DA MERCANTE A Collezionista: CINQUANT'ANNI DI RICERCA PER UNA PRESTIGIOSA RACCOLTA

11 OTTOBRE 2017

DA MERCANTE A Collezionista: CINQUANT'ANNI DI RICERCA PER UNA PRESTIGIOSA RACCOLTA

Asta, 0220
FIRENZE
Palazzo Ramirez Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 17.30
Esposizione

FIRENZE
7-10 Ottobre 2017
orario 10-13 / 14–19 
11 Ottobre 2017
orario 10-13
Palazzo Ramirez Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   1000 € - 100000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 129
129

Alberto Mazzetti

(attivo nel XX secolo)

BUSTO FEMMINILE

bronzo, alt. cm 53

siglato

 

Bibliografia

Persone. Ritratti per cinque secoli, a cura di M. Vezzosi, Firenze 2001, p. 65

 

"Talvolta non basta un monogramma decifrabile grazie ad una tradizione orale per uscire dall’anonimato. E' quanto accade ad Alberto Mazzetti, scultore, fiorentino forse, del quale non resta altra evidenza all'infuori di questa elegante testa del 1938.

La naturalezza della figura denota una profonda assimilazione della scultura ritrattistica ottocentesca rilanciata, nel corso degli anni Venti, anche dal "ritorno" di Vincenzo Gemito. Ma la misura e il controllo esercitati sulla forma dipendono chiaramente dallo studio di modelli quattrocenteschi, Verrocchio in primis per la preziosa ricercatezza del dettaglio. Sicché alla composta sintesi delle masse che costruiscono una anatomia come insistentemente accarezzata, si unisce la formidabile acconciatura pirotecnica dei capelli, nella quale le ciocche a fiore sulla fronte rivelano uno stilismo che punta dritto verso l'insegnamento di Libero Andreotti.

La vicinanza di questo busto ai ritratti che resero celebre in un breve torno di anni, fra il 1934 e il '35, Antonio Berti, conferma l'ipotesi che anche Mazzetti appartenesse alla folta schiera degli allievi dell'Istituto d'Arte di Firenze guidati dal grande maestro pesciatino. E allora lui potrebbe essere quell' "allievo Mazzetti", apparentemente quindicenne o giù di lì, che Andreotti aveva effigiato intorno al 1926 in un gesso (Pescia, Gipsoteca Andreotti) e in una terracotta (Pisa, eredi Andreotti)".

 

Persone. Ritratti per cinque secoli, a cura di M. Vezzosi, Firenze 2001, p. 65

Stima   € 1.000 / 1.500
124

Giovanni Guerrini

(Imola 1887 - Roma 1972)

RITRATTO DI MYRTIA CIARLANTINI                     

olio su tavola, cm 80,5x70

firmato e datato "1932 X" in basso a destra retro: due etichette della XVIII Esposizione Biennale di Venezia del 1932

 

Esposizioni

XVIII Esposizione Biennale di Venezia, 1932, Sala 36, n. 267

 

Pubblicazioni

Giovanni Guerrini, 1887-1972. Dal Liberty al Novecento, a cura di C. Fabrizio Carli e L. Djokic, Roma 1997, p. 44 n. 22

 

 

La stanza è una scatola prospettica che incombe e la figura un monolito che tutta la riempie, la porta solo un'allusione, la possibilità di un fuori, di un'altra condizione o un'altra vita.

La pennellata è una pasta ricca di colore e luce, stesa con movimenti paralleli pare mordere col suo abbaglio le linee scure dei contorni, tentarne un improbabile sfaldamento; salda nel suo irrudicibile impianto compositivo la figura resiste all'attacco del colore e tutta si chiude nel suo plastico contorno, Myrtia Ciarlantini, seduta con il corpo appena girato di lato pare l'imperitura essenza di sé, un idolo antico e incorrotto.

E' un realismo essenziale e severo quello che serra implacabile la costruzione di questo ritratto, un'opera che nella concezione pare volgersi verso la riscoperta classicità delle limpide architetture moderniste: a Roma l'Eur, per esempio, verso quel nitido rapporto tra i bianchi accecanti di luce dei travertini romani e gli scuri degli archi perfetti che si riempiono d'ombra.

In quel suo essere scevro d'ogni aggiunta, scarnito sino all'essenza della forma, questo ritratto di una delle protagoniste intellettuali dei salotti artistici romani, molto sarebbe piaciuto, e chissà, forse lo sarà stato, ad un altro campione della pittura architettonica di questi anni: Achille Funi.

Protagonista della pittura italiana dei primi cinquant'anni del Novecento, attivo nel campo dell'architettura e del design, Guerrini ricoprì cariche di assoluto prestigio; come direttore delle Accademie di Belle Arti di Bologna prima e Ravenna poi, e sempre a Ravenna quella dell'Istituto Statale d'Arte per il Mosaico.

M.V.

Stima   € 2.500 / 3.500
119

Raffaello Romanelli

(Firenze 1856 - Firenze 1928)

PUTTINO

bronzo, alt. cm 64

firmato

 

Membro di una famiglia di scultori composta anche dal padre Pasquale Romanelli e dal figlio Romano, Raffaello avvia gli studi artistici nella bottega del genitore, per poi iscriversi all'Accademia di Belle Arti di Firenze, dove il suo maestro è Augusto Rivalta (allievo di Giovanni Dupré). Una volta diplomato comincia a lavorare nell'atelier di famiglia. Nel 1880 vinse il pensionato di Roma con un Muzio Scevola, e ottenne il premio quadriennale dell'Accademia con l'opera L'indemoniato che si getta ai piedi di Cristo.

Partito da un verismo naturalistico, in seguito aderisce al clima Liberty soprattutto nei ritratti. Autore di monumenti celebrativi, lavora anche in Argentina, Cuba, Francia, Germania, Romania, Russia, America e Venezuela. Risulta particolarmente apprezzato negli Stati Uniti: molte sue opere si trovano a Detroit e Kansas City, dove gli viene dedicato un parco, il Romanelli Garden, e in Romania, dove fu l'artista ufficiale della famiglia reale, di cui dipinge quattro ritratti, e dove produce quaranta opere.

Tra quelle realizzate in Italia possiamo ricordare a Siena il monumento di Giuseppe Garibaldi a Firenze il busto di Benvenuto Cellini sul Ponte Vecchio di Firenze e il cenotafio di Donatello nella basilica di San Lorenzo. A Livorno si occupò delle decorazioni scultoree della cappella Bastogi nel Cimitero della Misericordia e realizzò il busto di Benedetto Brin. La sua fama è legata anche al grande gruppo in bronzo eretto agli Studenti caduti a Curtatone nell'Università di Siena e al colossale monumento equestre a Carlo Alberto al giardino del Palazzo del Quirinale in Roma.

 

Stima   € 2.500 / 3.500
108

Clemente Alberi

(Bologna 1803 - Bologna 1864)

RITRATTO DEL DOTTOR GIUSEPPE MAZZACORATI

olio su tela, cm 89x66

firmato e datato "1838" in basso a sinistra

 

Il dipinto che qui presentiamo raffigura uno degli uomini illustri della Bologna dell'800.

Giuseppe Gaetano Mazzacorati, nato a Bologna nel 1803, laureato in Giurisprudenza, fu fondatore della Banca Agricola, e fino al 1859, rappresentante dell'Impresa dei Lotti pontifici. Come latifondista partecipò alla prima Esposizione nazionale organizzata a Firenze nel 1861 presentando campioni di riso cinese e novarese.

Assieme al padre, è schedato nel Libro dei compromessi nella rivoluzione del '31, perché "si pronunciò molto trasportato pel liberalismo in entrambe le epoche, in favore del quale spese assai. Somministrò sussidi a chi si dimostrò esaltato liberale, e che fosse bisognoso. Istigò al partito rivoluzionario, disse infamità contro il Governo, e si dichiarò uno dei nemici dei preti. Ora apparisce moderato, ma non lo è". Nel 1847 fu creato nobile di Bologna, e nel 1877 affrancò il canone feudale in favore del Regio Demanio nazionale, succeduto alla Camera dei Tributi in Roma, per conservare il pieno diritto al titolo di marchese della Massetta e ville di Pagno, Rivo e Casalecchio nel Montefeltro, di cui era stato investito suo padre Giovanni. Si ricorda che il primo maggio 1860, in occasione della visita del re Vittorio Emanuele II a Bologna, Giuseppe Mazzacorati aspettò il Re, proveniente dalla Toscana, ai piedi della sua villa fuori porta Santo Stefano. Accogliendolo sulla sua carrozza scoperta, lo accompagnò per l'ultimo tratto di strada fino alla porta, e poi per via Santo Stefano, Cartoleria Nuova (ora via Guerrazzi), Strada Maggiore, Mercato di Mezzo (via Rizzoli), e piazza del Nettuno fino a San Petronio. Al termine della visita, il Re decorò Giuseppe con una medaglia di benemerenza in bronzo, per avere, in qualità di soldato della Guardia Nazionale a cavallo, prestato al sovrano un servizio d’onore "in guisa da meritarsi tutta la sua soddisfazione". Morì a 83 anni il 27 maggio 1887, per "pneumonite esaurimento vitale".

 È quindi comprensibile come il Mazzacorati abbia affidato l'esecuzione del proprio ritratto all'Alberi, pittore riconosciuto come il miglior ritrattista in Bologna.

Stima   € 3.000 / 5.000
118

Urbano Lucchesi

(Lucca 1844 - Firenze 1906)

IL FURTO DEL TABACCO

bronzo, alt. cm 89

firmato e iscritto "Firenze"

timbro della Fonderia Conversini e C., Pistoia

 

Urbano Lucchesi è il più importante scultore attivo a Lucca nell'Ottocento, è autore di diversi grandi bronzi tutt'oggi presenti nell'arredo urbano della città: i busti di Giuseppe Mazzini, Benedetto Cairoli, Vincenzo Consani; il monumento ai "Caduti delle patrie battaglie" e quello a Giuseppe Garibaldi, mentre una buona parte della sua produzione scultorea di piccole dimensioni, opere in cui il rigore accademico si stempera in visioni spontanee, è conservata presso il Museo Nazionale di Villa Guinigi a Lucca.

L'artista fu attivo anche a Firenze (la presente scultura è eseguita proprio nel capoluogo toscano come recita la firma sulla base: U. Lucchesi Firenze) nei cantieri di maggior prestigio messi in opera durante quel secolo, suo è il monumento a Donatello posto davanti all'edificio dove il grande scultore ebbe studio; nella città di VIareggio eseguì il monumento al grande monumento al grande poeta romantico Percy Bysshe Shelley.

Il bronzo in questione, una fusione di considerevole misura ed impegno, raffigura Il furto del tabacco; una bimba in piedi vestita con un abito che potrebbe essere datato verso gli anni ottanta dell'Ottocento che, dopo aver annusato il contenuto della scatolina aperta che tiene in mano (tabacco da fiuto appunto) alza la testa nel gesto di starnutire.

Il soggetto, piacevolissimo, rientra in quel gusto aneddotico con descrizioni di scene di genere e vita popolare che anche in pittura fu assai in voga nell'Ottocento.

M.V.

Stima   € 3.500 / 5.000
109

Carlo Markò

(Budapest 1822 - Mosca 1891)

IL CASTELLO DELLA VERRUCA VICINO PISA

olio su tela, cm 46x61,5

firmato e datato "1875" in basso a destra

retro: etichetta sul telaio con titolo

 

Sono ancora oggi visibili le rovine del Castello e la rocca della Verruca che furono in passato teatro di cruente battaglie tra Pisani e Fiorentini. Il sito era già occupato da una fortificazione dal 780, ma la rocca vera e propria fu costruita solo nel XIII secolo, ed è sopravvissuta come struttura militare attiva fino alla definitiva caduta di Pisa nel 1503. Le ultime strutture ad esser costruite, in vista dell'ultimo decisivo scontro con i Fiorentini, furono le quattro torri angolari, due orientali di grossa dimensione e due occidentali più piccole, con feritoie e balestriere.

Nel 1509, tuttavia, la fortezza fu ristrutturata da Antonio da Sangallo a cui vengono attribuiti i due bastioni poligonali e da Luca del Caprina, della bottega del Francione, a cui viene attribuita la grossa torre cilindrica su uno spigolo del perimetro. La fortezza fu in seguito dismessa venendo a mancare la sua posizione di frontiera e quindi la sua utilità difensiva.

La struttura della rocca aveva un'importanza cruciale per la Repubblica Pisana, perennemente in guerra con Firenze. Il castello era il nucleo di un sistema di fortificazioni sparse sul territorio circostante, tra cui possiamo elencare i castelli di Caprona, Vicopisano e Buti. Le comunicazioni tra questi avamposti e la rocca, così come quelle tra la rocca e la città di Pisa, avvenivano con lenzuola, stendardi, fumo, fuochi o colpi di artiglieria attraverso un codice che permetteva di informare repentinamente sui movimenti delle truppe nemiche in avvicinamento. In caso di scarsa visibilità il segnale veniva passato attraverso le varie torri dislocate sui monti pisani: la Torre dello Spuntone, il castellare di Asciano, il castello di Agnano e il castello di San Giuliano.

Nei primi anni del Novecento venne avviato un progetto per la realizzazione di una croce monumentale, in risposta all'iniziativa di papa Leone XIII di porre il simbolo della cristianità sulle cime più alte d'Italia. La prima pietra venne posata dall'Arcivescovo di Pisa Maffi nel 1904, ma i lavori non proseguirono per il blocco imposto dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali, decisa a preservare l'aspetto dell'antica fortezza.

 

 

 

 

Stima   € 4.000 / 6.000
81

Francesco Morandini, detto il Poppi

(Poppi, 1544 - 1597)

CROCIFISSIONE

olio su tela, cm 21,3x14,5

 

Bibliografia di riferimento

A. Giovannetti, Francesco Morandini detto il Poppi, Firenze, 1995

 

Francesco Morandini nasce a Poppi probabilmente nel 1544, secondo quanto possiamo ricavare dal trattato di Raffaello Borghini "Il Riposo" che nel 1584 lo ricorda come uomo di trentanove anni. Probabilmente negli anni Sessanta del Cinquecento si trasferì a Firenze dove fu accolto tra gli allievi di Giorgio Vasari, spiccando per una naturale predisposizione al disegno. Il suo stile, dalla pennellata sicura, si può riconoscere per l'uso del colore spesso cangiante su incarnati chiarissimi, con delicate sfumature che danno corpo ai volumi attraverso una piena padronanza delle ombre e delle luci.

Molte sono state le sue commissioni a Firenze; in particolare ebbe un ruolo fondamentale nello studiolo di Francesco I, realizzato tra settembre e novembre del 1570; il Poppi infatti, secondo Raffaello Borghini e Vasari, fu responsabile dell'intera decorazione della volta, affiancato nell’impresa da Jacopo Zucchi.

Al centro del soffitto realizzò l'affresco con Prometeo che riceve i doni dalla Natura punto di partenza per tutto il ciclo decorativo; attorno vi sono le personificazioni dei quattro elementi (Aria, Acqua, Terra e Fuoco). Sull'asse dipinse le imprese di Francesco I, la Donnola e l'Ariete, sostenute da putti, e infine, a fianco della lunetta con il ritratto di Cosimo I, le allegorie dell'Autunno e dell'Inverno.

Sulle pareti, entro il 1571, furono collocati l’ovale con Alessandro dona Campaspe ad Apelle e il riquadro con la Fonderia dei bronzi, in cui rese, con i bagliori della luce artificiale, i prodotti dell’officina medicea.

Accanto a questi raffinati soggetti profani va ricordata anche la sua copiosa produzione religiosa entro cui va inserita la nostra piccola ed inedita tela con la Crocifissione.

Il soggetto ritorna molte volte, con alcune varianti, tra quelli rappresentati dal Poppi. Tra questi si ricordano le Crocifissioni del Museo del Cenacolo di San Salvi e della Chiesa di San Michele a San Salvi a Firenze oltre a quella della Chiesa di San Francesco a Castiglion Fiorentino; ma le più somiglianti alla nostra sono la Crocifissione della Galleria Nazionale di Parma e quella di collezione privata fiorentina (i dipinti sono pubblicati nella monografia sul Poppi di Alessandra Giovannetti alle seguenti pagine: p. 175, fig. 73; p. 142 fig. 33; p. 186, fig. 85; p. 176, fig. 74; p. 143, fig. 35). Probabilmente il prototipo per questo fortunato motivo del Crocifisso è il disegno n. 329 conservato al Musée Wicar di Lille (in A. Giovannetti, cit. fig. 34).

Il nostro dipinto, rispetto a quelli di Parma e di collezione privata fiorentina, mostra il Redentore in solitudine, senza i dolenti e la figura di Maddalena ai piedi della croce.

L'attenzione si concentra esclusivamente sul corpo esanime del Cristo, rifinito e cesellato per mezzo di un chiaroscuro morbido secondo la consuetudine disegnativa del Poppi.

La nostra elegante teletta doveva essere probabilmente un oggetto di devozione privata.

 

Stima   € 4.000 / 6.000
105

Giuseppe Bezzuoli

(Firenze 1784 - Firenze 1855)

RITRATTO FEMMINILE

olio su tela, cm 57,5x45

 

Giuseppe Bezzuoli nacque a Firenze il 28 novembre 1784. Figlio del pittore prospettico e fiorista Luigi Bazzoli (e così si firmò G. fino al 1822, per poi firmarsi Bezzuoli o Bezzoli, ritenendosi discendente da un'antica famiglia Bezzoli), studiò dapprima medicina e chirurgia pur frequentando, all'Accademia, la scuola del nudo diretta da Desmarais e Luigi Sabatelli; finché nel 1807 si iscrisse regolarmente come allievo di Pietro Benvenuti. Vinto il premio triennale (1812) con un Aiace che difende il corpo di Patroclo, si dette a far studi di paese e di costume nella montagna pistoiese, eseguì alcune decorazioni in palazzi fiorentini, dipinse numerose tele di soggetto romantico e cominciò a fare qualche ritratto. Dopo un breve soggiorno a Venezia tornò a Firenze dove lavorò per committenze pubbliche e private, affrescò palazzi, ville ed eseguì tele a soggetto storico-romantico cavalleresco. Intanto nel 1829 era stato chiamato dal Pietro Benvenuti come aiuto del maestro di pittura ed è lo stesso Benvenuti a designarlo ufficialmente come suo successore nel '44. Ma le cure dell'insegnamento non diminuirono la sua attività e nell'ultimo decennio eseguì ancora numerosi quadri di soggetto storico. Tra i suoi ritratti più belli eseguiti tra il 1827 e il '44 ricordiamo quelli di Gino Capponi, Lorenzo Bartolini, Elisabetta Ricasoli, Luigi de Cambray Digny col figlio, Giovanni Carmignani, Marianna Rucellai de' Bianchi, Maria Antonietta granduchessa. Morì a Firenze nel 1855. Ottimo disegnatore, il Bezzuoli fu ligio agli schemi e ai precetti dell'accademia sia nelle tele sia negli affreschi; se preferì soggetti romantici, alla moda di Francia, non ebbe dei pittori romantici d'Oltralpe le belle qualità di chiaroscuro e di colorito. Ma nei ritratti, davanti al vero, il B. dimenticò teorie e precetti accademici e fece cose gustosissime e tali da essere avvicinate ai ritratti dell'Ingres, che probabilmente egli vide operante in Firenze nel 1820.

Stima   € 4.000 / 6.000
96

Giovanni Battista Dell'Era

(Treviglio 1765- Firenze 1799)

RITRATTO MASCHILE

olio su tavola, cm 46,5x35,5    

 

Bibliografia

Sette ritratti lombardi dalla tarda maniera alla maniera pura, testi di M. Tanzi e M. Vezzosi, Firenze 2009, pp. 22-25

                                                 

 

L'eccellente stato di conservazione di questa tavoletta permette di apprezzare a pieno l'intenso realismo di questo ritratto di giovane uomo che, tramite l'ausilio di una luce decisa ed implacabile, emerge con prepotenza visiva dal fondo scuro del dipinto. Il sapiente taglio compositivo, solo all'apparenza scontato, vede il personaggio raffigurato in primissimo piano muovere, tramite accorgimenti assai calibrati, da destra verso sinistra a cercare la luce e il contatto con lo spettatore. Concorrono all'idea di questo movimento rotatorio sia la disposizione leggermente in obliquo delle spalle che a destra si perdono nel buio sia, per contrapposto, lo scatto della testa che si gira perentoriamente verso il lato opposto come a rispondere ad un improvviso richiamo. Lo sguardo è femo e deciso, sottolineato dai tratti volitivi del volto, e reclama a sé quella attenzione dovuta alle persone di alto lignaggio.

L'utilizzo della tavola di noce quale supporto per la stesura pittorica in anni già addentro al secolo diciottesimo circoscrive in generale l'area di esecuzione del ritratto nell'Italia del nord e, scendendo nel particolare, una ampia casistica ne conferma la sua realizzazione tra Parma e Milano.

La stesura pittorica assai ricca e densa, la partitura cromatica del volto caratterizzata da forti contrasti di luci ed ombra che, soprattutto nell'abito e nel jabot tagliano i volumi in squadrature geometriche, sono fattori che consentono di assegnare il dipinto alla attività giovanile del pittore trevigliese Giovan Battista Dell'Era, intorno al 1783-1784 circa, uno dei personaggi di spicco del Neoclassicismo italiano attivo tra Milano, Roma e Firenze. 

 

Stima   € 4.000 / 6.000
29

Giovanni Maria Butteri

(Firenze ?, 1543-1606)

SANTA MARGHERITA

olio magro su tela, cm 56,8x46 

 

Il dipinto è corredato da parere scritto di Alessandra Giannotti di cui riportiamo alcuni passaggi salienti:

 

"La severità della composizione che predilige il mezzo busto proprio della ritrattisca, e che adotta l'astrazione monocromatica del fondale, è intenerita dal delicato accordo cromatico delle vesti al quale l'artista ha affidato tutta la sapienza del proprio esercizio pittorico. Attraverso impercettibili velature egli sovrapponte strati di teneri colori che si frantumano in liquidi rivoli di nuances pastello: cipriosi rosa, bianchi dalle ammaccature violacee, pallidi gialli e calde campiture aranciate raggiungono effetti di sapiente armonia musicale. Il sottile nimbo che ne incornicia il capo e la piccola croce stretta come lo stelo di un fragile fiore tra le dita esili scalate in un'esemplare prova prospettica che rievoca i raffinati esercizi di Michele di Ridolfo, sono le uniche, ma inconfondibili tracce di una conquistata santità.

Eppure, nonostante la perfezione dell'ovale, il misurato classicismo dei tratti somatici, e gli esibiti attributi iconografici, la malia dello sguardo dai bruni occhi magnetici basta ad introdurre il sospetto di una più particolare attenzione ritrattistica, anche solo da imputare alla consuetudine del suo artefice forse aduso a questa pratica.

Semplicità e bilanciato rigore appaiono i segnali di una partecipazione a quel clima di riformato purismo formale della tersa religiosità proprio di quella crociata neorinascimentale promossa a Firenze da Santi di Tito ma già anticipata per piccoli frammenti dalla brigata dei pittori dello "studiolo". Basta il confronto con la pala della Madonna con Il Bambino, Sant'Anna e altri Santi (Firenze, San Salvi), i cui volti mostrano le sembianze della famiglia Medici - da Cosimo a Francesco e Ferdinando, da Paolo Giordano Orsini a sua moglie Isabella - per registrare la pertinenza dell'autografia di Giovanni Maria Butteri, tradizionale artefice dell'istantanea del clan ducale, anche per la nostra piccola tela. Efficaci i confronti giungono in tal senso proprio da due delle eleganti nobili comparse, Eleonora di Toledo, forse da identificare nella figura della Vergine, e sua figlia Isabella che veste i panni di Santa Caterina. Proprio i loro volti dalla perfezione bronzinesca esibiscono le ben riconoscibili cifre astrattive del nostro dipinto: stereometrici ovali dalle altere arcate sopraccigliari che inquadrano intensi occhi bruni pronti a carpire l'attenzione dello spettatore. Tuttavia la maggior ortodossia agli algidi umori bronzineschi denuncia nel ritratto famigliare, datato 1575, un Butteri prima maniera, ben radicato nel clima di estenuato esercizio formale promosso dal celebre allievo di Pontormo, suggerendo di cercare nella piccola tela di Santa una prova più tarda licenziata da un pittore ormai alle soglie della controriforma. Archiviato l'immacolato nitore del maestro, il Butteri paga nel distacco malinconico del nostro ritratto il suo debito a quel caratteristico effetto di "tangibile lontananza" messo in scena da Alessandro Allori con lui sodale nella bottega del Bronzino. Un ulteriore conforto attributivo giunge inoltre dall'elegante ritratto di Dama con Bambino (Hartford-Connecticut, Wadsworth Atheneum), tanto prossimo a quello mediceo da confermare senza esitazioni l'autografia del Butteri. Anche in questa opera l'eredità bronzinesco-alloriana definisce una sicura griglia disegnativa dall'elegante impianto formale capace di restituire gemme di assoluta perfezione".

               

 

 

Stima   € 4.000 / 6.000
1 - 30  di 129