Importanti Maioliche Rinascimentali

1 OTTOBRE 2015
Asta, 0046
41

COPPA

Stima
€ 20.000 / 30.000

PIATTO

PESARO, PITTORE DEL PIANETA VENERE (?), 1542-1548 CIRCA

Maiolica dipinta in policromia con arancio, giallo, verde, blu, bruno di manganese nella tonalità nera, marrone e bianco di stagno.

Alt. cm 3,8; diam. cm 29; diam. piede cm 11.

Sul retro al centro del cavetto in blu di cobalto “presa de Iosefe/ Dalifratelli”.
 

Il piatto presenta ampio cavetto, tesa larga e obliqua terminante in orlo arrotondato. Poggia su basso piede privo di anello. Lo smalto è grasso, molto ricco e materico con vetrina brillante lucida e vetrosa sia sul fronte, sia sul retro e abbondante uso dei pigmenti. Vi sono ombreggiature verdi sul retro, ornato da righe gialle concentriche che ne sottolineano gli stacchi di forma: al centro del cavetto la scritta in blu di cobalto “presa de Iosefe/ Dalifratelli”.

La scena delineata sul fronte interessa l'intera superficie senza soluzione di continuità e raffigura l’episodio biblico del rapimento di Giuseppe da parte dei fratelli (1). Giuseppe era nato da Rachele, seconda moglie di Giacobbe, dopo anni di sterilità: alla sua nascita il padre Giacobbe era già anziano e lui divenne il figlio prediletto. Questa preferenza del padre alimentò la gelosia dei suoi fratellastri, che complottarono contro di lui. Il primogenito si oppose all'uccisione di Giuseppe, preferendo che fosse gettato in fondo a un pozzo, ma infine si decise di venderlo per venti monete d'argento a una carovana di mercanti di passaggio: Giuseppe, schiavo, fu condotto in Egitto. I suoi fratelli quindi utilizzarono la tunica, donatagli dal padre come segno di predilezione, cosparsa di sangue di capra per far credere al padre Giacobbe che Giuseppe fosse stato ucciso da una bestia feroce.

Nel piatto il giovane è disegnato con le mani legate tra i fratelli che lo conducono verso il pozzo, dove li attende uno di loro, il maggiore, che ne indica il fondo. Un’alta roccia fa da quinta alla scena, mentre sullo sfondo si scorge un paesaggio con montagne alte dal profilo arrotondato e un villaggio con cupole e torri cuspidate si specchia in un lago.

Le figure sono dipinte con uno stile dal tratto deciso: i volti e i dettagli sono illuminati da tocchi di bianco di stagno, in contrasto con la scelta cupa dei colori molto materici.

Un confronto stilisticamente pertinente si ritrova nel piatto con la contesa di Pan e Apollo della Wallace Collection di Londra, attribuito al Ducato di Urbino negli anni 1540 circa (2). Si noti come il volto di Apollo si avvicini molto a quello di uno dei fratelli di Giuseppe, così come quello del personaggio barbato seduto nel piatto londinese è molto simile a quello dei fratelli più anziani dipinti nel nostro piatto. Si vedano inoltre lo stile delle mani, le braccia robuste, la forma delle chiome degli alberi a ciuffi larghi e appiattiti, le rocce allungate e scontornate, ma soprattutto la forma delle montagne e dei villaggi con cupole e torri dal tetto acuminato, molto rassomiglianti nelle due opere.

Gli stessi volti allungati con le orecchie dall’attaccatura bassa, i piedi dalle dita allungate, le architetture con le facciate chiare, i tetti spioventi rossi e le finestre piccole rimarcate da una linea chiara si ritrovano poi in un altro piatto della stessa collezione londinese, raffigurante Latona che punisce il popolo della Licia e che reca sul verso la data 1551: qui però la grafia della scritta ci pare differente.

Un articolo di Riccardo Gresta ci propone alcuni piatti in cui molte caratteristiche stilistiche si avvicinano a quelle fino ad ora individuate nel piatto oggetto di studio. Lo studioso analizza un certo numero di opere, mettendole in correlazione con il noto bacile del Museo d’Arti Applicate del Castello Sforzesco che ha dato il nome al Pittore del Pianeta Venere. Il confronto con le opere raccolte da Gresta ci fa pensare a una possibile attribuzione a questo pittore attivo a Pesaro tra il 1542 e il 1548 circa (3).

Il piatto è appartenuto alla nota raccolta Murray, che fu esitata in una celebre asta nel 1929: il piatto compare al n. 121 come opera urbinate della metà del secolo XVI (4).

 

1 Genesi, 30, 24

2 NORMAN 1976, pp. 246-247 n. c. 121: si fa riferimento alla vicinanza di questo piatto con le opere attribuite da Rackham al pittore dei miti in abiti moderni (Cat. p. 243 n. 735).

3 GRESTA 1992, p. 41.

4 MURRAY SALE 1929, p. 32 tav. XXI.