Importanti Maioliche Rinascimentali

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COPPA

€ 120.000 / 180.000
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COPPA

FAENZA, PROBABILMENTE NELLA BOTTEGA DI CASA PIROTA, 1515-1520

Maiolica dipinta in policromia con verde, giallo, giallo-arancio, blu di cobalto, bruno di manganese.

Alt. cm 3, diam. cm 25,6

 

Provenienza

Sotheby’s, Londra, 21 novembre 1978, lotto 45;

Collezione privata, Faenza

 

Bibliografia

T. Wilson (a cura di), Italian Renaissance Pottery, Papers written in association with a colloquium at the British Museum, Londra 1991, p. 159, p. 165 fig. 8

 

La coppa è liscia con orlo leggermente rialzato e arrotondato e poggiava su un alto piede a parete svasata, oggi perduto.

Al centro del cavetto una scena istoriata occupa tutto lo spazio, presentando un gruppo di personaggi su una zolla di terra con sponde ondulate. A destra, assiso in trono, un giovane in abiti eleganti con un cappello piumato e lunghi capelli, indosso una lorica che copre una camiciola dalle maniche a tre quarti trattenute da un laccio sull’omero, le spalle coperte da un manto azzurro, e ai piedi calzari con schiniere. Al suo fianco un personaggio dalle vesti simili, privo però di mantello e con un copricapo rinascimentale in testa, mentre regge un’alzata di metallo. Accanto a lui un vecchio con una tunica corta e con la barba bianca sembra ascoltare un giovane dai capelli biondi vestito di una corta tunica ornata da un manto trattenuto sulla schiena da un nodo. Davanti al gruppo un giovane nudo con le mani legate dietro alla schiena. La scena è inserita in un paesaggio lacustre di fantasia con isole dalla foggia ondulata, abitate da villaggi con case dal tetto aguzzo, chiese con campanili, torri merlate e siepi tondeggianti. Sulla destra un pozzo e palazzi con torri, mentre sullo sfondo alcune montagne dal profilo allungato e cima appiattita, davanti alle quali sosta un veliero dalla carena arcuata. Colpisce il cielo, dipinto al tramonto, con nuvolette a chiocciola sopra un nimbo allungato reso roseo dal riflesso del sole.

L’iconografia di quest’opera e di quelle a lei affini è mutuata da un affresco di Gerolamo Genga, dipinto nel Palazzo Petrucci di Siena intorno al 1507 (1).

Timothy Wilson ha lungamente studiato quest’opera e i tre esemplari di confronto fino ad ora noti, e proprio da uno di essi, quello più vicino per morfologia e scelta decorativa, ma non per stile pittorico, partiamo nella nostra analisi. Si tratta della coppa con Il figlio di Fabio Massimo di fronte a Annibale, conservata al British Museum (2), sul cui soggetto si è per lungo tempo discusso, leggendolo come Giulio Cesare e Ariovisto che negoziano per i prigionieri Edui, episodio tratto dal De bello Gallico di Giulio Cesare (3). E anche se un piatto di confronto conservato al Louvre reca al verso la didascalia La storia di cesare Imperatore romano, Wilson sostiene che l’identificazione con Cesare del soggetto di questo piatto sia sempre stata difficile (4).

La storia degli studi dell’opera del British passa quindi dal riconoscimento del soggetto raffigurato con più interpretazioni. Tatrai nel 1978 propose di interpretare il soggetto come Fabio Massimo che riscatta i prigionieri romani, da Tito Livio (XXII, 23.6), Valerio Massimo (IV,VIII,I) e Plutarco (Fabio Massimo, 7), dove si racconta che Fabio Massimo e Annibale trattarono per i prigionieri uno a uno, ma a causa dell’enorme spesa il Senato romano si rifiutò di procedere ulteriormente e Fabio Massimo inviò il proprio figlio con istruzioni scritte ben precise per la trattativa. L’interpretazione dell’affresco da parte di Agosti è dunque come la trattativa fatta dal figlio di Fabio Massimo (5); il tema dell’affresco riguardava infatti il committente, che lo fece realizzare al ritorno dal proprio esilio in Francia grazie al supporto del re Luigi XII. Lo stesso affresco fu copiato su pergamena in un album per lungo tempo attribuito a Jacopo da Bologna, che ne firma il soggetto a mostri marini disegnato sul retro nel 1516. Ma anche gli studi interpretativi sul disegno e sullo stile del medesimo sono complessi, e un'ipotesi è che l’album fosse in realtà destinato a un orefice bolognese (6).

La somiglianza tra il soggetto raffigurato, l’affresco e il piatto del British hanno comunque fatto pensare a un modello comune e all’esistenza di istoriati con soggetti da Palazzo Petrucci. Probabile poi un buon successo dei dipinti, anche se l’unico piatto che si riferisce fedelmente all’album è quello inglese. Il disegno o una sua copia giunsero comunque nella bottega di un vasaio faentino attorno al 1520, come testimoniato dalla scelta del soggetto in diversi piatti che traggono spunto dalla medesima fonte, pur non essendo opera di una stessa mano: il piatto del Louvre datato 1524, uno formalmente nella collezione Damiron con scritto al retro GONELA e il piatto qui presentato.

Un frammento di un piatto del Museo dell’Ermitage, coerente con i piatti e recante la sigla CI, ha poi dato nome al gruppo faentino e non è mai stato discusso (7). L’attribuzione alle botteghe faentine deriva dalla stretta somiglianza con piatti molto vicini a quello di Londra, noti come opere della Casa Pirota: su tutti il piatto con l’Incoronazione di Carlo V (8) del museo di Bologna e quello con la scena di Giuseppe e Beniamino del Museo di Sèvres, entrambi opera probabilmente dello stesso pittore (9).

Il confronto tra la coppa in oggetto di studio e quella del British Museum, che mostra un gruppo di persone più nutrito, la presenza di cavalli e un maggior numero di prigionieri, e un paesaggio più realistico e decisamente meno favolistico, rende evidente l’opera di due pittori differenti. Tuttavia l’impostazione è tratta sicuramente, come abbiamo visto, dal medesimo soggetto, i personaggi principali compaiono in entrambi i piatti e il retro esibisce lo stesso decoro tipico faentino, seppure con scelte cromatiche diverse. Tutto questo ci porta a ipotizzare che il piatto in oggetto sia un prototipo o addirittura un sunto di quello inglese, ma conferma comunque che i due pittori (quattro se consideriamo i confronti sopraindicati) abbiano lavorato insieme, avvalorando quanto già ipotizzato da John Mallet.

 

 

1 Noto soprattutto per le opere di architettura eseguite in età matura per i Duchi di Urbino, scenografo e scultore, artista rinascimentale completo. Si pensa abbia realizzato l’affresco forse in occasione del matrimonio tra Alfonso Petrucci e Vittoria Piccolomini, probabilmente al seguito di Signorelli: egli sarebbe l’autore delle scene della Fuga di Enea da Troia e Il figlio di Quinto Fabio Massimo che riscatta da Annibale i prigionieri romani;

2 TORNTHON-WILSON 2009, pp. 121-123 n. 76. A tale scheda facciamo riferimento per studio e approfondimenti bibliografici;

3 Cesare, De bello Gallico, I;

4 L’iscrizione sul recto recita: 1524 Die 8 iu[?]nius questa sie instoria d.Zesaro inperatore romano (BALLARDINI 1933-1938, I, nn. 125, 154, 287R; GIACOMOTTI 1974, n. 337WILSON 1991, p. 159 fig. 8; MALLET 1996, pp. 49-50 figg. 7-8);

5 AGOSTI 1982, p. 77; SIENA 1990, p. 592;

6 FAIETTI-OBERHUBER 1988, pp. 237-245;

7 RACKHAM 1940, pp. 81-87;

8 RAVANELLI GUIDOTTI 1985, p. 343 n. 42 fig. 9, che attribuisce a questo gruppo anche un frammento a fondo berettino;

9 MALLET 1996, p. 50.