GIORGIO DE CHIRICO
(Volos 1888 - Roma 1978)
La grande torre
prima metà anni Settanta
olio su cartone
cm 32x20
firmato in basso a destra
al retro cartiglio Galleria d’Arte Il Mappamondo, Milano
al retro timbro Galleria d’Arte Il Castello, Milano
al retro, a penna, altre annotazioni
al retro a pennarello iscritto “La Torre / ... de Chirico”
L’opera è registrata presso la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma col n.384/1995.
Provenienza
Asta Finarte, 1979, n.1 p.11
Collezione privata
Bibliografia
F.Benzi, P. Picozza, Giorgio de Chirico.Catalogo generale.Opere dal 1910 al 1975. Volume 2, Maretti Editore, 2015, n.876 (ill. b/n)
Nel panorama dell’arte del Novecento, pochi artisti hanno saputo evocare la dimensione del mistero e dell’enigma come Giorgio de Chirico.
Fondatore della pittura metafisica, de Chirico ha costruito un linguaggio unico, in cui il tempo sembra sospeso e lo spazio si trasforma in un teatro dell’immaginazione.
Nelle sue “città metafisiche”, piazze silenziose, architetture classiche, torri, statue e treni lontani, si manifesta una tensione poetica tra realtà e sogno, tra memoria e visione.
La Torre, realizzata nella prima metà degli anni Settanta, appartiene a quella fase matura in cui l’artista riprende i suoi temi più iconici, reinterpretandoli con nuova intensità e rigore formale.
L’opera, di piccole dimensioni (cm 30x20), sorprende per la sua costruzione prospettica impeccabile: su uno spazio minimo de Chirico riesce a creare una profondità monumentale, una sensazione di vertigine ascensionale che sfida la scala fisica dell’immagine.
Le colonne si susseguono con ritmo geometrico, scandendo piani successivi che si perdono verso l’alto.Ogni dettaglio, il disegno preciso delle ombre, la calibratura delle proporzioni, la nitidezza delle campiture di colore, testimonia la maestria tecnica dell’artista e la sua capacità di rendere lo spazio come idea, più che come misura.
La torre, tema ricorrente nella pittura dechirichiana, è simbolo di isolamento e di tensione verso l’alto, ma anche di memoria architettonica. Essa condensa il senso di una classicità reinventata, sospesa tra l’antico e il moderno.
Come scrisse Ardengo Soffici nel 1914 sulla rivista Lacerba: “Giorgio de Chirico esprime, come nessun altro ha saputo fare, la struggente malinconia della fine di una bella giornata in una vecchia città italiana, dove, in fondo a una piazza solitaria, oltre la sequenza di logge, portici e monumenti del passato, sbuffa un treno […] oppure un’alta ciminiera di fabbrica innalza fumo verso il cielo terso.”
Questa descrizione, benché riferita alle opere giovanili, rimane perfettamente aderente anche alla poetica della Torre: la stessa malinconia, lo stesso silenzio metafisico che trasforma l’architettura in sentimento. Nella luce ferma e irreale del dipinto, la torre appare come un monumento immobile al tempo interiore.
Le tinte fredde e i contrasti netti tra i piani di colore, rossi, blu e ocra, costruiscono una geometria poetica, in bilico tra sogno e architettura ideale.
L’opera, pur nella sua apparente semplicità, racchiude l’essenza della visione dechirichiana: il mistero delle cose quotidiane, la nostalgia di un passato mitico, la bellezza enigmatica dell’immobilità.
Un parallelo interessante si può tracciare con Tresigallo, la “città metafisica” dell’Emilia progettata negli anni Trenta, dove l’ordine architettonico e la sospensione temporale ricordano da vicino l’universo pittorico di de Chirico.
Come nelle piazze dipinte dall’artista, anche lì l’architettura diventa visione, spazio mentale prima ancora che urbano.
La Torre è dunque più di una costruzione immaginaria: è una metafora del pensiero, un monumento alla memoria e alla solitudine dell’uomo moderno.
In essa, de Chirico condensa un intero mondo poetico in pochi centimetri di pittura, rivelando
come la vera grandezza risieda nella profondità dello sguardo.
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