Importanti Maioliche Rinascimentali

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COPPA

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COPPA

URBINO, NELLA CERCHIA DI FRANCESCO XANTO AVELLI, PITTORE “LU UR”, LUSTRATO A GUBBIO O URBINO, POST 1536

Maiolica dipinta in policromia con verde in due toni, blu di cobalto, giallo, giallo-arancio, bruno di manganese. Lustro oro e rubino.

Alt. cm 5; diam. cm 26,2;diam. piede cm 12,9.

Sul retro traccia di sigillo in ceralacca, etichetta rettangolare iscritta a penna “C11999 R.L, e cartellino dattiloscritto “L.53.45.46 ed etichetta circolare CHRISTIE'S con il numero 37 scritto a penna.

 

Provenienza

Collection Cottreau, Parigi;

Chrisite’s, Londra, 1976;

Collezione privata, Faenza

 

Bibliografia

Collection Cottreau, Catalogues des objets d’art et de haute curiosité, Galerie Georges Petit, Parigi 1910, p. 10 n. 15;

C. Ravanelli Guidotti, Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna, Bologna 1985, p. 126

 

La coppa presenta corpo concavo con tesa breve che termina in un orlo sottile e arrotondato, e poggia su basso piede, con bordo appena aggettante. Lo smalto è abbondante e lucente, generoso l’uso del manganese e dei toni scuri e diffuso l'uso di bianco di stagno per dare corpo alle membra e ai volti dei personaggi. L’applicazione del lustro, prevalentemente dorato, è abbondante e si confonde nel decoro: l’uso del color rubino si trova solo sulla veste della figura femminile, sul fermaglio e sui pantaloni della figura maschile, spiccando rispetto all’ornato circostante. Il retro mostra un decoro alla porcellana con gruppo di foglie organizzate attorno a sottili spirali, dipinto in giallo e lustrato in oro (1).

Una complessa scena occupa per esteso tutto lo spazio del cavetto: al centro Eros (2) che, sorreggendo la faretra, guarda con atteggiamento spaventato la tragica scena raffigurata sul lato destro dell’opera: una figura maschile (3) si getta da una rupe, mentre una figura femminile (4) giace riversa a terra. In basso a sinistra l’immagine figurata di un fiume, rappresentato secondo l’iconografia classica come un vecchio che fa fuoriuscire le acque da un’anfora, è arricchita da un manto svolazzante di colore giallo (5), e dietro di lui sullo sfondo un palazzo con un portale classico e un largo cornicione sulla sinistra e l’orizzonte con una catena montuosa dal profilo quadrangolare che cela il sole all’alba. Tutto l’ornato è rischiarato da una fitta lumeggiatura dorata.

Lo stile è veloce e non sembra seguire pedissequamente lo spolvero delle incisioni di riferimento: le figure sono sproporzionate, il putto al centro ha mani grosse, la faretra è dipinta in modo rigido rispetto alla figura della divinità, mentre il personaggio che si getta dalla rupe indossa una corta tunica fermata in vita con pieghe invece ben delineate e realizzate con cura. La figura femminile, che segue la prospettiva imposta dalla morfologia del piatto, non mostra la stessa cura nella resa del panneggio dell’abito. La personificazione del Fiume ha un volto dipinto con sicurezza, mentre il resto della figura ha un'impostazione un poco forzata. Il lustro però sembra correggere queste incertezze stilistiche.

In mancanza dell'iscrizione sul retro del piatto, che ci indirizzi verso una corretta lettura dell’opera, ipotizziamo che si tratti della descrizione del dramma di Esaco, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (6). Esaco era perdutamente innamorato della moglie Asterope, figlia del fiume Cebreno, e quando essa morì, morsa da un serpente, non riuscì a darsi pace e cercò più volte la morte senza trovarla, gettandosi in mare da un'erta rupe. Alla fine, mossi a compassione, gli dei lo tramutarono in un uccello, libero così di abbandonarsi alla sua ossessione senza però offendere il creato (7).

Il soggetto fu più volte rappresentato in maiolica, spesso utilizzato anche da Xanto Avelli (8), come in un piatto delle raccolte di Palazzo Venezia a Roma (9), che raffigura la stessa scena con un’impostazione dell’ornato differente: si tratta di un piatto da pompa, che sul retro reca l'iscrizione 1534. Esaco in smergo nel cascar cangiossi. Nel libro d'Ovidio Met: F.X.A.R. in Urbino”. Anche un piatto dalla collezione Petruzzellis Scherer riporta il medesimo soggetto, e un piatto del Museo del Louvre (10) datato 1533 ci ripropone lo stesso mito in modalità compositive ancora differenti, associate all’uso del lustro.

La coppa in oggetto di studio mostra affinità con il piatto di Roma nella scelta del soggetto maschile che si getta dalla rupe, pur rielaborandone la postura. Il confronto con alcuni piatti di Xanto Avelli e dei suoi “seguaci” ci ha portato a pensare che l’opera, pur rientrando nell’ambito del maestro rovighese, non sia opera di Francesco Xanto Avelli.

Il confronto con opere di Xanto trova comunque riscontro in dettagli minori, come ad esempio nel piatto a lustro con la Visione di Alcione(11) e arme di Jacopo da Pesaro, dove sono confrontabili il putto al centro, la somiglianza del paesaggio di sfondo con la montagna dalla foggia quadrata posta a protezione di una piccola città fortificata anch’essa con palazzi quadrangolari, la maniera di dipingere gli incarnati con applicazione di bianco a dar luce ai muscoli, il tocco di arancio a dar forma alle caviglie nella figura di Alcione come nel personaggio che si getta dalla rupe nella nostra coppa.

Nel confronto con altre opere di Xanto Avelli abbiamo riscontrato molti dettagli simili, ma anche numerose incongruenze, mentre più fortunata è stata l’analisi dei confronti con alcuni dettagli di opere a noi note attribuite ai seguaci di Xanto.

Una coppa lustrata con la Moglie di Putifarre (12) mostra una disorganizzazione nello stile compositivo, uno stile pittorico corrivo con lo stesso modo già descritto di dar luce agli arti delle figure per dare rotondità alle forme, e simile modo di dipingere: la coppa di New York è stata variamente attribuita a Giulio da Urbino e a Xanto Avelli, ma già il Rasmussen ha lasciato aperta questa attribuzione, limitandola alla bottega in cui è stato applicato il lustro e proponendo una datazione tra gli anni 1530 e 1540.

Il putto al centro della nostra coppa mostra poi un modo particolare di tratteggiare il naso, con un segno netto, che al momento non abbiamo riscontrato in opere dipinte da Xanto Avelli (13), mentre una certa somiglianza si ritrova nel modo di delineare la bocca. Il tratto che marca gli occhi, con l’aggiunta di un puntino bianco in basso, è presente nella targa con Sinone davanti a Priamo (14), nella quale è stata riconosciuta una possibile collaborazione tra Xanto e Lu.Ur (15). Il personaggio con il bastone, sulla sinistra della targa, ricorda il volto del nostro Fiume, ma anche il volto di un personaggio che stringe la spada sul lato sinistro di una coppa firmata e datata 1536 dallo stesso pittore Lu.Ur.

Oltre al disordine nella disposizione dei personaggi, alla tipica forma degli occhi, ad una certa libertà nell’interpretare le figure di riferimento, la coppa con L’uccisione di Oropaste (16) re di Persia presenta un particolare modo di dipingere il piede di un personaggio alle spalle del re, dietro lo scudo, che corrisponde pienamente a quello sinistro del putto al centro della nostra coppa.

Sempre nella mostra della Wallace Collection del 2007 furono inoltre esposte due targhe, già studiate da Timothy Wilson e messe in relazione con il pittore in oggetto (17), la seconda delle quali ha attirato la nostra attenzione per due dettagli: il profilo di Demarato, intento a scrivere sulla sinistra dell’opera, è estremamente vicino al volto del personaggio del fiume sulla nostra coppa, e il volto di Demarato, al centro del pannello, mostra tratti fisiognomici molto prossimi a quelli del nostro putto, soprattutto il naso e la bocca. La targa di confronto con la Storia di Demarato reca la scritta n. 31 Lu:Ur:.

Il pittore lavorava a stretto contatto con Francesco Xanto Avelli, e la sua sigla spesso compare in opere arricchite dal doppio lustro e della scritta con la spiegazione dell’episodio, proprio secondo il metodo proposto dal maestro. A conferma di ciò la possibilità di confrontare la nostra coppa, già nota agli studiosi fin dal 1910 perché appartenuta alla collezione Cottreau, con il modello del maestro Francesco Xanto Avelli: il piatto firmato con Esaco e Esperia del Museo Civico Medievale di Bologna che reca la firma di Xanto e la data 1536 (18). Il piatto presenta la stessa scena (19) e la stessa disposizione dei personaggi, ma con alcune varianti: ad esempio la profondità dell’orizzonte abitato da una fortezza con torre rotonda, e la testa del personaggio che cade, che il maestro colloca di profilo e non coperto dai capelli. E mentre lì lo stile pittorico è forte, concreto, dettagliato, nella nostra coppa è diluito e ancora incerto. Il volto della figura di Asterope è dipinto con leggerezza e vi manca la chioma fluente, mentre il corpo risulta rigido scolastico. Nel piatto di Xanto poi è presente il serpente che causa la morte della donna, qui assente.

Per quanto sopra descritto riteniamo di poter attribuire l’opera al pittore Lu Ur, nel 1536 o negli anni immediatamente successivi.

 

1 Si confronti il retro pubblicato in MALLET 2008, pp. 88-89, e quanto detto da GHERARDI-FIOCCO 2007, pp. 209-306 sulla datazione delle coppe a lustro;

2 La figura è tratta dall’incisione della favole di Amore e Psiche da Raffello Sanzio del maestro del Dado;

3 Forse ispirata dalla figura al centro della scena, dietro il vessillo con la scritta SPQR, che scala una torre nell’incisione della Presa di Cartagine di Marco Dente da Giulio Romano da una stampa di piccolo formato attribuita a Marcantonio Raimondi (RAVANELLI GUIDOTTI 1985, p. 126 n. 98);

4 La figura di Cleopatra morente dalla incisione di Agostino Veneziano da Raffaello (BARTSCH XIV, 117);

5 Anche per questa figura ci pare che il pittore abbia unito più elementi delle figure dei fiumi dall’incisione del Maestro del Dado da Giulio Romano;

6 Ovidio, Metamorfosi, XI, 760-795;

7 Secondo altre tradizioni, Esaco fu partecipe alla guerra di Troia, dove fu ucciso per mano di Agamennone dopo essersi distinto in battaglia;

8 Un piatto “Esaco” è recentemente transitato sul mercato (Sotheby’s, Londra, 24 maggio 2011, lotto 22);