

 

A LOMBARD ÉTAGÈRE WITH HIGH TOP, ANDRÈ COSSA, THIRD QUARTED 19TH CENTURY

 

Bibliografia di confronto

Il mobile italiano del secondo Ottocento: storicismo e movimento estetico, catalogo asta Finarte, Milano, 8 novembre 1986, lotti 43-44;

E. Colle, Il mobile dell'Ottocento in Italia. Arredi e decorazioni d'interni dal 1815 al 1900, Milano 2007, p. 202

 

La struttura e l’impianto decorativo di questa particolare étagère trovano stringenti confronti con due poltrone e quattro sedie di Andrè Cossa presentate da Finarte nel novembre 1986; a collegare le opere di Cossa al mobile qui proposto sono in particolare l’identica forma della cimasa, con la conchiglia sorretta da due volute inquadrata ai lati da due ulteriori volute fogliacee, unitamente alla foggia in tutto simile delle gambe a lira stilizzata e della pendaglina, di forma diritta interrotta da un elemento circolare al centro. Anche la scelta decorativa, con motivi vegetali intarsiati e pirografati entro riserve geometriche, trova puntuali confronti. Nella sua pubblicazione sul mobile dell’Ottocento in Italia, Enrico Colle inserisce questa tipologia di arredo nel clima di revival barocco vissuto nel terzo quarto del secolo XIX in Lombardia, unitamente ai revival gotico, rinascimentale ed egiziano. In particolare fu l’ornatista Alessandro Sidoli a creare, nel suo repertorio “L’artista italiano” divenuto una vera e propria fonte di ispirazione per molti intagliatori lombardi, una particolare interpretazione del Barocco, declinato in molteplici combinazioni per soddisfare le “culte fantasie” del suo pubblico “colla poetica evocazione del passato”.

Stima   € 2.000 / 3.000
37

Andrea Ferrucci e bottega

(Fiesole 1465 circa - 1526)

CRISTO REDENTORE

busto in stucco dipinto, cm 45x46x25

base in legno modanata, laccata di nero e lumeggiata in oro, cm 9x55x23

 

Andrea Ferrucci and workshop

(Fiesole circa 1465 - 1526)

CHRIST THE REDEEMER

polychromed stucco bust, cm 45x46x25

black lacquered and gold highlighted wood base, cm 9x55x23

 

Il busto - corredato da un’elegante base lignea laccata di nero e lumeggiata in oro, nel gusto austero del Seicento toscano, che ne suggerisce una provenienza signorile -, si colloca nella vasta proliferazione di simili immagini iconiche del Redentore realizzate, perlopiù in terracotta o stucco dipinto, nelle maggiori botteghe fiorentine tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento, indirizzate dalla celebre statua in bronzo del Verrocchio in Orsanmichele e caldeggiate, anche per la devozione privata, dal clima di riforma spirituale, culturale e politica promosso dalla predicazione del Savonarola che nel 1494 aveva proclamato “Gesù Re di Firenze” (P. Helas, Ondulationen zur Christusbüste in Italien. Ca. 1460 - 1525, in Kopf / Bild. Die Büste in Mittelalter und Früher Neuzeit, a cura di J. Kohl - R. Müller, München 2007, pp. 153-209; F. Caglioti, in Verrocchio, il Maestro di Leonardo, catalogo della mostra di Firenze, a cura di F. Caglioti e A. De Marchi, Venezia 2019, pp. 45-46, 294-313). Nello specifico l’opera è agevolmente riconducibile a una tipologia già ben nota alla critica, della quale conosciamo l’archetipo in terracotta (Torino, collezione privata, già galleria Antichi Maestri Pittori) e oltre dieci repliche foggiate a calco, la gran parte in stucco (Firenze, Santa Maria a Peretola; Firenze, Museo Bardini, dalla Congregazione dei Battilani; Raggiolo, San Michele Arcangelo; già Berlino, Kaiser Friedrich Museum; altri esemplari in collezioni private), che declina gli spunti verrocchieschi con una più fantasiosa, eccentrica vivacità espressiva, quale si coglie nella complessità fisionomica ed emotiva del febbrile volto emaciato, connotato dalle orbite profondamente scavate e dal tumido labbro appuntito, o nel vibrante trattamento della scarmigliata acconciatura, dai boccoli guizzanti come serpentelli, con esiti affini alle precoci inflessioni ‘protomanieriste’ della pittura di Filippino Lippi.

Proprio tali caratteri ci hanno consentito di riferire questo fortunato modello ad Andrea Ferrucci (G. Gentilini, La dignità della terra, catalogo della mostra di Torino, Torino 1998, n. 3), proposta in più occasioni ribadita dalla critica (A. Bellandi, in L’età di Savonarola. Arte e devozione in Casentino tra ‘400 e ‘500, catalogo della mostra di Bibbiena e Raggiolo, a cura di L. Borri Cristelli, Venezia 1998, pp. 49-50, n. 4; L. Lorenzi, Il maestro del Bigallo e la bottega di Andrea del Verrocchio, in “Ceramica Antica”, XI, 2001, 1, pp. 50-65, alle pp. 54-55; Helas, Op. cit. pp. 202-203, n. 8), che ha trovato più di recente ulteriori conferme in altre analoghe immagini fittili riconosciute al Ferrucci: il Redentore delle Suore Filippine a Firenze (Caglioti, Op. cit., pp. 45-46), una testa di San Giovanni Battista della galleria Botticelli & Bacarelli (D. Lucidi, in Terracotta. Il disegnare degli scultori, Firenze 2017, pp. 6, 42-43) e un busto del San Giovannino presso la Galerie Charles Ratton & Guy Ladrière di Parigi (G. Gentilini, in D’Agostino di Duccio à Caffieri, catalogo della mostra di Parigi, Parigi 2012, pp. 18-21).

E’ infatti una simile vena originalissima, stravagante e talora visionaria, che connota l’intero percorso di Andrea di Pietro Ferrucci, detto Andrea da Fiesole, la personalità più illustre di una famosa dinastia fiesolana di scultori rinomati per il loro virtuosismo tecnico e tra le più significative sia sulla scena fiorentina che su quella napoletana, dove fu attivo a più riprese tra il 1487 e il 1508 precorrendo i modi eccentrici dei grandi maestri spagnoli impegnati nella capitale del Vicereame (R. Naldi, Andrea Ferrucci, marmi gentili tra la Toscana e Napoli, Napoli 2002).

 

G.G. – D.L.

Stima   € 5.000 / 8.000
62

BALDACCHINO PER LETTO, TOSCANA, SECONDA METÀ SECOLO XVIII

in legno intagliato e dorato, rivestito in raso color tortora operata a motivo di fiori con analoghe tende. Parte interna del baldacchino profilata da fascia in legno dorato intagliata a fogliette e ornata al centro da cornice di forma ovale intagliata a ovoli a inquadrare una cupola decorata a rametti fioriti scolpiti, parte esterna sormontata su tre lati da cornice intagliata a mezze foglie rivolte verso il basso tra archetti rovesciati, sulla quale si applica l’ampia fascia riccamente scolpita a giorno con vaso di fiori al centro, poggiante su mascherone tra due figure femminili di profilo in atto di sorreggere tra le mani tralci fioriti che si portano verso gli angoli, dove protomi femminili dalle ampie ali sorreggono sulla testa vasi fioriti; base non pertinente modanata in legno laccato su fascia dorata intagliata a motivo di fogliette poggiate su zampe leonine, cm 350x230x260

 

A TUSCAN TESTER BED, SECOND HALF 18TH CENTURY

Questo elaborato baldacchino, insieme ai due palchetti per tende (lotto n. 61) documentano l’abilità degli intagliatori toscani nell’elaborare sempre nuove e fantasiose decorazioni in stile neoclassico, in gran parte ricavate dai repertori d’ornato inglesi. Il recupero del classicismo nelle arti decorative avvenne infatti nel Granducato di Toscana sia sul piano di una generale ripresa dei temi decorativi desunti dall’antichità, sia su quello della più specifica rielaborazione degli ornati a grottesca cinquecenteschi. E’ sintomatico, a questo proposito, che fin dalla sua fondazione nel 1785 all’Accademia di Belle Arti fosse previsto un posto di “maestro di grottesco”, occupato da Luigi Levrier (1736 - 1817), con il compito di guidare ed istruire parte dei giovani allievi intenzionati a specializzarsi nel ramo di quelle “arti meccaniche” attraverso le quali Pietro Leopoldo tentava di risollevare l’economia dello Stato. Proprio a questo scopo Levrier, insieme ad Ildebrando Poggi e a Carlo Lasinio diedero alle stampe, tra il 1785 e il 1798, uno scelto gruppo di decorazioni a grottesca presenti nei palazzi fiorentini che costituirono la indiscussa fonte d’ispirazione per tutti quei mobilieri e decoratori attivi tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo. Non solo, ma Luigi Levrier si fece promotore per l’acquisto dei nuovi repertori d’ornato francesi ed inglesi da mettere a disposizione dei giovani allievi. Ciò favorì un continuo aggiornamento stilistico da parte delle maestranze toscane che così furono in grado di contrastare con le loro creazioni l’importazione di generi di lusso dall’estero.
E’ il caso degli arredi qui esaminati evidentemente ispirati alle opere di Thomas Chippendale e di George Hepplewhite con la variante dell’inserimento di figure mostruose derivate dal variegato repertorio delle grottesche, come si può vedere in alcuni palchetti per tende e frontoni di specchiere intagliati durante gli anni novanta del Settecento da Lorenzo Dolci, secondo una tendenza inaugurata a Firenze nel 1780 dall’intagliatore Giovanni Rabellini Castagnole (E. Colle, Il mobile Neoclassico in Italia …, p. 200).
Tale moda ebbe un sicuro seguito anche a Siena dove erano attivi provetti intagliatori quali Luigi Bonanni e Antonio di Lorenzo Rosi che presero attivamente parte a quel rinnovamento del gusto operatosi durante l’ultimo decennio del secolo grazie anche all’arrivo in città di Luigi Ademollo, incaricato di affrescare alcuni dei palazzi e delle chiese, come ad esempio quella dell’Oratorio di San Sebastiano dove il Rosi aveva intagliato, su disegni dell’artista, le decorazioni neoclassiche dell’altare (S. Chiarugi,  Botteghe di mobilieri …, p. 85). I laboratori senesi, al pari di quelli fiorentini, risultavano infatti, a detta di padre Guglielmo Della Valle, assai abili nell’eseguire “intagli in legni assai graziosi, e delicati, massimamente delle cornici de’ quadri, negli ornati de’ tavolini, e negli specchi” (G. Della Valle, Lettere Sanesi …, 1786, p. 331). Forse i mobili che decorano la cosiddetta Camera dell’Alfieri nella villa di Bianchi Bandinelli a Geggiano, nei pressi di Siena, con le loro raffinate decorazioni a metà strada tra l’ormai morente Rococò e le incipienti citazioni neoclassiche, potrebbero essere usciti dalla bottega del Rosi. Un laboratorio quindi che, come quello di Lorenzo Dolci, sarebbe stato in grado di eseguire i complicati intrecci delle volute di foglie d’acanto che si dipartono dalle esuberanti composizioni floreali e le eleganti figure delle arpie poste ad ornare il baldacchino e i palchetti delle tende.

Enrico Colle

Bibliografia di riferimento
G. Della Valle, Lettere Sanesi del padre maestro Guglielmo Della Valle minor conventuale socio delle RR. Accademia delle Scienze e Agraria di Torino sopra le belle arti, Roma 1786;
S. Chiarugi, Botteghe di mobilieri in Toscana 1780 - 1900, Firenze 1994;
E. Colle, Il mobile neoclassico in Italia. Arredi e decorazioni d’interni dal 1775 al 1800, Milano 2005

Stima   € 5.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
70

Battista Lorenzi, detto Battista del Cavaliere

(Settignano 1527? - Pisa 1594?)

ANGELI IN ADORAZIONE

coppia di sculture in marmo bianco, cm 64x49x30

 

ADORING ANGELS

white marble sculptures, cm 64x49x30, a pair

 

Bibliografia

Mobili, dipinti, oggetti d’arte provenienti da una raccolta privata, catalogo della vendita (casa d’Aste Semenzato), Venezia, 25 - 27 aprile 1975, n. 416

 

I due affabili angeli genuflessi in lieve incedere con le ali ancora spiegate e le mani protratte al petto in atteggiamento adorante, nacquero in origine per essere collocati in maniera speculare sulla mensa di un altare, presumibilmente ad affiancare un tabernacolo eucaristico marmoreo o una venerata immagine.

La solidità delle forme anatomiche, le vesti sapientemente intagliate che alternano profondi sottosquadri a sottili increspature delle stoffe lungo le gambe e nei ricchi risvolti sui fianchi, le teste paffute, tornite ed animate da vezzose capigliature, sono tutti elementi che permettono di collocare le due figure nel contesto della scultura fiorentina del Cinquecento e di trovarne un importate precedente nella produzione di influenti maestri, quali Niccolò Tribolo, per la resa anatomica e dinamica dei corpi, il Maestro dei Bambini Turbolenti ovvero Sandro di Lorenzo, per la caratterizzazione delle teste dalle espressioni compiaciute e di velata ironia, e in particolare Silvio Cosini, per il vibrante ingarbugliarsi degli abiti e il piumaggio sfrangiato delle ali che ricordano da vicino quelli degli angeli del Duomo di Pisa, del Santuario di Montenero o del Sepolcro Maffei in San Lino a Volterra.

I forti accenti manieristi che caratterizzarono l’attività di quei maestri tendono però ad esaurirsi in una sintassi più pacata e in un sintetismo volumetrico neo-michelangiolesco secondo un indirizzo comune ravvisabile nella produzione di Giovanni Bandini, Raffaello da Montelupo o Francesco Mosca. Questo porta a spostarne la loro esecuzione oltre la metà del secolo e, in particolare, verso la produzione dello scultore Battista Lorenzi, membro di un’importante dinastia di scultori settignanesi di cui facevano parte anche i cugini Stoldo e Antonio di Gino Lorenzi. Battista fu tra i maestri più significativi della seconda metà XVI secolo, allievo prima di Baccio Bandinelli, nella cui bottega entrò nel 1540 (da qui l’appellativo Battista del Cavaliere), fu in seguito nella cerchia dei più fidati collaboratori di Benvenuto Cellini, al fianco del quale è documentato sin dal 1560 nella realizzazione del modello del Nettuno per il concorso di piazza della Signoria, divenendo alla morte del maestro nel 1570 l’erede della bottega di via della Pergola (H. Utz, Skulpturen und andere Arbeiten des Battista Lorenzi, in “Metropolitan Museum Journal”, 7, 1973, pp. 37-70; E. Schmidt, Eine Muse von Battista Lorenzi, in “Pantheon”, 58, 2000, pp. 73-80; M. Cicconi, Lorenzi, Giovan Battista (Battista), in Dizionario Biografico degli Italiani, 66, 2007, pp. 16-18).

Le due sculture, trovano notevoli riscontri con la testa della statua del Perseo che Battista scolpì per il palazzo fiorentino dei Salviati in via del Corso (detto Palazzo Nonfinito) tra il 1574 e il 1578, e lo stesso vale per il Tritone della fontana che Battista realizzò entro il 1577 per Cosimo I de’ Medici che ne fece poi dono a Garcia de Toledo, Viceré di Sicilia dal 1565 al 1568 e suo cognato, almeno per quello che possiamo oggi notare dalla statua nel cortile del Museo Archeologico Regionale di Palermo, riconosciuta in una copia puntuale fatta eseguire nel 1644 da una bottega locale (F. Loffredo, La vasca del Sansone del Giambologna e il Tritone di Battista Lorenzi in un'inedita storia di duplicati (con una nota sul Miseno di Stoldo per la villa dei Corsi), in "Saggi e Memorie di storia dell'arte", 36, 2012, pp. 57-114). Entrambe le opere presentano infatti un analogo trattamento delle capigliature vaporose e sostenute, articolate in ciocche roteanti e svirgolate, cui associano un’analoga espressione trasognata e ghignante dei personaggi, conferitagli dalla particolare predisposizione della bocca e la conformazione degli occhi, dai contorni netti e i bulbi oculari omogenei percorsi dai solchi circolari delle iridi. Le medesime caratteristiche possiamo inoltre scorgerle nella figura del Sant’Efisio, una delle statue che Battista Lorenzi realizzò per l’Altare dell’Incoronata del Duomo di Pisa e nelle protomi angeliche poste a coronamento delle targhe epigrafiche di quel medesimo complesso avviato a partire dal 1583 (H. Utz, Op. cit.; C. Casini, Dalle Cappelle dell’Annunziata e dell’Incoronata all’altare di S. Ranieri nel Duomo di Pisa. 1545-1592, in La Scultura a Pisa tra Quattro e Seicento, a cura di R. P. Ciardi, C. Casini, L. Tongiorgi Tomasi, Pisa 1987, pp. 218-228). La presenza di vari collaboratori al fianco di Battista Lorenzi, attestata dai documenti, può giustificare il leggero scarto stilistico ravvisabile tra l’angelo di destra, conforme ai modi del maestro, e quello di sinistra, dai tratti più arguti e i capelli scarmigliati, secondo le consuetudini di una strutturata bottega chiamata ad eseguire un complesso plastico monumentale.

 

G.G – D.L.

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
69

CASSETTONE, PADOVA, PRIMA METÀ SECOLO XVIII

in noce intarsiato in essenze pregiate, piano di forma mistilinea centrato da riserva sagomata con scena di combattimento tra cavalieri a cavallo, inquadrata da riserve mistilinee ornate a racemi vegetali; fronte di linea mossa con tre cassetti, di cui il primo con scarabattolo celante tre vani a giorno sottesi da altrettanti cassetti, ciascuno intarsiato con un erote in atto di suonare una tromba al centro, dal quale si dipartono girali di foglie e fiori; angoli caratterizzati da lesene ornate da volute vegetali che dal basso salgono verso l’alto, fianchi impreziositi da riserve mistilinee a contenere volute di foglie e fiori entro cornice rettangolare lastronata in legni chiari e scuri; base modanata su piedi a sfera schiacciata, cm 94x145x72

 

A COMMODE, PADUA, FIRST HALF 18TH CENTURY

 

Bibliografia di confronto

C. Alberici, Il Mobile Veneto, Milano 1980, pp. 119-121, figg. 159-161;

C. Santini, Mille mobili veneti. Le province di Verona, Padova e Rovigo, Modena 2000, pp. 63-64

 

Il mobile trova stretti confronti con alcuni esemplari tutti di provenienza padovana, e due dei quali conservati nel Civico Museo di Padova, con i quali il nostro cassettone condivide l’impianto strutturale, imponente ma alleggerito da una ricca profusione di minuti intarsi a raffigurare sul piano uno scontro di cavalieri a cavallo, mentre sui cassetti e sui fianchi predomina il gusto per esuberanti composizioni fogliacee e floreali. La scelta dei motivi decorativi, unitamente alla varietà e alla preziosità dei legni impiegati a creare una variegata modulazione coloristica e chiaroscurale, costituisce un chiaro richiamo alla coeva produzione fiamminga di Olanda e Paesi Bassi; basti pensare ai cofanetti, agli stipi e agli scrittoi che la bottega dei Forchout realizzava ad Anversa nella seconda metà del Seicento, impiegando legni preziosi arricchiti di tartaruga, argento e altre essenze pregiate, per esportarli in tutta Europa. Bisogna inoltre ricordare che, durante il corso del secolo XVII, la presenza di maestranze fiamminghe nei territori della Serenissima è attestata da molteplici testimonianze, soprattutto negli arredi ecclesiastici.

Stima   € 6.000 / 9.000
Aggiudicazione  Registrazione
65

CASSETTONE, SIENA, FINE SECOLO XVIII

lastronato in noce e ciliegio con filettature e intarsi in radica e legni vari, piano di forma rettangolare in marmo portoro sotteso da fascia in legno dorato intagliata a motivo di ovoli con perlinatura sottostante, fronte a tre cassetti ciascuno inquadrato da molteplici cornici a motivi geometrici e in radica a centrare mascherone alla cui base si formano tralci fogliacei che si portano sui lati per terminare in volti leonini dalle cui bocche si dipartono rametti di foglie e bacche che si ricongiungono ai lati a profili maschili, lesene angolari a tralcio fogliaceo che si porta dal basso verso l’alto con andamento curvilineo, bocchette in bronzo dorato a motivi floreali, fianchi analogamente inquadrati da cornici a centrare motivo a grottesca con due draghi ai lati, gambe troncopiramidali sormontate da capitello fogliaceo in legno dorato e ornate a festone di foglie, cm 97x148x62

 

A SIENESE COMMODE, LATE 18TH CENTURY

Il cassettone e i due comodini (lotto n. 64) presentano la tipica struttura slanciata della mobilia neoclassica toscana e più precisamente di ambito senese. La forma piramidale delle gambe terminante con capitelli in legno intagliato e dorato ricorda infatti molto da vicino quella di analoghi esemplari ancora oggi conservati in alcune collezioni pubbliche e private, come ad esempio la coppia di commodes con raffigurazioni mitologiche pubblicate da Enrico Colle (Il mobile neoclassico in Italia …, pp. 216 - 217) e la console a mezzaluna già in palazzo Bianchi Bandinelli ed ora nella collezione Chigi Saracini (S. Chiarugi, Botteghe di mobilieri …, pp. 104 -105). Proprio in quest’ultima collezione si conserva anche un cassettone, le cui superfici sono abbellite con esili intarsi a motivo di ghirlande, di gusto affine ai decori che contornano i nostri arredi, eseguito per Galgano Saracini probabilmente intorno al 1798, anno in cui il nobile collezionista incaricò il perugino Antonio Castelletti e la sua équipe di decoratori di dipingere le sale del palazzo di via di Città. Sono questi gli anni durante i quali il pittore romano Pietro Civilotti eseguiva delicate varianti di quei capricci antichizzanti, ormai di moda a Roma da un paio di decenni, negli interni delle residenze che parte dell’aristocrazia senese andava ristrutturando, facendo così dire alla contessa d’Albany che la città era divenuta “un faubourg de Rome” (C. Sisi, Neoclassicismo e Romanticismo … p. 69). Proprio dalle esili volute di foglie d’acanto e dalle riquadrature geometriche dipinte sui fondi chiari delle pareti dei citati palazzi da Castelletti e da Civilotti dipendono gli analoghi intarsi applicati sulle superfici impiallacciate dei nostri mobili che, pur seguendo in questo anche le indicazioni di gusto provenienti dalla vicina Firenze, si rifanno a modelli romani evidenti nell’inserimento del piano ribaltabile posto alla base dei comodini in maniera tale da trasformarli all’occorrenza in inginocchiatoi.

In questa temperie neoclassica di derivazione romana non si può fare a meno di citare l’attività pittorica di Giovan Battista Marchetti cui andò il merito, fin dal 1776, di aver ammodernato la maniera di decorare le sale ricorrendo al repertorio delle grottesche, affinando la sua arte con viaggi di studio a Roma e a Napoli, soppiantando così del tutto lo stile illusionistico dei quadraturisti bolognesi.

Non sono molte le notizie sui mobilieri senesi ma si possono segnalare a questo proposito alcuni nomi di artigiani attivi per la corte lorenese come ad esempio gli ebanisti Michele Rusticini  (notizie intorno al 1767), Giuseppe Corsi (notizie intorno tra il 1767 e il 1782), Giovanni Guidi (notizie intorno al 1797), Luigi Rossi (notizie intorno tra il 1767 - 1782)  e Antonio Teverini (notizie intorno al 1779) o i legnaioli, spesso solo responsabili della costruzione dei mobili e non della loro decorazione, Giuseppe Bencivenni (notizie intorno al 1766), Luigi Corsi (notizie intorno al 1785), Fausto Gani (notizie intorno tra il 1767 e il 1785) e Stefano Rossi (notizie intorno al 1766).

Tra questi merita segnalare Luigi Rossi, specializzato nella fattura di cassettoni e Giovanni Guidi che nel 1797 eseguiva per il palazzo granducale di Siena “due comod a due cassette per ciascuno impiallacciati di noce e ciliegio con filetti di agri foglio più colori, quattro maniglie, e due bocchette di metallo cesellato e dorato …” (E. Colle, i mobili di Palazzo Pitti …, pp. 229 e 240).

 

Enrico Colle

 

Bibliografia di riferimento

E. Colle, i mobili di Palazzo Pitti. Il primo periodo lorenese 1737 - 1799, Firenze 1992;

C. Sisi, Neoclassicismo e Romanticismo, in C. Sisi, E. Spalletti (a cura di), La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, Cinisello Balsamo 1994;

S. Chiarugi, Botteghe di mobilieri in Toscana 1780 - 1900, Firenze 1994;

E. Colle, Il mobile neoclassico in Italia. Arredi e decorazioni d’interni dal 1775 al 1800, Milano 2005

Stima   € 7.000 / 10.000
Aggiudicazione  Registrazione
79

COPPIA DI CASSETTONI, BOTTEGA DI GAETANO RENOLDI, GENOVA, FINE SECOLO XVIII

lastronati in noce, palissandro, bois de rose e altre essenze pregiate e intarsiati in acero e legni chiari, piano in marmo verde delle Alpi sotteso da fascia intarsiata a ovoli; fronte a tre cassetti, di cui il primo decorato a motivo di profili maschili entro medaglioni intervallati a ceste di fiori che prosegue sui fianchi e separato da un sottile bordo a fiori e foglie dai due cassetti sottostanti, dei quali il secondo più sottile, ornati al centro da figure di Apollo e Cupido entro medaglione circolare contenuto in riserva esagonale inquadrata ai lati da riserve rettangolari con vedute di città e circondata da un ricco decoro a girali fogliacei e conchiglie; fianchi intarsiati con veduta di città inquadrata da quattro riserve trapezoidali con conchiglia al centro da cui si dipartono girali, lesene a candelabre agli angoli, su piedi troncopiramidali ornati a piccoli festoni di foglie, cm 91x122x62,5

 

A PAIR OF GENOESE COMMODES, WORKSHOP OF GAETANO RENOLDI, LATE 18TH CENTURY

 

Bibliografia di confronto

L. Caumont Caimi, L’ebanisteria Genovese del Settecento, Parma 1995, p. 302;

L. Caumont Caimi, Gaetano Renoldi “ebanista Milanese abitante in Genova Strada Novissima”, in G. Ruffini, F. Simonetti, G. Zanelli (a cura di), Paolo Francesco Spinola: un aristocratico tra Rivoluzione e Restaurazione, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, Genova 2010, pp. 37-52;

L. Caumont Caimi nel catalogo 2011 Collection, Piva&C., Milano 2011, n. 34

 

Le caratteristiche stilistiche di questa coppia di cassettoni permettono di inserirli a pieno titolo nella produzione di Gaetano Renoldi, ebanista milanese di nascita e genovese di adozione che a Genova fonda la sua bottega. Negli anni ottanta del Settecento l'aristocrazia genovese inizia ad aprirsi alle novità introdotte da Giuseppe Maggiolini, complice anche l'importante commode da lui realizzata nel 1784 per Domenico Serra che, oggi dispersa, segna il punto di svolta del rinnovato interesse dei genovesi verso i mobili intarsiati. Ed è proprio questa esigenza di dar vita a Genova a una nuova tradizione nell’intarsio che Giuseppe Renoldi riesce perfettamente a cogliere, colmando un vuoto che si era ormai venuto a creare da molte decadi, aprendo poco prima del 1793 la sua bottega, dalla quale escono mobili e tarsie spesso iscritti "opere di Gaetano Renoldi ebanista Milanese abitante a Genova in Strada Novissima". Una produzione che, sebbene strettamente connessa a quella di Maggiolini, mostra proprie caratteristiche tanto nella struttura dei mobili quanto nella scelta degli impianti decorativi. I mobili realizzati da Renoldi seguono infatti la struttura tradizionale dei comò genovesi dell'ultimo quarto del secolo XVIII, con i montanti angolari lievemente aggettanti rispetto al corpo squadrato e i piedini a obelisco rovesciato; tipico inoltre è lo schema con il primo cassetto più sottile e separato tramite una sottile fascia intarsiata dai due inferiori, che formano un pannello unico. Queste caratteristiche consentono di avanzare l'ipotesi che Renoldi si avvalesse della collaborazione di altre botteghe per la costruzione dei mobili, sui quali poi realizzava i suoi interventi di intarsio. Relativamente infatti all'impianto decorativo, se lo schema del decoro è comune all'ebanisteria genovese, Renoldi aggiunge il suo personale tocco prediligendo la raffigurazione di paesaggi e vedute di città, spesso ispirati a incisioni di Vernet, così come di architetture romane e ruderi, e talvolta di paesaggi arcadici con figure.

Stima   € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
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COPPIA DI COMODINI, SIENA, FINE SECOLO XVIII

lastronati in noce e ciliegio con filettature e intarsi in radica e legni vari, piano di forma rettangolare in marmo portoro sotteso da fascia in legno dorato intagliata a motivo di ovoli con perlinatura sottostante, uno sportello realizzato come due finti cassetti ciascuno inquadrato da molteplici cornici a motivi geometrici e in radica a centrare mascherone alla cui base si formano tralci fogliacei che si portano sui lati per terminare in volti leonini dalle cui bocche si dipartono rametti di foglie e bacche, lesene angolari a tralcio fogliacei che si porta dal basso verso l’alto con andamento curvilineo, fianchi analogamente inquadrati da cornici a centrare motivo vegetale, pianetto sottostante di linea curvilinea intarsiato ad analoghe cornici e ribaltabile a creare un inginocchiatoio, gambe troncopiramidali sormontate da capitello fogliaceo in legno dorato e ornate a festone di foglie, cm 84x61,5x36

 

A PAIR OF SIENESE BEDSIDE CABINETS, LATE 18TH CENTURY

I due comodini e il cassettone (lotto n. 65) presentano la tipica struttura slanciata della mobilia neoclassica toscana e più precisamente di ambito senese. La forma piramidale delle gambe terminante con capitelli in legno intagliato e dorato ricorda infatti molto da vicino quella di analoghi esemplari ancora oggi conservati in alcune collezioni pubbliche e private, come ad esempio la coppia di commodes con raffigurazioni mitologiche pubblicate da Enrico Colle (Il mobile neoclassico in Italia …, pp. 216 - 217) e la console a mezzaluna già in palazzo Bianchi Bandinelli ed ora nella collezione Chigi Saracini (S. Chiarugi, Botteghe di mobilieri …, pp. 104 -105). Proprio in quest’ultima collezione si conserva anche un cassettone, le cui superfici sono abbellite con esili intarsi a motivo di ghirlande, di gusto affine ai decori che contornano i nostri arredi, eseguito per Galgano Saracini probabilmente intorno al 1798, anno in cui il nobile collezionista incaricò il perugino Antonio Castelletti e la sua équipe di decoratori di dipingere le sale del palazzo di via di Città. Sono questi gli anni durante i quali il pittore romano Pietro Civilotti eseguiva delicate varianti di quei capricci antichizzanti, ormai di moda a Roma da un paio di decenni, negli interni delle residenze che parte dell’aristocrazia senese andava ristrutturando, facendo così dire alla contessa d’Albany che la città era divenuta “un faubourg de Rome” (C. Sisi, Neoclassicismo e Romanticismo … p. 69). Proprio dalle esili volute di foglie d’acanto e dalle riquadrature geometriche dipinte sui fondi chiari delle pareti dei citati palazzi da Castelletti e da Civilotti dipendono gli analoghi intarsi applicati sulle superfici impiallacciate dei nostri mobili che, pur seguendo in questo anche le indicazioni di gusto provenienti dalla vicina Firenze, si rifanno a modelli romani evidenti nell’inserimento del piano ribaltabile posto alla base dei comodini in maniera tale da trasformarli all’occorrenza in inginocchiatoi. 

In questa temperie neoclassica di derivazione romana non si può fare a meno di citare l’attività pittorica di Giovan Battista Marchetti cui andò il merito, fin dal 1776, di aver ammodernato la maniera di decorare le sale ricorrendo al repertorio delle grottesche, affinando la sua arte con viaggi di studio a Roma e a Napoli, soppiantando così del tutto lo stile illusionistico dei quadraturisti bolognesi.

Non sono molte le notizie sui mobilieri senesi ma si possono segnalare a questo proposito alcuni nomi di artigiani attivi per la corte lorenese come ad esempio gli ebanisti Michele Rusticini  (notizie intorno al 1767), Giuseppe Corsi (notizie intorno tra il 1767 e il 1782), Giovanni Guidi (notizie intorno al 1797), Luigi Rossi (notizie intorno tra il 1767 - 1782)  e Antonio Teverini (notizie intorno al 1779) o i legnaioli, spesso solo responsabili della costruzione dei mobili e non della loro decorazione, Giuseppe Bencivenni (notizie intorno al 1766), Luigi Corsi (notizie intorno al 1785), Fausto Gani (notizie intorno tra il 1767 e il 1785) e Stefano Rossi (notizie intorno al 1766).

Tra questi merita segnalare Luigi Rossi, specializzato nella fattura di cassettoni e Giovanni Guidi che nel 1797 eseguiva per il palazzo granducale di Siena “due comod a due cassette per ciascuno impiallacciati di noce e ciliegio con filetti di agri foglio più colori, quattro maniglie, e due bocchette di metallo cesellato e dorato …” (E. Colle, i mobili di Palazzo Pitti …, pp. 229 e 240).

 

Enrico Colle

 

Bibliografia di riferimento

E. Colle, i mobili di Palazzo Pitti. Il primo periodo lorenese 1737 - 1799, Firenze 1992;

C. Sisi, Neoclassicismo e Romanticismo, in C. Sisi, E. Spalletti (a cura di), La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, Cinisello Balsamo 1994;

S. Chiarugi, Botteghe di mobilieri in Toscana 1780 - 1900, Firenze 1994;

E. Colle, Il mobile neoclassico in Italia. Arredi e decorazioni d’interni dal 1775 al 1800, Milano 2005

Stima   € 7.000 / 10.000
Aggiudicazione  Registrazione
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