Importanti Dipinti Antichi

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Pietro Paolo Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci

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Pietro Paolo Bonzi, detto il Gobbo dei Carracci

(Cortona, 1576 ca- Roma 1636)

PAESAGGIO CON DIANA E LE NINFE

olio su tela ovale, cm 40,5x53,5

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

L’inedito dipinto qui presentato costituisce un’aggiunta significativa all’esiguo corpus paesistico di Pietro Paolo Bonzi, meglio documentato, come si sa, per la produzione di nature morte che molto presto gli valse il soprannome di “Gobbo dei frutti” con cui spesso lo incontriamo negli inventari seicenteschi.

Multiforme in effetti fu la sua attività, estesa negli ultimi anni anche alla pittura “di storia”, con la bella pala raffigurante l’Incredulità di San Tommaso dipinta nel 1633 per la chiesa romana di S. Maria ad Martyres, dove ancora si trova. Evidente, pur nell’impianto classicheggiante, l’esempio del suo più giovane e famoso conterraneo, Pietro Berrettini, che forse proprio in virtù delle comuni origini cortonesi tra il 1622 e il 1624 aveva lavorato insieme a lui nel palazzo romano di Asdrubale Mattei e subito dopo nella chiesa di Santa Bibiana. Insieme al Ragazzo con un melone già nella raccolta di Vincenzo Giustiniani e poi a Berlino, conosciuto però solo da una fotografia precedente la seconda guerra mondiale, sono appunto i bellissimi festoni di frutta dipinti da Pietro Paolo Bonzi sul soffitto della galleria, e ancor più quelli che nella chiesa incorniciano le nicchie alternate alle storie sacre del Berrettini, a offrire un sicuro punto di partenza per la ricostruzione del catalogo di nature morte del pittore cortonese.

Più problematica si è rivelata la ricostruzione del suo corpus di paesista, che l’appellativo di “Gobbo dei Carracci” riportato da Carlo Cesare Malvasia faceva supporre nell’orbita dei primi seguaci di Annibale ma di cui, apparentemente, non restavano opere documentate dalle quali procedere. Fondamentale, dunque, l’intuizione di Teresa Pugliatti che nella sua ricostruzione del corpus di Agostino Tassi (1977) suggerì di sottrarre al pittore romano un gruppo omogeneo di paesaggi di gusto carraccesco, molti dei quali recanti il monogramma apocrifo A.T. che ne aveva suggerito il riferimento ad Agostino, legandoli invece a un altro che un’antica iscrizione attribuiva a Bonzi. A questo primo nucleo si sono quindi appoggiati i dipinti restituitigli da Luigi Salerno (1977-78) e dalla critica più recente in occasione della mostra tenuta a Roma nel 1996-97 (Classicismo e natura. La lezione di Domenichino) che restituiva una fisionomia articolata e convincente del pittore cortonese.

Numerosissimi i confronti istituibili con il paesaggio qui presentato, a cominciare dall’insolito formato ovale più volte adottato dal cortonese. Allievo, secondo Malvasia, del bolognese Domenico Viola, Bonzi mostra in realtà di recuperare il modo di comporre di Domenichino. Come lui, infatti, dispone le sue figurine – tratte quasi sempre dal mito e dalla poesia ovidiana – sullo sfondo di quinte rocciose ricche di vegetazione che separano nettamente lo spazio concluso della “storia” dall’ampio digradare del paese fino all’orizzonte: una soluzione, peraltro debitrice del modello elsheimeriano del primo decennio del secolo, che troviamo ad esempio nel Paesaggio con Diana e Endimione già a Londra presso la Walpole Gallery (Classicismo e natura… 1996, n. 24) o in quello nel Musée Magnin di Digione, simile al nostro anche nel tema di Diana e le ninfe che anima il primo piano.

La scena figurata richiama, sebbene non in maniera specifica, gli affreschi con storie di Diana dipinti da Pietro Paolo Bonzi nella galleria del castello di Torre in Pietra, allora (1620-21) di proprietà del principe Michele Peretti, nipote di Sisto V. Il ritrovamento degli affreschi e dei documenti che ad essi si riferiscono da parte di Belinda Granata (Mito e natura nella galleria di Torre in Pietra: gli affreschi di Pietro Paolo Bonzi per il principe Michele Peretti, in “Storia dell’Arte” 2006, pp. 173-186) ha confermato all’artista cortonese una serie di dipinti su tela di piccole dimensioni che per l’appunto ne ripetono soggetti e composizioni, precisandone la datazione ai primi anni Venti, da estendere al paesaggio qui offerto.