Importanti Maioliche Rinascimentali

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PIATTO

€ 150.000 / 200.000
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PIATTO

Urbino, Francesco Xanto Avelli, firmato, 1532 circa

 

Maiolica decorata in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bianco di stagno e bruno di manganese nei toni del nero, del marrone e del viola

alt. cm 4,6; diam. cm 27,5; diam piede cm 7,3

Sul retro, al centro del piede, la scritta “fra: Xanto, Avelli/ da Rovigo pinse Urbini/ In Sathir’ Giove d’amor converso/ favola Y” delineata in blu.

Sul retro etichetta stampata “SCHUBERT ANTICHITÀ - corso MATTEOTTI 22 MILANO

 

Intatto; lievi sbeccature dovute all’applicazione di sostegni sull’orlo; sbeccature d’uso sul bordo

 

Earthenware, painted in orange, yellow, green, blue, tin white, blackish and brownish manganese, and manganese purple

H. 4.6 cm; diam. 27.5 cm; foot diam. 7.3 cm

On the back, beneath the base, inscription in blue ‘fra: Xanto, Avelli/ da Rovigo pinse Urbini/ In Sathir’ Giove d’amor converso/ favola Y’

On the back printed label ‘SCHUBERT ANTICHITÀ - corso MATTEOTTI 22 MILANO’

 

In very good condition; minor chips to rim; wear chips to rim

 

Il piatto ha cavetto profondo e larga tesa appena inclinata. L’orlo sul retro presenta tre filettature concentriche incise. Poggia su un basso piede privo di anello.

La scena è racchiusa tra un vecchio albero spoglio e disadorno e una rupe alta, coperta da zolle erbose; sullo sfondo, un paesaggio fluviale con alte colline squadrate e un borgo con un ponte su un fiume. Lo scenario è abitato da tre gruppi di figure: al centro, Eros avanza portando sulle spalle una saetta: il personaggio è tratto da un’incisione di Marco Dente che riproduce il fregio della chiesa di San Vitale a Ravenna; a destra, seduto su una roccia, è raffigurato Apollo, divinità che s’incontra spesso nelle opere di questo pittore e la cui rappresentazione è tratta dall’incisione di Marcantonio Raimondi del Parnaso di Raffaello Sanzio; a sinistra, infine, è collocata una scena erotica tra un satiro e una ninfa: il corpo della donna deriva probabilmente da una delle figure delle Pieridi tratte dall’incisione di Jacopo (o Gian Giacomo) Caraglio (1500-1565 circa) ripresa da Rosso Fiorentino raffigurante Il convegno tra le Muse e le Pieridi, mentre per il satiro al momento non è stata individuata alcuna fonte. Anche per la figura maschile che compare alle spalle di Apollo non è stato possibile, fino ad ora, identificare la fonte incisoria: ipotizziamo che il corpo, parzialmente coperto, possa essere stato ricavato da una delle incisioni con scene di battaglia o da quella che raffigura la Strage degli innocenti di Marcantonio Raimondi da Raffaello, utilizzate in molte occasioni dal pittore rovigense, mentre il volto potrebbe essere stato ispirato da quello dell’Invidia nell’incisione Invidia cacciata dal tempio delle Muse del “Maestro del Dado” e successivamente assemblato dal pittore che, come già in altre sue opere, lo ha dotato della capigliatura a ciuffi scomposti dipinti in un colore fulvo.

Anche in questo caso, come nel piatto presentato al lotto 38 di questo catalogo, vediamo come Francesco Xanto Avelli, secondo la tecnica che gli è consueta, abbia saputo mescolare figure tratte da più incisioni utilizzandole a suo piacimento.

L’opera è complessa e solo la frase “In Sathir’ Giove d’amor converso” sul retro ci aiuta nella sua comprensione. Vi leggiamo anche la firma per esteso del pittore, delineata con grafia rapida in blu scuro: “fra: Xanto, Avelli / da Rovigo pinse Urbini / In Sathir’ Giove d’amor converso / favola Y”.

La scena narra l’episodio di Antiope sedotta da Zeus, il quale le si presentò con le sembianze di un satiro: la conseguente gravidanza comportò una serie di sciagure: la morte del padre Nitteo, la nascita e l’abbandono dei due gemelli Anfione e Zeto, la cattura e la vessazione di Antiope da parte dello zio paterno Lico, l’uccisione di costui ad opera dei gemelli per vendicare la madre e la conseguente punizione di Antiope da parte di Dioniso che la fece impazzire, risanata poi da Foco, che divenne suo sposo.

Alla luce del mito, riteniamo che i personaggi raffigurati sul piatto in esame si possano identificare come segue: al centro, Amore trasporta sulle spalle le saette di Zeus, intento a sedurre in veste di satiro la giovane Antiope; il personaggio sulla destra potrebbe raffigurare l’ira del padre, oppure – ipotizziamo – la follia stessa di Antiope, di cui Apollo sarà la causa.

Ovidio, una delle fonti principali per gli autori dell’istoriato, accenna appena al mito nelle Metamorfosi (Met. VI, 110): [...] Ut Satyri celatus imagine pulchram Iuppiter [...]; tuttavia è stato già osservato almeno in un‘altra occasione come la brevità della descrizione del mito, che presuppone una cultura più vasta, non abbia fermato l’Avelli dal raffigurarlo su un piatto: probabilmente l’autore non ha tratto la leggenda direttamente dalla fonte classica, bensì dalla versione italiana di Zoppino.

Il piatto, datato e firmato per esteso, mostra tutte le caratteristiche tipiche del periodo che possiamo definire già maturo dell’attività di Francesco Xanto Avelli e si aggiunge al cospicuo corpus di opere prodotte durante il suo soggiorno urbinate; sappiamo che giunse a Urbino tra il 1530 e il 1531, ed è proprio questo il momento nel quale cominciano a comparire opere firmate per esteso.

Si tratta certamente di un’opera colta, benché permanga ancora qualche dubbio relativo al riconoscimento dei protagonisti. Il confronto con altre opere firmate e datate ci fa pensare che si tratti di una creazione riconducibile agli inizi dell’attività di Avelli a Urbino. Egli infatti si firma per esteso, specificando la propria provenienza “da Rovigo” e mettendo ben in chiaro che dipinge a Urbino usando il locativo “Urbini”. La presenza delle firme indicherebbe comunque una certa autonomia e la qualità delle opere confermerebbe la sua presenza in botteghe affidabili.

Abbiamo paragonato la figura più semplice, cioè quella di Apollo, con la stessa immagine riprodotta su altri oggetti del pittore. Un primo confronto si ha con un piatto del Fitzwilliam Museum di Cambridge, firmato per esteso e datato “1531 in Urbino”, che mostra molte affinità stilistiche: nello scarto dimensionale delle figure, nella resa del volto di Apollo, ma anche in particolari come la roccia su cui la divinità poggia, molto simile e caratterizzata dalla forma frastagliata e con un parte dipinta di arancio. Anche le scelte cromatiche nelle due opere sono analoghe: il manto del dio, ad esempio, è tinto di verde, come quello del putto nell’esemplare in esame. In un piatto, ora al Los Angeles County Museum of Art, con la figura di Apollo al centro della composizione, si notano affinità stilistiche con il nostro oggetto anche nella resa del paesaggio e nella distribuzione dei personaggi all’interno dello spazio circolare creato dalla forma stessa dell’oggetto: questo è ascrivibile agli anni tra il 1527 e il 1530, quindi al periodo appena precedente la venuta del pittore a Urbino. In un altro piatto del Fitzwilliam Museum di Cambridge, dove l’incisione è rielaborata dal pittore (che utilizza il corpo della divinità modificandone la testa e un braccio), si osservano una roccia e scelte cromatiche simili: se nel nostro esemplare prevale il verde scuro, nel piatto di confronto i toni sono comunque cupi e le caratteristiche stilistiche sono anch’esse simili; si raffronti ad esempio il volto di una delle tre divinità del Giudizio di Paride nell’esemplare di Cambridge con il volto di Eros al centro della nostra composizione.

L’affinità stilistica con il piatto presentato al lotto 40 di questa stessa raccolta, cronologicamente vicino ai primi anni in cui il pittore fu stabilmente attivo a Urbino, ci porta quindi ad assegnare quest’opera agli anni 1531-1532.

Il piatto proviene dalla raccolta degli antiquari Gualtiero e Renato Schubert di Milano, dove fu acquistato dall’attuale proprietà all’inizio degli anni settanta del secolo scorso.