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Firenze, 
mer 16 Novembre 2022
Asta Live 1187
35

Scultore fiorentino della metà del sec. XVI (già attribuito a Battista Lorenzi e a Bartolomeo Ammannati)

€ 25.000 / 40.000
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Scultore fiorentino della metà del sec. XVI (già attribuito a Battista Lorenzi e a Bartolomeo Ammannati)

LA MUSA CLIO

busto in marmo, cm 117x57x40

 

Tuscan sculptor, mid-16th century (formerly attributed to Battista Lorenzi and to Bartolomeo Ammannati)

CLIO

marble, 117x57x40 cm

 

Bibliografia

E. Schmidt, Eine Muse von Battista Lorenzi, in “Pantheon”, 58, 2000, pp. 73-80;

C. Pizzorusso, Giambologna e la scultura della Maniera, Firenze 2008, pp. 232-235 n. 22

 

Questo seducente busto femminile, caratterizzato da tratti di sofisticata, algida eleganza enfatizzati da un’elaborata acconciatura e da una tunica ‘all’antica’ (chitone) serrata sulla spalla da una grande fibula sottilmente scolpita come un cammeo, che ne lascia scoperto un seno messo in risalto dall’andamento del velo adagiato sulla coppa, vanta attribuzioni prestigiose argomentate da autorevoli specialisti della scultura del Cinquecento, ed è già stata plausibilmente identificato come una raffigurazione della Musa Clio, la prima delle nove Muse figlie di Zeus e di Mnemosine ispiratrice della poesia epica e della storia, tradizionalmente rappresentata in atto di scrivere come appunto l’immagine che risalta sul vistoso fermaglio della veste.

D’altra parte questa figurina femminile drappeggiata, intenta a scrivere su uno scudo sorretto con una gamba flessa e sollevata, che richiama nella postura la “Vittoria alata” di Brescia - celebre statua in bronzo di epoca romana, ispirata da una composizione ellenistica raffigurante Afrodite mentre si specchia nello scudo di Ares, rinvenuta nel 1826 presso il Capitolium della città e qui conservata -, presuppone la conoscenza di una qualche versione di tale iconografia classica, denominata “Victoria in clipeo scribens”, che si staglia anche al centro della Colonna Traiana, compare sui basamenti dell’Arco di Costantino e fu di frequente adottata nella monetazione romana, per poi riaffiorare nel Rinascimento nei disegni dall’antico del Codex Escurialensis e di Jacopo Ripanda, o con maggiore libertà interpretativa in un affresco e in un rilievo in stucco di Giulio Romano nel Palazzo Ducale di Mantova (P.P. Bober - R. Rubinstein, Renaissance artists & antique sculpture, London 1986, pp. 201-202 n. 170; L. Bonoldi - M. Centanni - L. Lovisetto, Venus volubilis / Venusta Victoria. Tradimenti, travestimenti, capricci, denudamenti dell’Afrodite di Brescia, in “La Rivista di Engramma”, 25, 2003). Dunque, un dettaglio inconsueto di grande interesse, che dichiara la cultura archeologica del suo autore e una committenza erudita, forse ai fini dell’arredo di uno studiolo o la decorazione di un ambiente destinato a collezione di anticaglie.

Per quanto riguarda la paternità del busto, si sottolinea che fu presentato nel 1960 da Eike Schmidt con un corposo articolo monografico (Eine Muse von Battista Lorenzi, in “Pantheon”, 58, 2000, pp. 73-80) nel quale lo studioso ne argomentava un riferimento attributivo a Battista Lorenzi, detto Battista del Cavaliere, tra i più fedeli allievi di Baccio Bandinelli e collaboratori del Cellini, prediletto dai maggiori committenti fiorentini del secondo Cinquecento - quali il granduca Cosimo I, Alfeo Bandini, Jacopo Salviati -, uno dei tre autori del Monumento di Michelangelo in Santa Croce (1568), e scultore specializzato anche nei restauri e nelle copie di busti antichi. Mentre non molto dopo Claudio Pizzorusso (in Giambologna e la scultura della Maniera, Firenze 2008, pp. 232-235 n. 22) l’ha ripubblicato come “opera certa” di Bartolomeo Ammannati, anch’egli settignanese come il Lorenzi, allievo del Bandinelli e dotato di una spiccata cultura archeologica, tra i protagonisti della scultura italiana del Cinquecento, interprete del manierismo più intellettualistico, attivo, oltreché a Firenze e Pisa, a Venezia e Padova, a Napoli e Roma, Urbino e Loreto, dove nel 1550 sposò la poetessa Laura Battiferri, e in altre località tra la Toscana e il Lazio, anche come architetto. Pizzorusso vi ravvisava, infatti, una “piena coerenza stilistica e persino fisionomica con le statue della Fontana di Giunone”, oggi al Bargello, realizzata dall’Ammannati per Palazzo Vecchio (1550-1565 ca.), “dove si può rilevare un analogo sfoggio di bravura nell’alternanza di nudo e di panneggio e nell’intaglio virtuosistico della capigliatura e dei suoi ornamenti”, immaginandola “quale arredo, tematicamente significativo, della casa di un uomo di lettere, come Benedetto Varchi”, nella dotta cerchia dello scultore e della Battiferri.