Arte Moderna e Contemporanea

10 GIUGNO 2019

Arte Moderna e Contemporanea

Asta, 0304
MILANO
Centro Svizzero
via Palestro, 2
ore 16:00
Esposizione
MILANO
6 - 9 giugno ore 10-19

Contatti
Tel: +39 055 2340888
E-mail: artecontemporanea@pandolfini.it
info@pandolfini.it

Per informazioni e commissioni scritte e telefoniche
dal 6 all' 11 giugno
Centro Svizzero
Tel. +39 02 76320327
Tel. + 39 02 76320328
artecontemporanea@pandolfini.it

 
 
 
Stima   300 € - 150000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 165
158

ALFREDO RAPETTI MOGOL

(Milano 1961)

Senza titolo

tecnica mista su carta                              

cm 70x50

firmato in basso a destra

 

Untitled

mixed media on paper

cm 70x50

signed lower right

                                                                

                                                                          

Senza titolo

tecnica mista su carta                              

cm 70x50

firmato in basso a destra

 

Untitled

mixed media on paper

cm 70x50

singed lower right

Senza titolo                                                              

tecnica mista su carta                                                    

cm 70x50                                                                  

                                                                          

Untitled                                                                  

mixed media on paper                                                      

cm 70x50

 

Stima 
 € 1.200
57

ALIGHIERO BOETTI

(Torino 1940 - Roma 1994)

Giocare

1978

penna biro nera su carta applicata su tela

cm 70x100

firmato

 

Playing

1978

black biro pen on paper applied on canvas

cm 70x100

signed

 

Provenienza

Marco Noire Contemporary, Torino

Collezione privata, Milano

 

Bibliografia

Jean-Christophe Amman, catalogo generale dell'opera di Alighiero Boetti, n.960

 

L'opera è registrata presso l' Archivio Alighieri Boetti, con il numero 2380

 

“...Io penso che ogni cosa contenga il suo contrario, per cui l’atteggiamento preferibile dovrebbe essere quello di azzerare i concetti , distenderli, spiegarli; proprio come si può spiegare un foglio di carta, cosiÌ si può ordinare e disordinare una coppia o una classe di concetti , senza privilegiare mai uno dei due termini contrapposti , ma al contrario cercare sempre uno nell’altro: l’ordine nel disordine, il naturale nell’artificiale, l’ombra nella luce e viceversa...”

Boetti , Dall’oggi al domani, a cura di S. Lombardi, Brescia 1988

Un buon quadro dovrebbe avere parecchi strati, avere una densità, direi, molecolare. Cioè bisogna che contenga la bellezza, perché a chi guarda deve restituire un piacere: primo strato secondo me fondamentale (...) Nel secondo strato ceÌ già un’elaborazione su questa immagine, un sentimento inquietante o piacevole. E poi c’eÌ una terza dimensione, la più nascosta, la più segreta, più difficile da spiegare. E’ come se io scrivessi una parola in nero su un foglio bianco. Di solito si guarda la scritta nera, nella terza dimensione si riesce a guardare la forma bianca che la scritta nera determina attorno a seì, cioè il significato che normalmente non si afferra. Ecco grosso modo i tre strati di un’opera d’arte”

 Alighiero Boetti , Che cosa sia la bellezza non lo so, conversazione con Sergio Givone, a cura di  M.Bonomo e E Cicelyn, Milano 1991

 

Boetti inizia a realizzare questa tipologia di lavori a partire dagli anni Settanta, utilizzando la tecnica del tratteggio con le comuni penne a sfera, che in questo caso è nera. E’ noto che solitamente si facesse coadiuvare da due assistenti (un uomo e una donna), introducendo così nell’operato figure alternative che portarono a infinite varianti e casualità, mettendo in atto una metodologia antigerarchica che sovvertì il concetto di centralità . La copertura totale della superficie è concepita per mettere in risalto la parola facendo emergere dal colore il concetto in modo naturale e spontaneo.  Questa tipologia di opere racchiudono i temi centrali della  ricerca boettiana: dall’approccio sperimentale, a quello poetico,   a quello ludico, fondamentale per tutto il suo corso artistico, così come  il tempo che si configura come un elemento primario e centrale, basti pensare alla realizzazione che  prevede un estenuante, lento e ripetitivo lavoro manuale.  

 

 

 

Stima   € 80.000 / 130.000
Aggiudicazione  Registrazione
88

ANGELO SAVELLI

(Pizzo 1911 - Brescia 1995)                                                       

Stato di grazia

1961                                                           

acrilico su tela

cm 90x70

al retro firmato, titolato e datato

 

State of grace

1961

acrylic on canvas

cm 90x70

on the reverse signed, titled and dated

 
Questo bianco....si riferisce ad una luce che viene fuori dall'oscurità, che deriva dall'associazione delle ombre del proprio io e che da ad un altro tipo di luce, un pò come la parola illuminazione. "

da " questo bianco" Angelo Savelli - Vittoria Biasi Stati del bianco, ed. Stampa Alternativa, Roma 1994

 

Angelo Savelli (Pizzo, 30 ottobre 1911 – Brescia, 27 aprile 1995),

Nel 1930 si trasferisce a Roma per frequentare i corsi alla Scuola Libera di Nudo e all'Accademia di Belle Arti dove consegue il diploma nel 1936.  Nel 1940 inizia a insegnare all’Accademia di Belle Arti e avvia il suo atelier in via Margutta 49,  partecipa e vince numerosi premi come il III e il IV Premio Bergamo  ( 1941 e 1942). Rientrato a Roma, dopo la chiamata alle armi, entrò a far parte dell’Associazione Art Club insieme a Severini, Tamburi, Turcato, Fazzini, Dorazio, Mafai, Corpora e Consagra, sviluppando vari percorsi e stili, dal figurativo all’astratto. Grazie a una borsa di studio nel 1948 si trasferisce a Parigi, città in continuo fermento  che le permetterà di allacciare rapporti e amicizie internazionali,  portandolo a una trasformazione artistica che  in Italia verrà accolta con scetticismo . Nel 1950 partecipa con due opere astratte alla XXV Biennale di Venezia, l’ambiente italiano risulta sempre più limitato e conservatore al tal punto che Savelli decide di trasferirsi a New York, dove  entra in contatto con artisti come Marcel Duchamp, Barnett Newman, Friz Giarner e Hans Richeter. Nel 1955 tiene la prima personale alla galleria  The Contemporaries,  nel 1957 partecipa ad una collettiva presso la Galleria Leo Castelli e nel 1958, sempre alla Leo Castelli, presenta la sua personale che riscuote grande successo e Castelli le propone un rapporto a contratto ma Savelli rifiuta rimanendo  libero da ogni condizionamento . Sono gli anni dedicati all’astrazione e al percorso verso il “bianco” che nel 1959 presenterà  per la prima volta  alla Tweed Gallery del Department of Art della University of Minnesota,  nello stesso anno partecipa con alcuni rilievi bianchi, alla Quadriennale d'Arte di Roma.
Si alternano le mostre tra l’America e l’Italia, oltre alle Biennali di Venezia (partecipò a cinque edizioni) espone anche alla galleria Il Cavallino di Venezia e al Naviglio di Milano, dove incontra Lucio Fontana al quale rimarrà legato da sincera amicizia: "Ci sono due forme di spazialità" scrisse Savelli. "Quella reale e terrena di Fontana, e quella mia che definirei eterica, in grado di comunicare con il subcosciente." A New York entra in contatto e stringe amicizia con esponenti dell'espressionismo astratto come Herbert Ferber, Robert Motherwell, Philip Pavia, Ad Reinhardt, Theodoros Stamos e Clyfford Still. Dal 1960, insieme a Piero Dorazio, organizza numerose mostre e programmi di studio per il Dipartimento di Belle Arti all'Institute of Contemporary Art della University of Pennsylvania, a Filadelfia. Nel 1962 inizia a produrre i primi lavori con la corda, realizzando undici opere litografiche a rilievo, bianco su bianco, presentate da Giulio Carlo Argan al Grattacielo di Milano, nel 1964 vince il Gran Premio della Grafica alla XXXIII Biennale di Venezia per i ventisette rilievi bianco su bianco. Nel 1966 insegna alla Columbia University di New York. Nel 1972 espone all’Everson Museum di Syracuse dove presenta il progetto
Illumine one. Nel 1976 realizza le prime tele senza telaio applicate direttamente sul muro, continuano gli anni d’insegnamento in America e si susseguono le numerose mostre e installazioni commissionate da enti istituzionali e privati. Al Pac (Padiglione d’Arte Moderna Contemporanea) di Milano, nel 1984, espone una serie di opere  bianco su bianco, mostra che riscuote grande interesse e  successo di pubblico e che, finalmente, permette a Savelli di avere il meritato riconoscimento anche in Italia.  Trascorre ancora lunghi periodi a New York alternati alla sua presenza in Italia, dove nel 1991 a Lamezia Terme, viene creato il Centro d’Arte Contemporanea Angelo Savelli. Gli anni ’90 sono l’inizio della sua collaborazione con Fondazione Prada, la partecipazione alla XLV Biennale di Venezia con una sala personale, e dell’antologica al Museo d’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” di Prato, mostra che non riuscirà a vedere realizzata a causa della sopraggiunta morta il 27 aprile 1995.

 

 

Stima 
 € 10.000 / 15.000
99

CAGNACCIO DI SAN PIETRO

(Desenzano del Garda 1897 - Venezia 1946)

Due bambini nell'aia  

1923

olio su tavola                     

cm 48,5x64,8  

firmato e datato in basso a destra           

 

Two children in the yard

1923

oil on canvas

cm 48,5x64,8  

signed and dated lower right         

 

 

Cagnaccio di San Pietro - pseudonimo di Natale Bentivoglio Scarpa -  nato a Desenzano nel 1897. Artista ribelle e anticonformista, prese come nome d’arte quello di Cagnaccio, a cui poi aggiunse anche il nome del luogo a cui era più legato: il borgo di San Pietro in Volta, nell’isola di Pellestrina, la striscia di terra che chiude la laguna di Venezia. Frequentò per un anno i corsi di Ettore Tito all’Accademia di Venezia, nel 1917 viene chiamato alle armi, entra a far parte dell’esercito e incontra Filippo Tommaso Marinetti, partecipando per un breve periodo al Movimento Futurista. Dal 1920 approfondì lo studio del disegno e della prospettiva dando avvio all’elaborazione del realismo magico, Dario Biagi  definì Cagnaccio : “ è un realista ad altissima definizione e tuttavia innaturale, surrealista senza simboli”. Nelle sue opere mette in atto un’ immagine prospettica che destabilizza la scena e crea un’atmosfera straniante, associando alla costruzione delle figure e degli oggetti un uso della luce che rendono le rappresentazioni statiche e irreali. Le figure femminili,  i disadattati, i pescatori, i poveri, i bambini, scene del quotidiano vivere sono i soggetti prediletti di Cagnaccio, che denotano, da parte dell’artista, una sentita e costante osservazione della realtà, in particolare di quella popolare legata alla sua terra. Nel 1916 circa decise di prendere il nome di Cagnaccio, forse per meglio rappresentare il suo spirito ribelle e anticonformista, si narra che fosse il soprannome con il quale veniva appellato nel suo paese,  e successivamente, dopo il 1925, aggiunse  San Pietro, quale segno di appartenenza all’anima popolare veneziana che così vivamente  rappresentò in tutta la sua carriera, ritraendo un mondo apparentemente stabile, quieto quasi immobile, capace di  aprirsi ad un spazio interiore ed emozionale. Cagnaccio, da sempre considerato uno spirito libero, era sperimentatore di tecniche pittoriche applicate con una perizia magistrale, apprezzato più dai colleghi artisti che dalla critica. L'indisponibilità di Cagnaccio di aderire a manifesti e movimenti legati al fascismo, le procurerà notevoli problemi: alla Biennale del '28, di cui fu commissaria Margherita Sarfatti, Cagnaccio presentò “Dopo l'orgia” l’opera venne respinta perché in netto contrasto con l’immagine che il  regime fascista dava di se. Per conservare la propria libertà espressiva, si finse squilibrato,  preferendo così il ricovero nel manicomio di San Servolo. Ci fu un riscatto a fronte di tale “esilio”, nel 1934 Hitler visitò la Biennale di Venezia vide “Il Randagio”, dipinto dal Cagnaccio nel 1932, e cercò di acquistalo, quando gli fu detto che era impossibile perché si trattava di opera ipotecata per i numerosi debiti contratti dall’artista, Hitler insorse così che Mussolini condonò i debiti e permise l’acquisto. Cagnaccio ne fu fieramente felice. A causa dei numerosi interventi e della conseguente salute cagionevole, mori nel 1946 all’età di 49 anni.

 

 

 

 

 

 

                              

Stima 
 € 18.000 / 22.000
Aggiudicazione  Registrazione
69

CARLA ACCARDI

(Trapani 1924 - Roma 2014)                                                          

Due punti arancio

2010                                                         

acrilico su tela

cm 50x60

al retro firmato, titolato e datato

al retro dedicato ad personam

 

Two orange dots

acrylic on canvas

2010

cm 50x60

on the reverse signed, titled and dated

on the reverse dedicated ad personam

 

L'opera è accompagnata da autentica su fotografia, rilasciata dallo Studio Accardi, n.

33/10 arch. 291c

 

- Anche in Italia la pittura del segno e del gesto doveva trovare tosto degli adepti; una rivista giovanile (di cui uscirono alcuni numeri tra il ’58 e il ’60) si intitolò appunto “ Il Gesto”….Più coerenti rispetto all’impostazione segnica delle loro pitture furono alcuni artisti del gruppo romano, che si valsero piuttosto dell’elemento segnico che di quello gestuale e che in tal modo riuscirono a rimanere liberi da un inutile bagno nell’informale…Carla Accardi – una delle più coerenti manipolatrici di personali alfabeti…; -  Gillo Dorfles  Ultime Tendenze nell’arte d’oggi.

 

La pittura segnica è l’unica forma espressiva che Carla Accardi abbia pratico sino dagli esordi, quando nel 1947 entra a pieno diritto nel movimento Forma 1, insieme a Dorazio, Consagra, Perilli, Turcato e Sanfilippo, corrente pittorica che incentrava la propria arte sulla forma e sul segno. Un continuo e costante evolversi, un autismo che si ripete ma che è anche sempre diverso. Segno che raggiunge il suo apice negli anni ’60 e che l’artista porterà avanti fino alla fine utilizzando inizialmente le tempere, poi le vernici fluorescenti e colorate e successivamente gli olii, prima su tela poi su supporti plastici, per poi ritornare nuovamente alla tela.  Fu grazie alla critica di Michel Tapié, che la inserì anche tra i protagonisti della sua teorizzazione dell’art autre insieme a Burri, Capogrossi e Fontana, che la fama dell’artista si consolidò definitivamente.  La stessa artista  definiva il suo segno come parte dell’universo, non una semplice elaborazione dell’inconscio, ma un vero proprio linguaggio che dava vita alla sua inconfondibile espressione artistica.

 

 

 

 

Stima 
 € 5.500 / 10.500
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 30  di 165