DAL RINASCIMENTO AL PRIMO 900. PERCORSO ATTRAVERSO CINQUE SECOLI DI PITTURA

2 FEBBRAIO 2021

DAL RINASCIMENTO AL PRIMO 900. PERCORSO ATTRAVERSO CINQUE SECOLI DI PITTURA

Asta, 1013
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo


Esposizione

FIRENZE
Venerdì      29 gennaio    10-18
Sabato       30 gennaio    10-18
Domenica   31 gennaio    10-18
Lunedì        1 febbraio     10-18

In relazione all’evoluzione dell’emergenza sanitaria in corso, l’accesso all’esposizione e alla sala d’asta potrà essere limitato ad un numero massimo di clienti. Per questo motivo vi consigliamo di prendere un appuntamento.

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Stima   3000 € - 45000 €

Tutte le categorie

1 - 19  di 19
51

Pietro Benvenuti

(Arezzo 1769 - Firenze 1844)

RITRATTO DI GIROLAMO BONAPARTE

olio su tela, cm 52,5x45

 

PORTRAIT OF GIROLAMO BONAPARTE

oil on canvas, 52.5x45 cm

 

L'opera è corredata da expertise di Liletta Fornasari.

 

Nel 1781 a Firenze viene istituita l'Accademia di Belle Arti e uno dei primi allievi ammessi a seguirvi le lezioni è il giovanissimo e talentuoso Pietro Benvenuti. Dopo aver vinto tutti i premi previsti dall’ateneo fiorentino, il pittore aretino conclude gli studi a Roma, dove affina la sua pittura e l’abilità nel disegno preparatorio grazie alla copia dei capolavori di arte antica di cui idealizza i canoni estetici della pura bellezza.

Nel 1804 l’artista aretino torna a Firenze per ricoprire il prestigioso ruolo di direttore dell’Accademia di Belle Arti, quattro anni dopo, Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte, diviene granduchessa di Toscana e nomina Benvenuti pittore di corte con l’incarico, che coprirà a vita, di ritrarre i personaggi che vi soggiornano. Questi importanti ruoli gli fruttano numerose commissioni non solo di soggetti sacri e storici, ma anche di ritratti della nobiltà, dipinti secondo il gusto neoclassico. Il suo rigoroso modo di lavorare secondo le regole provenienti dai pittori classici richiede una grande attenzione nella preparazione del dipinto con una resa elevata del dettaglio delle figure raggiunta grazie all’alta competenza disegnativa e ad un abile utilizzo del chiaroscuro. Solo in un secondo tempo l’artista si dedica alla stesura del colore, incentrando l’attenzione sugli effigiati, senza curare eccessivamente lo sfondo. Nel nostro caso ci troviamo davanti alla scelta di utilizzare, secondo il modello del ritratto napoleonico in auge nei primi anni dell’Ottocento, una tenda di tessuto scuro e oscurante che copre in parte lo scorcio sulla piazza del Duomo di Firenze. Un escamotage che riprende in parte quello già usato nel 1809 da Benvenuti per effigiare Elisa Bonaparte e la figlia Napoleona Elisa (Fontainbleau, Musée National du Château). Vestite con abiti sontuosi le due figure sono raffigurate in piedi in un interno ampio e arredato elegantemente dalla cui finestra si vede la bellezza della piazza fiorentina.

Nel caso del nostro dipinto, l’effigiato è Girolamo Bonaparte, erroneamente indicato su un cartellino collocato sul retro della tela con il nome del figlio, Girolamo Napoleone. Si tratta invece del ritratto dell’ultimo fratello di Napoleone, nato nel 1784 ed esule a Firenze nel 1840 dove si sposa con la marchesa Giustina Pericoli. L’uomo è visto di fronte e osserva lo spettatore con occhi assorti. La sua mano destra è quasi del tutto nascosta nella giacca scura la cui austerità è in contrasto con il candore della camicia e del foulard di pizzo legato intorno al collo. La presenza di Girolamo Bonaparte nella città fiorentina fa supporre che il dipinto risalga a quell’anno, quando Benvenuti, ancora molto attivo, si occupa da tempo anche di ritratti maggiormente accostabili ad accezioni romantiche. In questo caso, tuttavia, egli sceglie un’impostazione neoclassica lasciando un suggestivo spiraglio sulla destra che si apre sulle colline fiorentine, su Santa Maria del Fiore con la facciata ancora in mattoni dominata dalla maestosità della cupola di Brunelleschi e sul campanile di Giotto, tra i più elevati esempi di architettura italiana realizzati tra il Trecento e il Quattrocento.

Stima   € 7.000 / 10.000
52

Francesco Hayez

(Venezia 1791 - Milano 1882)

ODALISCA

olio su tela, cm 60x52

 

ODALISQUE

oil on canvas, 60x52 cm

 

L'opera è corredata da expertise del professor Fernando Mazzocca.

 

Una giovane, dallo sguardo intento ad osservare, con espressione assorta, qualcosa fuori campo, nuda nella parte superiore del corpo, è ritratta all'aperto, con il gomito sinistro appoggiato a una roccia, in un ambiente naturale tra alberi, fronde e un cielo azzurro abilmente accennati sulla tela in una ricerca pittorica compiuta dal vero. Il soggetto femminile, coperto nelle intime nudità da un tessuto bianco di cui si intravede solo una parte alla base del quadro, porta la mano al mento, accentuando, con questa posa, l’aspetto di meditazione che rimanda ai soggetti biblici di Rebecca e Ruth, tra i temi prediletti dall’autore del dipinto, Francesco Hayez.

Il celebre artista, veneziano di nascita, ma milanese di adozione, nel corso della sua lunga e fiorente carriera ha saputo incarnare meglio di qualunque altro suo collega gli ideali primari della pittura romantica, a partire dal noto Pietro Rossi, apparso alla mostra indetta dall'Accademia di Brera nel 1820. La scelta di dedicarsi a un soggetto storico-medievale, realizzato con degli accorgimenti cromatici idonei a rafforzare il coinvolgimento emotivo riguardo la drammaticità della scena raffigurata, suscitò all'epoca un certo scalpore che di certo non frenò il giovane pittore.

Tra i vari temi trattati nella ricca e felice produzione artistica di Hayez, c'è quello delle odalische, che costituisce il filone principale del suo repertorio orientalista. La lunga serie di odalische, iniziata nel 1838, si interrompe dopo il 1839 per essere ripresa tra il 1860 e il 1867, quando il pittore, libero dall'insegnamento in accademia e da impegni istituzionali, si dedica con maggior scioltezza al nudo femminile studiato anche dal vero. Un tema, questo, inizialmente ispirato dalla Grande Odalisca di Jean-Auguste-Dominique Ingres, dipinta a Roma nel 1814, e sviluppatosi nel corso degli anni da Hayez ritraendo sensuali giovani donne spesso effigiate in interni. E' il caso di due tele di fine anni Sessanta appartenenti alle collezioni dell'Accademia di Brera, Odalisca che legge e la coeva Odalisca nel sonno, la grande tela presentata a Brera nel 1867 e descritta da Camillo Boito sul "Politecnico" di quell’anno come un soggetto dal "casto e misurato disegno" in cui si apprezza, rispetto a quello trattato da Ingres, una maggior vivacità nelle scelte cromatiche del cuscino di stoffa gialla, del drappo azzurro e del turbante violaceo.

L'Odalisca qui presentata, mostra delle analogie significative con Odalisca nel sonno, a partire dalle sembianze della modella, i capelli celati sotto un turbante colorato, il busto nudo, lo sguardo volutamente non rivolto verso lo spettatore, il profilo del corpo dalle carni chiare e morbide che ben delimita il contorno con lo sfondo. Da apprezzare, la realizzazione del turbante che mostra l'abilità pittorica nella resa del tessuto e nella definizione plastica delle pieghe della stoffa. Grazie alla posizione della testa, inclinata in avanti, il copricapo, dipinto con cromie calde e discrete, si colloca in primissimo piano, quasi in un voluto gioco di contrasti con le zone suadenti occupate dal corpo nudo.

 

E.S.

 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
53

Donato Barcaglia

(Pavia 1849 - Roma 1930)

AMORE ACCECA

marmo, alt. cm 118, su base in marmo, alt. cm 37,5

firmato e iscritto "Milano"

 

LOVE BLINDS

marble, h. 118 cm, on a marble base, h. 37,5 cm

signed and inscribed "Milano"

 

All’Esposizione Nazionale di Belle Arti allestita presso il Palazzo del Senato di Milano nel 1881, lo scultore pavese Donato Barcaglia si presentava con tre opere tra cui La Primavera, un gruppo in marmo in cui la figura principale, la Primavera, appunto, sbadiglia e si stira al risveglio del lungo letargo invernale mentre la Bellezza, sognante, dorme ancora e Amore, alle sue spalle, cerca invano di svegliarla. Tre anni dopo, alla seguente edizione espositiva nazionale tenutasi, questa volta, a Torino, Barcaglia è presente con Amore acceca, un altro gruppo in marmo similare, dove vediamo l’angioletto svolazzante intento a tenere chiuse, con le sue manine paffute, le palpebre della fanciulla ritratta in piedi. I biografi di Barcaglia riportano la notizia di una prima versione di Amore acceca premiata nel 1875 con medaglia d’oro all’esposizione fiorentina, mentre le indicazioni riportate nel regolamento della mostra del 1884 ci permettono di escludere che l’opera esposta in quella circostanza fosse già stata presentata ad altre esposizioni nazionali e che fosse stata realizzata prima di un decennio dall’apertura della rassegna torinese. Precisazioni necessarie, ai fini di una datazione del marmo, visto che Barcaglia era solito compiere diverse repliche delle sue opere meglio riuscite e questo soggetto sicuramente è uno di quelli, tanto da essere scelto anche per l’Esposizione Nazionale organizzata a Milano nel 1906 in occasione delle celebrazioni per il valico del Sempione (Sala XXX, n. 12) senza nemmeno essere sottoposto, per l’accettazione, al giudizio della Commissione d’ordinamento.

L’abilità di Barcaglia nell’attività scultorea era emersa già nel 1868 quando, giovanissimo, ottenne, da parte della Società per le Belle Arti di Milano, l’acquisto, per 1.800 lire, una cifra ragguardevole per quell’epoca, del marmo Ritorno dalla vendemmia estratto a sorte, come da regolamento, tra gli associati e vinto dal re Vittorio Emanuele II che lo fece collocare nelle sale del Palazzo Reale di quella città. Questo fatto agevolò sicuramente l’artista nella sua affermazione sul mercato ambrosiano. In effetti per Barcaglia ebbe inizio una strabiliante carriera grazie alle sue doti nel lavorare il marmo levigandolo alla perfezione e arricchendolo con dettagli di grande finezza, come, nel nostro caso, l’elegante bouquet floreale ai piedi della figura femminile che segue sinuosamente l’andamento della gamba flessa.

A differenza di alcuni suoi coetanei vicini all’ambiente scapigliato milanese che ricercavano un plasticismo innovativo con la sfaldatura dei contorni e delle superfici scultoree, Barcaglia rimase legato ai caratteri monumentali e celebrativi della scultura più convenzionale arricchita da una leggera ironia tanto apprezzata dalla committenza raggiungendo, con la sua inventiva e con la sua abilità tecnica, risultati impeccabili.

 

E.S.

 

Stima   € 45.000 / 55.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
54

Francesco Paolo Michetti

(Tocco da Casauria 1851 - Francavilla al Mare 1929)

RITORNO DALL'ERBAGGIO

olio su tela, cm 54x79,5

firmato e datato "1871" in basso a destra

 

THE RETURN FROM THE HERBAGE

oil on canvas, 54x79.5 cm

signed and dated "1871" lower right

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

 

Nel 1871, iscritto da qualche anno all'Istituto di Belle Arti di Napoli dove frequenta la scuola di Domenico Morelli grazie ad un sussidio riconosciutogli dal consiglio provinciale di Chieti, Michetti ottiene un permesso per tornare in Abruzzo per qualche mese e per dedicarsi a degli studi dal vero. In questo frangente nasce questo dipinto con una pastorella e un gruppo di tacchini al seguito. La ragazza, ritratta in piedi quasi al centro della tela, si staglia contro un cielo luminoso e terso nella parte alta, in contrasto con la zona sottostante, delimitata da un nuvolame che sembra essere stato tracciato con pennellate circolari sempre più affievolite verso destra. La zona della vegetazione risulta più pacata nelle cromie in parte ravvivate da un'area acquitrinosa sulla sinistra. Ai piedi della giovane, vestita con abiti tradizionali e con la lunga gonna nera arricchita da decorazioni dorate sui bordi, ci sono dei tacchini che la ragazza, con espressione assorta e quasi svogliata, accompagna nel loro cammino servendosi di un lungo bastone. Tutto intorno il silenzio, gli ampi spazi, la luce della natura d'Abruzzo, la terra a cui Michetti rimane legato anche dopo le esperienze di Napoli e di Parigi, la città in cui si reca per la prima volta proprio nel 1871. Siamo in un momento significativo per la sua formazione artistica: nella sua pittura piacevole e immediata di abile colorista e disegnatore iniziano infatti a prendere forma quegli elementi principali che caratterizzeranno la sua produzione. La frequentazione a Napoli di Giuseppe De Nittis e di Marco De Gregorio e le visite allo studio di Filippo Palizzi contribuiscono a rafforzare in Michetti l'inclinazione naturale verso una pittura dedicata a pastori e animali in ambientazioni fortemente realistiche.

Grazie alla vendita di una serie di opere ai fratelli Paolo e Beniamino Rotondo, raffinati collezionisti napoletani e tra i primi estimatori di Michetti, e all'intermediazione di De Nittis, trasferitosi da qualche anno a Parigi, l'artista abruzzese riesce, sempre nel 1871, a stipulare un contratto con il mercante d'arte tedesco Friedrich Reitlinger, accordo che prevede un mensile di 200 lire e che gli avrebbe assicurato la partecipazione agli ambitissimi salons parigini. Ed è proprio al Salon del 1872 che Michetti debutta con due quadri, Le sommeil de l'innocence e Retour du potager (Ritorno dall'orto) che dal titolo, indicato da Tomaso Sillani, autore della principale monografia di Michetti, come Ritorno dall'erbaggio (T. Sillani, Francesco Paolo Michetti, 1932, p. 157), sembra attendibile trattarsi di un'opera vicina al tema raffigurato nel nostro dipinto. Anche le dimensioni, la cornice originale di Ritorno dall'erbaggio tipica delle esposizioni francesi, il soggetto e l'anno di realizzazione portano ad avvalorare, in effetti, un'attinenza con Retour du potager, da alcuni studiosi identificato con Retour du paturage (Ritorno dal pascolo), il quadro che troviamo registrato con questa dicitura negli elenchi provenienti dagli archivi della Maison Goupil, (libro quinto, opera n. 6601, p. 237), appartenente a Reitlinger e ceduto, il 30 maggio 1872, al mercante francese che, fortemente interessato alla pittura michettiana, era desideroso di accogliere nella sua prestigiosa "scuderia" internazionale anche l'artista abruzzese.

La datazione di questo dipinto (1871) ci porta inconfutabilmente a Parigi quando il Michetti è in contatto prima con Reitlinger e successivamente, per intercessione di De Nittis, entra a far parte dei pittori della Maison Goupil.

 

E.S.

 

 

Stima   € 35.000 / 45.000
55

Armando Spadini

(Firenze 1883 - Roma 1925)

LA BAMBINA E IL CANE

olio su tela, cm 82,5x70,5

firmato e datato "913" in basso a destra

retro: timbro della Galleria Sacerdoti di Milano, timbro della Galleria Gian Ferrari di Milano, cartiglio della Mostra Celebrativa di Armando Spadini del 1946

 

THE GIRL AND THE DOG

oil on canvas, 82.5x70.5 cm

signed and dated "913" lower right

on the reverse: stamp of the Galleria Sacerdoti in Milan, stamp of the Galleria Gian Ferrari in Milan, label of the Mostra Celebrativa di Armando Spadini, 1946

 

Provenienza

Federico Ghiron, Roma

Galleria d'Arte Sacerdoti, Milano

Collezione privata, Varese

 

Esposizioni

Mostra Celebrativa di Armando Spadini, Milano, Galleria Gian Ferrari, 30 marzo - 13 aprile 1946, n. 10

 

Bibliografia

A. Venturi, E. Cecchi, Armando Spadini, Milano 1927, p. XLVIII n. 170, tav. LXXI

Spadini nella vita e nelle opere, catalogo della mostra (Galleria Gian Ferrari, Milano) a cura di L. Borgese, O. Vergani, Milano 1946, tav. XI

 

Artista dal temperamento felice, fortemente legato all'intimità familiare, nel 1908 Armando Spadini sposa Pasqualina Cervone, allieva di Giovanni Fattori all'Accademia di Belle Arti di Firenze, e sua modella prediletta assieme ai figli Anna, Andrea, Maria, nati tra il 1910 e il 1914 a distanza di due anni l'uno dall'altro, e a Lillo, arrivato nel 1920. Un esempio ne è La bambina con il cane, dipinto del 1913, in cui il pittore dedica a un momento di intimità alla piccola Anna ritratta mentre, seduta per terra in uno spazio all'aperto, osserva un volpino. Alle spalle della bambina, alcune piante dalle foglie rigogliose, cariche di verde intenso, fanno da sfondo a un ambiente poco identificabile, ma non è quello l'elemento importante per il pittore. L'attenzione di Spadini riguarda la figlia e la sua titubanza curiosa verso l'animale che osserva inizialmente quasi con ritrosia. Non sappiamo se successivamente la mano della bimba, al momento appoggiata sulla gamba, si protrarrà verso il cane per accarezzare il pelo fulvo. Tra sé e il mondo reale, Spadini non interpone alcuno schermo intellettualistico, retorico o sentimentalistico. Le tinte cariche di luce sono stese con impasto ricco, grasso, adatto ad ampie superfici.

Indicato di proprietà Federico Ghiron di Roma nel volume di Emilio Cecchi e Adolfo Venturi dedicato ad Armando Spadini, prima catalogazione dell'opera del pittore risalente al 1927, il quadro appare nel 1946 alla mostra celebrativa dell’autore fiorentino allestita da Ettore Gian Ferrari nella sua galleria di via Clerici a Milano. Il catalogo edito per la circostanza ambrosiana, a cura di Leonardo Borgese e di Orio Vergani, riporta la provenienza della tela da casa Ghiglione. Tra i principali sostenitori della pittura di Spadini, l'avvocato Ghiglione aveva in collezione, assieme ad altri dipinti di tematiche diverse, un soggetto simile, Maria con il gatto, del 1916, un ritratto caratterizzato dallo sfondo floreale maggiormente stilizzato che mostra la bambina con in braccio l'animale bianco e neroraffigurata con la solita dolcezza con cui il padre volge lo sguardo carico d'amore verso i suoi figli, tutti e quattro chiamati nel corso degli anni, a prestarsi da modelli nelle sue opere. Come ben scrive Venturi nel libro su Spadini già citato, "Umidi fiori terrestri, i bambini brillano nei suoi quadri sorpresi nello scatto delle mosse incomposte o nella grazia della riflessione: i colori stessi son creati per loro, i colori armoniosi, tenui e ridenti, che han la luce e la vaga iridescenza della madreperla (...) e il capolavoro s'incide nella nostra memoria, inobliabile".

 

E.S.

 

 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
59

Francesco Lojacono

(Palermo 1838 - 1915)

VEDUTA DI PALERMO

olio su tela, cm 56x98

firmato in basso a destra

 

A VIEW OF PALERMO

oil on canvas, 56x98 cm

signed lower right

 

Francesco Lojacono, paesaggista siciliano tra i più apprezzati del panorama pittorico italiano, apprende il mestiere dal padre Luigi e, grazie a una pensione governativa, si reca da Nicola Palizzi rimanendo affascinato dal naturalismo napoletano. Con la rivoluzione portata al Sud da Garibaldi, lascia la pittura per combattere, tornando poi, con successo, ai pennelli. I suoi paesaggi entrano in diverse pinacoteche cittadine e case reali europee.

Con una pittura pulita e luminosa, sempre piacevole per il suo equilibrio, indaga i paesaggi di Palermo e dintorni, come nel caso di questa veduta che spazia tra terra e mare fino al Monte Pellegrino sullo sfondo, lasciandoci una suggestiva testimonianza della città di secondo Ottocento. Nel dipinto dall'ampio taglio panoramico, l'artista sceglie di posizionarsi in un punto sopraelevato rispetto alla piana palermitana, accentuando, così, l'effetto prospettico.

Di questo soggetto, compiuto da Lojacono dando le spalle alla villa San Marco alle pendici del Monte Catalfano, si conosce una versione similare, risalente alla metà degli anni Sessanta, firmata "F. Lojacono fece" (Francesco Lojacono, catalogo della mostra (Palermo, ex convento di Sant’Anna, 1 ottobre 2005 - 8 gennaio 2006) a cura di G. Barbera, Cinisello Balsamo 2005, n. 58, p. 224) e dipinta proprio dalla terrazza di quell'edificio settecentesco. Nel nostro caso, invece della balaustra di pietra chiara, illuminata dal sole, abbiamo un primo piano di vegetazione e di pietre in penombra che fanno risaltare la luminosità di cui è inondato il resto del paesaggio nella diffusa chiarezza di un cielo limpido.

Stima   € 18.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
60

Antonino Leto

(Monreale 1844 - Capri 1913)

STRADA DI PAESE CON CONTADINA

olio su tela, cm 41x52

firmato in basso a destra

 

VILLAGE STREET WITH A PEASANT GIRL

oil on canvas, 41x52 cm

signed lower right

 

Una contadina, con il raccolto della giornata, avanza lungo una strada di paese con aria sicura. Ritratta nel suo costume tradizionale, controlla con una sola mano il cesto traboccante che tiene in testa. Le cupole delle case rurali alle sue spalle fanno collocare il dipinto a Capri, isola molto amata da Antonino Leto, dove il pittore siciliano si stabilisce dal 1882 dopo aver peregrinato per varie città italiane ed estere.

Fin dai suoi primi studi a Palermo egli si lega alla pittura di paesaggio grazie agli insegnamenti di Luigi Lojacono, presso di cui conosce il figlio Francesco, reduce da Napoli e affascinato dalle novità apprese alla scuola dei fratelli Palizzi. Colpito dal naturalismo napoletano, anche Leto, a vent'anni, parte per la città partenopea e rimane attratto dalla libertà nel rendere il paesaggio reale, caratteristica della pittura di De Nittis, De Gregorio e Rossano della scuola di Resina. La sua vita lo porta anche a Roma, Firenze, Parigi, Londra, dove riesce a ottenere contratti importanti con personaggi del calibro di Adolphe Goupil, mentre a Palermo trova appoggio da Ignazio Florio, ma è a Capri che egli ritrova l'ispirazione più intima. Sull'isola lavora con passione al paesaggio marino con una tecnica sobria ed equilibrata arricchita dalle sue innate qualità di colorista.

Stima   € 5.000 / 7.000
Aggiudicazione  Registrazione
61
Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
62

Giuseppe Barbaglia

(Milano 1841 - Vedano al Lambra 1910)

UNA PARTITA ALLA MORRA

olio su tela, cm 85,5x131

firmato in basso a sinistra

 

A GAME OF MORRA

oil on canvas, 85.5x131 cm

signed lower left

 

Esposizioni

Esposizione delle opere di Belle Arti, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, 1869, n.77

XXIX Esposizione, Palazzo della Società Promotrice delle Belle Arti, Torino, 1870, Sala 5, n. 245

 

Bibliografia

Esposizione delle opere di Belle Arti nelle gallerie del palazzo nazionale di Brera nell’anno 1869, Milano 1869, p. 13

F. Filippi, Esposizione di belle Arti nel palazzo di Brera II, in “La Perseveranza”, a. XI, n. 3540, 19 settembre 1869

S. Mazza, Esposizione di belle Arti nel palazzo di Brera II. Del metodo d’impronto. Altri generi ed altri pittori di figura, in “La Lombardia”, a. X, n. 267, 28 settembre 1869

Catalogo degli oggetti d’arte ammessi alla XXIX Esposizione, Torino 1870, p. 15

R. Stella, La pittura lombarda del secondo Ottocento. Itinerario artistico di Giuseppe Barbaglia, Mozzate 1993, pp. 22, 41

E. Chiodini, in Dipinti del secolo XIX, 2012, pp. 10-11

L’Ottocento tra poesia rurale e realtà urbana, un mondo in trasformazione, catalogo della mostra (Rancate, Mendrisio, 13 ottobre 2013 – 12 gennaio 2014), a cura di G. Anzani, E. Chiodini, Milano 2013, p. 83

Ottocento. Catalogo dell’arte italiana dell’800, n. 41, Milano 2012, tav. a colori

 

Il dipinto in oggetto, comparso recentemente dopo quasi centocinquant'anni dalla sua ultima apparizione a un'esposizione pubblica, è identificabile con la tela dal titolo Una partita alla morra inviata da Giuseppe Barbaglia alla mostra di Belle Arti di Brera del 1869. In quell'occasione il dipinto è stato oggetto di un'attenta lettura critica da parte di Salvatore Mazza, il quale, recensendo la rassegna milanese dalle colonne de "La Lombardia", si è soffermato lungamente sulla descrizione dell'opera di Barbaglia consentendo di identificare con certezza la nostra tela, peraltro non datata, proprio con quel dipinto. "In Una partita alla morra — osserva Mazza — si vedono alcuni giocatori in giro a una tavolaccia, nell'atto interessante di questo esercizio eminentemente italiano.

Di qua un vecchio cacciatore, di là un villico scamiciato si contendono un punto interessante. Uno stalliere con il suo camiciotto turchino ed una donna li stanno osservando, mentre un altro compagno tracanna il vino guadagnato. La scena è il rustico cortile di un'osteria suburbana, dove all'ingresso si vede avanzare un cantambanco, seguito da una nidiata di curiosi ragazzi". Tutte le figure che compongono la scena, continua il critico, "sono di una squisita verità", e solo lo sfondo "è, forse, un po' troppo ad arte, buttato là con isprezzo, ma quelle arie di teste, quelle estremità, quel distacco da figura a figura sono condotti colla valentia di chi", appena terminati gli studi, "ha saputo collocarsi di slancio fra i buoni artisti" (Mazza 1869).

Identico giudizio è quello che emerge dalle parole di Filippi, il quale in Una partita alla morra nota la precoce attenzione del pittore milanese per la resa del vero, attenzione ravvisabile specialmente nella "verità di espressione, studiata e colta sul fatto, del cacciatore che gioca coi villici colla testa nelle spalle, l'occhio fisso, la mano ancora contorta dall'ultimo punto gridato, ha tutta la concentrata diffidenza del cittadino che lotta coi professori della campagna" e nel contempo osserva anch'egli uno sfondo "impiastricciato con quella fricassea di macchiette e con un paesaggio veramente scombiccherato" che avvicina il fare pittorico di Barbaglia al "sistema di Filippo Carcano" (Filippi 1869).

In effetti se il soggetto scelto dal pittore per la sua composizione colloca il dipinto nel fortunato filone della pittura di genere e mostra — specialmente nella caratterizzazione delle singole figure che animano la scena, rese con schietta impronta naturalistica e costruite plasticamente mediante larghe pennellate — un giovane artista attento agli insegnamenti del maestro Bertini e influenzato da certa pittura induniana, tuttavia è proprio quello sfondo "buttato là con isprezzo e impiastricciato" a dare una prima idea della strada che Barbaglia avrebbe intrapreso muovendosi, da lì a breve, nell'ambito delle sperimentazioni linguistiche, fossero quelle di ambito più propriamente scapigliato o, come osserva puntualmente Filippi, quelle vicine al fare pittorico di Filippo Carcano, autore che in quegli anni conduce un'attenta ricerca improntata sulla resa del vero attraverso lo studio della luce e degli effetti luminosi, documentata da lavori quali Cortile a giardino, Una lezione di ballo, Una partita a carambola, cui Barbaglia sicuramente guarda sia nell'impostare prospetticamente la composizione che nel costruire, con pennellate veloci e vibranti, il paesaggio animato dal gruppo del burattinaio e dei bimbi.

Accolto positivamente dalla critica contemporanea — critica che già l'anno precedente, quando Barbaglia aveva partecipato al concorso Mylius per la pittura di genere con Un matrimonio civile in un villaggio (cfr. Esposizione delle opere di Belle Arti 1868, n. 27, p. 6), aveva espresso giudizi favorevoli sia per la composizione che "per la scelta dei tipi oltremodo veri, tanto che pare a tutti di averli visti in ogni villaggio" (cfr. C.C. 1868a) —, Una partita alla morra è acquistato durante l'esposizione braidense dalla Società per le Belle Arti per lire 1000 (cfr. Registro manoscritto 1869) e nel febbraio del 1870 assegnato a sorte alla contessa Elisa Agliardi Caroli, di Bergamo, sorella di Pietro Agliardi, commissario dell'Accademia Carrara (cfr. Foglio manoscritto 1870). Del dipinto si perdono le tracce, fino al recente ritrovamento, a partire dall'aprile del 1870, quando il medesimo viene inviato alla Promotrice di Belle Arti di Torino, tanto è vero che Una partita alla morra, del quale era prevista la presenza alla retrospettiva di Barbaglia del 1911, non risulta esposto, verosimilmente a causa del mancato reperimento del quadro da parte della stessa Società per le Belle Arti incaricata di allestire l'esposizione negli spazi della Permanente.

Stima   € 35.000 / 40.000
Aggiudicazione  Registrazione
63

Carlo Follini

(Domodossola 1848 - Pegli 1938)

VEDUTA DELLA LAGUNA DI VENEZIA

olio su tela, cm 118x199

firmato e datato "1889" in basso a sinistra

 

VIEW OF THE VENETIAN LAGOON

oil on canvas, 118x199 cm

signed and dated "1889" lower left

 

A ventiquattro anni Carlo Follini, originario di Domodossola, si avvicina da autodidatta alla pittura di paese, passando ben presto dal dilettantismo a studi più metodici grazie alla frequentazione dell'Accademia Albertina di Torino e all'incontro con Antonio Fontanesi, suo insegnante alla scuola di paesaggio. Assiduo espositore alle principali mostre italiane e a importanti rassegne straniere, nel 1887 partecipa con dieci dipinti all'Esposizione Nazionale tenutasi a Venezia, città a cui vuole rendere omaggio due anni dopo con questa grande veduta sviluppata con il suo caratteristico linguaggio di immediata lettura.

Nell'ampio scorcio della laguna veneziana che va dalla chiesa della Salute ai moli vicini all'Arsenale passando per San Marco e la riva degli Schiavoni, Follini lascia il primo piano a una serie di imbarcazioni a vela che solcano il mare e a un intreccio di sartie che tagliano la tela in verticale. Al cielo grumoso e quasi omogeneo nelle tinte, fa da contrasto l'andatura liscia e costante dell'acqua lagunare, particolarmente quieta e raffigurata in obliquo in modo da invitare il nostro occhio a spingersi oltre le barche e ad arrivare fino allo sfondo in cui si intravedono le note architetture che hanno reso Venezia celebre in tutto il mondo.

Il dipinto si colloca nel periodo di felice produzione di marine realizzate in particolare a Nizza, Chiavari e a Viareggio, durante il quale Follini sceglie di non sottrarsi nel cimentarsi con un soggetto tanto caro a diversi pittori, veneti e non, a partire da Guglielmo Ciardi felicemente realizzato con l'utilizzo di pigmenti caldi e avvolgenti.

 

E.S.

 

 

Stima   € 8.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
64

Oscar Ghiglia

(Livorno 1876 - Firenze 1945)

NATURA MORTA CON VASO DI CALLE E LIBRO

olio su compensato, cm 40x50

firmato in basso a destra

 

STILL LIFE WITH A VASES OF CALLA LILIES AND A BOOK

oil on plywood, 40x50 cm

signed lower right

 

Provenienza

Collezione privata, Firenze

 

Nato a Livorno nel 1876, Oscar Ghiglia vi rimane fino al 1900 quando, dopo le prime esperienze di pittura da autodidatta e la frequentazione dello studio di Amedeo Modigliani con cui stringe un'importante amicizia, si trasferisce a Firenze. La città, molto vivace dal punto di vista intellettuale, offre al giovane numerose occasioni di conoscenze stimolanti. Su consiglio di Giovanni Fattori, frequenta la Scuola libera del nudo e la sua pittura, in questo primo periodo di attività, risente dell'influenza dell'anziano maestro macchiaiolo con influssi simbolisti assunti da Böcklin e dal coetaneo Costetti. Inizia un percorso di approfondimento dedicato alla ritrattistica i cui esiti vengono presentati con successo a diverse esposizioni nazionali e internazionali; nota è la sua presenza alle edizioni delle biennali veneziane del 1901 e del 1905. In quest'ultima circostanza Ghiglia ammira le opere del gruppo dei Nabis e, in particolare, di Félix Valloton, da cui apprende l'utilizzo del colore a taches cariche di pigmento racchiuse in contorni saldi e definiti che permettono l’individuazione chiara delle volumetrie degli oggetti. Superato il naturalismo tardo macchiaiolo, nel dicembre del 1908 l'artista inizia a lavorare a La toilette della signora Ojetti (conosciuta anche con il titolo Lo specchio, Galleria Moderna di Palazzo Pitti, Firenze), opera che apre la stagione delle nature morte in cui spicca il rigore con cui il pittore raffigura tutti gli oggetti raffigurati. Ghiglia osserva con attenzione estrema il vero e lo riproduce fedelmente scegliendo un'accesa policromia.

Le sue nature morte sono opere di dimensioni non troppo estese, come quella ora presentata, da cui emerge la precisione con cui vengono raffigurati gli oggetti in un'armonia di linee e di toni. Ed è proprio questa armonia che spinge il nostro sguardo a osservare con piacere ogni minimo dettaglio, dalle pieghe morbide delle calle bianche, alla copertina del libro su cui l'occhio si sofferma per cercare di leggere un titolo immaginario. Le curve dei vasi raffigurati riprendono quella del tavolo su cui sono appoggiati e pure il libro dalla rigidità di un parallelepipedo si trasforma specchiandosi nella rotondità della brocca arricchendo il gioco geometrico che coinvolge tutta la composizione.

Stima   € 18.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
65

Luigi Gioli

(San Frediano a Settimo 1854 - Firenze 1947)

MERIGGIO

olio su tela, cm 49x76

firmato in basso a sinistra

retro: cartiglio della XII Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia del 1920

 

MIDDAY

oil on canvas, 49x76 cm

signed lower left

on the reverse: label of the XII Esposizione internazionale d'arte di Venezia, 1920

 

Esposizioni

XII Esposizione Internazionale d'Arte della città di Venezia, Venezia, 1920, n. 671

 

Bibliografia

Catalogo della XII Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia, 1920, catalogo della mostra di Venezia, Roma-Milano-Venezia 1920, n. 17, p. 84.

 

Luigi Gioli nasce a San Frediano a Settimo, una frazione di Cascina, in provincia di Pisa, nel 1854, otto anni dopo il fratello Francesco ed è da lui che acquisisce l'interesse per la pittura macchiaiola a cui si avvicina, senza frequentare alcuna scuola, solo dopo aver concluso gli studi in giurisprudenza. Ben presto Luigi si distingue sulla scena espositiva nazionale e straniera con soggetti di paesaggio legati alla Toscana e al mondo degli animali, in particolare cavalli ripresi dal vero nella libertà degli spazi paludosi maremmani.

Presente fin dalla prima edizione, nel 1895, dell'Esposizione Internazionale d'Arte della città di Venezia con Novembre, un soggetto ispirato alle colline pisane, Gioli viene invitato a tutte le Biennali successive, almeno fino al 1920, anno in cui, dopo l'interruzione di sei anni, causata dal primo conflitto mondiale, tra aprile e ottobre finalmente si prosegue con la dodicesima edizione. Nella sala italiana n. 29 vengono radunate alcune opere dell'artista toscano tra cui Meriggio, qui presentato.

Il quadro, caratterizzato da quella pittura dalle tinte sobrie legata a una scrupolosa riproduzione del vero ottenuta senza ricorrere ad artifici tipica della produzione di Gioli, raffigura il momento di riposo e di refrigerio, all’ombra delle fronde degli alberi, di un gruppo di contadini, seduti per terra in un mezzo cerchio. In primo piano campeggia un bove bianco legato con una fune al tronco dell’albero, dietro a un altro bovino. I due animali e il carro rosso che si intravede sullo sfondo ricordano alcuni celebri soggetti realizzati da Giovanni Fattori, artista a cui Gioli era legato da antica amicizia e dalla passione per la pittura di macchia che l'autore, assieme ad altri postmacchiaioli, ha continuato a difendere in numerose dispute sull'arte anche nel corso dei primi decenni del nuovo secolo segnati da accese rivoluzioni artistiche.

 

E.S.

 

 

 

Stima   € 6.000 / 9.000
Aggiudicazione  Registrazione
66

Vittorio Matteo Corcos

(Livorno 1859 - Firenze 1933)

RITRATTO DI GENTILDONNA CON CARROZZINA

olio su tela, cm 97x47

firmato e datato "90" in basso a sinistra

 

PORTRAIT OF A LADY WITH A PRAM

oil on canvas, 97x47 cm

signed and dated "90" lower left

 

Una giovane passeggia lungo una strada costeggiata da piccoli alberi che si affacciano sulle colline di Firenze. Con il suo viso ovale, gli occhi intensi, il naso lungo e stretto, la ragazza ci guarda con espressione assorta. Il suo corpo è interamente coperto da un abito elegante, di stoffa grigio scura, rimane nuda solo la delicata pelle del viso. I capelli neri, raccolti dietro la nuca, sono nascosti da un cappello alla moda. Siamo nel 1890 quando Corcos, rientrato in Italia da Parigi già da qualche anno, vive a Firenze dove si è trasferito subito dopo il matrimonio con Emma Ciabatti, celebrato nel 1886 a Livorno. La fine del suo soggiorno parigino, durante il quale il pittore si era distinto come raffinato ritrattista della scuderia Goupil, non segna la cessione del contratto con la celebre Maison e questo ritratto rientra a pieno titolo in quelle tele di gusto francese dalla ricercata eleganza borghese e con quel tocco di frivolezza dato dalla carrozzina alle spalle dell’effigiata. Concentrato com’è a osservare la giovane durante sua passeggiata, l’artista sembra poco interessato al bambino, di cui accenna solo una manina libera dal tessuto bianco spumeggiante che ricopre la carrozzina. Una scelta simile verrà adottata due anni dopo nel dipinto Le istitutrici ai Campi Elisi (Palazzo Foresti, Carpi) in  cui vediamo, in primo piano, a sinistra, una bambina accucciata intenta a giocare con sabbia e formine, vestita con una cuffia bianca di pizzo calata sulla testa che cela completamente il volto.

L’abilità sviluppata da Corcos nella resa dei dettagli è certamente uno dei suoi vanti ottenuti dopo anni di attenti studi svolti prima all’Accademia di Belle Arti di Firenze e poi alla scuola napoletana di Domenico Morelli. A soli ventun anni arriva nella metropoli parigina dove lavora per Goupil dedicandosi in particolare ai ritratti femminili della borghesia cittadina. Si avvicina così a De Nittis e alla sua pittura raffinata al punto che alcune sue opere verranno attribuite all’artista barlettano. In uno dei casi più noti, il ritratto Donna con cane, già in collezione Calisto Tanzi, la tela, anch’essa ambientata all’aperto, porta persino la firma di De Nittis.

Il rientro in Italia e la frequentazione degli amici macchiaioli non discostano Corcos dal genere di ritrattistica su committenza che gli assicura un guadagno adeguato per mantenere con agio la sua famiglia. Egli ormai si è affermato come il ritrattista delle donne, della loro grazia ed eleganza, dei dettagli, anche minimi, descritti con una precisione quasi maniacale, che raggiungono degli apici sorprendenti nella resa dei tessuti. Spesso però ama lasciare nei suoi quadri lo spazio per un’indagine paesaggistica come in questo piacevole sfondo, illuminato dai raggi solari, che prende vita gettando l’occhio oltre la fila regolare di alberi cresciuti lungo il vialetto. Si tratta di una descrizione naturalistica delle colline di Fiesole che richiama quella raffigurata da Corcos tre anni prima in un altro ritratto femminile, grande al vero, proveniente dalla collezione di Gaspare Gussoni e presentato alla Biennale di Venezia nel 1934 nell’ambito della Mostra Internazionale del Ritratto dell’Ottocento. In quel caso la figura femminile è colta nell’atrio di un palazzo, qui invece l’ambiente all’aperto della periferia cittadina avvolge completamente la giovane effigiata.

 

E.S.

 

 

 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
68

Armando Spadini

(Firenze 1883 - Roma 1925)

BIANCHERIA AL SOLE

olio su tela, cm 78x84

retro: cartiglio della Galleria dell'Arte di Milano, timbro della Galleria Giordani di Bologna, timbro della Galleria Gian Ferrari di Milano, cartiglio della Mostra Celebrativa di Armando Spadini del 1946, cartiglio della Mostra Celebrativa di A. Spadini nel venticinquennio della morte del 1950, cartiglio della mostra Armando Spadini del 1983-1984, cartiglio della  Galleria ...Sani di via Santo Stefano a Bologna

 

LINEN IN THE SUN

oil on canvas, 78x84 cm

on the reverse: label of the Galleria dell'Arte in Milan, stamp of the Galleria Giordani in Bologna, stamp of the Galleria Gian Ferrari in Milan, label of the Mostra Celebrativa di Armando Spadini, 1946, label of the Mostra Celebrativa di A. Spadini nel venticinquennio della morte, 1950, label of the exhibition Armando Spadini, 1983-1984, label of the Galleria ...Sani in via Santo Stefano in Bologna

 

Provenienza

Collezione Giulio Cesare Ghiglione, Milano

Collezione privata, Bologna

Collezione privata, Varese

 

Esposizioni

Galleria Bardi, Milano, 1928 (da Emporium)

Galleria dell'Arte, Milano, 1933 (da cartiglio)

Mostra Celebrativa di Armando Spadini, Milano, Galleria Gian Ferrari, 30 marzo - 13 aprile 1946, n. 16

Mostra Celebrativa di A. Spadini nel venticinquennio della morte, 1883-1925, Genova, Galleria Rotta, dicembre 1950, n. 21

Spadini, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, 24 novembre 1983 - 22 gennaio 1984, n. 52

 

Bibliografia

E. Cecchi, A. Venturi, Armando Spadini, Milano 1927, p. LVII n. 316, tav. CXXVII (data acquisto 1918)

R. Giolli, Cronache milanesi, in “Emporium”, LXVIII, 1928, n. 408, p. 383, ill.

Spadini nella vita e nelle opere, catalogo della mostra (Galleria Gian Ferrari, Milano) a cura di L. Borgese, O. Vergani, Milano 1946, tav. XVII

Spadini, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, 24 novembre 1983 - 22 gennaio 1984) a cura di P. Rosazza Ferraris, L. Titonel, Milano 1983, p. 71 n. 52

 

Quando nella primavera del 1910 Armando Spadini lascia Firenze, la sua città natale, per spostarsi a Roma, l'impatto inizialmente è molto duro. Il compenso previsto dal pensionato artistico vinto in quell'anno è insufficiente per lui e per la moglie, e l'ambiente romano non gli sembra stimolante come quello della sua città di origine. Poco per volta, però, il suo animo si rasserena lasciando spazio a quell'armonia e letizia che contraddistinguono la sua pittura.

Già affascinato dalla produzione toscana quattrocentesca e dalle cromie luminose di Tiziano, a Roma Spadini trova numerosi nuovi stimoli avvicinandosi alla produzione artistica legata alla tradizione rinascimentale e al realismo caravaggesco. La sua capacità di interpretare il presente mescolando suggestioni del mondo pittorico passato è unica. Il suo nome è già noto quando, nel 1916, si trasferisce con la famiglia nella casa di via Emilio del Cavaliere, ai Parioli, quartiere a quell'epoca in grande espansione. Con il suo estro creativo stupefacente e con quella spontanea virtù che si traduce in una pittura luminosa e in un'amorosa intimità d'invenzione, si dedica a diverse vedute di via Paisiello dominate da un grande edificio color rosa, un antico monastero, dove, dal 1904, vive Giacomo Balla.  La necessità di cercare la natura e di immergersi nei suoi spazi e nelle sue tinte, Spadini la soddisfa a un passo da casa, orientando lo sguardo verso il Parco di Villa Borghese, spesso protagonista delle sue vedute all'aperto. Nei vari dipinti eseguiti dalla sua finestra, egli segue la mutazione del paesaggio, della vegetazione di orti e giardini e dei palazzi in costruzione. In questa versione, caratterizzata dalle tonalità morbide delle tinte delle case, del terreno, di nuvole e lenzuola svolazzanti, in contrasto con il verde intenso della flora rigogliosa, il pittore raffigura tre donne impegnate a stendere la biancheria al sole.

La tela, presente nelle principali pubblicazioni dedicate all'artista, proviene dalla collezione dell'avvocato Ghiglione, tra i primisostenitori di Spadini, ed è stata esposta più volte a Milano, a partire dalla mostra che la Galleria Bardi, appena inaugurata in via Brera, ha dedicato a Spadini nel 1928, contribuendo all'affermazione del pittore anche nel capoluogo lombardo. La prima versione di questo soggetto, proveniente dalla raccolta di Emanuele Fiano, altro noto mecenate dell'artista fiorentino, risale, secondo Emilio Cecchi, sempre al 1918, ed è stata compiuta quando il fogliame dell'orto di fronte a casa Spadini era così fitto e folto da coprire il paesaggio urbano, lasciando in vista solo la piccola costruzione sulla sinistra.

 

E.S.

 

 

Stima   € 15.000 / 20.000
69

Oscar Ghiglia

(Livorno 1876 - Firenze 1945)

MAGNOLIE

olio su compensato, cm 33,5x33

firmato in alto a sinistra

 

MAGNOLIAS

oil on plywood, 33x33.5 cm

signed upper left

 

Provenienza

Collezione privata, Firenze

 

Su una superficie coperta da una stoffa purpurea con alcune pieghe che movimentano il piano d’appoggio, vi è adagiato un ramo di magnolie. La brocca con l'ampio manico semicircolare rimane inutilizzata sullo sfondo ed è posta davanti a una parete della stessa tonalità del drappo. La scelta monocromatica che definisce i contorni, identificabili, del contesto in cui è ambientata questa natura morta pone in risalto la bellezza del ramo fiorito, le ampie e lucide foglie dalla consistenza robusta in contrasto con la delicatezza dei petali bianchi. La pennellata, densa e meditata, è stesa in modo uniforme così da riempire tutta la superficie pittorica.

L'opera è un esempio di bravura e di abilità raggiunte dal suo autore, Oscar Ghiglia, pittore livornese fortemente legato a Firenze, città in cui si trasferisce a ventiquattro anni rimanendovi per tutta la vita. Persona di origini molto umili, schiva, orgogliosa, l'artista labronico si avvicina al genere della natura morta verso il 1909 con il desiderio di descrivere puntualmente ciò che costituisce il soggetto raffigurato. Nella pittura di Ghiglia non c'è spazio per l'astrazione o per la fantasia. Egli guarda, studia, tocca gli oggetti per riuscire a definire le forme, le luci e i riflessi da riportare sulla tela. Niente è approssimativo o casuale, tutto è definito e descritto con amore e con cura. Il quadro appare equilibrato, le forme sono vive e collocate in un ambiente ordinato, che ha un senso e gode di un'armonia di pigmenti che accresce la piacevolezza della vista.

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
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