DIPINTI E SCULTURE DELL'OTTOCENTO EUROPEO

9 NOVEMBRE 2021

DIPINTI E SCULTURE DELL'OTTOCENTO EUROPEO

Asta, 1095
FIRENZE
Palazzo Ramirez Montalvo

ore 16.30

Un ringraziamento speciale a Roberto Capitani per il contributo determinante nella stesura di questo catalogo e per la preziosa collaborazione con Pandolfini Casa d'Aste.

Esposizione
MILANO
Martedì     26 ottobre 10-18
Mercoledì  27 ottobre 10-18
Giovedì     28 ottobre 10-18
Venerdì     29 ottobre 10-18
FIRENZE

Venerdì      5 novembre    10-18  
Sabato       6 novembre    10-18
Domenica   7 novembre    10-13
Lunedì        8 novembre    10-18

 
 
 
Stima   12000 € - 90000 €

Tutte le categorie

1 - 13  di 13
136

Donato Barcaglia

(Pavia 1849 - Roma 1930)

LA PRIMAVERA

marmo, alt. cm 148, su base ottagonale in legno con interno girevole, cm 41x45

firmato e datato "1871 Milano"

 

SPRING

marble, h. 148 cm, on an octagonal wooden base with a revolving internal element, 41x45 cm

signed and dated "1871 Milano"

 

Nato a Pavia nel 1849, Donato Barcaglia si trasferì ben presto a Milano per frequentare i corsi di Abbondio Sangiorgio all’Accademia di Belle Arti di Brera. Si affermò alle mostre braidense prima dei vent’anni di età esponendo, nel 1868, la scultura Il ritorno della vendemmia, scelta dall’ambrosiana Società per le Belle Arti per i suoi azionisti. La fortuna volle che l’opera venisse data in sorteggio al socio più importante di quell’ente, il re Vittorio Emanuele II, che la fece collocare nel Palazzo Reale di Milano in segno di apprezzamento a quell’abilità tecnica nel lavoro del marmo che Barcaglia dimostrò precocemente. La predisposizione all’arte scultorea, in effetti, permise all’artista di realizzare già nella sua prima produzione artistica eleganti opere, composte con finezza e attenzione al gusto dell’epoca che gli garantirono un successo notevole in vita.

Ne abbiamo un esempio eloquente ne La primavera realizzata nel 1871. Si tratta di un’allegoria della stagione di rinascita e di risveglio, interpretata da un’esile e filiforme fanciulla posta in piedi, avvolta in un morbido scialle bordato di pizzo che le cinge i fianchi, lo sguardo rivolto in alto, verso la propria mano destra che tiene sollevata come in un movimento di danza. L’elemento floreale alla base della scultura, dove trova spazio anche la firma del suo autore, viene ripreso dalle foglie che cingono il collo della giovane e coprono solo in parte il seno in un felice contrasto visivo e tattile con la levigatezza del tronco, delle braccia e del viso.

Sempre al 1871 risale l’esecuzione de La vergognosa (Trieste, Museo Revoltella), figura femminile anch’essa in piedi che non solo cela le nudità con un telo, ma cerca di coprire i seni nudi con un braccio e tiene il capo abbassato sulla spalla in un gesto di raccoglimento.

Dieci anni dopo la realizzazione de La primavera, Barcaglia presenterà all’Esposizione Nazionale di Belle Arti tenutasi a Milano l’evoluzione di quest’opera: un gruppo in marmo recante lo stesso titolo della nostra scultura. La figura principale è infatti costituita dalla Primavera, ritratta in piedi mentre allunga entrambe le braccia verso l’alto stirandosi dopo il risveglio dal letargo invernale. Ai suoi piedi si trova la Bellezza addormentata e, alle sue spalle, Amore che tenta di svegliarla. Un soggetto molto apprezzato dal pubblico, tanto da essere acquistato in mostra per 7.000 lire.

 

E.S.

 

Stima   € 45.000 / 70.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
137

Francesco Hayez

(Venezia 1791 - Milano 1882)

BACIO TRA GIULIETTA E LA NUTRICE

olio su carta applicata su cartone, cm 30,5x46

 

JULIET KISSING HER NURSE

oil on paper laid down on cardboard, 30.5x46 cm

 

L'opera è corredata da parere scritto del Prof. Fernando Mazzocca.

 

Nel 1823, dopo il successo ottenuto tre anni prima alla mostra dell’Accademia di Brera di Milano con il Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri - riconosciuto quale manifesto della nuova pittura romantica -, successo rinnovato nel 1822 con la prima versione dei Vespri siciliani, il trentaduenne Francesco Hayez si trasferisce definitivamente nel capoluogo lombardo dove rimarrà per il resto della sua lunga e intensa vita. Quello è l’anno in cui l’artista veneziano presenta, sempre a Brera, due grandi dipinti di commissione, L’ultimo bacio e Gli sponsali ispirati al noto dramma shakespeariano di Giulietta e Romeo. L’ultimo bacio dato da Giulietta a Romeo (Tremezzo, Villa Carlotta), realizzato per il collezionista Giovanni Battista Sommariva, raffigura il momento in cui, giunta l’alba, Romeo si vede costretto ad accomiatarsi da Giulietta: "Addio, addio. Un bacio e poi scenderò" (atto III, scena V). L’anziana nutrice, ritratta sullo sfondo, è entrata nella stanza per avvertire Giulietta dell’arrivo imminente di sua madre. Il gesto intimo tra i due amanti è descritto in un ambiente sontuoso, ricostruito con fedele attenzione al gusto medievale, abiti preziosi coprono i corpi dei giovani.

La straordinaria novità dell’opera in cui per la prima volta nella produzione hayeziana la mitologia classica cede il posto al racconto moderno degli amanti perduti, si trova, come saggiamente sottolineato dal critico Defendente Sacchi, nelle sembianze di Giulietta, non più raffigurata come una Venere né come donna antica: “è bella, ma bella dell’amor suo, dolce ti piove in core a riguardarla una vaghezza che ti annunzia essere l’ideale de’ suoi tempi” (D. Sacchi, Addio di Giulietta e Romeo di Hayez, in “Cosmorama pittorico”, 1837, a. III, n. 51, p. 407).

In effetti, la figura della giovane sconfessa i canoni del bello ideale: “troppo muscolosa” la definisce Ludwig Schörn, temuto critico del giornale tedesco Kunst-Blatt, “Così intensa è la passione di Giulietta che la si immagina come una leggiadra vergine pudica. […] Quel bacio non è il tenero amore di una pura anima incantata, è voluttuoso. Anche Romeo sembra pensarla come noi, si mostra meno sensibile a questo favore, che spira troppa bramosia, e rimane freddo, mentre l’abbraccia. Per questo Romeo non le dà il bacio?” (da “Biblioteca Italiana”, 1824, a. XXXVI).

In realtà, la mancata idealizzazione delle fattezze della modella effigiata è una scelta voluta dell’autore che descrive particolari di inconsueto naturalismo presenti anche in altre due versioni coeve al celebre quadro, una delle quali oggi presentata, raffiguranti il bacio di Giulietta alla sua nutrice. La giovane, ritratta in primo piano nella stessa posizione e con simile espressione dell’Ultimo bacio dato da Giulietta a Romeo, si avvicina alla balia, toccandole il mento e allungando le labbra in un gesto di affetto e di intimità verso la donna che l’ha nutrita e allevata con un bacio rimasto a metà, come quello scambiato con l’amato. Mentre con Romeo, Giulietta si abbandona all’emozione chiudendo gli occhi, con la nutrice li tiene leggermente aperti.

La nostra versione è la prima idea del dipinto passato in asta da Finarte nel giugno 1989, un olio su tela di 49,5 x 61,5 cm (n. 69 del catalogo ragionato a cura di F. Mazzocca) maggiormente dettagliato negli abiti, in particolare nel vestito elaborato di Giulietta che mostra un motivo decorativo differente rispetto alla stoffa scelta per il quadro di Tremezzo. Nel nostro caso, una veduta fortemente ravvicinata delle donne, concentrata sul contatto fisico tra le due, l’artista lascia l’immagine non finita e si dedica in particolare alle cromie stese sapientemente degli incarnati, dei capelli scuri pettinati a boccoli della giovane che si confondono con lo sfondo e del tessuto spesso e coprente, di tonalità tra il bianco, il marrone chiaro e l’azzurro, con cui è celato parte del volto e il collo della nutrice. Da notare il tocco di femminilità nell’orecchino che pende dal lobo sinistro di Giulietta, dettaglio assente nel dipinto realizzato per Sommariva.

 

E. S.

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
138

Giuseppe De Nittis

(Barletta 1846 - Saint-Germain-en-Laye 1884)

PICCOLO STAGNO

olio su tela, cm 30,5x40

retro: cachet dell'Atelier De Nittis

 

SMALL POND

oil on canvas, 30.5x40 cm

on the reverse: stamp of the Atelier De Nittis

 

L'opera è archiviata persso la Fondazione Giuseppe De Nittis di Barletta.

 

Era la sera del 6 febbraio 1883, lo scrittore e critico letterario Edmond de Goncourt, ospite, come avveniva di sovente, nella villa parigina di Giuseppe e Léontine De Nittis, aperta con affabilità a numerosi personaggi dell’ambiente culturale francese, si era intrattenuto con i padroni di casa a discorrere della passione del pittore per il cielo, una passione risalente all’infanzia fatta di lunghi momenti passati a osservare le nuvole bianche che “non sono informi come quelle di casa nostra, ma si modellano nel cielo in innumerevoli sfaccettature”. Così ricordava qualche anno dopo de Goncourt nel suo Journal (vol. II, 1889, p. 998)raccontando ai suoi lettori di quel giorno di febbraio, quando, prima di cena, lo scrittore era stato assieme a De Nittis al Parc Monceau, luogo frequentato da molti artisti e reso celebre in particolare dalle impressioni di Claude Monet. “E oggi, ancora, al parco Monceau, mi fece notare, in una specie di ebbrezza di ammirazione, il tono cinereo del cielo, quel tono unico e distinto da tutto e che non si trova in Italia”.

Questa attenzione per il cielo e la capacità di coglierne la differenza con quello del sud Italia la si ritrova anche nel nostro dipinto, un piccolo stagno privo della presenza umana, dove la luce pacata, dovuta proprio alle nuvole bianche, non dissolve le forme della vegetazione, anzi, mette in rilievo i fiori in primo piano, gli steli sottili delle piante cresciute attorno all’acqua, il mantello variegato degli uccelli. Il folto degli alberi dalle chiome scure e fitte sullo sfondo fa da quinta a un elemento singolo, che si innalza solitario, quasi fosse un monumento, al centro della scena. Le acque chete vengono mosse impercettibilmente dal passaggio dei germani reali dipinti con grande maestria. Tutto è equilibrato e in armonia.

Come mise in risalto Ugo Ojetti nei suoi Ritratti di artisti italiani, “De Nittis, se nelle sue opere dipinge sinceramente come vede, […] nei suoi quadri pensa anche a definire quello che vede, a far della sua visione qualcosa di più esatto di una semplice pittura: un documento” (1931, pp. 75-76).

In effetti, il legame con il dato naturale stimola l’artista a descrivere con minuzia ed eleganza questo paesaggio, capolavoro realizzato verso la prima metà degli anni Settanta, quando l’artista si dedica alla serie di signore in barca, tra cui la famosa Léontine in canotto del 1874, passata dalla Maison Goupil, e alle riprese dei cigni nel laghetto del Bois de Boulogne.

Del nostro quadro è noto uno studio pubblicato da Vittorio Pica nella monografia edita nel 1914 con il titolo Il piccolo stagno e presentato assieme ad altre importanti opere alla retrospettiva, tenutasi sempre in quell’anno, a Venezia, in occasione della XI edizione della Biennale.

 

E.S.

Stima   € 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione
139

Alberto Pasini

(Busseto 1826 - Cavoretto 1899)

DAVANTI ALLA MOSCHEA

olio su tela, cm 34,5x27

firmato in basso a sinistra

 

IN FRONT OF THE MOSQUE

oil on canvas, 34.5x27 cm

signed lower left

 

L'opera è corredata di expertise (n. schedario 3636) di Angelo Dragone datata 25 ottobre 1985.

 

La veduta urbana, piacevole nei toni cromatici, elegante nelle architetture, animata da diversi personaggi intenti a svolgere varie attività, mostra un eccellente esempio della pittura orientale di Pasini. L’artista di Busseto, giunto a Parigi nei primi anni Cinquanta, compie il suo primo viaggio in Persia nel 1855 al seguito del diplomatico francese Prospero Bourée entrando così in stretto contatto con un mondo affascinante e tanto ricercato da diversi suoi colleghi che lavoravano spesso di fantasia. Pasini, invece, visita a più riprese diversi Paesi del Medio Oriente riportando in Europa dipinti, note e appunti da cui progettare nuovi soggetti. La meravigliosa sicurezza di mano nella resa di figure e animali assieme alle architetture semplici ed elaborate, ricche di decorazioni e dettagli, unita all’abilità nell’utilizzare in armonia tocchi di colore tenui e smaglianti, consente al pittore di realizzare scorci cittadini, come il nostro, caratterizzati dalla vivacità di persone vestite con i costumi del luogo che animano con le loro usanze opere soprattutto di piccolo formato. Anche nel nostro caso, Pasini dipinge un quadro notevole, seppur racchiuso in dimensioni contenute, mostrando garbo e sottigliezza con tocco delicato ma deciso, spontaneo ed elegante, senza stonature.

Ugo Ojetti, in occasione della sala dedicata durante la VIII Biennale di Venezia all’artista da poco scomparso, gli riconosce il pregio di essere stato il primo pittore che vide davvero l’Oriente con un occhio più potente della sua fantasia: “Non più i contrasti violenti tra il primo piano in ombra e il fondo assoluto, e nemmeno la convenzionale fornace dai colori incandescenti e abbacinanti, ma spesso tutta la mestizia di una pallida afa canicolare che fonde i colori invece che accenderli” (U. Ojetti, L’Esposizione di Venezia, in “Corriere della Sera”, 30 aprile 1909).

 

E.S.

Stima   € 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione
140

Eugène Boudin

(Honfleur 1824 - Deauville 1898)

BRUXELLES. LE BASSIN DU COMMERCE

olio su tavola, cm 27x34

firmato in basso a sinistra

 

BRUXELLES. LE BASSIN DU COMMERCE

oil on panel, 27x34 cm

signed lower left

 

Provenienza

Durand Ruel, Parigi

Dr Alfred Barnes, New York

American Art Assoc., New York, 2 June 1915, lot 3

Kunsthandel Rueb, Amsterdam

Collezione privata

 

Bibliografia

R.L. Benjamin, Eugène Boudin, New York 1937, p. 132

R. Schmit, Eugène Boudin 1824-1898, Paris 1973, vol. I, p. 267 n. 748

 

Eugène Boudin fu uno dei primi artisti francesi del secondo Ottocento a praticare in maniera convinta la pittura en plein air, lavorando con particolare intensità in Bretagna. Figlio di un capitano di vascello, il suo genio creativo predilesse sempre le ambientazioni marine, le spiagge nordiche spazzate dal vento e gli scenari portuali, movimentate dalle imbarcazioni e dalle attività dei pescatori, protagonisti inconfondibili della sua cifra stilistica.

Invitato dal mercante e imprenditore Léon Gauchez, nel 1871 Boudin si trasferì in Belgio, soggiornando prima a Bruxelles e poi ad Anversa, restandovi solo per un anno e per poi far ritorno in Francia, nuovamente in Bretagna e poi in Normandia. Anche nel corso di questa sua breve parentesi, la sua attenzione si spostò sui suoi soggetti prediletti, come si vede da questa ripresa del bacino commerciale della capitale belga – laddove oggi si tiene il famoso mercato del pesce cittadino –, sul cui fondo è riconoscibile con chiarezza il profilo della chiesa di Santa Caterina. La scena è giocata su rapide impressioni cromatiche e vibranti variazioni luministiche di certo frutto dai suoi passati contatti con gli esponenti della Scuola di Barbizon, evolutesi poi in chiave moderna attraverso la condivisione dei dettami pittorici impressionisti e, soprattutto, la frequentazione del suo amico Claude Monet.

L’olio su tavola in oggetto, dai toni caldi e argentini e dalla pennellata corposa, si caratterizza per un ritmo compositivo piuttosto pacato, con le imbarcazioni ormeggiate e immerse in un’atmosfera sospesa, come a voler immortalare un momento di pausa dell’animato traffico commerciale di Bruxelles. A interrompere la calma piatta della scena, le manovre di scarico dei pescatori al lavoro sulla barca in primo piano sulla sinistra e due stormi di uccelli nel cielo, a solcare le fitte velature stese da Boudin – non caso definito da Corot «il re dei cieli» – mediante tocchi di colore omogenei e succosi. L’artista francese ritornò più volte su questo specifico soggetto, e in particolare nella versione ad acquerello datata 1871 e apparsa di recente sui circuiti di vendita («Floralies», tableaux modernes, sculptures, tapisseries, vendita Osenat, Versailles, 28 giugno 2020, n. 16), opera in sorprendente contiguità con il nostro dipinto in termini di punto di osservazione, taglio prospettico a campo largo e puntuale disposizione delle imbarcazioni attraccate ai due quai del bacino fluviale, indizi che inducono verosimilmente a considerare una realizzazione contemporanea delle due redazioni.

 

F.M.

Stima   € 40.000 / 70.000
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
141

Auguste Rodin

(Paris 1840 - Meudon 1917)

L'ÉTERNEL PRINTEMPS

bronzo, cm 38x48x27

firmato alla base e iscritto "Barbedienne Fondeur"

 

L'ÉTERNEL PRINTEMPS

bronze, 38x48x27 cm

signed on the base and inscribed "Barbedienne Fondeur"

 

Provenienza

Collezione privata

 

L'opera verrà inclusa negli archivi del Comité Auguste Rodin con il numero 2021-6299B, in vista della pubblicazione del Catalogue Critique de l'Oeuvre Sculpté d'Auguste Rodin in preparazione da parte della Galerie Brame&Lorenceau di Parigi sotto la direzione di Jérôme Le Blay.

 

Coltivato a lungo e a più riprese nel corso della sua carriera – tanto da contarne oggi più di 141 esemplari –, il soggetto di Éternel Printemps rivestì un’importanza primaria nell’immaginario di Auguste Rodin, dal 1884, momento del suo primo concepimento, e fino al primo ventennio del Novecento, periodo delle ultime riproduzioni, di dimensione ridotta, realizzate per la fonderia Leblanc-Barbadienne. Per il second état di questo gruppo furono previste varie repliche in tre dimensioni differenti, rispettivamente di circa 64, 40 e 25 cm, alle quali fu aggiunta, nel 1900, un’altra di 52 cm. Nel caso specifico dell’opera in esame, bronzo patinato con impresso, oltre alla firma dell’autore, il marchio della rinomata fonderia francese, si conoscono oggi circa ottanta edizioni databili tra il 1898 e 1918.

Assieme al Baiser e a Éternelle idole, i due amanti di questo gruppo sono senza dubbio tra i più noti della produzione di Rodin, con ogni probabilità nati a seguito della sua unione sentimentale con Camille Claudel, momento di apertura convinta dell’artista francese verso una possibile coesistenza tra la passione fisica e una forma di complicità empatica e spirituale tra due individui. Siamo ormai molto distanti dalle letture pessimiste e baudelairiane proprie della Porta dell’Inferno – progetto per il quale fu verosimilmente destinato in prima battuta quest’opera –, dove gli amanti erano legati dal peccato comune; questa volta, infatti, i due personaggi sono portatori di un messaggio lieto, incarnano l’idea nuova di Rodin sull’amore, e in questo senso si presentano eternamente giovani, uniti in una gestualità fragile ma armoniosa e delicata, che trova ulteriore vigore nelle forme del personaggio maschile, molli e sorprendentemente effeminate, quasi a riecheggiare le insolite fattezze androgine già intravisibili nella Eve del 1881. Iconica fu la lettura che Maillard fece di questo gruppo plastico, inteso come un vero e proprio inno alla vita e alla passione immortale: «Gli amanti si tengono in gesti carezzanti. Lui, quando lo scultore l’evocò, fu senza dubbio Paolo, lei, è Francesca. Cosa importa dei loro nomi. Sono insieme la primavera di sempre che non cessa mai di fiorire. Lui, intenerito da tanta divina seduzione, l’abbraccia, e i loro teneri occhi si parlano, e la loro bocca si profuma di mille baci. Sembra che prima di scivolare in questa ricurva posizione, lei sia stata sua compagna su un trono aereo, dove lui solo è rimasto; […] hanno dei gesti armoniosi, e la stessa fluida atmosfera avvolge le loro adolescenze» (L. Maillard, Auguste Rodin. Statuaire, Paris 1899, p. 121).

 

F.M.

 

 

Stima   € 90.000 / 150.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
142

Federico Zandomeneghi

(Venezia 1841 - Paris 1917)

DONNA IN CAMICIA (prima versione)

pastelli su carta applicata su cartoncino, cm 48x33

firmato in basso a sinistra

retro del supporto di compensato: timbro della Mondial Gallery di Milano e cartiglio con “65/3 […]”

 

WOMAN IN A SHIRT (first version)

pastels on paper laid down on card, 48x33 cm

signed lower left

on the reverse of the plywood: stamp of the Mondial Gallery of Milan and label with “65 / 3 […]”

 

Provenienza

Durand-Ruel, Parigi (fot. n. 2968)

Angelo Sommaruga, Parigi

Maria Caputo Sommaruga, Milano

Gaetano Sperati, Milano

Mondial Gallery, Milano, 1964

Collezione privata

 

Esposizioni

Maestri dell’Ottocento italiano, Mondial Gallery, Milano, 1964

Federico Zandomeneghi. Mostra antologica, Palazzo Reale, Milano, 13 settembre - 30 ottobre 1988

 

Bibliografia

Maestri dell’Ottocento italiano, catalogo della mostra (Mondial Gallery, Milano, 1964), Milano 1964, tav. 4

E. Piceni, Zandomeneghi. Catalogo ragionato dell’opera, Milano 1967, n. 225, tav. XXXVIII

M. Monteverdi, Storia della pittura italiana dell’Ottocento, vol. II, Busto Arsizio 1975, tav. 820

Federico Zandomeneghi. Mostra antologica, supplemento al catalogo della mostra (Palazzo Reale, Milano, 13 settembre - 30 ottobre 1988), a cura di M.G. Piceni, Milano 1988, pp. 18-19, n. 5

E. Piceni, Zandomeneghi, catalogo generale dell’opera, seconda edizione a cura di R. Capitani, M.G. Piceni, Busto Arsizio 1991, n. 225, tav. XXXV

Federico Zandomeneghi. Catalogo generale, Milano 2006, n. 613, p. 331

 

Nel numero di luglio del 1914 della rivista “Emporium”, un lungo articolo del critico d’arte Vittorio Pica ripercorreva la vita e l’attività artistica di Federico Zandomeneghi celebrato, per la prima volta in patria, con una sala personale alla Biennale di Venezia. Il pittore di origini veneziane, trasferitosi nella capitale francese nel 1874, anno della nascita dell’impressionismo, dopo il soggiorno di un lustro a Firenze, pensava di fermarsi a Parigi solo per breve tempo, invece non fece più ritorno in Italia, trovando oltralpe il successo e la stima che i suoi connazionali solo con l’esposizione del 1914 iniziarono a riconoscergli. Una realtà inconcepibile ai giorni nostri, visto che Zandomeneghi è sicuramente uno degli artisti più amati e apprezzati dal pubblico italiano, eppure un tempo egli era riuscito a suscitare ammirazione e simpatia solo all’estero, appoggiato dai suoi amici e colleghi impressionisti, in particolare Edgar Degas a cui certi suoi soggetti trovano delle assonanze.

Tra le opere scelte a corredo dello scritto pubblicato su “Emporium”, c’è il pastello Donna accanto al caminetto (catalogo generale, 2006, n. 614), versione di poco successiva al nostro. Nell’opera oggi presentata, eseguita con un tratto più accennato ma molto ben leggibile e godibile su un supporto di dimensioni più contenute, i toni sono meno contrastati. I filamenti morbidi e le tinte tenui di una poltrona color carta da zucchero, che domina la scena, accolgono il corpo femminile coperto da una camicia da notte bianca. La donna ha gli occhi chiusi e si sta rilassando vicino al camino acceso. Le sue braccia sono poste dietro la testa, appoggiata a un cucino collocato sullo schienale della seduta. Le vezzose calzature da camera, che danno un tocco di femminilità all’ambiente, sono per terra, una giace rovesciata, l’altra ancora calzata sul piede, è in parte nascosta dal tessuto che orna la parte interiore della poltrona.

L’intimità femminile, protetta dalle mura domestiche, ritratta dal vero, nell’istantaneità del movimento, con garbo e delicatezza, tra piacevoli equilibri cromatici, è uno dei temi meglio riusciti e spesso indagati dal pittore, sicuramente apprezzato dal mercato e dal celebre sostenitore degli impressionisti, Paul Durand–Ruel, il gallerista con cui Zandomeneghi collabora con esiti felici dagli anni ‘90 e a cui appartiene inizialmente il nostro pastello. Lo stesso pittore ricorda in una lettera a Diego Martelli del novembre 1894 la visita ricevuta in gennaio dal mercante francese al suo ritorno dall’America quando “venne spontaneamente a trovarmi e mi disse che dovevo lavorare molto, che i pittori di figura sono scarsi, che avrebbe pensato a pagarmi i modelli e a farmi riprendere un po’ di coraggio […]. Dunque mi misi a lavorare e Durand-Ruel avendo provveduto alla terribile pigione di un bello studio feci quadri disegni e pastelli in tal numero che non m’è possibile di ricordarmeli tutti” (Lettere dei macchiaioli, a cura di L. Vitali, Giulio Einaudi editore, Torino 1978, p. 301).

Oltre alla versione esposta alla Biennale di Venezia nel 1914 si conosce anche un disegno, Donna sdraiata sulla poltrona (catalogo generale, 2006, n. 612) che reca il timbro dell’Atelier Zandomeneghi.

 

E.S.

 

“Si tratta della prima stesura del dipinto Femme sur un fauteuil (Piceni, 1967, n. 226) che ha però una sua ben precisa compiutezza formale vivificata dalla tecnica sfilacciata e fibrosa del colore. L’intensa tonalità dell’azzurro, che si ritrova ben più accentuata in altre opere del pittore, spicca per il contrasto con alcune macchie prepotenti di rosso. La pantofolina appena scivolata dal piede e il corpo non del tutto rilassato conferiscono un tono di improvvisa perentorietà al riposo che forse durerà solo qualche istante”.

 

Federico Zandomeneghi. Mostra antologica, supplemento al catalogo della mostra (Palazzo Reale, Milano, 13 settembre - 30 ottobre 1988), a cura di M.G. Piceni, Milano 1988, pp. 18-19, n. 5

Stima   € 35.000 / 60.000
Aggiudicazione  Registrazione
143

Vittorio Matteo Corcos

(Livorno 1859 - Firenze 1933)

RITRATTO DI PAOLO MARCHETTINI

olio su tela, cm 33x26

firmato e dedicato "All'amico Paolo Marchettini - aprile 1903" in alto

 

PORTRAIT OF PAOLO MARCHETTINI

oil on canvas, 33x26 cm

signed and dedicated "All'amico Paolo Marchettini - aprile 1903" at the top

 

Provenienza

Collezione privata

 

Esposizioni

Vittorio Corcos. Il fantasma e il fiore, Museo Civico G. Fattori, Livorno, 26 giugno - 7 settembre 1997 - Galleria d'Arte Moderna, Palazzo Pitti, Firenze, 16 settembre - 12 ottobre 1997

Corcos. I sogni della Belle Epoque, Palazzo Zabarella, Padova, 6 settembre - 14 dicembre 2014

 

Bibliografia

Vittorio Corcos. Il fantasma e il fiore, catalogo della mostra (Museo Civico G. Fattori, Livorno, 26 giugno - 7 settembre 1997 - Galleria d'Arte Moderna, Palazzo Pitti, Firenze, 16 settembre - 12 ottobre 1997) a cura di I. Taddei, Firenze 1997, p. 109 n. 44

O. Cucciniello in Corcos. I sogni della Belle Epoque, catalogo della mostra (Palazzo Zabarella, Padova, 6 settembre - 14 dicembre 2014), a cura di I. Taddei, F. Mazzocca, C. Sisi, Venezia 2014, pp. 187-188, n. 26

 

Paolo Marchettini, campione di scacchi livornese, viene ricordato dagli storici e appassionati del gioco per la sua partecipazione al Torneo Nazionale di Livorno del 1878, di cui curò il volume relativo, e per aver fatto parte di una delle due squadre che a Livorno il 28 febbraio 1880 si sfidarono per la prima volta in Italia al telefono. In questo ritratto di piccolo formato, ma di ampio respiro pittorico, Marchettini è ritratto nello studio dell’amico e concittadino Vittorio Matteo Corcos, seduto su una sedia Thonet - la stessa visibile in una fotografia dell’atelier dell’artista - su cui si è accomodato per ammirare un quadro posto sul cavalletto che allo spettatore non è concesso vedere. Questa scelta compositiva, insolita ma elegantissima, è distante tanto dai ritratti mondani quanto da quelli rappresentativi della borghesia o degli intellettuali come Emilio Treves o Pompeo Molmenti, che l’artista livornese immortala con toni più aulici. L’utilizzo della sedia rimanda ad altri suoi ritratti, quali quello del 1897 del caro amico Augusto Vittorio Vecchi, ufficiale di marina e scrittore conosciuto con lo pseudonimo di Jack la Bolina, o il Ritratto del Marchese Riccardo Mannelli Galilei Riccardi del 1915.

L’opera è caratterizzata da una grande raffinatezza, ben evidente nella descrizione dei riflessi dell’anello al dito dell’effigiato, del finale d’argento del bastone da passeggio, del legno verniciato della sedia, delle lucide scarpe e della cornice dorata, e da una solennità compositiva, che distingue anche la dedica posta in alto e che ricorda quella di Visita al museo, dove un’elegante signora seduta su una sedia è immersa nella contemplazione delle opere archeologiche di una sala del Museo Nazionale di Napoli.

Molti elementi rimandano alla conoscenza e alla comprensione della ritrattistica dell’americano James Abbot McNeill Whistler e in particolare al suo celebre Ritratto di Thomas Carlyle del 1873, da cui Corcos riprende non solo l’impostazione compositiva, ma anche la capacità di rendere l’atmosfera sospesa pur nel realismo meticoloso della resa pittorica.

 

Stima   € 12.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
144

Juan Luna y Novicio

(Badoc 1857 - Hong Kong 1899)

RITRATTO DI IRENE DELLA ROCCA

olio su tela, cm 99x60

firmato, datato e iscritto "Alla S.ta / Irene Della Rocca / Lvna - Roma / 1884" in basso a destra

 

PORTRAIT OF IRENE DELLA ROCCA

oil on canvas, 99x60 cm

signed, dated and inscribed "Alla S.ta / Irene Della Rocca / Lvna - Roma / 1884" lower right

 

Provenienza

Collezione privata

 

Pittore e attivista politico nella rivoluzione filippina (che portò tra il 1896 e il 1898 a un conflitto armato tra le Filippine e  le autorità coloniali spagnole) Juan Luna y Novicio è uno dei pochi artisti filippini, se non l’unico, ad avere avuto grande riconoscimento nazionale e internazionale, soprattutto in Spagna e Francia dove soggiornò a lungo nella sua formazione artistica.

Nato a Badoc nel 1857 e terzo di sette fratelli, Juan studiò a Manila. Col fratello Manuel nel 1877 intraprese un viaggio in Europa, che lo portò in Spagna, paese che costituiva il punto di riferimento culturale delle Filippine, una delle colonie chiave dell'Impero spagnolo. Alla Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid l’artista filippino studiò e consolidò le proprie conoscenze artistiche, e dopo il successo dell’Esposizione di Madrid del 1881 fu in grado di coltivare preziose committenze.

Nella Exposición Nacional de Bellas Artes di Madrid del 1883 Luna fu il primo vincitore delle tre medaglie d'oro assegnate e il 25 giugno 1884 i nobili filippini e spagnoli organizzarono un evento per celebrare la vittoria dell’artista. Nel 1886 si stabilì a Parigi per poi ritrasferirsi, dopo alcune drammatiche vicende personali che sfociarono in un delitto passionale, nelle Filippine nel 1894, dove partecipò attivamente al comitato del movimento rivoluzionario. Morì in esilio ad Hong Kong nel 1899.

Presentiamo dunque con grande piacere queste due opere inedite, a nostra conoscenza le uniche presenti in Italia. Luna si era recato a Roma per la prima volta nel 1878, come apprendista al seguito di uno dei suoi professori, Alejo Vera. La data “Roma 1884” apposta sui ritratti delle señorite Irene e Adele della Rocca testimonia la presenza in quell’anno del pittore filippino nella capitale. Provenienti da una collezione privata italiana, le due opere si collocano stilisticamente nel miglior momento creativo dell’artista e si possono annoverare tra le migliori esecuzioni del periodo.

Le due giovani signore, ritratte in uno spazio interno indefinito, sono fasciate da eleganti abiti adornati di pizzi e indossano lunghi guanti di seta. Le vesti sono definite da pennellate pastose e vibranti che denotano l’aggiornamento alla pittura spagnola e francese del periodo e che trovano analogie stilistiche nelle figure femminili di due importanti opere dipinte dall’artista negli stessi anni. Si tratta di En el balcon del 1884, dove due gentildonne si affacciano al fastoso balcone di un teatro, e la tela ¿A do… va la nave? del 1885, dove una curiosa combriccola di personaggi, comprendente alcune signore elegantemente abbigliate, affronta le onde del mare sotto un cielo plumbeo. Quest’ultima opera, considerata uno dei capolavori di Juan Luna, è stato aggiudicato per una cifra pari a poco più di € 757.000 euro presso una casa d’aste a Makati, nelle Filippine.

Stima   € 40.000 / 70.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
146

Léon Herbo

(Tournai 1850 - Ixelles 1907)

LONGCHAMP FLEURI

olio su tela applicata su compensato, cm 97x80

firmato in basso a sinistra

 

LONGCHAMP FLEURI

oil on canvas laid down on plywood, 97x80 cm

signed lower left

 

Provenienza

Collezione privata

 

Il grazioso dipinto di Leon Herbo è una perfetta rappresentazione del “Longchamp fleuri”, il festival dei fiori che veniva organizzato a Bruxelles alla fine del XIX secolo. Una folla di auto fiorite imbrigliate di cavalli attraversava per l’occasione Avenue Longchamp Bois de la Cambre e Avenue Luise, accompagnata da fanfare militare. Tutta la buona società della città accorreva a questo evento, frequentato assiduamente anche dalla regina Marie-Henriette, moglie di Leopoldo II. Le signore a bordo di coupé e calessi davano sfoggio della loro eleganza, marciando davanti alla tribuna con i loro abiti più ricercati e i copricapi ricchi di fiori e fiocchi.

Leon Herbo, artista molto apprezzato nella Bruxelles di fine Ottocento, amava ritrarre la figura femminile con uno stile raffinato abile nel rivelare la bellezza delle donne del suo tempo e nel rappresentarle nella loro natura sensuale e seducente. Alcuni dei suoi dipinti possono essere ammirati nei Musei Reali di Belle Arti del Belgio, nel Museo di Pittura e Scultura di Courtrai e nel Musée des Beaux-Arts di Tournai. Herbo realizza questo ritratto in un periodo in cui l’arte desiderava omaggiare la bellezza femminile a sé stante; la dama della fine del XIX secolo era presentata come una creatura intrigante, di cui veniva esaltato il lato esteriore e sensualmente decorativo.

Stima   € 12.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
147

Antonio Mancini

(Roma 1852 - Roma 1930)

RITRATTO DI MATHILDE HIRSCH

olio su tela, cm 101x126

firmato e iscritto "London" in basso a sinistra

retro: sul telaio cartiglio della mostra alla Royal Academy of Arts di Londra del 1956-1957

 

MRS LEOPOLD HIRSCH

oil on canvas, 39" 3/4 x 49" 1/2

signed and inscribed "London" lower left

on the reverse: on the stretcher label of the exhibition at the Royal Academy of Arts in London, 1956-1957

 

Provenienza

Mrs Leopold Hirsch, Londra

Mrs Thomas Lowinsky

Collezione Margaret Wilson Llangammarch, Breconshire, Inghilterra

Collezione J.S. Clarke (in deposito al Bristol City Museum Art Gallery, 1958-1983)

Collezione Edward Cohen, Londra

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

Italian Exhibition, Earl's Court, Londra, 1904

British Portraits, Royal Academy of Arts, Londra, 1956-1957

Trafalgar Galleries at the Royal Academy III, Londra, 1983

 

Bibliografia

Italian Exhibition, Earl's Court, London 1904, p. 56

E. Giannelli, Artisti napoletani viventi. Pittori, scultori, incisori, architetti, Napoli 1916, p. 308

A. Schettini, Mancini, Napoli 1953, p. 240

British Portraits, Catalogue 3 - second edition, winter exhibition (Royal Academy of Arts, Londra, 1956-1957), London 1956, p. 149, n. 483 (con datazione erronea 1906 circa)

Bristol Art Gallery Annual Report, 1958

D. Cecchi, Antonio Mancini, Torino 1966, pp. 184, 193-194, 325, ripr. tav. 28

D. Cecchi, Denunciò la propria famiglia l'immortalatore degli "Scugnizzi". Scritti inediti di Antonio Mancini, "o pittore pazzo", in "Giornale d'Italia", 28-29 gennaio 1969, p. 3

Don Riccardo, Artecatalogo dell’Ottocento. “Vesuvio” dei pittori napoletani, vol. II, Roma 1973, p. 289

Trafalgar Galleries at the Royal Academy III, London 1983, pp. 98-99, n. 38 ripr.

Phillips Son and Neale, 18 aprile 1983, n. 173 (da Witt Library)

Le opere pittoriche vendute in Italia e all'estero, a cura de "Il Mercato Dell'Arte" - Prezzi e mercato 2, Como 1984, p. 98 ripr.

E. Kilmurray, R. Ormond, John Singer Sargent. The later portraits. Complete Paintings, vol. III, New Haven and London 2003, p. 74

W. Hiesinger in Antonio Mancini Nineteenth-Century Italian Master Celebrating the Vance N. Jordan Collection at the Philadelphia Museum of Art, Philadelphia Museum of Art, 20 ottobre 2007 - 20 gennaio 2008, catalogo a cura di U.W. Hiesinger, New Haven 2007

M. Ursino, Ritratti Eccellenti nella pittura di grandi maestri dell'Ottocento e del Novecento, presentazione di M. Calvesi, Roma 2007, p. 54

M. Carrera, Antonio Mancini in Inghilterra. Il rapporto con John Singer Sargent in “Storia dell’arte”, 133, settembre-dicembre 2012, pp. 153-180: 165, ripr. fig. 15

C. Virno, Antonio Mancini. Catalogo ragionato dell'opera, Roma 2019, vol. I, pp. 321-322 n. 530

 

Nel maggio del 1902, Antonio Mancini partecipa alla prestigiosa esposizione alla Royal Academy di Londra debuttando così ufficialmente tra i ritrattisti contemporanei attivi in terra inglese. Arrivato in Inghilterra l’anno precedente grazie al rapporto di consolidata amicizia con il collega americano John Singer Sargent, il suo impegno nei mesi vissuti a Londra si concentra proprio sulla ritrattistica di commissione, tematica principale della sua ricchissima produzione.

Il dipinto esposto alla Royal Academy con il generico titolo Portrait of a lady, è identificabile con il Ritratto di Mary Hunter, nota collezionista di arte contemporanea, amica di Sargent e principale committente di Mancini nel periodo londinese. La Hunter, già effigiata da Sargent nel 1898 in un dipinto a figura intera custodito alla Tate Gallery di Londra, viene raffigurata da Mancini in abito nero su sfondo scuro in un ambiente della casa di famiglia di Selaby, nel Darlington, luogo in cui l’artista romano ritrae anche il marito e la figlia. Alla sua sinistra c’è un mobile su cui la signora sembra cercare un appoggio con la mano mentre è comodamente adagiata su un divanetto di stoffa gialla che illumina la scena.

Il quadro sembra essere speculare al nostro, realizzato pochi mesi dopo e raffigurante la moglie di Leopold Hirsch, Mathilde, seduta su un sofà dai toni giallo dorato, tra morbidi cuscini colorati che le coprono i piedi. Tiene con una mano un libro aperto, le cui pagine bianche, assieme al tessuto che le ricopre il decolté, diventano una meravigliosa fonte di luce, mentre l’altra è appoggiata a un tavolino alla sua destra. In entrambi i ritratti si nota la generosa pennellata materica, tipica della produzione di Mancini di questo periodo, che tanto colpisce la critica intervenuta all’esposizione della Royal Academy.

La signora, elegantemente vestita con un abito nero che acquista volume grazie alla pastosità della pennellata, guarda con un’espressione curiosa, difficilmente decifrabile, il pittore che la ritrae nella sua dimora, attorniata da vari oggetti, sullo sfondo di un tendone scuro che impedisce alla luce di filtrare e crea un effetto di quinta teatrale. Per un certo periodo, le giornate di posa necessarie per eseguire questo dipinto si sovrappongono a quelle richieste da Sargent impegnato a portare a termine un altro ritratto di Mathilde esposto, proprio nel 1902, alla Royal Academy.

Mentre il quadro di Sargent è impostato con la figura in piedi, seguendo un gusto di tradizione e di ufficialità con dei chiari rimandi, nell’abito rosa e nel pizzo bianco, al Ritratto di Filippo IV di Spagna di Velasquez - allontanandosi quindi dalla scioltezza della posa tipica della sua felice produzione -, in quello di Mancini il contesto è più informale e vicino alcuni insegnamenti attinti proprio dalla ritrattistica dell’amico. Quel gesto della mano, ad esempio, così particolare e anomalo nelle figure effigiate dal pittore romano, si trova frequentemente nelle opere di Sargent già dal decennio precedente. Basti pensare al Ritratto di Mrs Hugh Hammersley del 1892, o a quello delle sorelle Wyndham, del 1899, entrambi al Metropolitan Museum di New York. Nel primo caso la protagonista, seduta senza appoggiare il busto posto di fronte allo spettatore, ruota il braccio sinistro per appoggiarlo allo schienale del divanetto, nel secondo la mano della giovane collocata tra le altre due effigiate, sembra voglia allungarsi sinuosamente fino oltre la tela, incrociando quella della sorella alle sue spalle.

All’epoca dei due ritratti, Frances Mathilde Seligmann, sposatasi nel 1890 con il facoltoso banchiere londinese Leopold Hirsch e apprezzato collezionista di arte antica e contemporanea, ha trentun anni. Si spegnerà nel 1921, undici anni prima del marito, scomparso a 75 anni. L’11 maggio 1934 la raccolta d’arte dei coniugi Hirsch viene battuta all’asta nella sede londinese di Christie, Manson & Woods, accompagnata dal catalogo dal titolo The collection of important pictures drawings and engravings of Leopold Hirsch. Il dipinto di Mancini, però, rimane in famiglia, nella collezione della figlia Ruth, moglie del pittore Thomas Lowinsky.

La gestazione dell’opera manciniana ci viene in parte svelata da Dario Cecchi nella monografia sul pittore del 1966, dove, a pagina 184, leggiamo: “In data 24 febbraio 1902 [Mancini] aveva ricevuto una breve letterina dal ricco e notissimo Leopold Hirsch con la quale gli si richiedeva quale cifra il pittore avrebbe richiesto per fare il ritratto alla di lui moglie Mathilde”. Due mesi dopo Mancini sta ancora lavorando al dipinto quando ottiene, grazie a Lady Hunter, l’incarico di eseguire al più presto un ritratto a Lord Currie, ambasciatore inglese a Roma presso il re d’Italia. Ciò avrebbe significato una repentina partenza per l’Italia con la necessità di rientrare solertemente a Londra per finire, entro i termini di consegna pattuiti, il ritratto di Mathilde.

Mancini entra in agitazione, chiede quindi consiglio a Sargent che minimizza il problema. Si rivolge allora al marchese Giorgio Capranica del Grillo, suo mecenate e protettore, scrivendogli a Roma: “io debbo qui a Londra finire il ritratto di Madama Hirsch a maggio, di cui ho ricevuto cento sterline in anticipo…” (Cecchi, p. 191). Nel frattempo vive con forte frustrazione l’inaugurazione alla Royal Academy a cui non vuole presenziare perché amareggiato dall’accettazione di un suo solo dipinto, per altro mal posizionato, su quattro presentati. Inoltre è deluso dal comportamento di Sargent, molto ben introdotto alla Royal Academy, ma poco disponibile ad appianare le ansie dell’amico, in parte immotivate. La sua risaputa instabilità psichica non gli consente di godere degli ottimi riscontri ottenuti dal quadro esposto, anzi, peggiora a causa dei frequenti snervanti rinvii da parte di Mathilde Hirsch per posare al ritratto e dalle inopportune sollecitazioni del marito che lamenta lentezza nella realizzazione del quadro. Queste frizioni con i signori Hirsch culminano in una lettera di risposta di Mancini a Mr. Leopold nella quale emerge chiaramente che il problema dell’avanzamento rallentato del lavoro, sia imputabile a “l’ennui de Madame à poser”. Proprio per evitare di arrecare ulteriore disturbo alla signora, Mancini propone al marito di farsi restituire la tela incompleta e, in cambio delle 100 sterline già riscosse, di dipingere “une peinture agreable pour le même prix” (Cecchi, p. 194, nota 3). Motivando l’impossibilità di scegliere un supporto di dimensioni maggiori “parce que la grille que je mets devant le model me donne cet grandeur mathematique” - Hirsch ha espresso perplessità riguardo la superficie pittorica? – Mancini ci conferma, anche per questo dipinto, l’utilizzo della graticola, una coppia di telai quadrettati a spago, posti davanti al modello e alla tela per garantire l'esattezza delle proporzioni nell'impianto prospettico. Il quadrettato, si sa, è spesso volutamente lasciato a vista nelle opere manciniane e qui si nota chiaramente in particolare nella zona del cuscino rosa.

Il 30 aprile una comunicazione del segretario di Hirsch pone fine all’impasse. Mancini viene pregato di riprendere il lavoro tanto bene iniziato e finalmente riesce a portarlo a temine con soddisfazione dei committenti che il 24 giugno gli inviano un bigliettino di congratulazioni su cui il pittore annota: “Ricevetti il resto di 60 sterline alle 160 ricevute già” (M. Carrera, Antonio Mancini in Inghilterra. Il rapporto con John Singer Sargent, “Storia dell’Arte”, 133, 2012, n. 33, CAM Editrice, Roma, p. 179, nota 86). Terminato il dipinto, Mancini lascia Londra e torna a Roma da Capranica che ha seguito, seppur da lontano, tutta la vicenda. L’abilità di eccelso pittore gli ha permesso di concludere egregiamente il ritratto di Mathilde senza lasciare trasparire la sofferenza patita nel periodo di realizzazione.

 

 

In May 1902, Antonio Mancini participated in the prestigious exhibition at the Royal Academy in London, making his official debut among the portrait painters working in England. He had arrived there the previous year thanks to his friendship with the American artist John Singer Sargent. During his stay in London he devoted himself to painting commissioned portraits – the main part of his large oeuvre.

The painting he showed at the Royal Academy with the generic title, Portrait of a Lady, is actually the Portrait of Mary Hunter, a renowned collector of contemporary art, friend of Sargent and Mancini’s main client during his London period. In  1898, Sargent had painted a full-figure portrait of Mrs Charles Hunter which is in the Tate Gallery in London. Mancini portrayed her in a black dress against a dark background in one of the rooms of Selaby Hall, Darlington, where the artist also painted portraits of her husband and daughter. Her left hand  touches on a table as she reclines comfortably on a sofa draped in yellow cloth that illuminates the scene.

The picture seems almost a mirror image of our painting that was executed just a few months later. Mancini portrayed Leopold Hirsch’s wife, Mathilde, reclining on a golden yellow sofa with coloured cushions covering her feet. The white pages of the open book she is holding in her left hand and the fabric covering her décolleté become a wonderful source of light as she rests her right hand on a little table. Both portraits are characterized by the thick brushstrokes Mancini used during that period and which impressed the critics attending the exhibition at he Royal Academy.

The lady, elegantly attired in black acquires volume thanks to the soft, pasty brushstrokes; her expression is curious and quite difficult to decipher. She sat for the artist in her home, surrounded by various objects, and against a dark curtain that prevents light from filtering through creating a theatrical backdrop. For a while the sittings for this portrait overlapped with Sargent’s requests since he was busy completing another picture of Mathilde that was also exhibited at the Royal Academy in 1902.

The portrait by Sargent is a full-length standing figure, following a traditional and stately  style with clear references, in the pink dress and white lace, to the Portrait of Philip IV of Spain by Velázquez – and therefore, distant from the graceful, smooth poses of his successful portraits. In the Mancini portrait the context is more informal and reflects some of the lessons taken from his friend’s style. For example, the position of the hand that is unusual in Mancini’s paintings was already frequent in Sargent’s works a decade earlier. It is sufficient to mention the portraits of Mrs Hugh Hammersley (1892), or The Wyndham Sisters: Lady Elcho, Mrs. Adeane, and Mrs. Tennant (1899), both in the Metropolitan Museum of Art in New York. In the first, the subject is sitting upright, facing the viewer, turns and extends her left arm so that it leans against the backrest of the sofa; in the second the arm of the girl in the centre seems to want to reach beyond the canvas. 

Frances Mathilde Seligmann, who married the rich London banker and renowned art collector  Leopold Hirsch in 1890, was thirty-one years old when the portraits were painted. She died in 1921, predeceasing her husband, who lived to be seventy-five, by eleven years. The Hirsch’s art collection was sold by Christie, Manson & Woods of London on 11 May 1934; the sale catalogue was entitled The Collection of Important Pictures Drawings and Engravings of Leopold Hirsch. The portrait by Mancini, however, remained with the family, in the collection of their daughter Ruth who was married to the painter Thomas Lowinsky.

Dario Cecchi partially told the story of Mancini’s portrait in his 1966 monograph on the artist. On page 184: “In data 24 febbraio 1902 [Mancini] aveva ricevuto una breve letterina dal ricco e notissimo Leopold Hirsch con la quale gli si richiedeva quale cifra il pittore avrebbe richiesto per fare il ritratto alla di lui moglie Mathilde”. Two months later, Mancini was still working on the painting when, thanks to Lady Hunter, he received the commission to do a portrait of Lord Currie, the English ambassador to Rome, as quickly as possible. That would have meant having to leave immediately for Italy, and then return to London as soon as possible to finish Mathilde’s portrait by the agreed-upon deadline.

Mancini became agitated and asked Sargent for advice, but he downplayed the problem. Then he wrote to his patron and protector in Rome, Marchese Giorgio Capranica del Grillo: “io debbo qui a Londra finire il ritratto di Madama Hirsch a maggio, di cui ho ricevuto cento sterline in anticipo…” (Cecchi, p. 191). In the meantime, he was very frustrated by the opening of the Royal Academy exhibition; he did not want to attend because they only showed one of the four paintings he submitted and in was poorly positioned as well. He was also disappointed by Sargent’s behaviour. The man was well placed at the Royal Academy, but unwilling to soothe his friend’s, partly unmotivated, anxieties. Mancini’s psychological instability was common knowledge and it prevented him from enjoying the excellent reviews of his painting. In fact, it worsened because of Mathilde’s frequent and unnerving postponements of her sittings and her husband’s inappropriate and stressful complaints about the artist’s slowness in completing the portrait. The ongoing friction with the Hirsches culminated in a letter Mancini wrote to Leopold clearly revealing that the delays were due to “l’ennui de Madame à poser”. In order to avoid further bothering the lady, Mancini suggested that Mr. Hirsch return the unfinished portrait and, in exchange for the hundred pounds he had already received, he painted “une peinture agréable pour le même prix” (Cecchi, p. 194, note 3). He explained the impossibility of choosing a bigger canvas, “parce que la grille que je mets devant le model [sic] me donne cet grandeur mathematique [sic]” - Was Hirsch expressing his perplexity about the size? – Mancini confirmed that in this painting, like others, he used a grid – two frames squared with string that he placed in front of the model and in front of the canvas to guarantee the exact proportions of the composition. Indeed, Mancini often deliberately left his grids visible and here we can see it quite clearly on the pink cushion.

A letter from Hirsch’s secretary dated 30 April put an end to the impasse. Mancini was asked to resume the painting that had started so well and he finally completed it to the satisfaction of his clients. On 24 June they sent him a note of congratulations on which the artist noted: “Ricevetti il resto di 60 sterline alle 160 ricevute già” (M. Carrera, “Antonio Mancini in Inghilterra. Il rapporto con John Singer Sargent”, Storia dell’Arte, 133, 2012, n. 33, CAM Editrice, Rome, p. 179, note 86). With the painting completed, Mancini left London and returned to Rome, to Giorgio Capranica who had followed the whole story, albeit from a distance. The artist’s outstanding skills allowed him to brilliantly finish Mathilde’s portrait without revealing how much he had suffered while painting it.

Stima   € 50.000 / 80.000
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
148

Rembrandt Bugatti

(Milano 1884 - Paris 1916)

PETITE PANTHÈRE MARCHANT

bronzo, cm 15,5x42x12.5

sulla base: firmato "R. Bugatti", timbro della fonderia "Cire Perdue A.A. Hébrard"

 

PETITE PANTHÈRE MARCHANT

bronze, 15.5x42x12.5 cm

on the basement: signed "R. Bugatti", stamped "Cire Perdue A.A. Hébrard"

 

Provenienza

Galerie Alain Lesieutre, Paris

Collezione privata

 

Bibliografia

J.C. Des Cordes, V. Fromanger Des Cordes, Rembrandt Bugatti. Catalogue Raisonné, Paris 1987, p. 44

Bugatti, catalogo della mostra (The Cleveland Museum of Art, Cleveland, 18 luglio - 19 settembre 1999) a cura di H.H. Hawley, V. Fromanger Des Corder, M. Mishne, Cleveland 1999, p. 47 n. 48

E. Horswell, Rembrandt Bugatti une vie pour la sculpture, London 2004, p. 17

V. Fromanger, Rembrandt Bugatti sculpteur, répertoire monographique, Paris 2009, pp. 41, 263, n. 69

V. Fromanger, Rembrandt Bugatti sculpteur, répertoire monographique, Paris 2016, n. 120

 

Opera dichiarata di interesse storico artistico particolarmente importante dalla Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio, Varese il 28 febbraio 2013.

 

Figlio di Carlo, famoso produttore di mobili, e fratello di Ettore, rinomato costruttore di automobili, Rembrandt Bugatti è senza dubbio uno degli scultori animalisti italiani più noti nell’ambito del panorama artistico internazionale. Morto suicida a soli 32 anni, Bugatti, allievo di Paolo Troubetzkoy, fu un artista singolare, colto e, seppur mai identificatosi pienamente con l’avanguardia coeva, profondamente al passo con le problematiche artistiche e sintonizzato con le istanze estetiche e di gusto del suo tempo. La sua inclinazione verso le tematiche animaliste, pur derivata da riflessioni morali e sentimentali, si inserisce in un filone molto specialistico della scultura di inizio Novecento. Fondamentali per il suo percorso animalista furono i soggiorni giovanili a Parigi nel 1902, dove frequentò con costanza il Jardin des Plantes e, dal 1905, collaborò con il noto fonditore Hébrard per la realizzazione delle proprie opere in bronzo, e ad Anversa nel 1907, invitato della locale Società Reale di Zoologia, lavorando dal vero all’Antwerp Zoo.

Bugatti fu esperto conoscitore di tutte le particolarità anatomiche della fauna rappresentata, prim’ancora che per uno scrupolo scientifico o veristico, per quei minuti e precisi dettagli che, a suo dire, segnavano l’intima natura dell’animale. All’interno del suo vasto repertorio figurativo, le belve feroci ricoprirono una posizione di particolare rilievo, figlia del profondo fascino che queste esercitarono su di lui. Testimonianza di quanto detto è la nostra pantera in bronzo a cera persa, colta nel pieno della sua marcia. Già in queste sue opere giovanili lo stile di Bugatti è inconfondibile, giocato sull’utilizzo di una linea disegnativa straordinariamente moderna e derivato dall’indagine attenta e minuziosa sull’anatomia del felino. Pur senza trascurare la raffinatezza e l’eleganza nell’esecuzione, le forme dell’animale, anche in formati piuttosto ridotti come questo in esame, a cui l’artista fu particolarmente avvezzo, sono modellate in maniera pastosa, ma rapida e a tratti abbozzata, nel tentativo di ricreare l’impressione di movimento del soggetto, ricreato secondo il suo naturale andamento cadenzato e a passo felpato.

Oltre alla nostra scultura, recante numero di tiratura 4, allo stato attuale degli studi sono noti altri quattro esemplari dell’opera nello stesso formato ridotto – una delle quali è attualmente conservata nelle collezioni del Cleveland Museum of Art –, mentre è assai più nutrita la produzione di pantere in dimensioni maggiori, nella quale si iscrive anche il noto bozzetto in gesso conservato oggi al Musée d’Orsay di Parigi.

 

F. M.

 

 

Stima   € 90.000 / 150.000
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 13  di 13