Importanti Maioliche Rinascimentali

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PIATTO DA POMPA

€ 28.000 / 40.000
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PIATTO DA POMPA

DERUTA, 1520 CIRCA

Maiolica decorata in blu di cobalto e lustro dorato.

Alt. cm 7, diam. cm 41, diam. piede cm 13,5.

 

Bibliografia

M. Bellini, G. Conti, Maioliche italiane del Rinascimento, Milano 1964, p. 125;

G. Batini, L’amico della ceramica. Guida per i collezionisti di terracotta, maiolica e porcellana, Firenze 1974, p. 141

 

L’esemplare ha un cavetto profondo e largo, tesa ampia e appena obliqua che termina in un orlo rifinito a stecca appena rilevato. Il piatto poggia su un piede ad anello anch’esso piuttosto alto, che presenta i consueti fori di sospensione predisposti prima della cottura.

La morfologia è tipica delle produzioni derutesi, destinata ad accogliere i celeberrimi ritratti di belle donne, stemmi nobiliari o soggetti comunque importanti.

Il decoro è stato tracciato con una certa sicurezza, ma anche con ampie licenze da parte del pittore come dimostra la mancanza di proporzione e simmetria tra le parti, causa della fuoriuscita di una delle cornucopie dall’incavo del cavetto. L’ornato è delineato con tecnica mista ottenuta in due cotture: la prima a gran fuoco con blu a due toni, la seconda in riduzione per l’ottenimento del lustro. Il retro presenta invetriatura appesantita di bistro di colore giallo ocra molto spesso con alcune colature a ricoprire l’intera superficie.

Al centro del cavetto è raffigurata, di profilo, una Sfinge con il capo decorato da un ventaglio di piume sottili trattenute da una perla, dal volto e busto di donna e dal corpo ferino dotato di ali con lungo piumaggio. La figura sostiene con la zampa destra un emblema araldico in scudo a mandorla. La raffigurazione è compresa tra due lunghe cornucopie unite alla base, traboccanti di fiori multipetalo e a forma di pannocchia. La tesa è adornata con un motivo fitoforme con foglie arricciate unite da ghirlande di fruttini arrotondati e boccioli coerenti con quelli riprodotti nelle cornucopie. Alla sommità della tesa, sopra la Sfinge, il decoro è centrato da un ornato vegetale che prevede foglie arricciate e dentellate trattenute alla base.

Si ipotizza che lo stemma raffigurato con “scudo losangato d'oro e d'azzurro” possa essere pertinente all'antica famiglia Elisei di Firenze, frequentemente associata alla famiglia degli Alighieri (1).

Com’è consuetudine in questa tipologia ceramica, il soggetto ritorna in modo sostanzialmente simile in altri piatti con analoga impostazione decorativa. Com’è consuetudine in questa tipologia ceramica, il soggetto ritorna in modo sostanzialmente simile in altri piatti con analoga impostazione decorativa. Come confronti si vedano l’esemplare con “Sfinge che sorregge uno scudo” del Musée national de la Renaissance - Château d'Ecouen (2), che mostra la stessa decorazione con stemma a mandorla, ma la Sfinge poggia su un pavimento piastrellato e la tesa è decorata dalla più comune decorazione a metope con embricazioni, elementi fitomorfi e catene di fruttini. Un altro piatto con la stessa impostazione decorativa, già in collezione Dutuit (3), mostra tra le branche della Sfinge lo stemma della famiglia Orsini di Roma, sullo sfondo tre cipressi e la tesa decorata ad embricazioni. Infine il piatto datato al primo trentennio del secolo XVI dal Musèe del Petit Palais condivide con il nostro una certa rapidità nell’esecuzione, ma non la medesima grazia nel volto della fiera e nella raffinata ricerca dell’ornato di contorno(4).

La Sfinge è peraltro presente in altri piatti, tra cui uno al Victoria and Albert Museum (5), uno al Musée Jacquemart-André (6), uno ad Amburgo (7) ed uno formalmente nella collezione Pringsheim (8).

Un piatto con la sola Sfinge è transitato sul mercato antiquario negli anni settanta del secolo scorso (9), mentre nel De Mauri (10) riceviamo la segnalazione di frammenti che recano la figura della Sfinge.

Molti sono peraltro gli esempi di piatti armoriali con emblema associato a figure fantastiche, e un esempio che ci presenta una scelta decorativa vicina a quella del nostro piatto ci deriva da un’opera del Metropolitan Museum di New York (11) databile tra il 1504 e il 1506 grazie alla presenza dello stemma del vescovo Troilo Baglioni.

Nonostante le affinità ci pare comunque valido attenerci a quanto indicato a suo tempo da Conti, che aveva assegnato cronologicamente l’opera al primo ventennio del XVI secolo.

 

1 Nelle pubblicazioni ottocentesche l’emblema è raffigurato come parte dell'armoriale della famiglia di Dante Alighieri (PADIGLIONE 1865). Sembra che Dante ci tenesse molto a essere consorte degli Elisei, per quanto sia improbabile che conoscesse di persona qualcuno dei maschi della famiglia. La linea di parentela doveva passare attraverso il trisavolo Cacciaguida, idealizzato dal poeta (Parad. XV, vv. 130-148; XVI, vv. 34-45) come tipo del fiorentino antico, nato nel cerchio delle mura romane, da nobile prosapia perdentesi nella gloria dell'età classica, rinnovatore della nobiltà familiare per mezzo di quella sua personale (per approfondimenti SCARTAZZINI 1896, pp. 280-281);

2 Inv. E.CI. 16864;

3 Inv. Dutuit, n. 1116;

4 Giacomotti 1974, n. 576; BARBE in BARBE-RAVANELLI GUIDOTTI 2006, p. 160 n. 81;

5 Rackham 1940, n. 487 inv. 2173-1910;

6 Musèe Jacquemart-André, n. 519;

7 RASMUSSEN 1989, 106;

8 FALKE 1923, n. 137;

9 Sotheby’s, Firenze, 11 ottobre 1972;

10 DE MAURI 1924, p. 56;

11 Inv. 1975.1.1005, in BUSTI-COCCHI 2004, p. 91 n. 10.