ARCADE | Dipinti dal secolo XVI al XX

2 OTTOBRE 2019

ARCADE | Dipinti dal secolo XVI al XX

Asta, 0311
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo


ore 10.30
lotti 1-120

ore 15.00
lotti 121-223

ore 17.00
lotti 231-310
Esposizione
FIRENZE
Venerdì     27 settembre               10-18
Sabato      28 settembre               10-18
Domenica  29 settembre               10-18
Lunedi       30 settembre               10-18


 
 
 
Stima   200 € - 30000 €

Tutte le categorie

181 - 210  di 301
182

Jacob de Heusch

(Utrecht 1657 - Amsterdam 1701)

LE CASCATE DI TIVOLI

olio su tela, cm 62x100

 

TIVOLI WATERFALLS

oil on canvas, cm 62x100

 

L'opera è corredata da parere scritto di Caterina Volpi di cui pubblichiamo un estratto:

 

"...Il dipinto raffigura alcuni pastori che si bagnano presso il lago formato dalle cascate del Tempio della Sibilla a Tivoli, uno dei luoghi maggiormente rappresentati dai paesaggisti nordici nel corso del Seicento per la sua unica e caratteristica commistione di natura selvaggia e rovine antiche, per quell'innesto di civiltà classica in un luogo pittoresco e impervio. Infaticabili disegnatori dei luoghi della campagna romana artisti come Poelemburgh e Breemberg rappresentarono nei loro schizzi gli aspetti più tipici del luogo di Tivoli, come Gaspard Dughet che nella zona comprò perfino un terreno. Al tempo di Jacob de Heusch Tivoli veniva ritratta da Gaspar van Wittel e, poco dopo, da Franz Van Bloemen e Andrea Locatelli, diventando un topos figurativo includibile della pittura del Gran Tour (Paesaggio laziale tra ideale e reale, dipinti del XVII e XVIII secolo, catalogo della mostra (Tivoli, giugno-novembre 2009) a cura di F. Petrucci, Roma 2009).

Del quadro esiste un versione di analogo formato oggi conservata presso le Galleria dell'Accademia Nazionale di San Luca a Roma; esso faceva parte di un pendant con Paesaggio laziale con corso d'acqua e figure, di uguali dimensioni. Entrambi i dipinti che provengono dal lascito di Fabio Rosa (P. Coen, La raccolta di Fabio Rosa e il suo ingresso in Accademia di San Luca, in "Ricerche di Storia dell'Arte", 107, 2012, pp. 5-16), sono attribuiti ancora a Salvator Rosa da Susinno nel 1974, fino alla correzione apportata da Busiri Vici prima della sua monografia su Andrea Locatelli del 1976, e infine in quella dedicata al de Heusch (Busiri Vici di Arcevia, 1997, nn. 43,44, pp. 142-143). Lo stesso studioso pubblicava due pendant di formato ridotto (49x78 cm) di collezione privata a Roma che replicavano, con minime varianti, i due dipinti dell'Accademia di San Luca (Busiri Vici di Arcevia, 1997, nn. 47,48, pp. 146-147)....."

 

Stima   € 10.000 / 15.000
186

Luigi Amidani

(Parma 1591- post 1629)

MADONNA COL BAMBINO DORMIENTE

olio su tavola di noce, cm 35x26

 

MADONNA WITH SLEEPING CHILD

oil on walnut panel, cm 35x26

 

L'opera è corredata da una scheda di Laura Bartalucci di cui pubblichiamo un estratto:

 

"La piccola tavola, destinata alla devozione privata, presenta il suo consueto tema della Madonna col Bambino nella variante iconografica di Gesù addormentato, chiara prefigurazione della passione di Cristo.

L'conografia, affermatasi nel Quattrocento, fu codificata in questa particolare declinazione in ambito emiliano da Guido Reni, che dipinse più versioni con il dipinto soavemente addormentato e vegliato dalla Vergine (Roma, Galleria Doria Pamphili).

I caratteri stilistici salienti del dipinto orientano, con ogni evidenza, in direzione di un artista di sicura formazione emiliana, che sintetizza in un felice quanto accattivante connubio i modelli della tradizione pittorica parmense cinquecentesca e le novità emiliano-bolognesi di fine Cinquecento ed inizio Siecento. La cifra espressiva del nostro artista palesa una complessa stratificazione della cultura pittorica correggesco-parmigianinesca, che si spinge fino a Sisto Badalocchio e si innesta nella tradizione bolognese rinnovata dai Carracci, quella di Ludovico in particolare. Tuttavia un modello in particolare sembra essere il punto forte di riferimento dell'autore della tavoletta in esame: Bartolomeo Schedoni, che aderisce al nuovo corso carraccesco, e al quale si deve l'avvio del rinnovamento della pittura modenese del Seicento. Proprio in questo artista il recupero di Correggio, che resta una della costanti del suo percorso, si attua attraverso l'intenso Chiaroscuro di Ludovico Carracci.

E' sufficiente osservare il volto della Vergine della tavola in esame per rileva una riproposizione quasi palmare dei caratteri morfologici di molte Madonne schedoniane.  Lo stesso ovale perfetto, con larghe palpebre e sopracciglia ad arco, la caratteristica acconciatura con la scriminatura al centro e la sottile trecciuola che ferma la capigliatura. Anche l'intonazione di intimo ed affettuoso raccoglimento, l'accostante e affabile naturalezza, derivate da modelli carracceschi, la dolcezza dell'ispirazione, sono proprie di Bartolomeo Schedoni, del quale si può richiamare a confronto la bella Annunciazione di Formigine. Tuttavia nell'autore del nostro dipinto emergono impreviste e solo apparentemente anacronistiche, virate manieristiche. Basti osservare infatti il corpo del Bambino, dalla forma quasi serpentinata, con il caratteristico ventre pronunciato, le fossette che sottolieneano le articolazioni, la consistenza quasi porcellanata delle carni e le estremità innaturalmente allungate e ridotte nelle dimensioni; o il panneggio come inamidato della veste della Vergine, quasi geometrizzate, caratterizzato da piatte campiture e sottolineato dalle linee diagonali. Ritengo che questi elementi siano sufficienti per escludere a priori l'autografia della Schedoni, il quale proprio sulla scia del rinnovamento carraccesco si libera dagli schemi cifrati del tardo manierismo ancora vigenti a Modena...."

Stima   € 12.000 / 20.000
191

Scuola fiorentina, fine sec. XV                                           

NATIVITÀ                                                                  

tempera su tavola, cm 65x46, altezza totale cm 130                        

                                                                          

Florentine school, late 15th century                                      

THE NATIVITY                                                              

tempera on panel, cm 65x46, total height cm 130                           

                                                                          

La composizione qui presentata, racchiusa entro un tabernacolo ligneo, è un tipico esempio della pregiata produzione delle botteghe fiorentine quattro e cinquecentesche, come quelle di Botticelli, Jacopo del Sellaio, Domenico di Zanobi e Cosimo Rosselli. Tali scene sacre, destinate soprattutto alla devozione privata all'interno di cappelle di importanti dimore, sono     contraddistinte, e così nel nostro caso, per lo schema prospettico diligentemente eseguito, uno spiccato gusto decorativo e una notevole attenzione per il dettaglio. La centina alla sommità della tavola racchiude la patetica iconografia del Vir dolorum tra due angeli in volo.                                       

 

Stima   € 30.000 / 50.000
192

Bartolomeo Biscaino                                                       

(Genova 1632  1657)                                                       

TRIONFO DI DAVID                                                          

olio su tela, cm 120x188                                                  

                                                                          

THE TRIUMPH OF DAVID                                                      

oil on canvas, cm 120x188                                                 

                                                                          

Provenienza                                                               

Genova, Rubinacci Antichità Genova, collezione privata  

 

Bibliografia

M. Bonzi, Il Biscaino, Savona 1940, pp. 8 e 17, illustrato a p. 9; Rubinacci Antichità, Dipinti del XVII e XVIII secolo, catalogo della mostra, Genova s.d. (ma 1968), n. 7; C. Manzitti, Per Bartolomeo Biscaino, in “Paragone” 1971, 253, pp. 37-38, fig. 22; La pittura del ‘600 a Genova, a cura di P. Pagano e M. C. Galassi, Milano 1988, ill. tav. 85; F. Lamera, Miti allegorie e tematiche letterarie per la committenza privata, in E. Gavazza, F. Lamera, L, Magnani, La Pittura in Liguria. Il secondo Seicento, Genova 1990, p. 188 e fig. 231; F. Affronti, Biscaino e Castello. Due artisti a confronto, in “La Casana” s.d., p. 46; ill. a p. 45.

 

Reso noto per la prima volta da Mario Bonzi nella sua pionieristica ricognizione dell’artista genovese, il dipinto qui offerto è stato in breve riconosciuto un vero e proprio caposaldo della prima attività di Bartolomeo Biscaino, intorno al 1650. Un’attività così breve, considerando la sua giovane età all’ingresso nella bottega di Valerio Castello intorno al 1649, e la morte precoce nella peste del 1657, da rendere pressoché superflue ipotesi di datazione più precise.

Giustamente Bonzi richiamava i modelli di Pellegro Piola per le figure, plastiche nella loro arrotondata fisicità ma insieme stilizzate nella cifra della Maniera, che accompagnano la scena di trionfo, e riconosceva l’ascendente di Valerio Castello nei colori acidi e squillanti, anch’essi un retaggio del tardo Cinquecento tra Genova e Milano.

Rispetto al maestro, Biscaino mostra stesure maggiormente studiate che restituiscono alla ritmata scansione delle figure una cadenza più pacata oltre che la più marcata consistenza plastica a cui si è appena accennato. I volti mostrano poi la tipica dolcezza che caratterizza sia il suo corpus pittorico che quello di disegni e incisioni.

                 

                                                                          

Stima   € 25.000 / 35.000
198

Artus Wolffort

(Anversa 1581-1641)

CRISTO ALLA PISCINA DI BETZAETA

olio su tela, cm 170x240

 

CHRIST IN THE POOL OF Bethesda

 oil on canvas, cm 170x240

 

Il tema di della Piscina di Betzaeta, desunto dal racconto del Vangelo di Giovanni circa la guarigione di un paralitico da parte di Gesù (Giovanni 5: 1-15), è stato esplorato con successo da alcuni dei più grandi artisti fiamminghi seicenteschi.

Michael Jaffé ha pubblicato una versione di questo dipinto come di Pieter van Mol (cfr. M. Jaffé, Exhibitions for the Rubens Year - II, in “The Burlington Magazine”, CXX, marzo 1978, p. 139, fig. 11) mentre altre opere con una composizione simile sono state variamente riferite a Otto van Veen, Werner van den Valkert, Claes Moeyaert e Jacob Jordaens (per un elenco completo delle versioni, cfr. H. Vlieghe, Zwischen van Veen und Rubens: Artus Wolffort (1581-1641) , ein vergessener Antwerpen Maler, in “Wallraf-Richartz-Jb.”, XXXIX, 1977, pp. 107-8, pl. 26-8 e note in calce 22-3).

Un'altra versione, di pressocché analoghe dimensioni alla nostra, lasciata in eredità alla Galleria dell'Ontario nel 1983, è considerata autografa di Artus Wolffort (Anversa, 1581 – 1641): anche per la tela presentata il nome del Wolffort è quello più probabile.

L’attività artistica di Artus Wolffort, quasi del tutto sconosciuta fino agli anni Settanta, è stata ricostruita sulla base di numerose immagini monogrammate: la maggior parte dell’opera documentata è costituita da soggetti religiosi e mitologici realizzati raffigurando figure quasi a grandezza naturale, come nel nostro caso. L'inclinazione barocca e l'atmosfera rubensiana della tela presentata suggerisce un confronto più stringente con le sue opere di età matura, dopo il 1630.

 

 

Stima   € 18.000 / 25.000
181 - 210  di 301