Importanti Maioliche Rinascimentali

1 OTTOBRE 2015
Asta, 0046
45

COPPA SU BASSO PIEDE

Stima
€ 22.000 / 30.000

COPPA SU BASSO PIEDE

URBINO O DUCATO DI URBINO, 1530 CIRCA

Maiolica dipinta in policromia con verde, giallo antimonio, blu di cobalto, bruno di manganese nei toni del nero, nero-marrone e viola, tocchi di bianco di stagno.

Alt. cm 4,5; diam. cm 24; diam. piede cm 13.

Sul retro in blu di cobalto è scritta la legenda “di Circia et glauco”.

 

La coppa poggia su un piede ad anello molto basso, ha cavetto largo, tesa alta e stretto bordo estroflesso. La decorazione istoriata interessa l’intera superficie del cavetto. Sul verso, decorato da linee concentriche gialle a sottolineare i profili, è delineata all’interno del piede la scritta “di Circia et glauco”.

La scena raffigurata mostra Circe seduta all’interno del suo palazzo con un ampio porticato sormontato da un terrazzo, arricchito da una vite che poggia su alcuni pilastri: di fronte a lei Glauco in abiti romani.

Il mito è narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (1) e racconta del pescatore Glauco che, innamorato di Scilla ma incapace di sedurla, attraversa lo stretto per recarsi da Circe e ottenere una formula d’amore. Circe, figlia del Sole, s’innamora di Glauco e gli offre, giacendo con lei, di assecondare con un solo gesto chi lo ama e, contemporaneamente, di vendicarsi di chi lo disprezza, ma il giovane rifiuta e fugge lontano. Allora Circe infuriata muta la rivale in un mostro. Anche Glauco, in una seconda parte del mito, si muterà di sua volontà in divinità marina (2).

Il soggetto è dipinto con grande cura e i personaggi sono delineati con attenzione e notevole senso delle proporzioni: Glauco, in piedi, ha il busto un poco ritorto e avanza un passo verso la maga, seduta e coperta da un’ampia veste color arancio.

Il pittore è abile nell’utilizzare il colonnato come suddivisione spazio-temporale: al centro il colloquio sopradescritto, ai lati del piatto due scene erotiche, nelle quali però mutano i personaggi, che forse sono la rappresentazione dei due amori desiderati e mai realizzati. Tra due colonne a sinistra un personaggio, probabilmente Glauco stesso, fugge, mentre dall’altro lato un cigno avvolge il collo attorno a una colonna, forse una vittima della maga, forse un’interpretazione della metamorfosi di Scilla.

La narrazione è complessa e la scenografia di grande eleganza: i dettagli architettonici tipicamente rinascimentali e l’apertura di uno scorcio paesaggistico proprio al centro del piatto è di grande impatto.

Le caratteristiche stilistiche e la sintassi decorativa ci portano a orientare la nostra ricerca tra le maggiori botteghe operative nella città di Urbino nella prima metà del Cinquecento, anche se un’attribuzione di questa coppa a una bottega specifica del ducato di Urbino comporta qualche difficoltà.

L’analisi di confronto dell’architettura con esemplari che mostrano edifici con caratteristiche simili ci porterebbe a escludere l’intervento della mano di Francesco Durantino. Il pittore ci pare usare una modalità stilistica differente e soprattutto un modo di distribuire i suoi personaggi poco convenzionale rispetto alle architetture che li circondano: non le abitano, né ne usufruiscono, ma vi ruotano intorno. Si vedano ad esempio il piatto del Museo di Amburgo (3) con Procne e Filomena, nel quale l’architettura è protagonista e i personaggi appena la sfiorano o semplicemente la osservano nella concatenazione cronologica degli eventi raffigurati sopra, di fronte o di fianco all’edificio. Una simile distribuzione si ritrova in un altro piatto di questo autore con Dedalo e Icaro, ora alla Pinacoteca di Varallo Sesia (4), e anche qui i personaggi abitano l’architettura. Un elemento in comune con il piatto di Amburgo è invece l’uso della pavimentazione, che funge da base all’intera scena quasi accompagnando lo spettatore a salire la bassa gradinata all’esergo del piatto. Il medesimo espediente lo ritroviamo in un piatto con una danza dei puttini (5) conservato nella galleria estense di Modena (6) e attribuito alla bottega di Guido Durantino (7), databile tra il 1525 e il 1576.

Un’altra coppa, anch’essa assegnata a bottega urbinate degli anni 1535-1540, con una quinta architettonica che funge da scenografia per una complessa narrazione, è quella conservata al Museo del Louvre con La festa di Romolo per onorare Nettuno (8). Qui l’elemento architettonico è abitato da figure che mostrano alcune caratteristiche stilistiche simili a quelle raffigurate sul nostro piatto: si veda la figura di spalle che sorregge per mano un bambino, il modo di dipingere le gambe con il polpaccio tornito e i piedi sottili, lo sfondo con la montagna cuspidata che ritroveremo in seguito in opere della bottega Fontana (9).

Ci sembra di poter riconoscere un confronto morfologico e stilistico anche in una coppa a basso piede conservata al Museo d’Arti Decorative di Lione (10), dove nel disordine compositivo in cui si svolge il Rapimento di Proserpina ci pare di poter individuare lo stile veloce e nervoso con il quale il pittore ha delineato anche le figure del nostro esemplare: i volti di tre quarti, le figure di spalle, i corpi abbracciati ricordano i personaggi della nostra coppa. L’opera del museo francese è attribuita con qualche incertezza alla bottega di Guido Durantino e reca sul retro la data 1543.

Ci incoraggia a escludere, almeno per il momento, una paternità pesarese il confronto con una coppa o scudella transitata sul mercato lo scorso anno (11) e attribuita a Sforza di Marcantonio, nella quale compaiono elementi architettonici, un baldacchino con una figura coricata con caratteristiche morfologiche e impostazione decorativa che si ritrovano anche in piatti con quinte architettoniche più complesse.

 

1 OVIDIO, Metamorfosi, XIII-XIV. Per l’analisi del mito vedi anche ANVERSA in PANDOLFINI 2014, p.159 n. 36.

2 Si nutre dell’erba magica che ha rianimato i pesci appoggiati su un prato dopo la pesca.

3 LESSMANN 1979, p. 182 n. 172.

4 ANVERSA 2004, p. 156 n. 70.

5 Documentato su diversi supporti materici, tra cui gli arazzi dei Gonzaga, lo schema deriva da uno schizzo realizzato da Raffaello per la Loggia di Psiche alla villa Farnesina, riprodotto da Marcantonio Raimondi tra il 1517 e il 1520 e da Cesare Remondino tra il 1531 e il 1546, con l’aggiunta appunto di archi e rovine all’antica.

6 Inv. 1996.

7 Per un inquadramento della bottega del maestro e una corretta storicizzazione si veda MALLET 1987, pp. 284-298.

8 GIACOMOTTI 1974, p. 281 n. 889.

9 Si veda ad esempio la montagna di sfondo nel piatto con Callisto e Diana conservato al Victoria and Albert Museum attribuito a Guido Durantino e al 1540 circa (inv. 708-1902).

10 FIOCCO-GHERARDI 2001, p. 246 n. 164.

11 ANVERSA in PANDOLFINI 2014, p. 212 n. 47.