Importanti Maioliche Rinascimentali

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COPPA

€ 18.000 / 25.000
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COPPA

Ducato di Urbino o Urbino, “1549”

 

Maiolica decorata in policromia con giallo, ocra, arancio, turchino, blu, verde e bruno di manganese; sbavature di verde ramina sul retro

alt. cm 8,8; diam. cm 32,4; diam. piede cm 12,9

Sul retro, sotto il piede iscrizione “Ovidio narra/ del parto de Mirra. 1549

Sul retro, sotto il piede parte di cartellino con manoscritto il numero “5386

 

Rotture della tesa in alto, felature e incollature stabilizzate con restauro archeologico

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

Earthenware, painted in yellow, ochre, orange, turquoise, blue, green, and manganese; on the back, remains of green colour

H. 8.8 cm; diam. 32.4 cm; foot diam. 12.9 cm

On the back, beneath the base, inscription in blue ‘Ovidio narra/ del parto de Mirra. 1549’

On the back, beneath the base, remains of a hand-written paper tag ‘5386’

 

Cracks, hairline cracks, and reglued damages, consolidated using archaeological restoration

 

An export licence is available for this lot

 

La coppa poggia su un basso piede ad anello poco svasato, listato in giallo sulla parte esterna; il cavetto è ampio, concavo e ha un bordo obliquo appena rilevato, con labbro arrotondato. Sul retro, al centro del piede, è visibile in corsivo la scritta “Ovidio Narra/ del parto de Mirra. 1549”.

Sul fronte la decorazione si sviluppa su tutta la superficie della coppa: in basso a sinistra, davanti ad architetture rinascimentali, Cinira, un cipriota nativo di Pafo, insegue la figlia Mirra per ucciderla, dopo aver scoperto che la stessa, aiutata dalla nutrice Lucina, qui raffigurata mentre esce dal palazzo sorreggendo una fiaccola, l’ha sedotto con l’inganno. Al centro della scena, inserito in un paesaggio lacustre con montagne rocciose e paesini, è rappresentato il soggetto principale della narrazione: la nascita di Adone o, come recita la scritta sul retro, “il parto di Mirra”: Mirra, infatti, trasformata in albero per sfuggire alla vendetta del padre, partorisce Adone tra le braccia di Lucina e delle Naiadi. Adone è quindi ritratto, in primo piano a sinistra, mentre riposa con Venere all’ombra di un albero, a raffigurare un’altra parte del mito.

Il cielo è reso con pennellate larghe e diluite, mentre il paesaggio è caratterizzato da diverse colline; le figure hanno corpi massicci e muscolosi, con polpacci arrotondati, piedi lunghi e sottili e tratti fisiognomici ben marcati; gli elementi architettonici sono realizzati con cura.

La decorazione istoriata presenta una narrazione simultanea di più episodi del mito narrato, quello di Mirra e Cinira (Ov., Met., X, 298-502) e quello di Venere e Adone (Ov., Met., X, 503-559; 681-739). Le fonti incisorie del piatto, non ancora identificate, sembrano essere diverse, ma comunque, almeno per l’episodio del parto, sono probabilmente derivate dalle versioni in volgare del testo di Ovidio.

Il soggetto ebbe un buon successo nel ’500 e lo troviamo riprodotto con diverse interpretazioni in numerose opere, come ad esempio nella coppa con Cinira e Mirra del Victoria and Albert Museum, attribuita al “Pittore del servizio della Rovere” e databile al 1540, che raffigura la stessa scena con modalità stilistiche scenografiche meno pacate.

In base al confronto stilistico con alcune opere coeve e concentrando la ricerca nell’ambito urbinate, ci pare di poter attribuire la coppa alla bottega dei Fontana e nella fase iniziale di attività, cioè al periodo in cui, sotto la guida di Guido Durantino, vi lavorarono numerosi pittori.

Il pittore è abile, la scena è impostata con grande attenzione per la composizione e le figure, ben proporzionate, sono realizzate con cura; gli incarnati sono schiariti con l’applicazione di bianco sopra il color carne, a sottolineare la muscolatura e i dettagli anatomici.

Interessante il confronto tra la figura di Cinira sulla coppa in esame e lo Zeus dipinto su una fiasca da pellegrino con narrazione del ratto di Europa del Museo di Weimar: il dio, pur essendo raffigurato in una posa differente, mantiene caratteristiche stilistiche molto prossime al personaggio del nostro oggetto: si vedano in particolare la forma dei piedi, il modo di sottolineare i tratti fisiognomici con sottili tocchi di bruno, e il panneggio aggiunto al corpo o che gira intorno ad esso. Ugualmente significativo per le molte affinità il paragone tra le figure femminili rappresentate su questa coppa, in particolare quella di Diana che giace distesa appoggiata ad Adone, e quella di Callisto, che compare su un’altra fiasca del Museo di Weimar: si osservino per esempio il corpo muscoloso, il ventre e il seno arrotondato, il volto paffuto con la bocca semichiusa, il naso piccolo, i capelli raccolti, ma soprattutto il modo accorto nel dosare i colori, nel lumeggiare le carni e altro ancora. Le due fiasche del Museo di Weimar sono databili attorno alla metà del secolo e quindi ancora associabili alla nostra coppa.

Ma anche il raffronto con opere della bottega realizzate negli anni successivi ci rassicura nel confronto, quasi ci fosse una direttiva comune nella scelta dei soggetti e nella “maniera” di utilizzare la materia. In una fiasca da pellegrino del Museo del Vino di Torgiano, anch’essa attribuita agli anni 1560-1570 della bottega Fontana, è raffigurata una divinità con lunga barba bianca con le stesse caratteristiche fisiognomiche dei due personaggi precedentemente descritti, ma rese con una modalità pittorica più di maniera, e un po’ più corriva. Anche il volto della divinità seduta, quasi al piede della bottiglia, mostra un volto che richiama quello di Lucina nella nostra coppa. La fiasca ha una forma che diverrà usuale nella bottega dei Fontana e che sarà utilizzata fino agli anni Settanta del secolo, ma la mano del pittore appare ancora differente.

Anche il riscontro con le divinità fluviali dell’importante vaso firmato da Orazio Fontana, proposto al lotto 54 di questa vendita, mostra analogie tra le figure, ma non quelle affinità stilistiche tali da condurci ad attribuire l’opera a uno dei primi momenti della produzione della nuova bottega Fontana di Urbino, già attiva dopo il 1545.

Proprio le caratteristiche stilistiche nel delineare i corpi ci hanno portato ad indagare anche nella zona di produzione pesarese, ma i confronti fino ad ora effettuati non ci hanno soddisfatto. Un’indagine più accurata in quest’ambito potrebbe probabilmente condurre a un’attribuzione più certa. Per il momento ci limitiamo a segnalare che il raffronto calligrafico della scritta con opere di Sforza di Marcantonio trova delle marcate affinità. Si confronti il modo di scrivere la lettera “Q” iniziale dell’iscrizione, caratterizzata da un decoro che ne “barra” il cerchio, con una “P” iniziale, anch’essa decorata da una sottile barra, che ritroviamo in un’opera attribuita allo stesso autore e raffigurante Diogene e Alessandro, ora conservata nella raccolta della Cassa di Risparmio di Perugia: tutto l’andamento della scritta è molto simile, come pure il modo di separare la data dell’opera tra due punti. Il pittore, nativo di Castel Durante, è menzionato per la prima volta a Pesaro il 17 maggio del 1548 e qui lavorerà e trascorrerà tutto il resto della vita producendo molto. Alcune sue opere sono spesso firmate con una sola “S”, mentre se ne conoscono soltanto due firmate per intero, una delle quali datata 1567 è conservata al British Museum. L’opera appartiene a un periodo più tardivo della produzione del pittore e presenta tratti marcati, nonché la raffigurazione in un interno architettonico, tipica della produzione dell’artista quanto meno dopo il 1530. Ciononostante, il confronto tra il volto dell’Onnipotente e quello di Cinira della nostra coppa non delude, come pure quello tra la “paffuta” pacatezza del viso dell’Annunciata e l’espressione della Lucina e delle figure femminili dell’esemplare in esame.

Certo nel “parto di Mirra” l’influenza urbinate è veramente molto marcata, tanto da lasciare l’attribuzione ancora sospesa, senza con questo nulla togliere all’indiscutibile qualità e importanza dell’opera.