DIPINTI ANTICHI

14 MAGGIO 2019

DIPINTI ANTICHI

Asta, 0295
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 15.30
Esposizione
FIRENZE
10 - 13 maggio 2019
orario 10-18 
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   1000 € - 150000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 68
34

Andrea Belvedere

(Napoli 1652 circa – 1732)

VASO DI FIORI

olio su tela, cm 95x82

 

FLOWERS IN A VASE

oil on canvas, cm 95x82

 

Il bel dipinto qui presentato si iscrive nella tarda attività di Andrea Belvedere, poco prima del viaggio in Spagna nel 1694 o al ritorno dalla corte di Madrid nel 1700. Una datazione successiva agli inizi del nuovo secolo sembrerebbe comunque esclusa in virtù del noto passo di Bernardo De Dominici secondo il quale negli ultimi trent’anni della sua esistenza Andrea Belvedere abbandonò l’attività di pittore per dedicarsi esclusivamente al teatro. E’ comunque al suo periodo più tardo che appartengono le tele di imponente formato dove composizioni di fiori all’aperto si accompagnano a frammenti architettonici e a rilievi scolpiti, e spesso ad animali, per lo più volatili: queste infatti le soluzioni proposte nei dipinti, da tempo noti, nella Galleria Palatina e nel Museo Stibbert a Firenze, e nel Museo Correale di Terranova a Sorrento dove è riunita la maggior parte delle opere pubbliche dell’artista.

Come è noto, si tratta di soluzioni compositive largamente debitrici dell’esempio della scuola romana, trasmessa a Napoli da Abraham Brueghel dopo il 1670 e rinnovata, nell’ultimo decennio del secolo, dalla declinazione più aggiornata e aperta all’Europa proposta da Karel van Vogelaer e Franz Werner Tamm. Da qui, gli esiti di seguaci del Belvedere che, come Lopez e Casissa, ripeteranno questi modelli nel corso della prima metà del Settecento variandoli tuttavia con il loro personalissimo stile. E’ appunto in un’opera di Nicola Casissa esposta alla mostra napoletana del 2009 curata da Nicola Spinosa (Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. Napoli, Museo di Capodimonte. Catalogo, Napoli 2009, p. 433, n.1.256) che ritroviamo il vaso di fiori istoriato poggiante su una zampa di rapace e posto in risalto nella sua vivace policromia dall’ambientazione all’aperto, contro il cielo buio della sera. Soluzioni che risentono indubbiamente anche dell’esperienza di teatro coltivata da Andrea Belvedere.

 

 

Stima   € 25.000 / 35.000
42

Antonio Gionima

(Venezia 1697 – Bologna 1732)

IL BANCHETTO DI ANTONIO E CLEOPATRA

olio su tela, cm 86x111

 

THE BANQUET OF ANTHONY AND CLEOPATRA

oil on canvas, cm 86x111

 

Esposizioni

Il Tesoro d’Italia. A cura di Vittorio Sgarbi, Milano, Expo 2015, Padiglione Eataly, 22 maggio – 31 ottobre 2015.

 

Bibliografia

John T. Spike, Recensione alla mostra Eighteenth Century Master Drawings from the Ashmolean, Baltimora Museum of Art in “The Burlington Magazine” CXXI, 1979, 921, p. 828, fig. 78; Pietro Di Natale, in Il Tesoro d’Italia. Catalogo della mostra, Milano 2015, pp. 186-87.

 

Nato a Venezia nel 1697 in una famiglia di pittori, Antonio Gionima si trasferì presto a Bologna, città di origine della madre. Formatosi nella bottega di Aureliano Milani, ne ereditò probabilmente la sua prima commissione pubblica, le storie di San Domenico per la chiesa di S. Maria Mascarella, consegnate nel 1719. Alla partenza del maestro per Roma, appunto in quell’anno, passò nella bottega di Giuseppe Crespi, che gli procurò un’importante commissione per la famiglia Gozzadini.

Negli anni successivi, Gionima fu attivo per chiese e confraternite di Bologna, e per le maggiori famiglie della città, che si disputarono le invenzioni sacre e profane con cui, aggiornata la cifra stilistica dei suoi primi maestri, l’artista si cimentò in scene a più figure e di gusto intensamente teatrale, del tutto in linea con il “barocchetto” proposto negli stessi anni da Giuseppe Marchesi e da Francesco Monti, con cui è stato talora confuso.

Splendida aggiunta al suo catalogo, esiguo nei numeri in virtù della breve vita dell’artista ma non per questo irrilevante nel panorama del Settecento bolognese, e non a caso selezionato per rappresentare quella scuola in occasione dell’Expo milanese, il dipinto qui offerto non trova riscontro nei rari documenti che si riferiscono, come è naturale, all’attività pubblica del pittore né nell’elenco, davvero sommario, delle opere di destinazione privata redatto dal suo primo biografo, il canonico Luigi Crespi (Felsina pittrice. Vite de’ Pittori bolognesi, III, Bologna 1769, pp. 234-236). Una traccia precisa per il nostro dipinto si ritrova però nel corpus grafico dell’artista, e specificamente nel disegno preparatorio venduto a Londra da Sotheby’s nel 1975, ora nelle raccolte dell’Ashmolean Museum a Oxford, con la corretta attribuzione ad Antonio Gionima, la cui produzione veniva riscoperta e illustrata proprio in quegli anni ad opera di Renato Roli e di altri studiosi bolognesi. Con quel nome il foglio fu esposto a Baltimora nel 1979 (Eighteenth Century Master Drawings…, cit., p. 4, n. 7) la cui recensione offrì a John Spike l’opportunità di pubblicare il nostro dipinto, allora in collezione privata a New York sotto il nome di Ercole Graziani il Giovane.

Lo stesso Crespi ricorda lo straordinario talento del Gionima quale disegnatore:

“… disegnava col toccalapis e con l’acquarello a meraviglia, lumeggiando i suoi disegni con uno spirito e una disinvoltura che non poteva bramarsi di più… (1769, cit., p. 235) e ne concludeva la “vita” ricordando, in appendice all’elenco di opere su tela “i disegni, poi, che egli ha fatto, sono moltissimi e per lo più acquerellati e lumeggiati, e chi ne ha se li tiene, e a tutta ragione, molto cari”. Il corpus grafico dell’artista sarà l’oggetto di una monografia di Marco Riccomini di prossima pubblicazione.

 I fogli ad oggi rintracciati in raccolte pubbliche italiane e straniere confermano il giudizio del biografo e lasciano intuire i dipinti non ancora identificati di cui anticipano la composizione e i contrasti luministici. Tra questi, il foglio conservato a Brera (Gabinetto dei Disegni, n. 225) propone il nostro stesso soggetto, il banchetto di Antonio e Cleopatra, in una composizione a molte figure, non dissimile dall’Ester e Assuero nelle raccolte reali inglesi a Windsor che anticipa, a sua volta, un dipinto citato dalle fonti ma non ancora riemerso.

Ad essi si aggiunge il foglio di Oxford (matita rossa, lumeggiato in bianco, mm 184x238), in tutto corrispondente al nostro dipinto di cui costituisce un primo pensiero, certo successivamente elaborato in studi ulteriori non ancora rintracciati. La composizione a sole tre figure, una delle quali appena individuabile nello sfondo, è probabilmente la più essenziale tra quelle ideate da Antonio Gionima: si può tuttavia confrontare, soprattutto nella soluzione compositiva di una figura “di quinta” che, nell’ombra, introduce il protagonista della storia, al dipinto conservato a Minneapolis, Minneapolis Institute of Arts, raffigurante Giuditta presentata a Oloferne, dove la nostra composizione è ripetuta a specchio e a figure intere, simile anche nei partiti di luce, o ancora al disegno con la cena in Emmaus (Bologna, Pinacoteca) dove due figure ombreggiate all’acquarello inquadrano il protagonista, luminoso e appena tratteggiato, come la nostra Cleopatra.

Il dipinto qui offerto si caratterizza infine per l’estrema raffinatezza degli accordi luminosi e cromatici, esaltati dall’ottima conservazione.

Ringraziamo Marco Riccomini per l'aiuto nella catalogazione di questo lotto.

 

 

 

Stima   € 150.000 / 200.000
Aggiudicazione  Registrazione
36

Antonio Joli

(Modena 1700–Napoli 1777)

VEDUTA DI CAMPO VACCINO

olio su tela, cm 91,5x113

 

A VIEW OF CAMPO VACCINO

oil on canvas, cm 91,5x113

 

Provenienza

Londra, Christie’s, 13 dicembre 1985, lot 27; Londra, Christie’s, 11 aprile 1990 lot 7; Londra, Christie’s, 11 dicembre 1991, lot 14; collezione privata

 

Bibliografia

L. Salerno, I pittori di vedute in Italia (1580-1830), Roma 1991, p. 249; R. Middione, Antonio joli, Soncino 1995, p. 74, tavola. 15; M. Manzelli, Antonio. Joli. Opera pittorica, Venezia 2000, p 94, R. 26; R. Toledano, Antonio Joli. Modena 1700 – 1777 Napoli, Torino 2006, R. II. 1 (con ulteriore bibliografia).

 

Uno dei soggetti più popolari dipinti dall’artista modenese per i viaggiatori del Grand Tour che costituivano il nucleo della sua clientela, la veduta di Campovaccino – come allora veniva chiamato il Foro romano – fu ripetuta da Joli in numerose versioni e in formati diversi, con varianti che si riferiscono al taglio dell’inquadratura e alle scene a piccole figure che ne animano lo spazio: una prassi istituita da Gaspare Vanvitelli che nell’ultimo ventennio del Seicento per primo aveva elaborato principi e metodi di lavoro del vedutismo, fissandone gran parte dei soggetti e delle inquadrature ad uso di collezionisti romani e viaggiatori stranieri.

La veduta qui offerta, verosimilmente eseguita con l’aiuto della bottega sulla base di un disegno preparatorio non rintracciato, si distingue dalle altre versioni note dello stesso soggetto per un taglio più ravvicinato che esclude dal campo visivo l’arco di Settimio Severo, in primo piano a sinistra nella maggior parte delle altre versioni note.

 

                          

Stima   € 25.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
28

Attribuito a Marco Palmezzano

(Forlì, 1459 – 1539)

MADONNA COL BAMBINO

olio su tavola, cm 51,5x42

 

Attributed to Marco Palmezzano

(Forlì, 1459 – 1539)

MADONNA WITH CHILD

oil on panel, cm 51,5x42

 

L'attribuzione a Marco Palmezzano si deve ad Anchise Tempestini ed è stata comunicata alla proprietà nel 2006 in una perizia scritta di cui riportiamo di seguito un estratto.

"Risulta innegabile il ricordo di composizioni ideate da Giovanni Bellini [...]. Nella produzione pittorica di Cima da Conegliano si può trovare altresì qualche affinità stilistica con le Madonne giovanili eseguite a metà del nono decennio del Quattrocento, sul tipo di quella del polittico di Olera (BG) o di quella della collezione Johnson nel Museum of Art di Philadelphia. Non è comunque possibile inserire la Madonna che stiamo studiando nel catalogo di uno di questi due maestri della pittura veneta o di un loro seguace tra i più stretti e dipendenti tra loro. Nella tavoletta che abbiamno davanti, in cui il paesaggio marino del fondo ricorda da un lato, per l'edificio turrito e fortificato, idee di Giovanni Bellini, sul tipo di quelle espresse nella pala dell'Incoronazione oggi nel Museo Civico di Pesaro, risalente al 1471 circa, e nella pala dogale Barbarigo del 1488, conservata nella chiesa di San Pietro Martire a Murano, dall'altro il mondo espresso da Vittore Carpaccio nei teleri con le Storie di Sant'Orsola, oggi nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia, in particolare nell'Arrivo di Sant'Orsola a Colonia, risalente al 1490, si verifica una meditazione dell'autore su prototipi del tipo di quelli suelencati ma pure una indipendenza di conduzione che lo fanno ricercare tra i pittori passati a Venezia in quegli anni, inevitabilmente influenzati da Giovanni Bellini, Cima e Vittore Carpaccio cioè da coloro che, insieme con Gentile Bellini e Alvise Vivarini erano i grandi amestri della pittura veneziana ma rimasti pure fedeli al mondo dal quale provenivano e a cui sarebbero tornati. Il pittore che ha eseguito questa deliziosa tavoletta, in ottimo stato di conservazione sembra riprendere fedelmente idee compositive che conosciamo bene, ma ci lascia in qualche modo un unicum in quel Bambino biondo sorretto da un cuscino che non è poggiato sul davanzale come in composizioni ben note di Giovanni Bellini, bensì sul ginocchio destro e sicuramente contro la mano destra di Maria.[...] La stessa Maria, a sua volta, [...] ci rivela con quella sorta di firma costituita dalla ciocca di capelli biondi che sfugge sotto il velo e nasconde allo sguardo l'orecchio sinistro, con il modo in cui è disegnato e dipinto l'abito rosso coperto dal mantello, similissimo a quello che indossa nell'Annunciazione del Carmine, oggi nella Pinacoteca Civica di Forlì, l'identità del misterioso pittore.

Si tratta di Marco Palmezzano, maestro forlivese, allievo e collaboratore del grande Melozzo da Forlì, conosciuto attraverso la benemerita monografia di Carlo Grigioni, risalente al 1956 e adesso anche dalla mostra allestita nella sua città natale fra il 2005 e il 2006. L'artista non è mai veramente documentato a venezia e nessuna sua opera da lui ivi eseguita è finora stata reperita [...]. Marco Palmezzano deve tuttavia essersi trattenuto a Venezia per qualche anno, proprio nel periodo precedente al 1495, anno in cui, in una controversia legale con i suoi due fratelli, proprio a lui venne assegnato l'arredamento di una casa a Venezia, nella quale doveva aver abitato negli anni precedenti.

Se vediamo bene, la Madonna che abbiamo davanti è l'unica memoria pittorica a noi giunta di quel periodo dal quale egli uscì con la memoria di ciò che aveva veduto nella città dogale e che traspare ogni tanto nelle sue opere successive, soprattutto nelle tematiche del Cristo Portacroce e dell'Imbalsamazione di Cristo che gli diventano consuete provenendo pure da prototipi belliniani."

 

 

 

Stima   € 30.000 / 40.000
Aggiudicazione  Registrazione
14

Denijs Calvaert

(Anversa, c. 1549 – Bologna 1619)

ADORAZIONE DEI PASTORI

olio su tela, cm 103,5x75,5

 

THE ADORATION OF THE SHEPHERDS

oil on canvas, cm 103,5x75,5

 

Provenienza

Inghilterra, Wilton House, collezione del Conte di Pembroke; Christie’s, Wilton House, 27 maggio 1960, n. 53; Londra, Christie’s, 26 novembre 1976, n. 91; Bologna, Fondantico, 1999.

 

Esposizioni

Bologna, Fondantico, Tesori per il Duemila, 1999; Caldarola, Palazzo del Cardinal Pallotta, 23 maggio – 12 novembre 2009. Le Stanze del Cardinale. Caravaggio, Guido Reni, Guercino, Mattia Preti. A cura di Vittorio Sgarbi; Bologna, Palazzo Fava, 14 febbraio – 17 maggio 2015. Da Cimabue a Morandi. Felsina Pittrice. A cura di Vittorio Sgarbi.

 

Bibliografia

D. Benati, in Tesori per il Duemila, Bologna, Fondantico, 1999, pp. 26-28 n. 4; M. Danieli, in Le Stanze del Cardinale. Caravaggio, Guido Reni, Guercino, Mattia Preti. Catalogo della mostra, Milano 2009, pp. 82-83, n. 4; M. Danieli, in Da Cimabue a Morandi. Felsina Pittrice. Catalogo della mostra, Bologna 2015, pp. 146-47, n. 41.

 

Referenze fotografiche

Fototeca Federico Zeri, scheda 37792                     

 

Da tempo noto agli studi sul pittore, fiammingo di nascita ma stabilitosi a Bologna intorno al 1565, il dipinto qui offerto costituisce un ottimo esempio di quella produzione destinata alla devozione privata per cui la bottega di Calvaert fu rinomata e intensamente attiva tra l’ultimo quarto del Cinquecento e la morte dell’artista.

Oltre alle pale d’altare per le chiese di Bologna, Calvaert dipinse infatti numerosissime composizioni di piccolo formato, su tela o su rame e di soggetto sacro e profano, per soddisfare le richieste dei collezionisti emiliani come di quelli stranieri, a cui l’accattivante dolcezza dei suoi personaggi realizzati con vivace policromia e con tecnica raffinatissima riusciva, allora come oggi, particolarmente gradita.

E’ naturale che in questa intensa attività Calvaert fosse coadiuvato da una bottega efficiente e perfettamente organizzata nella realizzazione delle sue invenzioni: da qui l’esistenza di repliche di altissimo livello che ripetevano quelle di maggiore successo. Tra queste, la nostra composizione, nota attraverso altri tre esemplari di minori dimensioni ma virtualmente identici anche per l’ottima qualità.

Nel presentare per la prima volta il nostro dipinto, Daniele Benati ne sosteneva la precedenza rispetto alle altre versioni note, una delle quali nella Pinacoteca Nazionale di Parma, suggerendo una datazione entro il primo decennio del Seicento, condivisa da Michele Danieli che anticipa l’invenzione all’ultimo lustro del Cinquecento sulla base di un disegno nella Pierpont Morgan Library di New York accostabile alla nostra composizione. Ancor più vicino è poi il foglio a Londra nelle raccolte del Victoria and Albert che la ripete in controparte, forse ai fini di una riproduzione a stampa.

 

Stima   € 50.000 / 70.000
27

Francesco Curradi

(Firenze, 1570 – Firenze, 1661)

SAN ZANOBI IN GLORIA

olio su tela, cm 182x134

 

SAINT ZANOBI

oil on canvas, cm 182x134

 

Giocata sui caldi toni del giallo oro, del rosso e del bianco, questa Gloria di San Zanobi è un tipico esempio della rassicurante pittura religiosa di Francesco Curradi. Nel corso della sua attività, svoltasi nell'arco di circa settant'anni, l’artista passa da una fase giovanile che ancora risente dell'educazione manieristica ricevuta nella bottega del Naldini a uno stile "riformato" e improntato ai principi del "disegno" e del "decoro" tipici della pittura fiorentina del primo Seicento, stile sostanzialmente rimasto poi omogeneo.

Nei suoi numerosi dipinti di soggetto religioso, pale d'altare destinate a chiese fiorentine e del territorio limitrofo e tele di minore formato per la devozione privata (cfr. F. Baldassari, La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere, Milano 2009, pp. 234-251; S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del '600 e '700, Firenze 2009, vol. 1, pp. 116-119) Curradi si dimostra assai vicino al purismo devoto del coetaneo Rosselli, costituendo in qualche modo il più immediato precedente alla pittura del più giovane Carlo Dolci.

L’artista fu infatti richiestissimo dalla committenza ecclesiastica per la sua fedeltà ai dettami controriformati ma altresì per la sua bravura esecutiva nella delineazione delle figure, trattate con grande naturalezza e nei ben riusciti accordi cromatici, apprezzabile anche nella nostra tela.

 

 

Stima   € 5.000 / 8.000
57

Francesco Morosini, detto il Montepulciano

(Montepulciano? 1600 c.a. - 1646 c. a.)

DIANA DORMIENTE

olio su tela, cm 174x147

 

SLEEPING DIANA

oil on canvas, cm 174x147

 

L’opera è corredata di expertise di Francesca Baldassari.

Soprannominato “il Montepulciano” dal biografo Filippo Baldinucci per via delle sue origini, Francesco Morosini si fece conoscere sulla scena artistica fiorentina all’inizio degli anni venti del Seicento, ottenendo in breve tempo grande consenso anche all’interno dell’Accademia del Disegno dove venne eletto console nel 1642.

L’opera è da collocare secondo la Baldassari lungo il corso del quarto decennio del secolo per il suo richiamare i languidi prototipi femminili di Francesco Furini che avevano riscosso un notevole successo intorno agli anni trenta: anche la Diana qui raffigurata sensualmente abbandonata al sonno è immersa nella notte e il suo incarnato perlaceo riluce grazie al chiarore della luna proprio come nella celebre Maddalena furiniana oggi conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

La solidità della figura della dea cacciatrice deriva invece dalla precoce formazione senese del pittore, ingentilita dalla virtuosistica resa del drappo damascato di un intenso blu, mutuata da Giovanni Bilivert presso la cui scuola il Morosini fu accolto al suo arrivo a Firenze.

L’arricciato svolgimento dei panneggi oltre che l’accuratissima resa di motivi decorativi e stoffe si configurano quale cifra stilistica tipica del corpus pittorico noto del Montepulciano, all’interno del quale si segnala l’Arianna abbandonata da Teseo di collezione privata, esposta nella mostra del 2017 dedicata ad Artemisia Gentileschi (Artemisia Gentileschi e il suo tempo, catalogo della mostra, Roma, Museo di Roma, a cura di F. Baldassari, Milano 2016, pp. 166-167, scheda 41). Se pur ascrivibile a un tempo precedente ritroviamo similarità nell’impaginazione e soprattutto la stessa vibrante e iridescente resa del velluto.

 

 

 

 

 

 

Stima   € 35.000 / 50.000
31

Franz Werner Tamm, detto Daprait

(Amburgo 1658 – Vienna 1724)

e Scuola di Carlo Maratta

FESTONE DI FIORI SORRETTO DA PUTTI

olio su tela, cm 90x131

 

PUTTI WITH A GARLAND OF FLOWERS

oil on canvas, cm 90x131

 

Provenienza

Parigi, Ader-Tajan, 15 dicembre1993, n. 23; Londra, Sotheby’s, 6 luglio 1994, lotto 115

 

Bibliografia

S. Rudolph, Niccolò Maria Pallavicini. L’ascesa al Tempio della Virtù attraverso il Mecenatismo, Roma 1995, p. 93 e fig. 62 a; G. e U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti stranieri 1630 – 1750, Viadana 2005, p. 242, fig. FT.48

 

Referenze fotografiche

Fototeca Federico Zeri, scheda 89424

 

Si deve a Stella Rudolph la ricostruzione della prestigiosa commissione ricevuta da Carlo Maratta da parte di uno dei più raffinati collezionisti del tardo Seicento romano, il banchiere Francesco Montioni. È Giovanni Pietro Bellori a ricordare, nella “vita” del pittore, l’esecuzione di sei sovrapporte “… alcuni fregi con vari putti che scherzano in varie vedute e tengono lacci di festoni di fiori coloriti dal signor Francesco … Fiamengo, che campeggiano in campo chiaro turchino d’aria…”.

Questa sofisticata reinterpretazione di un motivo tratto dalla scultura classica proposto da Carlo Maratta in collaborazione con Franz Werner Tamm riscosse un tale successo da dover essere ripetuta, con varianti nelle figure dei putti e nei festoni di fiori, per il marchese Niccolò Pallavicini. Entrambe le serie, disperse ma in parte ricostruite nei loro elementi (Parigi, Louvre; Vienna, Accademia Albertina; Roma, palazzo Pallavicini) furono poi replicate per altri collezionisti dallo stesso Tamm e da un aiuto di Carlo Maratta che si valse, verosimilmente, dei cartoni del maestro.

Ne costituisce uno splendido esempio la tela qui offerta, resa nota dalla Rudolph nel suo studio su Niccolò Pallavicini e la sua collezione, dispersa nella prima metà del Settecento. Secondo la studiosa, che ha avuto occasione di esaminarlo nuovamente dal vero, il nostro dipinto – un tempo accompagnato da un’altra tela ora in una diversa collezione – riflette verosimilmente una delle sei sovrapporte dipinte per Francesco Montioni, non ancora ritrovata nella versione originale.

 

 

Stima   € 15.000 / 20.000
41

Giacomo Francesco Cipper, detto il Todeschini

(Feldkirch, 1664 – Milano, 1736)

PESCIVENDOLO

POPOLANA CON SELVAGGINA

coppia di dipinti a olio su tela, cm 86x105

(2)

 

A FISH SELLER

A PEASANT WOMAN WITH GAME

oil on canvas, a pair, cm 86x105

(2)

 

Bibliografia di riferimento

M. S. Proni, Giuseppe Francesco Cipper detto 'Il Todeschini', Cremona, 1994.

 

La bella coppia di dipinti che proponiamo può essere messa in relazione, dal punto di vista stilistico e compositivo, con altre opere del Todeschini come i due dipinti raffiguranti Contadino con selvaggina, uno già segnalato nel 1992 presso il mercato antiquario bergamasco e l'altro passato in asta a Londra da Christie's nel 1997 e nel 1998. Un' altra tela confrontabile, analogamente catalogata nella Fototeca Zeri, raffigura una Pescivendola, localizzata nel 1971 in una collezione privata milanese.

Nelle opere del Cipper è ben presente la volontà di raffigurare scene di vita quotidiana di personaggi umili con una libertà espressiva rude e popolaresca. I suoi 'ritratti' sono spesso caratterizzati da figure in primo piano che catturano l'attenzione dello spettatore con un'apparente semplicità compositiva, arricchita da un studio attento dei particolari e scandita dalla gestualità dei personaggi che spesso restituisce sottili connotazioni allegoriche e simboliche.

Non si conoscono al momento notizie biografiche certe sull'artista; il suo principale punto di riferimento fu probabilmente Eberhard Keilhau detto Monsù Bernardo (Helsingør 1624 – Roma 1687), importante pittore di genere del XVII secolo conosciuto per i suoi personaggi visionari e popolareschi nonché per le sue allegorie.

 

 

Stima   € 25.000 / 35.000
25

Giacomo Recco

(Napoli 1603 – prima del 1653)

 

VASO DI FIORI CON ANEMONI E TULIPANI

olio su tela, cm 72,5x58

 

FLOWERS IN A VASE

oil on canvas, cm 72,5x58

 

Provenienza

New York, asta Habsburg Fine Arts, 10 aprile 1991, n. 22; collezione Francesco Quierazza; Bergamo, mercato antiquario, 1994

 

Riferimenti fotografici

Fototeca Federico Zeri, Bologna, scheda 88851

 

Catalogato da Federico Zeri come opera di Giacomo Recco, il dipinto qui offerto si situa con ogni evidenza accanto alle nature morte di fiori raggruppate da Nicola Spinosa e da Angela Tecce nella produzione cronologicamente più avanzata dell’artista napoletano, ormai distante dal noto gruppo, di impianto decisamente più arcaico, riunito intorno al Vaso di fiori con stemma del cardinale Poli (cfr. A. Tecce, Giacomo Recco, in La natura morta in Italia. A cura di Federico Zeri, Milano, Electa, 1989, II, pp. 880-85, figg. 1053-1056). Più libero nella presentazione del bouquet, non più legato alla simmetria rispetto a un asse centrale che caratterizza il gruppo citato, il nostro dipinto si distingue per l’intenso naturalismo con cui le corolle variopinte sono descritte nelle diverse fasi della fioritura, lasciando intendere quell’appassionato studio dal vero che segna gli esordi del genere. In particolare, il nostro dipinto si accosta al Vaso di cristallo con fiori attribuito a Giacomo Recco da Nicola Spinosa (La pittura napoletana del Seicento, Milano 1984, fig. 597) e come tale ripubblicato da Angela Tecce (1989, cit., fig. 1058).

 

Stima   € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
35

Giovan Battista Piazzetta

(Venezia 1682–1754)

MADONNA COL BAMBINO

olio su tela, cm 77x61

 

VIRGIN WITH CHILD

oil on canvas, cm 77x61

 

Provenienza

(Lodovico Campo, Rovigo?)

Mario Viezzoli, Genova; collezione privata

 

Bibliografia

(F. Bartoli, Le Pitture Sculture ed Architetture della Città di Rovigo: con Indici ed Illustrazioni, Venezia 1793, p. 101); R. Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana (1946). Terza edizione, Firenze 1985, fig. 159 e p. 238 (nota alle tavole); R. Pallucchini, Piazzetta, Milano 1956, p. 39 e fig. 93; R. Pallucchini, Miscellanea piazzettesca, in “Arte Veneta” XXII, 1968, p. 123; U. Ruggeri, Francesco Capella detto Daggiù; dipinti e disegni, Bergamo 1977, p. 174; L. Jones, The Paintings of Giovan Battista Piazzetta. Ph. D. Diss., New York University, 1981, II, p. 74, n. 21; III, fig. 106; R. Pallucchini, L’opera completa del Piazzetta. Apparati critici e filologici di A. Mariuz, Milano, Rizzoli, 1982, 140

 

Referenze Fotografiche

Fondazione Giorgio Cini Onlus, Fondo Pallucchini, scheda 492166

 

La bella tela qui offerta fu pubblicata per la prima volta da Roberto Longhi nel celebre commento alla mostra “Cinque secoli di pittura veneziana” organizzata a Venezia da Rodolfo Pallucchini subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale; oltre a rimandare ai dipinti in mostra, il saggio era illustrato da una selezione di opere significative degli artisti citati e per lo più inedite. Il nostro dipinto, allora in collezione privata a Genova, veniva descritto come proveniente dalla collezione Campo di Rovigo, dove Francesco Bartoli lo aveva potuto vedere alla fine del Settecento

In casa Campo alla SS. Trinità Bartoli (1793) ricorda appunto un quadro di Piazzetta raffigurante “Maria Vergine col suo Bambino sopra un povero letticello riposto”, eseguito per il nobile Lodovico Campo, e così celebre da essere replicato “per proprio diletto” dal “nobile Signore Giovanni Campanari” che ne possedeva la copia nel proprio palazzo (p. 186).

Come riferiscono documenti inediti citati da Franca Zava Boccazzi (Pittoni. L’opera completa, Venezia 1979, p. 158) una Madonna del Piazzetta è in effetti specificamente citata nel testamento di Lodovico Campo (1766). Accertati rapporti tra l’artista veneziano e il nobile rodigino, che alla metà degli anni Quaranta commise al Piazzetta il ritratto celebrativo del conte Gaspare Campo, fondatore dell’Accademia dei Concordi, destinato alla sede di quest’ultima, confermano una datazione del nostro dipinto poco dopo il 1743, come proposto da Rodolfo Pallucchini in base a considerazioni stilistiche.

Ripetutamente citato e riprodotto dalla letteratura specializzata, il nostro dipinto è stato talvolta confuso con una sua replica comparsa a un’asta di Sotheby’s a Londra (8 dicembre 1976, n. 93) con un’attribuzione a Francesco Capella che ne lasciava intuire la probabile esecuzione nella bottega del Piazzetta.

Sicuramente riferibile alla bottega è poi una terza versione di ubicazione ignota ma documentata da una fotografia presso la Fondazione Cini di Venezia, che differisce dalle altre due anche per la presenza di un numero di inventario, 86, dipinto a vernice chiara in basso a destra e, per il momento, privo di corrispondenza con inventari noti.

Situato da Pallucchini agli inizi di una nuova fase nella carriera del pittore veneziano, distinta da composizioni più misurate, volumi definiti da contorni precisi e un chiaroscuro più accentuato, il nostro dipinto è accostato dallo studioso ad altre invenzioni destinate alla devozione privata, quale il Sant’Antonio in adorazione del Bambino nella Galleria di Zagabria (Pallucchini, 1956, fig. 92) o la Madonna con San Giuseppe in adorazione del Bambino di raccolta privata (ibidem, fig. 94), unite alla nostra Madonna anche dalla dolcezza dei sentimenti espressi.

 

 

Stima   € 50.000 / 80.000
Aggiudicazione  Registrazione
46

Giovan Francesco Guerrieri

(Fossombrone 1589 – Pesaro 1657)

SAN GIOVANNI A PATMOS

olio su tela, cm 131x95

 

SAINT JOHN THE EVANGELIST IN PATMOS

oil on canvas, cm 131x95

 

Provenienza

Vienna, collezione privata; Vienna, Dorotheum, 30 marzo 2000, n. 71

 

Bibliografia

M. Pulini, Il Fossombrone ritrattista degli oratoriani. La raccolta Mattei e Antiveduto Grammatica, in “Paragone”, 60, 2005, pp. 31-39; G. Papi, Un dipinto di Giovan Francesco Guerrieri e uno di Caroselli scambiato per Guerrieri, in Senza più attendere a studio e insegnamento. Scritti su Caravaggio e l’ambiente caravaggesco, Napoli 2018, pp. 118-134, in particolare pp. 118-120 e fig. 1.

 

La restituzione a Giovan Francesco Guerrieri del dipinto qui offerto, in asta a Vienna con la curiosa attribuzione a Girolamo Muziano, si deve a Massimo Pulini e, in maniera del tutto indipendente, a Gianni Papi che ne ha precisato altresì la provenienza e la storia attributiva, dovuta a una firma apocrifa in parte ancora leggibile sulla pietra in basso a sinistra.

Immagine di grande potenza, l’Evangelista a cui si attribuisce il testo apocalittico occupa interamente il primo piano del dipinto volgendosi in contrapposto verso l’origine della sua ispirazione. I tratti rudi e sommariamente scorciati lo accostano alle opere pubbliche marchigiane del pittore di Fossombrone, e in particolare alle note tele con i miracoli di San Nicola da Tolentino in Santa Maria del Ponte del Piano a Sassoferrato, da tempo uno dei caposaldi per la ricostruzione del catalogo del Guerrieri e, nel nostro caso, per un riferimento cronologico intorno al 1615.

 

Stima   € 25.000 / 35.000
44

Giovanni Battista Spinelli

(Bergamo o Chieti; documentato dal 1640 al 1655)

AGAR E L'ANGELO

olio su tela, cm 145x114

 

AGAR AND THE ANGEL

oil on canvas, cm 145x114

 

Esposizioni

Civiltà del Seicento a Napoli, Napoli, ottobre 1984 – aprile 1985.

Bibliografia

N. Spinosa, Aggiunte a Giovan Battista Spinelli, in "Paragone" XXXV, 1984, 411, p. 33 e fig. 13; D.M. Pagano, in Civiltà del Seicento a Napoli. Catalogo della mostra, Napoli 1984, p. 470. n. 2.249 (con ulteriore bibliografia); N. Spinosa e D.M. Pagano, Giovan Battista Spinelli, in I Pittori Bergamaschi. Il Seicento, IV, Bergamo 1987, n. 25, ill. 36.

 

Pubblicato per la prima volta nel 1984 da Nicola Spinosa, cui si devono gli studi più significativi sull’artista seguiti alla riscoperta da parte di Roberto Longhi nel 1969, il dipinto qui offerto, molto noto agli studi ma da decenni assente dal mercato, fu presentato nello stesso anno a un pubblico più ampio in occasione della storica rassegna sul Seicento napoletano fortemente voluta da Raffaello Causa e realizzata dopo la sua scomparsa dalla Soprintendenza napoletana.

Oltre che con un gruppo di fogli in parte provenienti dallo storico nucleo delle collezioni medicee conservato agli Uffizi, Spinelli era presente in quell’occasione con ben dieci tele in una sala a lui dedicata: una scelta che dava conto della sua personalità appena risarcita e della sua situazione anomala nell’ambito della scuola napoletana, più che del peso che in quella scuola l’artista di origini bergamasche aveva effettivamente rivestito.

Cruciale si era rivelata in effetti la scoperta della patria d’origine del pittore e della sua documentata presenza a Chieti tra quinto e sesto decennio del secolo, un dato che veniva a spiegare l’esistenza delle numerose opere di sua mano segnalate da Ferdinando Bologna in chiese e collezioni d’Abruzzo, e consentiva di disporle plausibilmente in un arco di tempo più lungo di quello suggerito dalla “vita” di Bernardo De Dominici che lo diceva scomparso in circostanze oscure nel 1647.

Ignoti restano comunque il luogo e la data di nascita del pittore, il cui padre, ricco mercante di granaglie documentato a Chieti dal 1628, vi si era trasferito da Bergamo in data non precisata. Non sappiamo quindi dove avvenisse la formazione di Giovan Battista Spinelli, condotta in primo luogo sulle stampe degli autori nordici del Cinquecento individuati da quanti, a partire da Walter Vitzthum, si sono occupati della produzione grafica del pittore. Incisioni nordiche circolavano senza dubbio a Napoli nel tempo dell’educazione dell’artista, fra terzo e quarto decennio del secolo; ma la scelta costante dei tipi bizzarri e a volte stravolti che in misura diversa rendono inconfondibili le opere di Spinelli potrebbe indurci a ricercare in area bergamasca, come sostiene Lanfranco Ravelli, le ragioni del suo programmatico rifiuto del classicismo

In assenza di opere datate o documentate, la sua fitta produzione tra Napoli e l’Abruzzo è stata circoscritta fra i primi anni Trenta e la metà degli anni Cinquanta in relazione agli scambi con protagonisti diversi della scuola napoletana: il tardo Battistello Caracciolo, il Maestro degli Annunci e Massimo Stanzione, quest’ultimo ricordato da Bernardo De Dominici come suo maestro e indubbio riferimento di Giovan Battista Spinelli nelle opere più mature e felici, tra cui le importanti storie di David agli Uffizi.

E sono proprio le raffinate scelte cromatiche di Stanzione, che ritroviamo nel contrasto tra toni azzurri e dorati nel nostro dipinto, a suggerirne una datazione nella fase relativamente classicheggiante che Giovan Battista Spinelli attraversa nella seconda metà degli anni Quaranta, periodo a cui l’opera è generalmente riferita.

 

 

 

 

 

 

Stima   € 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione
15

Giovanni Camillo Sagrestani

(Firenze 1660 – 1731)

SAN LUIGI DI FRANCIA

olio su tela, cm 156x120

 

SAINT LOUIS OF FRANCE

oil on canvas, cm 156x120

 

Provenienza

Poggio alla Scaglia (Firenze), villa Tempi, cappella; Roma, Finarte, asta del 20 novembre 1984; Roma, Galleria Gasparrini

 

Esposizioni

70 Pitture e sculture del 600 e 700 Fiorentino, Firenze, Palazzo Strozzi, ottobre 1965, n. 38; Visioni e estasi. Capolavori dell’arte europea tra Seicento e Settecento, Città del Vaticano, 2003.

 

Bibliografia

70 Pitture e Sculture del 600 e 700 Fiorentino, catalogo della mostra, a cura di Mina Gregori, Firenze 1965, p- 59, n. 38, fig. 38; Visioni e Estasi. Capolavori dell’arte europea tra Seicento e Settecento, catalogo della mostra, a cura di G. Morello, Milano 2003, pp. 101 e 196, n. 9; S. Bellesi, Catalogo dei Pittori Fiorentini del 600 e 700. Biografie e Opere, Firenze 2009, III, p. 247; M. C. Fabbri, “Sagrestani Giovanni Camillo” in Dizionario Biografico degli Italiani, 89, Roma 2017.

 

Restituita al Sagrestani da Mina Gregori in occasione della mostra che nel 1965 inaugurava gli studi sul Sei e Settecento fiorentino, la piccola pala qui offerta proviene dalla cappella privata di villa Tempi decorata dall’artista fiorentino e dalla sua équipe, tra cui Ranieri del Pace e Giovanni Moriani, nel primo decennio del Settecento, con pagamenti al Sagrestani nel 1712.

La scelta di effigiare San Luigi di Francia, ovvero il re capetingio Luigi IX (1214 – 1270), il cui nome è latinizzato in Ludovicus, ne lega la committenza al marchese Ludovico Tempi.

Sagrestani lavorò ripetutamente per la famiglia Tempi: oltre alla villa citata, i suoi affreschi decorarono il palazzo urbano di Santa Maria Soprarno (poi Bargagli Petrucci) e la villa detta “del Barone”.

Capofila della corrente antiaccademica che segna a Firenze il passaggio dal tardo barocco al rococò, Giovanni Camillo Sagrestani non può contare ancora su uno studio sistematico della sua produzione artistica.

Nonostante le testimonianze settecentesche di cui disponiamo non forniscano elementi sostanziali per ricostruirne cronologia e catalogo pittorico, gli studi dedicatigli, a partire dalla mostra del 1965 già citata, sono riusciti a metterne a fuoco l’iter professionale: preziosi si sono rivelati i molteplici riferimenti a sé stesso che il pittore inserì nelle Vite di artisti da lui redatte in forma manoscritta a partire dal 1716.

Veniamo pertanto a conoscenza delle precoci frequentazioni a Firenze con Simone Pignoni e più tardi con Sebastiano Ricci a Parma, incontro quest’ultimo che porterebbe a presupporre anche una tappa del giovane Sagrestani a Venezia – oltre che a Roma e a Bologna - per studiare, fra le altre, anche le pitture lasciate nella città lagunare da Luca Giordano.

Le ulteriori riflessioni a Firenze sulle opere del Giordano, come quelle eseguite per i Corsini, i Riccardi e nella chiesa di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi in San Frediano, hanno quindi guidato l’artista verso una pittura caratterizzata da una maggiore velocità e brio portandolo a mettere a punto uno stile rocaille, scintillante e festoso, più tardi avversato dal filone classicista di Antonio Gaburri.

Il San Luigi di Francia presentato rivela proprio la sua acquisita maturità artistica, in grado di coniugare i modi corretti e definiti di Carlo Cignani e l’equilibrata eleganza fiorentina del tardo Pignoni, a nuove e più moderne suggestioni concretizzatesi in vibranti stesure “a macchia” e suggestive soluzioni luministiche.

 

Opera dichiarata di interesse culturale particolarmente importante dal Ministero per i Beni Culturali, Soprintendenza di Firenze, decreto del 21 giugno 1979 - Modulario 12175 - 313269 Prot. 2904.

 

The Italian Soprintendenza considers this lot to be a work of national importance and requires it to remain in Italy; it cannot therefore be exported from Italy.

 

                                                      

Stima   € 12.000 / 18.000
58

Giovanni Montini

(Firenze, 1613 - 1673)

I SANTI JACOPO E DOMENICO CON ANGELI ADORANTI

olio su tela, cm 263x173,5

 

SAINT JACOB AND SAINT DOMINIC KNEELING, WITH ANGELS

oil on canvas, cm 263x173,5

 

Bibliografia

F. Baldassari, La pittura del Seicento a Firenze. Indice degli artisti e delle loro opere, Milano 2009, p. 583; S. Bellesi, Catalogo dei pittori fiorentini del '600 e '700, Firenze 2009, vol. 2, ill. 1113 p. 138.

 

Riconosciuta come opera di Giovanni Montini dagli specialisti del settore, la tela qui offerta rivela una evidente dipendenza dai modelli di Jacopo Vignali presso la cui illustre scuola si formò e al quale rimase legato stilisticamente per tutto il prosieguo della sua carriera.

A partire dal 1635 Montini risulta pittore autonomo, ottenendo successivamente anche il titolo di accademico presso la prestigiosa Accademia del Disegno; tra il 1647 e il 1666 il suo nome compare frequentemente nei registri di pagamento del cardinale Giovan Carlo de' Medici per il quale ricoprì il ruolo di consulente artistico oltre che di pittore. 

Presso l'Opificio delle Pietre Dure di Firenze è conservato un ottagono raffigurante Sant'Antonio da Padova eseguito proprio per il prelato di casa Medici (pubblicato in Bellesi 2009, vol. 2, ill. 1107, p. 136): emerge in questo esemplare, databile al 1663, la stessa vena creativa intrisa di intensa religiosità presente anche nel nostro dipinto che per l'analoga morbidezza nella stesura pittorica può essere parimente collocato nell'ultimo periodo di attività di Montini.

Si segnala inoltre la cura descrittiva nella resa dell'espressività dei volti dei due santi, in adorazione probabilmente della raffigurazione di una Madonna col Bambino che si trovava incorniciata al centro della pala e portata in gloria dagli angeli, forse antica immagine ritenuta miracolosa.

 

 

Stima   € 8.000 / 12.000
56

Giovanni o Niccolò Stanchi

(Roma, 1608 – 1675; 1623 - 1690 circa)

VASO DI FIORI SU UN PIANO ALL'APERTO CON ANGURIA, MELOGRANI E MELECOTOGNE

olio su tela, cm 127x103

 

FLOWERS IN A VASE WITH WATERMELON, POMEGRANATES AND QUINCES IN A LANDSCAPE

oil on canvas, cm 127x103

 

Questa raffinata e variopinta composizione si iscrive a pieno titolo nella produzione, ormai circoscritta e messa a fuoco dalle ricerche di Silvia Proni, di una delle botteghe di maggior successo nella Roma seicentesca, quella di Giovanni, Niccolò e Angelo Stanchi che, diversi per età, operarono con successo lungo tutto il secolo.

L’assenza di opere firmate individualmente e di riferimenti cronologici, con l’eccezione degli specchi dipinti a palazzo Borghese e a palazzo Colonna, comunque in collaborazione tra i fratelli, hanno fatto preferire la dicitura adottata anche qui a una difficile e infine sterile distinzione di mani all’interno di quello che fu un vero e proprio marchio.

Il dipinto qui offerto si accosta ad altri da tempo noti in cui le importanti dimensioni e il formato verticale consentono, come in questo caso, un’elaborata presentazione di frutta e fiori all’aperto. Si vedano appunto le tele già a Pesaro presso Altomani e in collezione privata a Lodi in tutto vicine alla nostra (S. Proni, La famiglia Stanchi, in G. e U. Bocchi, Pittori di natura morta a Roma. Artisti italiani 1630 – 1750, Casalmaggiore 2005, pp. 286-87, figg. FS 51 e 52). Tipica la scelta di raffinatissime rose antiche (diverse ad esempio dalla varietà prediletta da Abraham Brueghel e poi da Franz Werner Tamm) che costituiscono quasi il marchio della bottega. I colori vivaci e discordanti, sempre esaltati dalla buona conservazione e dagli ottimi pigmenti utilizzati, sottolineano il legame degli Stanchi, e forse di Giovanni in particolare, con i modelli della pittura fiamminga, a cui spesso la bottega farà riferimento anche nella scelta di tipologie nordiche, quali le ghirlande di fiori, nelle quali si distinsero a Roma.

 

 

Stima   € 35.000 / 50.000
43

Giovanni Paolo Panini

(Piacenza, 1691 – Roma,1765)

ROVINE CON PREDICA DI UNA SIBILLA

olio su tela, cm 49,5x64,5

 

A SIBYL PREACHING AMONG ANCIENT RUINS

oil on canvas, cm 49.5x64,5

 

Bibliografia

F. Arisi, Gian Paolo Panini e i fasti della Roma del 700, Roma 1986, p. 378, n. 293

 

Da tempo noto agli studi sul Panini, e invece del tutto nuovo al mercato dell’arte, il raffinato “capriccio” qui offerto propone un tema assai frequente nel catalogo del pittore piacentino, se pure declinato con sottili varianti nel numero dei personaggi e nella loro disposizione e, soprattutto, negli elementi architettonici e scultorei che ne costituiscono la cornice e insieme il vero soggetto.

Numerosi sono infatti i confronti con altre opere catalogate da Ferdinando Arisi databili, secondo lo studioso, lungo l’intero arco della produzione romana dell’artista a partire dal 1730 circa, data suggerita per la tela già nella galleria Artems a Graz (Arisi 1986, n. 190). Gli stessi motivi ritornano anche in uno dei pendants firmati per esteso presso la Cassa di Risparmio di Piacenza (Arisi, cit., nn. 264-65), dove compare tra l’altro la stessa figura di leone presente nella nostra tela, con un portico a tre colonne che a destra conclude la scena. Come per la coppia citata, Arisi propone per il nostro dipinto una datazione nell’ambito del quinto decennio del Settecento, in virtù della gamma cromatica chiara e luminosa che distingue la scena. Simile riferimento cronologico conviene anche alla più ampia redazione (Arisi, cit., n. 318) dove importanti motivi architettonici costituiscono un vero e proprio repertorio da Grand Tour.

Più vicino al nostro, sebbene più tardo, il dipinto nel museo del Prado, dalle collezioni di Carlo IV insieme a un pendant (Arisi, cit., 331-32) presenta ancora una volta gli stessi motivi cari all’artista.

 

Stima   € 25.000 / 35.000
Aggiudicazione  Registrazione
53

Guglielmo Courtois, il Borgognone

(Saint-Hippolyte, 1628 – Roma, 1679)

 

ENEA E LA SIBILLA CUMANA SULLE RIVE DELLO STIGE

olio su tela, cm 51,5x67

 

AENEAS AND THE CUMEAN SYBIL ON THE BANKS OF THE RIVER STYX

oil on canvas, cm 51,5x67

 

Provenienza

Germania, collezione privata; Londra, Whitfield Fine Arts

 

Attribuito oralmente a Guglielmo Courtois da Erich Schleier e poi da Simonetta Prosperi Valenti in una comunicazione scritta alla proprietà, questo inedito e raffinato dipinto propone un soggetto davvero inconsueto nella pittura seicentesca, il viaggio di Enea agli Inferi narrato da Virgilio nel sesto libro dell’Eneide (VI, v. 123 e ss.). La scena raffigura più esattamente il prologo a quel viaggio, il momento cioè in cui l’eroe troiano, guidato dalla Sibilla che gli ha rivelato il modo di accedere all’Oltretomba, attende sulle rive dello Stige la barca di Caronte che lo traghetterà, unico vivente, nel regno di Ade: lì Enea incontrerà le ombre dei defunti e, motivo primo del poema, avrà visione anticipata della propria discendenza fino alla dinastia giulio-claudia. Come disposto, egli reca in mano il ramo d’oro da offrire in dono a Proserpina, ed è questo uno degli elementi (l’altro è la figura di Cerbero sullo sfondo) che consente di identificare con sicurezza la scena raffigurata.

Contrariamente a quanto descritto nel poema virgiliano, la scena è ambientata in un ameno paesaggio boscoso concluso sullo sfondo da archi rocciosi: una citazione, come indica Simonetta Prosperi, dell’affresco del I secolo rinvenuto a Roma nel 1627 in occasione dei lavori di sterro per la costruzione di palazzo Barberini, noto alla cerchia degli eruditi seicenteschi come “Ninfeo Barberini”. Distrutto non molto tempo dopo il suo ritrovamento, è documentato da incisioni eseguite nella dotta cerchia di Cassiano dal Pozzo, e da un disegno di Claude Lorrain, forse tratto da una di esse: insieme alla rarità del soggetto, quest’ultimo elemento suggerisce per il nostro dipinto una committenza colta e sofisticata, forse rintracciabile nella cerchia della famiglia Pamphilj, che appunto a Enea faceva risalire la propria ascendenza mitica, e per la quale l’artista borgognone fu attivo fin dai primi anni Cinquanta.

Soggetti tratti dal poema virgiliano furono comunque raffigurati da Courtois con soluzioni compositive non troppo diverse dalla nostra se pure meno originali: ci riferiamo ai due dipinti già a Roma nella collezione di Fabrizio e Fiammetta Lemme (Venere dona le armi a Enea; Enea e Didone sorpresi dalla tempesta; cfr. S. Prosperi Valenti Rodinò, in Il Seicento e Settecento romano nella collezione Lemme. Catalogo della mostra, Roma 1998, pp. 130-31, nn. 45-46). Come i dipinti citati, anche il nostro certifica la capacità raggiunta da Guglielmo Cortese nella pittura di paesaggio, probabilmente in virtù della stretta frequentazione di Gaspar Dughet, con cui collaborò e comunque fu in contatto nei primi anni Cinquanta, ancora una volta per i Pamphilj.

 

 

 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
7

Jan Frans van Bloemen, l'Orizzonte e Placido Costanzi

(Anversa, 1662 – Roma, 1749)

(Roma? 1702 – Roma, 1759)

PAESAGGIO CON SACRIFICIO DI ISACCO

PAESAGGIO CON LA MADDALENA PENITENTE

coppia di dipinti, olio su tela, cm 41x32,5

(2)

 

LANDSCAPE WITH THE SACRIFICE OF ISAAC

LANDSCAPE WITH THE PENITENT MARY MAGDALENE

oil on canvas,a pair,  cm 41x32,5

(2)

 

Provenienza

Albano Laziale, collezione Castel Savelli

 

Bibliografia

A. Busiri Vici, Jan Frans van Bloemen, “Orizzonte” e l’origine del paesaggio romano settecentesco, Roma 1974, p. 117, nn. 255-256, figg. 126-127

 

Come già indicato da Andrea Busiri Vici che per primo li ha pubblicati, i nostri dipinti facevano parte di una serie di quattro, ora divisa, in cui figure di santi nel paesaggio si accompagnavano a soggetti vetero-testamentari, tutti eseguiti da Placido Costanzi: oltre ai nostri la serie comprendeva San Francesco in preghiera e Agar e Isamele.

Tutti e quattro i soggetti sono descritti nell’inventario di Filippo III Colonna del 1783, mentre in quello del cardinale Girolamo II Colonna del 1763 compaiono solo “un Ovato con Sacrificio di Abramo” e “un Ovato con San Francesco in estasi con due angeli”.

Sebbene le misure di due palmi per uno corrispondano alle nostre, l’indicazione del rame quale supporto dei dipinti nell’inventario del 1783 ne vieta l’identificazione con la serie pubblicata da Busiri Vici e quindi con la coppia qui offerta, che ne costituisce verosimilmente una seconda versione.

Le bellissime figure di Placido Costanzi, collaboratore dell’Orizzonte in molteplici occasioni tra cui la decorazione del Coffee-House nel giardino del Quirinale, voluta da Benedetto XIV, conferiscono un interesse particolare ai paesaggi di Jan Frans van Bloemen, lasciando intuire l’importanza della loro originaria committenza.

Lo stesso Costanzi, del resto, aveva conservato per sé otto diversi paesaggi di Van Bloemen arricchiti dalle proprie figure, tra cui due coppie di tele ovali, il cui soggetto non è purtroppo specificato nell’inventario del suo studio in via del Babuino, nel 1759. Nulla vieta di pensare che si tratti proprio dei nostri dipinti e dei loro pendants, ormai divisi.

 

 

 

 

Stima   € 20.000 / 30.000
9

Luca Mombello

(Orzivecchi, 1518/1520 – ante 1596)

MADONNA COL BAMBINO E I SANTI COSTANZO E CATERINA D’ALESSANDRIA

olio su tela, cm 110 x 94

 

MADONNA WITH CHILD, SAINT COSTANZO AND SAIN CATHERINE OF ALEXANDRIA

oil on canvas, cm 110x94

 

Provenienza

Brescia, collezione Martinengo delle Palle; collezione Monti; collezione privata.

 

Proprietà della famiglia Martinengo delle Palle fin dalla sua realizzazione, il dipinto è opera di Luca Mombello, pittore e intagliatore – a cui si deve con ogni probabilità anche la cornice in cui è inserita la tela - allievo di Moretto e incaricato di completare, dopo la morte del maestro, alcune sue opere, quali L’incontro di Abramo con Melchisedek e il Convito dell’Agnello della cappella del Santissimo Sacramento nel Duomo vecchio di Brescia, interrotte a livello di abbozzo nel 1553.

Suoi dipinti si trovano in varie chiese del territorio bresciano, con puntate nel Veneto, e nella Pinacoteca Tosio Martinengo (cfr. Brescia nell’età della Maniera: grandi cicli pittorici della Pinacoteca Tosio Martinengo, cat. della mostra a cura di E. Lucchesi Ragni - R. Stradiotti, Cinisello Balsamo 2007, pp. 97-109): sua riconoscibile cifra stilistica è l’impostazione, caratterizzata dalla quasi totale assenza di prospettiva, dove tra le figure, disposte in una rigorosa simmetria, trova spazio un piccolo paesaggio che dà respiro alla composizione, e la grandissima cura posta nei dettagli, dalle figure, attentamente e preziosamente descritte nei loro abbigliamenti e attributi, ai frutti e fiori che costituiscono una sorta di quinta scenica, dettagli evidentemente rivestiti di significati simbolici.

 

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
33

Mario Nuzzi, detto Mario de' Fiori

(Roma 1603–1673)

COMPOSIZIONE FLOREALE ENTRO VASO SBALZATO

olio su tela, cm 85x60,5

 

STILL LIFE WITH FLOWERS IN AN EMBOSSED VASE

oil on canvas, cm 85x60,5

 

Questa sontuosa composizione di fiori, imponente anche nelle dimensioni, può confrontarsi anche nella presentazione su un fondo bruno su cui spiccano le corolle policrome con la serie di tele già nella collezione Mansi a Lucca, documentate in un inventario del 1682 che censisce otto vasi di fiori di grandi dimensioni ed altri più piccoli, tutti di mano dell’artista romano. Da tempo divisa per coppie di tele, la serie è stata in parte ricostruita da Ulisse e Gianluca Bocchi (Pittori di natura morta a Roma. Artisti Italiani 1630-1750, Casalmaggiore 2005, pp. 107-116, figg. MN 43-50).

Sebbene accostabile in maniera più specifica ad alcuni numeri di quella raccolta (vedi MN 45 e 48) il nostro dipinto ne differisce per il punto di vista, rialzato rispetto al piano della composizione, e per il vaso istoriato con motivi totalmente diversi da quelli che ispirano la serie lucchese, sebbene tratti anch’essi dal repertorio classico.

Sotto questo profilo, i confronti più pertinenti rimandano a un dipinto non ancora rintracciato ma ben documentato grazie all’incisione di Jacobus Coelemans (Anversa 1670 – Aix-en-Provence 1735) che lo riprodusse quando si trovava nella prestigiosa collezione Boyer d’Aiguilles ad Aix-en-Provence, ricca di numerose nature morte romane tra cui quelle che costituirono l’avvio per una ricostruzione del cosiddetto Maltese.

Pubblicata una prima volta da Luigi Salerno (Nuovi studi su la natura morta italiana, Roma 1989, p. 75, fig. 64) l’incisione è stata nuovamente illustrata da Ulisse e Gianluca Bocchi (2005, cit., p. 69, MN 1) come il più antico documento visivo dell’opera di Mario dei Fiori. Identico al nostro nel punto di vista, il sontuoso bouquet riprodotto da Coelemans è presentato in un vaso baccellato nella parte inferiore e ornato da un motivo figurato quasi identico al nostro. Anche in quel dipinto, infine, prevalgono i fiori di garofano dai petali scomposti.

 

 

Stima   € 15.000 / 20.000
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 30  di 68