DIPINTI DEL SECOLO XIX

14 NOVEMBRE 2017

DIPINTI DEL SECOLO XIX

Asta, 0225
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 18.00
Esposizione

FIRENZE
10-13 Novembre 2017
orario 10-13 / 14–19 
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   600 € - 50000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 62
132

Vincenzo Irolli

(Napoli 1860 - 1949)

IL RICEVIMENTO

olio su tela, cm 134,5x203

firmato in basso a sinistra

 

Provenienza

Collezione Eduardo Carù, Buenos Aires

Collezione Vasco Gucci, Firenze

Collezione privata, Firenze

 

Esposizioni

Esposizione italiana di Belle Arti, Buenos Aires, 1923

 

Bibliografia

Esposizione italiana di Belle Arti, Buenos Aires, Milano - Roma, 1923, pp. 50-51

F. Russo, L'Arte di Vincenzo Irolli. Impressioni di Vincenzo Russo; con un proemio di Pompeo Molmenti, Bergamo 1925, tavola non numerata

 

 

Selezionato da Mario Vannini Parenti per l'Esposizione italiana di Belle Arti tenutasi nel Museo di Buenos Aires nel 1923 e pubblicato nel relativo catalogo, il dipinto fu acquistato da Eduardo Carù per arredare la sua nuova casa, progettata dall'architetto Virginio Colombo nel 1917.

Il dipinto è assegnabile con certezza al periodo più fecondo dell'attività dell'artista, intorno al 1920 quando, dopo la conclusione della I Guerra mondiale, Irolli sembra ritrovare una grande facilità esecutiva espressa anche in composizioni di notevoli dimensioni spesso destinate al mercato straniero. In particolare, come la sagacia commerciale di Vannini Parenti aveva precocemente intuito, il mercato sudamericano poteva rivelarsi un'inaspettata risorsa, vista la rapida e fortunata ascesa di una borghesia imprenditoriale di origine italiana che tendeva a mantenere vivo, nel nostalgico attaccamento alle tradizioni, il legame con la madrepatria. Lo stesso Eduardo Carù, di origini lombarde, aveva commissionato a Virginio Colombo, protagonista dell'architettura Art Nouveau di inizio secolo nella capitale argentina, la propria residenza in Avenida Rivadavia, una sorta di eclettico e suggestivo castellotto – purtroppo demolito un anno dopo la vendita e l'abbandono da parte della famiglia, nel 1967 2- interamente arredato e decorato con manufatti italiani appositamente acquistati nel corso di un viaggio in Italia nel Gennaio del 1923, viaggio che servì anche ai Carù ad ottenere il mandato per la prima concessionaria per il Sud America delle automobili Alfa Romeo.

All'interno della villa, realizzato in un fastoso stile neorinascimentale, i proprietari avevano fatto realizzare dallo scultore italiano Bianchi Poletti un imponente scalone che vedeva inserite, nella ridondanza degli elementi mistilinei finto cinquecenteschi, le immagini dei ritratti di Dante e Michelangelo a testimoniare l'indissolubile legame con l'Italia. Rivelatosi infruttuoso il tentativo dei Carù, padre e figlio, di stabilire un punto di riferimento in Argentina per l'industria automobilistica italiana la famiglia vide un lento declino che portò all'alienazione della villa nel 1966.

Già negli anni Cinquanta del Novecento alcuni arredi furono alienati se, probabilmente sempre grazie all'intervento del Vannini Parenti , il dipinto rientra in Italia per essere quindi acquistato dai coniugi Gucci nel 1957 dal gallerista Vincenzo Spezzacatena, a Montecatini. Dalla raccolta Gucci l'opera, fra le pochissime riconoscibili oggi tra quelle esposte in passato, è poi pervenuta all'unica erede diretta di Vasco Gucci, nell'attuale collocazione.

Pubblicato da Ferdinando Russo nella prima monografia dell'artista, introdotta da una prefazione di Pompeo Molmenti, il quadro assume particolare rilievo anche alla luce degli ultimi studi sul pittore napoletano. Raggiunta la piena maturità Irolli, fedele ad un figurativismo comunque attuale e originalmente rinnovato nella costante ricerca sulla stesura cromatica, dà vita ad alcune grandi opere di ampio respiro che rappresentano uno fra i momenti più alti di tutta la sua produzione.

Accostabile ad altre grandi tele coeve, come, ad esempio Piazza San Marco, del 1922, pubblicata sempre dal Russo, il dipinto, dal titolo Un Ricevimento, rappresenta un vivace interno borghese durante un'occasione festosa, probabilmente un evento familiare, e mescola attori e caratteri con una facilità esecutiva non scevra da una componente affettuosa e intimamente partecipata. Lo scenario, di solida e rassicurante agiatezza, è reso sontuoso dalla presenza di arredi baroccheggianti, piuttosto consueti nei palazzi napoletani del tempo. In particolare, la presenza di sedie dorate rimanda a quei mobili di famiglia riscontrabili anche nelle scarse ma importantissime documentazioni fotografiche dell'artista e della sua famiglia, quei cugini La Marca - Carlo, seguito da Ferdinando con relativi fratelli, figli e nipoti - che costituivano il riferimento più stretto del suo nucleo parentale e di cui spesso il pittore usava celebrare eventi ed occasioni importanti con il dono di dipinti (B. Bosco, N. La Marca, Economia, società, cultura napoletana fra Ottocento e Novecento, Testimonianze vecchie e nuove su Vincenzo Irolli, Roma 2006). L'ispirazione e l'ambientazione furono quindi utilizzate per altre opere: se, infatti, ritroviamo la stessa sala nel quadretto del 1946 consegnato all'amico Montanari come regalo di nozze per la figlia, anche in quella rivisitazione modernizzata della scena galante ottocentesca, pubblicata dal Russo col titolo La Tazza di The, del 1923, i protagonisti risultano chiaramente mutuati da Il Ricevimento, subito riconoscibili fra le figure che animano la scena e si muovono tra gli oggetti, dalla poltrona allo sfarzoso orologio da tavolo dorato, che caratterizzano l'ambiente prezioso ed elegante (E. Savoia, Vincenzo Irolli. Il pittore del sole, Bologna 2002 ed ancora F. Russo, Ibidem, tav. n.n.).

L'affastellarsi, vivace e rapido, dei personaggi raffigurati, è rafforzato dall'ormai matura padronanza tecnica dell'artista, che costruisce l'immagine con l'energia di pennellate concitate e sovrapposte e, tuttavia, intrise di luce, alternate a stesure cromatiche più fluide e stemperate in cui sottolineare le espressioni e i tratti dei volti. La disinvoltura e la scioltezza esecutiva raggiunte negli anni Dieci e Venti del Novecento da Vincenzo Irolli sono testimoniate da alcune fra le sue composizioni più felici e riuscite, celebratissime anche all'estero, a conferma di una scelta stilistica squisitamente personale in cui l'artista rifugge con convinzione dai neologismi delle avanguardie per sostenere la via di una sperimentazione figurativa, anche tradizionale ma sempre autonoma, pervicacemente incentrata sullo studio e sulla ricerca incessante delle variazioni e delle possibilità di alterazione tonale della luce nel colore.

 

Isabella Bottoni

 

Stima 
 € 50.000 / 70.000
Aggiudicazione  Registrazione
129

Sirio Tofanari

(Firenze 1886 - Firenze 1969)

MACACO

bronzo, alt. cm 31, su base in marmo, alt. cm 5

firmata e datata "1914", firma della Fonderia G. Vignali di Firenze

 

Provenienza

Collezione privata

 

Autodidatta, Sirio Tofanari si dedica specialmente alla scultura di animali. Attivo anche a Parigi e a Londra, dove studia nel giardino zoologico e nel Museo di Storia Naturale a South Kensington. Espone alla Promotrice di Belle Arti di Torino dal 1908 e nello stesso anno a Faenza, dove riscuote un notevole consenso. Nel 1909, alla Mostra di Venezia, una sua opera viene acquistata per la Galleria d’Arte Moderna di Firenze. Nel 1911 espone a Barcellona, vincendo una medaglia d’oro e vendendo un’opera al museo della città, e nel 1915 a San Francisco. Alla Fiorentina Primaverile del 1922 presenta otto bronzi e una traduzione in argento di soggetto animale, mentre a Venezia nel 1934 propone Somarello e Gazzella. Alcune sue opere sono conservate nelle gallerie d’Arte Moderna di Firenze (Carezza, 1909, e Gufo), di Milano e in quella Nazionale di Roma (Antilope morente, 1935).

 

(A. Panzetta, Scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, Torino 1994, vol. I, p. 266)

 

 

Tofanari a deux qualités qui lui sont propres: l’observation du caractère, des formes, du plumage et du pelage des animaux et un travail délicat et patient, un vrai travail d’orfèvre, moulant la cire qu’il livrera au fondeur et ciselant et patinant le bronze. Son Babouin, son Perroquet, son Lapin, son Chien sont incomparables.

 

Ugo Ojetti

Corriere della Sera, aprile 1925

(da Sirio Tofanari. Sculptures d’animaux, Florence 1928, p. 12)

 

Stima 
 € 6.000 / 9.000
Aggiudicazione  Registrazione
114

Giuseppe Abbati

(Napoli 1836 - Firenze 1868)

LUNGO L'ARNO

olio su tela, cm 31x77

firmato in basso a sinistra

retro: cartiglio e timbri della Bottega d'Arte di Montecatini Terme - Livorno, iscritto "Dono all'amico Dott. B. Bellani" e "G. Abbati / Lungo l'Arno"

 

Provenienza

Collezione Mario Borgiotti, Firenze

Collezione Emilio Gagliardini, Como

Bottega d’Arte, Montecatini Terme – Livorno

Collezione privata

 

Bibliografia

Catalogo Bolaffi della Pittura Italiana dell'Ottocento. 3, Torino 1970, p. 2

Catalogo Bolaffi della Pittura Italiana dell'Ottocento. 6, Torino 1976, p. 2

P. Dini, Giuseppe Abbati. L’opera completa, Torino 1987

 

"Altra sorgente d'intensa emozione poetica sono per Giuseppe Abbati le rive dell'Arno, in località Bellariva. Sin dal primo costituirsi della cosiddetta "scuola di Piagentina", Abbati prese parte alle esperienze che Lega, Signorini, Borrani, Sernesi conducevano in quella zona, allora semiurbana di Firenze, corrispondente oggi a un tratto del lungarno Colombo e dunque pressoché irriconoscibile, se non fosse per la mole quattrocentesca della Casaccia, più volte danneggiata dalle piene dell' Arno e quindi ricostruita [...]. "Quanto furono piene di passione, di entusiasmo, di attività febbrile, quelle belle giornate passate (...) in quel piccolo e studioso cenacolo di amici (...) E quali deliziose giornate furono quelle passate dipingendo lungo le arginature dell'Affrico, o fra i pioppi sulle rive dell'Arno..." ricordava molti anni più tardi Signorini. Di questa consentimentalità è prova il piccolo dipinto di Telemaco Signorini di analogo soggetto, realizzato con quella particolare morbidezza, con quella fusione di toni che ci pare peculiare anche del nucleo di opere di mano di Abbati, cui appartiene "L'Arno alla Casaccia".

(Giuseppe Abbati, 1836-1868, catalogo della mostra (14 luglio - 14 ottobre 2001) a cura di F. Dini e C. Sisi, Torino 2001, pp. 30-31)

 

Il dipinto che qui presentiamo si colloca stilisticamente e cronologicamente in questo momento di produzione dell'artista napoletano. Si confronti ad esempio con opere quali L'Arno alla Casaccia (olio su tela, cm 27x38, in Giuseppe Abbati, 1836-1868..., n. 18) per il profilo delle colline fiorentine che appaiono sullo sfondo del dipinto, e L'Arno alla Casaccia conservato alla Pinacoteca Provinciale di Bari, dove le argentee trasparenze sembrano rarefarsi al sole del mattino.

Stima   € 18.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 30  di 62