Importanti Dipinti del Secolo XIX

21 APRILE 2015

Importanti Dipinti del Secolo XIX

Asta, 0002Part 2
FIRENZE
Palazzo Ramirez Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
Immediatamente a seguire il catalogo Importanti Dipinti Antichi
Esposizione
FIRENZE
17-20 Aprile 2015
orario 10 – 13 / 14 – 19
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   1000 € - 150000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 69
127

Egisto Sarri

(Figline Valdarno 1837 - Firenze 1901)

MARSILIO FICINO SPIEGA LA FILOSOFIA PLATONICA ALLA FAMIGLIA SERRISTORI

olio su tela, cm 91x116

firmato in basso a sinistra

 

Nell'opera che qui presentiamo è da riconoscere il bozzetto per il dipinto Marsilio Ficino spiega la filosofia platonica alla famiglia Serristori, olio su tela, cm 95x127, databile al 1877 e oggi in collezione privata. Questo fu eseguito su commissione del conte Alfredo Serristori come replica di un sipario realizzato dal pittore per il Teatro Garibaldi (oggi Teatro Nuovo) di Figline Valdarno, poi distrutto durante la seconda guerra mondiale. Il dipinto valse a Sarri il 22 giugno 1877 la medaglia d'argento di III classe all'Esposizione Artistica-Industriale Fiorentina, tenutasi nell'ex-convento di San Firenze.

"Marsilio Ficino si trova nel centro del dipinto nell'atto di spiegare, con aria ispirata, un passo della filosofia platonica. Tiene nella mano sinistra la sua lezione e intorno a lui, tra i membri della numerosa famiglia Serristori, solo il vecchio e la giovane donna di spalle in primo piano sembrano ascoltarlo; il resto della compagnia è intenta a raccogliere fiori, a colloquiare amenamente o a mostrarsi fisicamente per creare movimento, come il bambino e il cane. La verità storica nelle vesti e nei lineamenti dei personaggi appare attenta a mostrare grazia e eleganza. Sulla sinistra un gruppo di figure, tra cui sono ben identificabili la donna con un cesto in mano e Prete Benedetto, sembra dividere in due parti il dipinto e riportarci allOttocento, a quei gruppi di popolano che tanta fortuna iconografica ebbero nella pittura in quegli anni. La scena si svolge sul Poggio di Prete Benedetto o del Calvario di Figline. In quel luogo esisteva nel Mille il "Castello di Fegghine", come ci ricorda il Bossini (A. Bossini, Storia di Figline, Firenze 1970, p. 354). Il paesaggio, da quella altura, è ancora oggi simile a quello dipinto dal Sarri e anche la vegetazione di pini e cipressi sembra rispettare ai miei occhi la stessa confusa armonia di crescita di allora. È la natura infatti la seconda e, forse, unica e vera protagonista del dipinto: il sole, con una luce da tardo pomeriggio estivo, allunga le ombre e rende atmosferica la visione dei contorni"

cfr. Egisto Sarri 1873-1901, catalogo della mostra (Figline Valdarno, 6 maggio - 2 luglio 2000) a cura di M. Bucci, Firenze 2000, pp. 99-100.

Stima   € 9.000 / 12.000
152

Federico Moja

(Milano 1802 - Dolo (Venezia) 1885)

CORTILE DEL PALAZZO DUCALE DI VENEZIA

olio su tela, cm 119x162

firmato e datato "1843" in basso a sinistra

sul retro del telaio: etichetta coeva col titolo del dipinto a inchiostro, sul retro della cornice originale e del telaio timbro e bolli in ceralacca dell'Intendenza di Milano

 

Provenienza

Collezione privata, Roma

 

Allievo di Giovanni Migliara presso l'Accademia di Brera tra il 1818 e il 1820, Federico Moja esordisce in pubblico nel 1824 esponendo a Milano un Interno di chiesa gotica; prosegue la sua carriera coniugando la sapienza prospettica del suo primo maestro al gusto romantico per temi e ambienti ispirati al medioevo, come testimoniano le opere esposte negli anni successivi a Milano e Torino.

Dopo un soggiorno parigino nei primi anni Trenta, l'artista si trasferisce a Venezia nel 1841 inaugurando quella produzione di vedute della città lagunare che, esposte a Milano fin dall’anno seguente, lo confermano in breve come il moderno erede della grande tradizione del vedutismo settecentesco di soggetto veneziano.

Tra i suoi primi soggetti è appunto il cortile del palazzo Ducale, che conoscevamo in una versione eseguita l'anno del suo arrivo in laguna (Caiati e Salamon, Uno sguardo su Venezia, Catalogo a cura di Teresa Barone, Milano 2009, pp. 42-45). Pressoché coincidente nel taglio della veduta, la tela qui presentata differisce dal più antico esemplare (olio su tela, cm 42,5x55; firmato e datato 1841) per le importanti dimensioni che testimoniano della sicurezza acquisita dal pittore e insieme del precoce successo di questo soggetto, del tutto nuovo al repertorio veneziano almeno nel punto di vista fortemente decentrato lungo l'asse longitudinale del cortile. Esaltati plasticamente dai contrasti di lume, ne sono privilegiati i risalti della facciata orientale del palazzo, ricostruita da Antonio Rizzo dopo l'incendio del 1483 e rifinita dopo il 1498 dalle decorazioni marmoree di Pietro Lombardo. Risalta nella luce pomeridiana la scala detta "dei Giganti", capolavoro del Rizzo, caratterizzata dalle figure monumentali di Nettuno e Mercurio scolpite dal Sansovino nel 1566 quali simbolo della potenza della Serenissima. In fondo, il maestoso arco Foscari conclude l'omonimo porticato sul lato settentrionale, da cui emerge una delle cupole della basilica marciana.

Il vasto cortile è poi animato da figurine di personaggi in abiti contemporanei e appartenenti a classi diverse, sorpresi negli atteggiamenti più vari. L'intonazione calda delle pareti su cui risalti marmorei si alternano cromaticamente ai parati murari è infine esaltata dall'atmosfera contrastata del cielo solcato da nuvole quasi minacciose.

Stima   € 40.000 / 60.000
Aggiudicazione  Registrazione
147

Francesco Paolo Michetti

(Tocco da Casauria 1851 - Francavilla al Mare 1929)

GUARDIANA DI TACCHINI

olio su tela, cm 54x79,5

firmato e datato "1871" in basso a destra

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

Bibliografia

Inedito

 

"Siamo, così, arrivati al 1871. L'anno da cui s'inizia pel Michetti, quel periodo di maturazione e d'ascensione che non ebbe, si può dire, mai sosta. E' il periodo nel quale le caratteristiche della sua arte si formano, sia pure tra tentennamenti e deviazioni, in modo definitivo. Il fatto che giovanissimo, posto tra seduzioni molteplici, non ne risentisse che influenze appena percettibili, dimostra che, accanto alle sue possibilità innate, naturali, egli possedeva, sia pure in embrione, animato dall'anelito ad uno stile, da cui non sarà mai abbandonato, una visione tutta sua, prepotente e intransigente. Era, questa visione, il volto della sua terra, l'anima primitiva, e nell'istesso tempo profonda, della sua gente, da cui trarrà, d'ora innanzi le creature che popoleranno i suoi quadri, in atteggiamenti di vita e di morte, di gioia e di dolore. A queste creature faranno da sfondo il mare e i colli e i monti d'Abruzzo, senza possibilità d'altra scena. E sarà la terra d’Abruzzo, paesaggio, gente, tradizioni, costumi, riti, tutta una cosa con l'arte istessa che la esprime, la glorifica a volte. Nell'Abruzzo, del resto, Michetti è già in questo tempo tornato quasi a suggellare il patto che nulla potrà rompere mai. Egli ora nutre il suo spirito al cospetto delle grandi montagne inghirlandate di glauchi olivi e coperte dal mantello del cielo. Si abbevera alle gelide fonti che scaturiscono dalle rupi supreme recando nella limpida vena l'adolescenza dei fiumi tortuosi che volgono sonoramente al mare. Dagli altipiani vestiti di tenere erbe che guardano agli immensi orizzonti, vede le foci ampie e la processione delle vele che dall'Adriatico verde risalgono agli umili approdi cui fanno ombra le querci che il nido della capinera empie di melodie [...]

Sta la serenità sull'alta montagna: stanno i pastori ritti, guardando con occhi trasognati il cielo: zigomi larghi, capelli ricciuti, rozzi mantelli che scendono, cornamuse gravi che suonano: greggi calano pei tratturi alle sponde marine. Parlano antiche leggende; e si svolgono costumi remoti nei borghi e nei casolari, nelle grotte e negli aperti campi. Dio è sopra tutti e sopra ogni cosa: sacri sono il padre e la madre, il focolare ed il pane. Il fuoco guarisce le piaghe: la verde biscia attorcigliata ai seni rende il latte alle spose: le stelle, le pietre, le erbe hanno virtù miracolose: i pargoli portano al collo, accanto al segno del Redentore, scapolari di pelle caprina con entro grasso di lupo che dia loro forza. A questa terra il figliuolo fedele era tornato. E la bellezza in essa racchiusa appariva a lui sempre nuova e non aveva mai fine per il suo canto [...]

Intanto la fortuna e l'attenzione crescevano intorno a lui. Avendo tratto i suoi primi, se pur non lauti guadagni, vendendo a Paolo ed a Beniamino Rotondo i suoi quadretti d’animali, di bimbi, di fresche verzure, deve a queste iniziali testimonianze del suo genio pittorico il contratto, per quei tempi vantaggioso, che stringe sempre nel 1871, come ho ricordato altrove, col negoziante francese d'arte Reutlinger. Fu il pugliese Giuseppe De Nittis, l'introduttore del Goupil, ad accostare al Michetti questo grosso imprenditore della bellezza, non privo di sensibilità e di gusto, conducendolo a visitare la collezione raccolta dai suoi conterranei. E il giovanissimo abruzzese, che quattro anni innanzi non conosceva che il tratto di valle corrente tra il suo borgo e la collina di Chieti e le erbose strade delle greggi discendenti al mare, fa anche una prima, fugace corsa a Parigi. Vi capita in estate che ancora fumano gli incendi della Comune verso il torrido cielo. E se pure ne fugga rapidamente, ostile sin da allora a quanto può turbarlo o distrarlo dal sogno in cui cammina avvolto, come entro una invisibile nube, non trascura i rapporti, del tutto limitati s’intende, con quello che era tornato ad essere il centro dominatore dell'arte europea. Nel 1872. infatti, il Salon parigino, per la 89'Esposizione di Belle Arti della Società degli Artisti francesi ospita già due tele del Michetti".

 

da T. Sillani, Francesco Paolo Michetti, Milano - Roma 1932, pp. 49-51

Stima   € 30.000 / 40.000
Aggiudicazione  Registrazione
183

Giovanni Segantini

(Arco (Trento) 1858 - Schafberg (Pontresina) 1899)

PASTORA ADDORMENTATA

olio su tela, cm 30x50,5

sul retro: timbro della R. Dogana di Milano; sul retro del telaio etichetta della mostra "Ausstellung Italienischer Malerei des XIX. Jahrhunderts" e etichetta della mostra "Il Simbolismo in Italia"

 

Esposizioni

Ausstellung Italienischer Malerei des XIX. Jahrhunderts, Berna, Berner Kunstmuseum, 1944/45

Il Simbolismo in Italia, Padova, Palazzo Zabarella, 1 ottobre 2011 – 12 febbraio 2012

 

Bibliografia

M. Montandon, Giovanni Segantini, 1906, n. 22 (*)

M. Montandon, Giovanni Segantini, Bielefeld 1925, p. 21, n. 20, illustrato (*)

G. Nicodemi, Giovanni Segantini, Milano 1956, p. 36, n. 18 (foto ritoccata)

F. Arcangeli, M.C. Gozzoli, L'opera completa di Segantini, Milano 1973, n. 211, illustrato (*)

A.P. Quinsac, Segantini. Catalogo generale, vol. I, Milano 1982, p. 236 (foto ritoccate)

O. Cucciniello, scheda in Il Simbolismo in Italia, catalogo della mostra (Padova, 1 ottobre 2011 – 12 febbraio 2012) a cura di M.V. Marini Clarelli, F. Mazzocca e C. Sisi, Venezia 2011, fig. 1 pp. 77, 231

(*) Non si sa con esattezza a quale versione dell'opera si riferiscono.

 

"Il dipinto, che era stato esposto a Berna nel 1944/45, è riapparso sul mercato antiquario intorno agli anni 90: mi accorsi allora che si trattava di un ritrovamento importante. Riconducibile alla fine del periodo che Segantini trascorse in Brianza, cioè dall'uscita dell'accademia di Brera alla partenza per i Grigioni (1880-1886), va datato intorno agli anni 1883-84. E' già un'opera matura, particolarmente significativa dell'iconografia e delle qualità pittoriche del giovane artista esordiente sulla scena internazionale. Nel 1883 Segantini era conosciuto all'estero: era stato conferito la medaglia d'oro alla prima versione di Ave Maria a Trasbordo, in occasione dell'esposizione internazionale di Amsterdam.

I successi e lo sviluppo di una iconografia propria corrispondono a quel periodo relativamente sereno, prima dell'emigrazione: con la compagna Bice Bugatti e i due figli (Gottardo, nato nel Maggio 82 e Alberto, nel ottobre 83) l'artista vive a Carella, vicino al lago di Pusiano, in sodalizio con il pittore Emilio Longoni, stipendiato come lui da Vittore Grubicy in cambio della produzione artistica. Il paesaggio ameno di questa regione di laghi dalla verdeggiante vegetazione e dai contrasti di luce spesso velati dalla nebbia, determinano in lui una ricerca pittorica basata sulle sfumature di verdi, di grigi e ocre e su un sapiente uso del chiaroscuro; una visione pittorica che al contatto con la luminosità tersa delle Alpi Svizzere verrà sostituita dai toni chiari del divisionismo. Fu tuttavia questa pittura tonale, della quale il dipinto in esame è un esempio inconfondibile, a conquistare per primi gli olandesi.

Una indispensabile pulitura dovrebbe ridare all'opera una profondità e una leggibilità offuscate da vernici decomposte, restituendo ai volumi dei corpi un loro inserimento nello spazio ambientale ed una dolcezza nella presenza fisica degli esseri che è quasi sempre uno dei pregi del Segantini poeta della vita contadina. Potrebbe anche riaffiorare una firma in basso a destra, visibile in alcune fotografie anteriori riferibili allo stesso soggetto.

E' impossibile asserire a quale dei due dipinti da me pubblicati nel catalogo ragionato questa versione corrisponde né se si tratta di una terza versione del dipinto: erano tutte opere non rintracciate, pubblicate da fotografie ritoccate perché riprese dalla letteratura in testi in cui non sono riportate nemmeno le misure delle opere. Nella sua monografia del 1956 Nicodemi aveva pubblicato una fotografia che corrisponde senza dubbio al nostro dipinto. Tuttavia ne aveva frainteso il soggetto che titola "Il pastore addormentato". Come da lui indicato nei crediti, ne aveva ricavato la fotografia dall'archivio del Castello Sforzesco di Milano, che è stata la fonte della mia riproduzione n. 300. Nell'assenza di un iter completo di provenienze e di esposizioni, poiché le altre versioni non sono tuttora rintracciate e che potrebbero esser state esposte sotto altri titoli, rimando alle schede 299/ 300 e 301 del catalogo ragionato. Servaes parla di un dipinto "Gli inondati", ugualmente non rintracciato, il cui soggetto potrebbe corrispondere a questo.

Comunque sia, il dipinto illustra una tematica che, a partire della nascita dei figli, è fortemente presente nell'immaginario segantiniano e diventerà fulcro della sua opera: quella della maternità universale, che nella simbolica dell'artista s'identifica nella tenerezza della natura verso le creature. E' sera, una giovane madre, sdraiata sull'erba del campo sembra concedersi un attimo di riposo mentre suo bambino, quasi impaurito, si è accasciato contro di lei; sfinita dalla stanchezza, la donna ha trovato conforto in quel paesaggio montano che la presenza della pecora con il suo agnellino carica di valenza affettiva. Le due maternità sono contrapposte, spensierata quella della pecora, che con il piccolo forma un gruppo compatto che sovrasta la contadina e il bambino; faticosa quella della donna, che appare pure incinta e non è addormentata, come il titolo tradizionale suggerirebbe, bensì assorta nei suoi pensieri. Questa ricchezza iconografica costituisce il pregio maggiore del dipinto che nella resa pittorica regge il confronto con altri che hanno stabilito la notorietà dell'artista, ad esempio il coevo Giornata fredda di Novembre, oggi al Museo Segantini di Saint Moritz nel quale riappare lo stesso bambino e che ha fatto parte della mitica collezione Drucker di Londra".

Annie Paule Quinsac

Stima   € 150.000 / 200.000
130

Giuseppe Bezzuoli

(Firenze 1784 - 1855)

RITRATTO DI UFFICIALE DI CAVALLERIA BRITANNICA E DI SUA MOGLIE

olio su tela, cm 116,5x87,5

(2)

 

Giuseppe Bezzuoli nacque a Firenze il 28 novembre 1784. Figlio del pittore prospettico e fiorista Luigi Bazzoli (e così si firmò G. fino al 1822, per poi firmarsi Bezzuoli o Bezzoli, ritenendosi discendente da un'antica famiglia Bezzoli), studiò dapprima medicina e chirurgia pur frequentando, all'Accademia, la scuola del nudo diretta da Desmarais e Luigi Sabatelli; finché nel 1807 si iscrisse regolarmente come allievo di Pietro Benvenuti. Vinto il premio triennale (1812) con un Aiace che difende il corpo di Patroclo, si dette a far studi di paese e di costume nella montagna pistoiese, eseguì alcune decorazioni in palazzi fiorentini, dipinse numerose tele di soggetto romantico e cominciò a fare qualche ritratto. Dopo un breve soggiorno a Venezia tornò a Firenze dove lavorò per committenze pubbliche e private, affrescò palazzi, ville ed eseguì tele a soggetto storico-romantico cavalleresco. Intanto nel 1829 era stato chiamato dal Pietro Benvenuti come aiuto del maestro di pittura ed è lo stesso Benvenuti a designarlo ufficialmente come suo successore nel '44. Ma le cure dell’insegnamento non diminuirono la sua attività, e nell’ultimo decennio eseguì ancora numerosi quadri di soggetto storico.

Tra i suoi ritratti più belli eseguiti tra il 1827 e il '44 ricordiamo quelli di Gino Capponi, Lorenzo Bartolini, Elisabetta Ricasoli, Luigi de Cambray Digny col figlio, Giovanni Carmignani, Marianna Rucellai de' Bianchi, Maria Antonietta granduchessa. Morì a Firenze nel 1855. Ottimo disegnatore, il Bezzuoli fu ligio agli schemi e ai precetti dell'accademia sia nelle tele sia negli affreschi; se preferì soggetti romantici, alla moda di Francia, non ebbe dei pittori romantici d’Oltralpe le belle qualità di chiaroscuro e di colorito. Ma nei ritratti, davanti al vero, il B. dimenticò teorie e precetti accademici e fece cose gustosissime e tali da essere avvicinate ai ritratti dell'Ingres, che probabilmente egli vide operante in Firenze nel 1820.

 

Bibliografia di riferimento

D. Frosini, sub vocem Bezzuoli Giuseppe, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. IX, 1967

 

I due ritratti raffiguranti un cavaliere inglese in uniforme militare e sua moglie possono essere considerati tra i più belli ed eleganti ritratti di Giuseppe Bezzuoli. Dei due dipinti recentemente passati sul mercato inglese, non è stata individuata al momento la provenienza né l'identità degli effigiati. E' possibile che la coppia inglese si trovasse di passaggio a Firenze, dove decise di farsi immortalare da uno dei maestri del tempo, in ricordo anche del soggiorno fiorentino, come potrebbe testimoniare la veduta della città che compare sullo sfondo del dipinto della moglie. Il cavaliere, ritratto nella sua uniforme, non è colto nella sua tracotanza militare ma in momento più privato e informale, come testimonia anche il cappello appoggiato lateralmente sopra un tavolino. Egli mostra sul petto una medaglia della battaglia di Waterloo (1815). La moglie, sorridente ed elegantemente vestita in un abito di seta verde, volge lo sguardo all'esterno ed è ritratta in un interno dai decori neoclassici; siede su una poltrona con i braccioli dal finale intagliato a testa leonina, la stessa su cui è seduta Elisabetta Ricasoli (fig. 1), ritratta dal Bezzuoli nel 1825. Questo è la data significativa per la cronologia delle due opere, la cui esecuzione è infatti collocabile in un arco temporale tra il 1820-25; ciò è confermato anche dalla tipologia dell'acconciatura, di ricordo neoclassico ma che già volge al romanticismo di quegli anni, e il taglio dell’abito, non più con l'ampia scollatura che tanto era di moda nel periodo Impero ma accollato e finito con un morbido colletto di pizzo che ricorda l’abito di Mademoiselle Jeanne Suzanne Catherine Gonin (fig. 2), di Jean-Auguste-Dominique Ingres, datato 1821, ma anche il dipinto del maestro Pietro Benvenuti, Ritratto di donna (fig. 3) del 1818. Infatti, secondo i dettami della moda dopo il 1815, le spalle, il collo e il petto delle signore dovevano essere rigorosamente coperti. Anche lo scialle a motivi cashmere è quello della moda del tempo ed è lo stesso che compare qualche anno prima nel Ritratto di Elena Mastiani Brunacci (fig. 4) di Pietro Benvenuti.

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 30  di 69