Dipinti e sculture antiche

16 MAGGIO 2017
Asta, 0203
9

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Stima
€ 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione

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Jacopo Robusti, detto il Tintoretto

(Venezia 1519 - 1594)      

RITRATTO DI UOMO IN ARMATURA

olio su tela, cm 49,5x41,5                                                

 

L'opera è corredata da parere scritto di Mauro U. Lucco del 22 marzo 2017 di cui riportiamo alcuni passaggi salienti:

 

“Quando il giovane Jacopo Robusti, ben presto noto dalla professione del padre come “il Tintoretto”, si affacciò attorno al 1540 sul mercato artistico lagunare, il ritratto aveva alle spalle, a Venezia, una storia relativamente breve. Le prime apparizioni si erano avute, tramite la via del commercio col Nord Europa, una novantina d’anni prima, ma era stato solo dal 1475 circa in poi che il genere si era imposto con un successo travolgente;  al punto che, secondo Vasari (Le vite de’ più eccellenti Architetti, Pittori et Scultori Italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze 1550, ed. a cura di L. Bellosi – A. Rossi, Torino 1986, p. 437) Giovanni Bellini aveva introdotto “una usanza in quella città, che chi era niente di grado, si faceva fare o da lui o da altri il suo ritratto, come appare per tutte le case di Venezia che son tutte piene di quegli, e vi si vede per infino in quarta generazione i discendenti nella pittura”. Identico giudizio, seppur attenuandone la carica sprezzante, era stato ripetuto nell’edizione Giuntina del  1568 (ed. a cura di G. Milanesi, Firenze 1878-1885, vol. III, p. 168). Ai tempi di Vasari, insomma, l’uso di quei dipinti a Venezia era divenuto talmente sistematico da passare in abuso, se in tali faccende è consentito un giudizio di tipo vagamente morale. In effetti, ai tempi di Tintoretto, che sono appunto gli stessi di Vasari, la finalità principale del ritratto, quella di sconfiggere la morte perpetuando la memoria di un individuo, era ormai per gran parte dimenticata; farsi ritrarre era divenuto il momento di una più complessa strategia del sé, di una sorta di albare forma di pubblicità, con l’inevitabile corollario che, in forza delle circostanze e degli scopi, vi potevano essere molti e differenti ritratti dello stesso individuo, eseguiti magari sempre dallo stesso artista. (…)

Quanto al ritratto in discussione, mi pare (…) che potrebbe trattarsi della stessa persona del Giovane guerriero già van Gelder a Bruxelles, oggi presso Luigi Grassi a Firenze, che riappare, se non m’inganno, come ho già segnalato (M. Lucco, Un giovane guerriero di Tintoretto, Firenze 2014, pp. 12-14), nel Busto di giovane uomo del Kunsthistoriches  Museum di Vienna, n° 702 (cfr. P. Rossi, Tintoretto. I ritratti, Milano 1974, ed. 1990, p. 101, e fig. 42), e nel Giovane del Museo di Cincinnati (Ohio; Rossi, op. cit., p. 90, fig. 59);  poi, abbigliato in altro modo, con barba e baffi un po’ più folti e biondo-rossicci, forse per effetto di qualche “acqua” schiarente, nel Ritratto di giovane del Museo Nacional d’Art de Catalunya a Barcellona (Rossi, p. 88, fig. 87), che Berenson (Italian Pictures of the Renaissance, Venetian School, London 1957, p. 169)  identificava  nell’ammiraglio don  Álvaro  de  Bazán,  primo Marchese  di  Santa Cruz. Naturalmente, tale riconoscimento avrebbe una notevole ricaduta anche sul nostro ritratto, ove potesse essere provato; (…)

Il tipo di corazza indossata dal nostro effigiato appare estremamente affine a quella del Guerriero trentenne del Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. 688), al punto da far quasi sospettare che si tratti dello stesso oggetto, solo lievemente camuffato nella realizzazione pittorica per farlo sembrare diverso: la fascia dorata con la punta controcurva e il tortiglione al giro del collo, e gli spallacci anch’essi con fascia dorata e tortiglione, corrispondono a una tipologia in voga attorno alla metà del Cinquecento. (…) il modo in cui sono trattati la barba e i capelli, “come rete grafico-luminosa, come scrittura di luci”, secondo l’efficace definizione di Roberto Longhi (Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946., p. 29), è del tutto coerente con lo stile del giovane Tintoretto, quando, avendo da poco iniziato la professione, e non potendo forse ancora permettersi un gruppo di aiutanti in bottega, le sue tele sono al livello massimo di autografia. Un tipo simile di “scrittura pittorica” si vede ad esempio nella pelliccia del Gentiluomo ventiseienne del Kröller-Müller Museum di Otterlo (inv. KM 108.448), datato 1547, nel ventottenne della Staatsgalerie di Stuttgart (inv. N. 2665), del 1548, nel Lorenzo Soranzo del Kunsthistorisces Museum di Vienna (inv. GG 308), datato 1553, o, appunto, nel Gentiluomo di Barcellona, già ritenuto rappresentare il Bazán, riferibile allo stesso 1553 circa: cosicché una data all’incirca a cavallo della metà del secolo sembra del tutto giustificata. Non vi possono, insomma, essere dubbi, per il nostro ritratto, sulla totale autografia di Tintoretto giovane, e su una esecuzione attorno al 1550.”