DIPINTI ANTICHI

23 MAGGIO 2023

DIPINTI ANTICHI

Asta, 1209
FIRENZE
Palazzo Ramirez Montalvo
Ore 15.00
Lotti 1-69
Esposizione
FIRENZE
Venerdì 19 maggio 2023 10-18
Sabato 20 maggio 2023 10-18
Domenica 21 maggio 2023 10-13
Lunedì 22 maggio 2023 10-18
 
 
 
Stima   2500 € - 80000 €

Tutte le categorie

31 - 60  di 69
31

Artista emiliano, sec. XVII

MADDALENA

olio su tela, cm 118x97,5

 

Emilian artist, 17th century

MARY MAGDALENE

oil on canvas, cm 118x97,5

 

Sebbene non riferita a una precisa personalità pittorica – almeno allo stato attuale degli studi – il bel dipinto qui presentato appare senza dubbio riconducibile all’area del classicismo emiliano, declinato in modi diversi ma in qualche modo consonanti da Guido Reni e da altri maestri, a lui legati o del tutto indipendenti.

Più che le interpretazioni del soggetto proposte da Guido – peraltro dissonanti nella casta presentazione dell’affascinante penitente, così come la ritroviamo nella tela a Roma nella Galleria Nazionale di Arte Antica e in quelle che da essa derivano – è l’esempio di Giovanni Lanfranco ad avere, sembra, influenzato le scelte formali del nostro autore: si vedano infatti le due versioni della Maddalena portata in cielo dagli angeli, a Roma nella galleria Colonna e in collezione privata genovese analizzate da Erich Schleier in occasione della monografica tenuta a Roma e a Parma nel 2002 (Giovanni Lanfranco. Un pittore barocco tra Parma, Roma e Napoli. Catalogo della mostra, Milano 2002, nn. 39 e 40).

Oltre a quei modelli, indubitabili per quanto riguarda il busto e i capelli della nostra figura oltre che il viso estatico ma composto, vale la pena ricordare la sua interpretazione da parte di Guido Cagnacci nella sensuale Maddalena in gloria d’angeli a Monaco, Alte Pinaothek (ma esposta a Schleissheim) e nella Galleria Palatina a Firenze; più monumentale e compatta della versione monacense, quest’ultima la segue di qualche anno, verso la metà del quinto decennio del Seicento, una data che sembra convenire anche al dipinto qui presentato.

 

 

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
34

Bernhard Keilhau, detto Monsù Bernardo

(Helsingor, 1624 – Roma,1687)

DUE BAMBINI E SCARAMUCCIA

olio su tela, cm 72x96

 

TWO CHILDREN  AND  A MASK

oil on canvas, cm 72x96

 

Provenienza

collezione Giovanni Antonio Parravicino, Sesto San Giovanni,1721;

Casa d’Arte, Milano, 1955; Galleria Previtali, Bergamo; collezione privata.

 

Bibliografia

A.Odescalchi, Descrizione della Villa Visconti d’Aragona o De Ponti a Sesto San Giovanni. Inventario fatto dopo la morte del proprietario, Giovanni Antonio Parravicino, nel 1721-22, in Affreschi a Sesto San Giovanni. Cicli decorativi nelle ville del territorio. Sesto San Giovanni 1988.

M.V. (M. Valsecchi), Rare opere di Monsù Bernardo, in “Arte figurativa antica e moderna” III, 1955, 5, p. 34.

Collezioni private bergamasche, IV, Bergamo 1983, tav. CCCXXV.

M. Heimbürger, Bernardo Keilhau detto Monsù Bernardo, Roma 1988, p. 186, n. 68 (riprodotto a colori).

 

Da tempo noto agli studi sul pittore anche in virtù della prestigiosa provenienza documentata nel Settecento, il dipinto è stato accostato da Minna Heimbürger Ravalli a un gruppo di tele, uguali per dimensioni, dedicate come la nostra a scene di gioco interpretate da due o tre bambini raffigurati in primo piano e a figura pressoché intera.

In parte eseguite per lo stesso committente, nel cui inventario sono descritte, le opere in questione si valgono altresì degli stessi giovani modelli, riconoscibili nei tratti e nelle vesti.

Oltre a raffigurare passatempi infantili, i dipinti citati alludono probabilmente - e in forma distinta – ai cinque sensi, completandosi tra loro fino a comporre un ciclo.

Nella nostra tela, ad esempio, allude al senso dell’udito il violino presentato in primo piano con grande evidenza, oltre che con straordinaria perizia, mentre l’acqua versata rimanda al senso del gusto.

La presenza di una terza figura che veste la maschera di Scaramuccia arricchisce la scena di un altro motivo narrativo e rende, al contempo, meno evidente il significato allegorico delle altre due.

Il soggetto rimanda comunque a modelli assai comuni nella grafica nordica, facilmente accessibili al pittore danese negli anni della sua prima formazione.

Anche per questo motivo, oltre che per la scena limitata a poche figure e priva di uno sfondo articolato, la Heimbürger suggerisce per l’intero gruppo una data alla metà del sesto decennio del Seicento, quando l’artista è documentato attivo a Bergamo.

 

 

 

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
42

Salvator Rosa

(Napoli, 1615 – Roma, 1673)

SOLDATI IN UN ANTRO ROCCIOSO

olio su tela, cm 94x78

siglato SR in rilievo, sulla zona in luce in basso a destra

 

SOLDIERS IN A GROTTO

oil on canvas, cm 94x78

signed SR

 

Esposizioni

Salvator Rosa tra mito e magia. Napoli, Museo di Capodimonte, aprile – giugno 2008, n. 69

Caravaggios Erben. Barock in Neapel. Wiesbaden 2016, n. 117

 

Bibliografia

B. Daprà, in Salvator Rosa tra mito e magia. Catalogo della mostra, Napoli 2008, pp. 214-15, n. 6.

C. Volpi, Salvator Rosa pittore famoso, Roma 2014, p. 599, n. 15

B. Daprà, in Caravaggios Erben. Barock in Neapel. Catalogo della mostra, Monaco 2016, pp. 400-401, n. 117

 

Da sempre il paesaggio roccioso ha costituito un tratto distintivo della pittura di Salvator Rosa: un motivo che l’artista napoletano seppe declinare nei modi più diversi fino a renderlo, come nel nostro dipinto, protagonista quasi esclusivo della composizione.

Una scelta che ha dato origine a veri e propri capolavori, a partire dall’arco roccioso accarezzato dalla luce che fa da sfondo ai Pescatori di corallo di raccolta privata, appena antecedente il periodo fiorentino nel quinto decennio del secolo quando pareti di roccia, spesso antropomorfe, ospitano di volta in volta eremiti, soldati o marinai.

Non è certo un caso che nel 1653 Salvator Rosa scegliesse un paesaggio di roccia per sfidare il mondo accademico esponendo a Roma un dipinto intitolato Il Sasso: un’occasione per dimostrare la propria superiorità tecnica, oltre che il disprezzo per la gerarchia stabilita tra generi pittorici a partire dal soggetto.

È dei tardi anni Sessanta lo straordinario Empedocle si getta nel cratere dell’Etna, serie di variazioni sul bruno della roccia, a tratti accesa dall’incandescenza della lava.

Lo precede il nostro dipinto, più netto nei contrasti luministici e attraversato da decisi tagli di luce: per motivi stilistici è stato riferito dalla Daprà, che è più volte intervenuta in proposito, alla prima metà degli anni Sessanta.

Caterina Volpi ritiene l'opera di un seguace.

 

 

 

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
45

Carlo Coppola

(Documentato a Napoli dal 1639 – c. 1672)

MARTIRIO DI SAN GENNARO

olio su tela, cm 71x76

siglato con monogramma CC (intrecciate) al centro

 

THE MARTYRDOM OF SAINT GENNARO

oil on canvas, cm 71x76

monogrammed CC at the centre

 

Esposizioni

Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. A cura di Nicola Spinosa. Napoli, Museo di Capodimonte, 12 dicembre 2009 – 11 aprile 2010, n. 1.111

 

Bibliografia

I. Creazzo, in Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. Catalogo della mostra, Napoli 2009, I, pp. 220-21, n. 1.111

 

Ricordato da Bernardo de Dominici tra gli allievi di Aniello Falcone, Carlo Coppola è stato ricostruito nella sua produzione di battaglista e di autore di scene storiche e religiose a figure “terzine” solo in epoca relativamente recente, grazie al monogramma frequentemente apposto alle sue composizioni: lo stesso che compare, per l’appunto, anche sulla tela qui presentata.

Tipico dell’artista napoletano è anche il soggetto della nostra composizione, il martirio del vescovo Gennaro e dei suoi compagni nella Solfatara di Pozzuoli: un tema evidentemente molto richiesto dalla devozione privata oltre che dal collezionismo napoletano, e che Coppola replicò con varianti – determinate anche da formati e dimensioni diversi – lungo tutto l’arco di una carriera che si ritiene conclusa alla fine del settimo decennio del Seicento.

E’ questo il soggetto della sua prima opera certa, datata del 1639, come pure della bellissima versione già presso Canesso a Parigi, e ancora della tela venduta a Roma da Christie’s nel 2001 (6 dicembre, lotto 304).

Di poco maggiore della nostra per dimensioni, la tela citata ne costituisce una variante, semplificata nello sfondo ma con l’aggiunta di altri personaggi su entrambi i lati.

Come la nostra tela, è caratterizzata da colori saturi e squillanti e da un certo gigantismo nelle forme, quasi a compensarne le ridotte dimensioni.

 

 

 

Stima   € 7.000 / 10.000
Aggiudicazione  Registrazione
46

Carlo Dolci

(Firenze 1616 – 1686)

CRISTO

LA VERGINE (“MADONNA DEL DITO”)

coppia di dipinti, olio su tela, cm 47,5x35

 

CHRIST

THE VIRGIN (“MADONNA DEL DITO”)

oil on canvas, cm 47,5x35, a pair

 

Bibliografia

S. Bellesi, La pittura di Carlo Dolci fra tradizione e modernità, in Carlo Dolci 1616-1687. Catalogo della mostra a cura di Sandro Bellesi e Anna Bisceglia, Firenze 2015, p. 40, figg. 15-16.

 

Documentata da un gran numero di copie, coeve o decisamente più tarde, oltre che da repliche autografe o prodotte nella bottega, la fortuna collezionistica di questa invenzione di Carlo Dolci nota come “Madonna del Dito” fu indubbiamente assai vasta. Come indicato in più occasioni da Francesca Baldassari (Carlo Dolci. Complete Catalogue of the Paintings, Firenze 2015, n. 172), si tratta di una variante del tema della “Mater Dolorosa” in cui la Vergine, ugualmente velata, reclina il capo sulle mani giunte in preghiera, ideata per la prima volta intorno alla metà del sesto decennio e più volte replicata (Baldassari, 2015, nn. 116, 117, 186).

In entrambe le versioni la Vergine è solitamente accompagnata da una figura di Cristo che ne costituisce il pendant. Nel caso della Madonna a Londra in collezione privata (Baldassari, 2015, p. 301, n. 172) simile alla nostra ma non identica e ritenuta prototipo della serie della “Madonna del Dito”, si tratta del Cristo Portacroce, mentre in altri dittici la figura ripete l’atteggiamento del Cristo nella Cena eucaristica. A quest’ultimo si accosta – senza replicarlo esattamente - anche quello nella coppia qui offerta, resa nota da Sandro Bellesi in occasione della mostra dedicata all’artista fiorentino nel 2015.

Preziosa nei pigmenti, raffinatissima nei panneggi e negli incarnati, la nostra versione della Madonna del Dito si aggiunge quindi alla serie di repliche autografe del grande pittore fiorentino.

 

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
47
Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
49

Anton van Dyck e Jan Roos

(Anversa 1599 - Londra 1641; Anversa 1591 – Genova 1638)

NINFA E SATIRO CON CESTO D’UVA

olio su tela, cm 102x126

 

A NYMPH AND A SATYR WITH A BASKET OF GRAPES

oil on canvas, cm 102x126

 

Esposizioni

Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600 – 1640. A cura di Anna Orlando, Genova, Palazzo della Meridiana, 9 febbraio – 10 giugno 2018, n. I.1

 

Bibliografia

A. Orlando, in Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600 – 1640. Catalogo della mostra, Genova 2018, pp. 182-85, I.1; riprodotto a colori anche a fronte di p. 85.

 

Emersa per la prima volta dalla raccolta privata che da tempo la custodiva in occasione della mostra dedicata al periodo genovese di Anton van Dyck e agli artisti, italiani e fiamminghi, che in modi diversi gli furono accanto, questa sontuosa composizione di frutta con due figure all’aperto è stata restituita da Anna Orlando alla collaborazione dei due giovani artisti nativi di Anversa, argomento su cui la studiosa è intervenuta ripetutamente precisandone cronologia e modalità.

Da tempo sono stati infatti riconosciuti gli interventi di Jan Roos (o Giovanni Rosa nella versione italianizzata del suo nome) nei ritratti richiesti a Van Dyck dagli esponenti delle maggiori famiglie genovesi, che Roos contribuì ad arricchire con gli elementi floreali, i tendaggi e i tappeti di cui era riconosciuto maestro: si veda in proposito, nel catalogo citato, anche il saggio di Anna Orlando Jan Roos e Van Dyck. Tracce di un connubio (pp. 85-111); Eadem, Jan Roos collaboratore di Van Dyck e la questione dell’atelier di Van Dyck a Genova (ibidem, pp. 112-127).

Anche Jan Roos, peraltro, non limitava il suo talento alla raffigurazione di frutta e fiori: dipingeva infatti anche figure che inserì, spesso in dimensioni reali, nelle proprie composizioni di natura morta creando scene di mercato o soggetti allegorici.

La sua mano si riconosce qui, oltre che nella splendida cesta di uva al centro della tela, anche nella figura femminile – ninfa o baccante – che rivela la sua firma nelle tonalità fredde e nelle velature leggere che la definiscono.

Diversa è invece la stesura del satiro che nei lineamenti e soprattutto nella loro resa pittorica si accosta con tutta evidenza – pur nel soggetto che non si potrebbe avere più distante – alla Santa Elisabetta nella Sacra Famiglia di Anton Van Dyck alla Galleria Sabauda di Torino, di cui la nostra figura ripete non solo i tratti, ma anche le trasparenze e le ombre che li definiscono.

Un confronto che, insieme ad altri ricordati da Anna Orlando nel saggio citato, offre utili indizi per una proposta di cronologia del nostro dipinto poco oltre il 1621, quando Anton van Dyck era da poco arrivato a Genova e si appoggiava, verosimilmente, al più anziano Jan Roos, da tempo stabilito in città, a cui spetta la maggior parte del dipinto qui offerto e, probabilmente, la sua invenzione, a cui il giovane Van Dyck contribuì con una sola, notevolissima figura dall’esplosiva vitalità.

 

Stima   € 80.000 / 120.000
52

Mariano Rossi

(Sciacca, 1731 – Roma, 1807)

L’ALLEGREZZA, LA VITTORIA E LA FAMA

ERCOLE, LA PROSPERITÀ E LA REGALITÀ

coppia di dipinti, olio su tela, cm 48x106

 

JOY, VICTORY AND  FAME

HERCULES, PROSPERITY AND REGALITY

oil on canvas, cm 48x106, a pair

 

Provenienza

Trapani, collezione Messina

 

Bibliografia

G. Sestieri, Repertorio della pittura romana della fine del Seicento e del Settecento, Torino 1994, I, p. 163; III, figg. 1000-1001

G. Sestieri, Evoluzione dal Rococò al Neoclassicismo: l’esperienza di Mariano Rossi, esponente dell’influenza in Sicilia della pittura romana, in Il Settecento e il suo doppio: Rococò e Neoclassicismo, stili e tendenze europee nella Sicilia dei vicerè. Atti del convegno (Palermo 2005) a cura di M. Guttilla, Palermo 2008, p. 218, figg. 2-3.

 

Da tempo noti agli studi su Mariano Rossi, i raffinati dipinti qui offerti sono stati immediatamente identificati come modelli di presentazione –più che come bozzetti – per le scene corrispondenti sui lati lunghi della volta della Sala di Alessandro nella reggia di Caserta, che prende il nome dal soggetto principale dipinto a fresco dal pittore siciliano, appunto il matrimonio di Alessandro e Rossana.

Commissionata nel 1787 da Ferdinando IV di Borbone, la decorazione del salone (detto anche “del Baciamano”) fu preceduta da numerosi studi preparatori tra cui, a Roma in collezione Di Mino, un disegno a inchiostro relativo alla parte sinistra della prima scena qui presentata, pubblicato da Giancarlo Sestieri in occasione dello studio che, per la prima volta, introduceva la figura dell’artista (Per Mariano Rossi, in “Paragone” 31, 1980, 359-61, pp.36-60, specificamente p. 54 e fig. 60b). Altri studi relativi alle pareti brevi della volta sono stati pubblicati dallo stesso studioso.

Attivo per molte chiese a Roma e in Sicilia con opere di carattere devozionale, Mariano Rossi si afferma altresì come autore di decorazioni raffinate e celebrative, dalla Allegoria delle Arti dipinta nel 1771 nel Palazzo Reale di Torino, alla Storia di Furio Camillo sulla volta del salone di ingresso a Villa Borghese (1774-79) oltre ai dipinti a olio eseguiti per la sala di Venere nel palazzo Borghese a Campo Marzio.

La committenza della corte napoletana corona la sua carriera “profana” con una composizione ariosa e brillante pur nella complessità delle allegorie richieste per celebrare la monarchia borbonica, e conclude il percorso dell’artista dal “barocchetto” romano della sua prima formazione ai più rarefatti stilemi del tardo rococò.

 

 

Stima   € 30.000 / 50.000
31 - 60  di 69