DIPINTI DEL SECOLO XIX

23 NOVEMBRE 2016

DIPINTI DEL SECOLO XIX

Asta, 0188
FIRENZE
Palazzo Ramirez Montalvo
Borgo degli Albizi,26
Ore 17.30
Esposizione

FIRENZE
18-21 Novembre 2016
orario 10 – 13 / 14 – 19
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it



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Stima   1500 € - 60000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 62
76

attribuito a Emile Jean Horace Vernet

(Parigi 1789 - Parigi 1863)

RITRATTO DI THORVALDSEN CON IL BUSTO DI HORACE VERNET

olio su tela, cm 100x75

retro: datato "Roma 1833"

 

Lo scultore danese Bertel Thorvaldsen trascorse gran parte della sua vita a Roma: nella capitale conobbe Horace Vernet, che dal 1829 al 1835 ricopriva la carica di Direttore dell’Accademia di Francia. Il ritratto di Thorvaldsen fu commissionato a Vernet dall’Associazione di Belle Arti di Copenaghen: una volta iniziato il dipinto, tuttavia, sorsero delle contestazioni sul costo dell'opera, giudicato troppo alto dall'Associazione. Il pittore decise allora di regalare lui stesso il ritratto allo scultore. Il busto di marmo raffigurato nel dipinto venne donato da Vernet nel 1835 al Musée Calvet di Avignone, mentre il gesso si trova oggi al Thorvaldsens Museum di Copenaghen. Del dipinto in oggetto esistono numerose versioni. La prima è conservata al medesimo museo della capitale danese, e reca l'iscrizione "Horace Vernet à son Illustre ami Torwaldsen / Rome 1833". Un'altra si trova al Metropolitan Museum di New York e non presenta iscrizioni. Una terza, vicina alla copia newyorkese, si trovava presso J. Leger and Son a Londra nel 1955 (si veda Notable Works of Art Now on the Market: Supplement, in "Burlington Magazine", XCVII, 1955) mentre una quarta figurava presso Wildenstein, New York, nel 1982. Georges Brunel (Horace Vernet 1789-1863, catalogo della mostra (Accademia di Francia, Roma, marzo-giugno 1980), Roma 1980, p. 91 n. 64) ricorda anche l'esistenza di copie a Roma e a Marina di Carrara. Non sappiamo se la versione che oggi presentiamo possa identificarsi con una delle copie qui menzionate. Una copia del pittore danese C. W. Schenström si conserva nel Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow e una copia anonima fu inclusa nella vendita tenutasi nella Aeldre Kunst Antikviteter, a Copenaghen, 10-12 settembre 1997 (n. 121). Una miniatura basata sulla composizione è nella Royal Collection Trust, London.


Bibliografia di confronto

G. Brunel in Horace Vernet 1789-1863, catalogo della mostra (Accademia di Francia, Roma, marzo-giugno 1980), Roma 1980, p. 91 n. 64

 

 

Stima   € 12.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
105

Cristiano Banti

(Santa Croce sull'Arno 1824 - Montemurlo 1904)

LA CONGIURA: IL RITROVAMENTO DEL CORPO DI LORENZINO DE MEDICI

olio su tela, cm 215x177,5

 

Provenienza

Eredi Banti, Firenze

Collezione Attilio Vallecchi, Firenze

Collezione E. Gagliardini, Milano

Collezione Mario Borgiotti, Milano

Galleria Bottega d'Arte, Milano

Galleria Sant'Ambrogio, Milano

Collezione Giovanni Matteucci, Viareggio

Collezione privata, Milano

 

Esposizioni

L'opera di Cristiano Banti pittore (1824 - 1904), Palazzo Pretorio, Prato, 1965, p. 19, n. 10

Momenti della Pittura Toscana dal Neoclassicismo ai Postmacchiaioli, Galleria Parronchi, Firenze, 1997, p. 15, n. 11, tav. 15

I Macchiaioli. Origine e affermazione della macchia 1856 - 1870, Museo del Corso, Palazzo Cipolla, Roma, 2000, p. 49, n. 1

 

Bibliografia

M. Borgiotti, Genio dei Macchiaioli, Milano 1964, II, pp. 392 – 395, tavv. 199 - 200

Catalogo Bolaffi della pittura italiana dell’800, 3, Torino 1970, p. 22

I Macchiaioli, catalogo della mostra (Forte di Belvedere, Firenze, 23 maggio – 22 luglio 1976) a cura di D. Durbè, Firenze 1976, p. 69

G. Matteucci, Cristiano Banti, Firenze 1982, p. 344, n. 13

E. Spalletti, Gli anni del caffè Michelangelo, Roma 1985, pp. 155-157, n. 130

Ann. Allemandi, IX, 1991 - 92, p. 41

 

È la tela più importante che Banti abbia dipinto, per dimensioni e per impegno di elaborazione compositiva. Resa nota nel 1964 dal Borgiotti con il titolo La congiura, lo ha mantenuto invariato anche nella mostra pratese del 1965. Nel soggetto deve riconoscersi l'episodio del ritrovamento del corpo di Lorenzino dei Medici, così come le fonti lo riportano. Il riferimento al Morelli risulta ancora della tipologia dell’immagine. Tuttavia è evidente un'ampiezza d'interessi culturali, derivanti ancora dalla tipologia dell'immagine. Tuttavia è evidente un'ampiezza d'interessi culturale, derivati dalla comprensione della pittura francese di argomento storico della prima metà del secolo (oltre Delacroix soprattutto Decamps e Delaroche), che Banti ebbe agio di approfondire nel viaggio parigino del 1861. Il riporto dell'opera dal vecchio telaio ad uno nuovo ha restituito al dipinto le sue originali dimensioni, rispetto a quelle con cui era conosciuto finora (193x135); ciò induce a supporre, in via di pura ipotesi, che in uno stadio precedente tali dimensioni potessero corrispondere a quelle (178x116) di un quadro passato con il titolo La morte di Corradino di Svevia in alcune vendite tra il 1910 e il 1914.

 

(G. Matteucci, Cristiano Banti, Firenze 1982, p. 344, n. 13)

 

 

Stima   € 12.000 / 18.000
103
Ruggero Focardi
(Firenze 1864 - Quercianella 1934)
DOMENICA CAMPAGNOLA
olio su tela, cm 150x300
firmato e datato "1924" in basso a sinistra

Provenienza
Collezione privata

L'opera potrebbe essere a nostro parere identificabile con Domenica Campagnola, un dipinto i cui studi preparatori furono esposti alla Esposizione delle opere d'arte del pittore Ruggero Focardi e dello scultore Alimondo Ciampi, alla Galleria d'Arte Cavalensi e Botti nel 1928 (cfr. Esposizione delle opere d'arte del pittore Ruggero Focardi e dello scultore Alimondo Ciampi, catalogo della mostra (Galleria d'Arte Cavalensi e Botti, Firenze, 23 febbraio - 12 marzo 1928), Firenze 1928, pp. 10-11)

Ruggero Focardi nacque a Firenze il 16 luglio 1864. Proveniente da una famiglia di artisti (sia il padre che il fratello maggiore, Giovanni, erano scultori), si dedicò alla pittura. Esordì nel 1881 alla Royal Academy di Londra, dove viveva il fratello, esponendo le incisioni Pater noster e Un po' d'elemosina per l'amor di Dio! (Franchi, 1903-04, ripr. p. 584), raffigurante un vecchio mendicante. Quest'opera, dal verismo fortemente intriso di intonazioni patetiche e sentimentali, fu scelta l'anno seguente dalla commissione del Circolo artistico di Firenze per una vendita di opere d'arte a favore degli alluvionati del Veneto. In tale occasione il F. venne notato da T. Signorini, membro della commissione; iniziò da quel momento tra i due una solida amicizia e una consuetudine di rapporti, che si estese poi a tutto il gruppo dei macchiaioli toscani, tra i quali G. Fattori, S. Lega, O. Borrani, L. Tommasi, L. Gioli.La prima produzione del F. è condizionata dall'influenza del Signorini, non solo nello studio rigorosamente dal vero e nell'adesione alla poetica della "macchia", ma, soprattutto, nel taglio compositivo e nella descrittività analitica della scena. La maggiore ricchezza cromatica e la tematicá umanitaria lo avvicinano soprattutto ai macchiaioli della seconda generazione, o postmacchiaioli, come E. Ferroni, E. Cecconi e N. Cannicci.Vari i soggetti rappresentati dal F., dai ritratti alle luminose marine di Livorno, agli studi di paesaggio nella varietà di effetti di luce e di condizioni atmosferiche, alle umili vicende di vita agreste e paesana. Con tali opere prese parte a numerose mostre, soprattutto di ambito fiorentino: Atmosfera di pioggia fu esposto alla mostra della Società promotrice di belle arti di Firenze nel 1884, mentre Effetto di pioggia e Siesta d'estate vennero presentati nel 1887 nell'ambito della medesima rassegna, alla quale il F. prese spesso parte anche in seguito; con Il gioco delle bocce (Firenze, Galleria d'arte moderna) partecipò all'Esposizione universale di Parigi del 1889 e con Vita campagnola al premio Baruzzi di Bologna del 1894; due anni dopo, inoltre, Il mercato di Settignano (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) fu premiato alla mostra della Promotrice di Firenze.Nel 1901 il F. partecipò al concorso indetto da Alinari per l'illustrazione della Commedia, rappresentando il canto XXXIII del Purgatorio, che sembra segnare una svolta nel suo stile, sia per il soggetto preraffaelita, sia per la tecnica, ispirata alla pittura divisionista di Gaetano Previati. Il punto di contatto con tale diverso ambiente artistico sembra rappresentato dal pittore livornese Plinio Nomellini con il quale il l’artista condivise innumerevoli iniziative, in campo artistico ed espositivo (si veda il Ritratto del pittore Nomellini, esposto nel 1921 alla prima Biennale romana, che, insieme alla Testa di vecchio, dal 1921 al Museo d'arte italiana di Lima, in Perù, è una delle sue rare sculture). I contatti con il divisionismo non lasciarono tuttavia profonde tracce nel linguaggio figurativo del Focardi, che per tutta la vita rimase stanzialmente fedele alla pittura di paesaggio e al bozzetto, al motivo lirico e familiare.Alla sua attività di pittore, affiancò una brillante e dinamica attività di organizzatore, polemista e divulgatore, a difesa della pittura "di macchia". Nel 1896 collaborò, con gli altri macchiaioli., al settimanale artistico-letterario Fiammetta e a vari altri giornali e riviste, fra cui, nel 1905, il Secolo XX, con articoli di ispirazione socialisteggiante e umanitaria. Con Mario Galli contribuì alla formazione dell'importante collezione di dipinti macchiaioli di E. Checcucci. Insegnò inoltre all'Accademia di belle arti di Firenze. Nel 1910 organizzò a Firenze la grande retrospettiva dell'arte toscana dell'Ottocento.Anche nel Novecento il Focardi prese parte a numerose esposizioni: nel primo decennio partecipò più volte (1904, 1909, 1910) alle mostre della Promotrice di Firenze, società in cui ricoprì inoltre le cariche dì vicepresidente e di segretario artistico; nel 1913, sempre a Firenze, partecipò con cinque pezzi all'Esposizione internazionale di pittura, scultura, architettura e bianco e nero; con dipinti e sculture prese parte nel 1921 alla Biennale di Napoli e a quella romana; l'anno seguente partecipò alla Fiorentina primaverile e allestì, sempre a Firenze, una personale presso la galleria d'arte antica e moderna Alfredo Materazzi (tra le altre personali, si segnalano quelle alla galleria Pesaro di Milano nel 1928, presentato in catalogo da A. Lancellotti, e nel 1931). Espose inoltre alla Biennale di Venezia del 1924 e del 1926, alla III Biennale romana del 1925 e, sempre a Roma, alle tre edizioni della Mostra nazionale d'arte marinara (1926-1929). Morì a Quercianella il 25 febbraio 1934.
(cfr. S. Frezzotti, Focardi, Ruggero, in Dizionario Biografico degli Italiani, XLVIII, 1997)
Stima   € 28.000 / 35.000
121
Baccio Maria Bacci
(Firenze 1888 - 1974)
IL BARBIERE
olio su carta applicata su tela, cm 99x89
siglato in basso a destra

Esposizioni
Baccio Maria Bacci 1888-1974, Stia, 3 agosto - 29 settembre 1996, n. 3

Bibliografia
Baccio Maria Bacci 1888-1974, catalogo della mostra (Stia, 3 agosto - 29 settembre 1996) a cura di M. Pratesi, Stia 1996, n. 3

Nato a Firenze l'8 gennaio 1888, discendente da una famiglia di artisti, trascorse gli anni dell'infanzia a Bellosguardo, sulle colline fiorentine, nella casa frequentata dai maggiori macchiaioli. Dopo la morte del padre, nel 1897, trascorse alcuni anni in Germania.Di nuovo a Firenze nel 1905, grazie all'interessamento di Luigi Bechi venne ammesso all'Accademia, ma, insofferente di ogni disciplina ed insoddisfatto degli insegnamenti ricevuti, ad un mese dalla licenza abbandonò gli studi ed incominciò a dipingere per conto proprio. I risultati di quelle prime prove, il cui riferimento è soprattutto a Cézanne, vennero presentati al pubblico nel 1910 in una mostra a palazzo Gondi.Nel 1911, sempre a Firenze, fu presente alla Mostra del cinquantennio e conseguì il premio della camera di commercio; l'anno successivo, andò a Parigi ospite di Renato Paresce e visse la stagione del cubismo e dei fermenti futuristi, grazie ai frequenti contatti con Apollinaire e Gino Severini.Ritornato per motivi di salute alla fine d'aprile 1913 a Fiesole - ma alternò lunghi soggiorni anche in Svizzera dove conobbe Kandinskij - si dedicò a sperimentare le possibilità di scomposizione formale e cromatica offerte dal futurismo.Nelle opere del periodo giovanile il Baccio Maria Bacci mostra di aver guardato attentamente a diverse esperienze internazionali - dal decorativismo secessionista al cubismo - e di aver operato infine una scelta in favore di un "costruttivismo… che accoglie ed elabora nelle sue marcate strutture un empito cromatico di relazione ‘espressionista’" (Ragghianti, 1967).Dopo la partecipazione alla prima guerra mondiale, il ritorno alla serenità fiesolana coincise con un nuovo fervore creativo: le grandi tele dalle plastiche figure a grandezza naturale - donne quiete e prosperose in interni consueti, sodi contadini intenti al lavoro nel paesaggio bucolico - vennero presentate alla Mostra internazionale d'avanguardia a Ginevra nel 1921 e, l'anno successivo, alla Fiorentina primaverile, dove una sala personale accolse quindici opere.Se per i dipinti precedenti il riferimento era a modelli artistici europei, ora è la tradizione rinascimentale italiana, e toscana in particolare, che fa da supporto alla composizione di impianto classicheggiante; tradizione della quale il Bacci propose, nel corso degli anni Venti, una rilettura critica originale ed autonoma, ma in parallelo con i dettami che il gruppo milanese del Novecento andava proprio allora sostenendo.Così l'artista venne invitato a partecipare sia alle due mostre organizzate al palazzo della Permanente di Milano nel febbraio 1926 e poi nel marzo 1929, sia a quelle allestite all'estero: all'Esposizione d'arte italiana in Olanda (Stedelijk Museum di Amsterdam) nell'ottobre 1927; all'Exposition du Novecento italiano (Société des beaux arts di Nizza) nel marzo 1929; e alla Moderne Italiener (Kunsthalle di Basilea) nel febbraio 1930.Nel frattempo il Bacci aveva preso parte al dibattito artistico collaborando ad alcune riviste. Aveva inoltre partecipato alla fondazione della Corporazione delle arti di Firenze, ed infine costituito un "Gruppo novecentesco toscano", presentatosi in una mostra collettiva alla galleria Milano di Milano nel dicembre 1928. Sono di quegli anni i dipinti più significativi.Verso la fine del decennio l'artista, che ormai aveva raggiunto larga notorietà ed aveva partecipato a diverse edizioni della Biennale veneziana, venne chiamato ad eseguire gli affreschi con le Storie di S. Francesco nel convento della Verna, a cui fecero seguito altre realizzazioni di soggetto sacro.Nonostante queste prestigiose ed impegnative commissioni, il Bacci riuscì ad applicarsi costantemente alla pittura di cavalletto che nel '48, al ritorno dalla partecipazione alla seconda guerra mondiale, presentò al pubblico in una rassegna alla galleria Gianferrari di Milano.Sono di quel periodo dipinti come Le belle mugnaie di Varlungo (1940), Il vagabondo (1943), Interno (1948), Il libro delle farfalle (1949), in cui il novecentismo delle prove precedenti ritorna specialmente nella forma di "realismo magico", stante l'atmosfera rarefatta e sospesa che investe le composizioni.Trasferitosi nel 1955 a Roma il Bacci proseguì accanto alla sempre felice produzione pittorica la pubblicazione di testi ed edizioni critiche riguardanti i macchiaioli. cui da tempo si dedicava. Muore a Firenze l'8 ottobre del 1974.
(cfr S. Zatti, Bacci, Baccio Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXIV, Roma 1988)
Stima 
 € 18.000 / 25.000
119

Erma Bossi

(Pola 1882 o 1885 - Milano 1952 o 1960)

DANZATRICI

olio su tela cerata, cm 50x74

firmato in basso a sinistra

 

I riflettori si sono accesi sulla personalità di questa pittrice da quando nelle raccolte dello Schlossmuseum della cittadina tedesca di Murnau, giunse un dipinto di Gabriele Münter intitolato "Kandinsky e Erma Bossi a tavola". Dell'opera, che riproduce un angolo della casa in cui l'autrice soggiornava dal luglio del 1909 insieme al suo compagno e maestro Vassily Kandinsky a Murnau, esistono più versioni e diversi schizzi preparatori. Osservando l'intensità della conversazione che pare intercorrere tra i due protagonisti del dipinto la direttrice del museo, Sandra Uhrig, ha voluto approfondire la conoscenza dell'artista raffigurata di fronte al celebre maestro dell'astrattismo, tentando di fare chiarezza tra le poche e confuse notizie biografiche e gli altrettanto pochi lavori a disposizione.

Si è intrapresa così una ricerca sulle tracce di Erma Bossi che ha portato alla realizzazione di una mostra, inauguratasi nel  luglio 2013 allo Schlossmuseum di Murnau  e alla pubblicazione di un catalogo che si avvale dei contributi di Carla Pellegrini Rocca, gallerista milanese il cui archivio conserva diverse testimonianze sull'artista, e di Sergio Vatta per la ricostruzione degli anni triestini della Bossi.

Erma Bossi, il cui nome originario era Erminia Bosich, nasceva infatti a Pola nel 1875 da famiglia triestina. A Trieste, dal 1888 al 1893, frequenta con profitto il Civico Liceo Femminile. Già a questi anni va probabilmente ascritta la sua inclinazione artistica che avrà modo di svilupparsi poi nell'ambito del Circolo Artistico triestino..

Al 1902 risale il ritratto che Carlo Wostry le dedica, definendola "distinta collega", mentre di due anni dopo è la recensione che su "Il Piccolo" segnala i suoi pastelli "modellati con energia quasi violenta" con "un impeto di colore così acceso di luci arrischiate da impressionare l'osservatore". Nell'arte della Bossi pare dunque delinearsi sin da subito un'indole tendenzialmente espressionista che di lì a poco avrà modo di confrontarsi con i maggiori protagonisti europei di tale corrente.

Nello stesso 1904 pare infatti che l'artista giungesse a Monaco di Baviera. Qui non si sa con certezza se abbia potuto frequentare un'Accademia del Circolo Artistico femminile o, anche forse solo occasionalmente, i corsi di pittura tenuti da Anton Azbe e Heinrich Knirr. Sicuramente ben presto entra in contatto con Gabriele Münter, Vassily Kandinsky e gli altri pittori che nel 1909 fondarono la Neue Künstlervereinigung München. Il registro comunale degli ospiti estivi di Murnau attesta che Erma si era intrattenuta nell'estate del 1908 nella località di villeggiatura sullo Staffelsee assieme a Kandinsky, Münter, Jawlensky e Werefkin, soggiornando alla pensione Echter. Lo stesso Jawlensky la ricorda nei suoi diari.

Con gli artisti della Nuova Associazione di Monaco Erma Bossi espone alle prime tre mostre, dal 1910 al 1912, quando già sembrerebbe attratta da Parigi. Alcune tele come "Caffè Blanche" e "Moulin Rouge", citate nei cataloghi delle mostre monacensi, presentano soggetti chiaramente ispirati alla capitale francese. Proprio a Parigi, dove si trasferirebbe intorno al 1911, le tracce dell'artista si affievoliscono con notizie sulla sua partecipazione a diversi Salon che tuttavia non è stato possibile comprovare. Un altro enigma di questo periodo riguarda un ipotetico matrimonio della pittrice con il tenore italiano Carlo Barrera (1865-1938). La firma Erma Barrera Bossi compare infatti in alcuni dipinti databili dal 1910-11 fino al 1920 circa.

Alla fine della prima guerra mondiale, negli anni Venti, si stabilisce a Milano. Il suo stile pittorico si allinea al clima di "ritorno all'ordine" e le sue opere appaiono nelle esposizioni del Gruppo Novecento. Nel 1930 espone una "Natura morta" alla XVII Biennale di Venezia. Muore a Cesano Boscone nel 1952.

 

(cfr F. Mari, La pittrice triestina amica di Kandinsky , in "Il piccolo", Trieste, 27 agosto 2013)

 

 

Stima 
 € 8.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
73

Eugène Boudin

(Honfleur 1824 - Deauville 1898)

LA NOURRICE SUR LA PLAGE

olio su tavola, cm 14,5x23,5

firmato in basso a destra

 

Provenienza

Collezione Muller, Parigi

Collezione Devilder, Roubaix

Collezione privata

 

Esposizioni

Eugène Boudin, The Duke Street Gallery, Londres, 10 novembre 1980 - 9 gennaio 1981, n. 9

Eugène Boudin 1824-1898, Knoedler & Co, New-York, 10 novembre - 12 dicembre 1981, n. 23

Eugène Boudin, Galerie Schmit, Parigi, 10 maggio - 20 luglio 1984, n. 30

 

Bibliografia

R. Schmidt, Catalogue raisonné de l'Oeuvre peint d'Eugène Boudin, Parigi 1973, II, n. 1796, p. 192

L. Manoeuvre, Boudin et la Normandie, Paris 1991, p. 87

 

L'opera è inclusa nell'Archivio Schmit con il numero B-T.1883-87/1987/1796.

Siamo grati a Manuel Schmit per aver confermato la paternità dell'opera.

 

E' Eugène Boudin, prima di Claude Monet, di Camille Pissaro e di Alfred Sisley, a sfidare la tradizione pittorica spostando il cavalletto dallo studio all'aria aperta dei meravigliosi paesaggi della Normandia e di Le Havre, sulla scia delle esperienze pittoriche già esplorate dalla Scuola di Barbizon, dove il soggetto principale erano lo spazio paesaggistico e le campagne popolate da contadini e animali da pascolo.

Boudin però non è orientato verso un'interpretazione realista-romantica del paesaggio ma è incantato dai mutevoli effetti della luce, delle meraviglie naturali, dalle campagne e dalle spiagge che prendono vita sulle sue tele.

Nato a Honfleur in Normandia nel 1824, Boudin scoprì tardi la sua vocazione di pittore. Dopo aver lavorato come marinaio, aprì un negozio di cornici che gli consentì di conoscere molti degli artisti che frequentavano quei luoghi, da Courbet a Corot. In seguito, per amore della pittura, abbandonò tutto per recarsi a Parigi, dove, anziché frequentare l'Accademia, preferì copiare, al Louvre, i grandi maestri veneti e olandesi.

Quando possibile, tornava in Normandia, spostandosi col suo cavalletto da una spiaggia all'altra. Dipingere all'aperto fu per lui l'unico modo di lavorare: era convinto che "due colpi di pennello a contatto con la natura valgano più di due giorni di lavoro in uno studio".
A volte, nelle sue escursioni pittoriche, veniva seguito da un ragazzo molto più giovane, di cui aveva intuito le grandi qualità: Claude Monet. Insieme vagavano con il cavalletto, cercando di fissare sulle tele quei cieli cangianti che si riflettevano, differenti ad ogni istante, sulla superficie del mare. In un periodo in cui il pubblico prediligeva una pittura nitida e precisa, Boudin dipingeva senza definire le forme e con una tavolozza sempre più chiara ed evanescente, tanto che i suoi quadri hanno spesso l'aria di essere appena abbozzati. Ciò che contava per lui era afferrare l'attimo, l'istante preciso in cui un riflesso cambiava o la luce variava di colore, un obiettivo che perseguì per tutta la vita. Nel 1920 Claude Monet confessò al suo biografo Gustave Geffroy di dovere tutto il suo successo ad Eugène Boudin, che Corot aveva definito "il re dei cieli". Attraverso lui aveva imparato a leggere la natura e ad educare il proprio occhio; gli riconosceva il dono dell'immediatezza, qualità fondamentale che lo affascinò sempre. Proprio questo suo interesse per la natura e per la resa del paesaggio aprirà le porte alla grande rivoluzione impressionista.

Boudin espose per la prima volta al Salon di Parigi, con l'opera Le Pardon. Nell'estate del 1862 dipinse la sua prima spiaggia, e sono proprio le spiagge descritte nelle loro infinite variazioni atmosferiche a caratterizzare la sua opera. Nel tempo, le tele di Boudin continuarono a rappresentare gli stessi soggetti, ma variandoli a seconda delle ore del giorno: a questo genere appartengono, ad esempio, Plage aux environs de Trouville (1864) o Concert au casino de Deauville (1865). A queste si affianca l'esercizio costante nella raffigurazione della borghesia nei momenti di svago, soprattutto nella fase matura del suo lavoro, intorno agli Anni Settanta dell'Ottocento. Le principali location di queste opere furono le spiagge e le nuove strutture ricreative nelle quali il circolo di benestanti si ritrova: è dunque nuovamente la Normandia, dove Boudin trascorse in genere metà dell'anno, recandosi a Parini solo d'inverno, il soggetto di questi suoi dipinti. A dicembre del 1870 si trasferì a Bruxelles, chiamato dal mercante d'arte Gauchez, e vi lavorò per tutto il 1871, spostandosi anche ad Anversa, a Bordeaux e nei Paesi Bassi, per variare un po' la produzione. Con la crisi del mercato dell'arte alla metà degli anni '70, viaggiare diventò per lui più difficile; ricominciò a farlo poi negli anni '80, finché si trasferì nella casa che si era fatto costruire a Deauville, nella bassa Normandia, dove i colori della sua tavolozza continuarono a mantenere una certa cupezza riflettendo il tempo atmosferico di quelle terre del Nord. Nel 1874 partecipò alla mostra degli Impressionisti nello studio di Nadar. Alcuni anni dopo, nel 1883, Paul Durand-Ruel, il primo mercante d'arte a capire l'importanza degli Impressionisti e grande estimatore del lavoro di Boudin, gli dedicò una mostra di grande successo nella sua nuova galleria in Boulevard de la Madeleine a Parigi. Solamente nel 1892, quando, per motivi di salute Boudin si spinge a Sud, nella Costa Azzurra, la sua tavolozza si schiarì, pur sentendosi incapace di tradurre in pittura la luce di quelle terre e di quel mare. Passerà gli anni successivi tra la Costa Azzurra, Venezia, Firenze, per morire poi nell'amata Deauville nell'agosto del 1898.

 

Stima   € 60.000 / 80.000
Aggiudicazione  Registrazione
68

Fausto Zonaro

(Masi (PD) 1854 - San Remo (IM) 1929)

L'ACQUAIOLO

olio su tela, cm 77,5x64

firmato e datato "83" in basso a sinistra

 

Provenienza

Collezione privata, Milano

 

"Tuttavia la città che maggiormente tornì lo stile pittorico di Fausto Zonaro fu Napoli; l'ambiente partenopeo con i suoi profumi, i vicoli, i colori, i suoni lo affascinarono molto, a tal punto da ascrivere la fase napoletana fra una delle più considerevoli per la formazione pittorica di Fausto. Il trasferimento avvenne circa nel 1871, anche se appare difficile ricostruirne con precisione l'arco cronologico a causa dei suoi continui spostamenti e della perdita di molte opere da legare a questa stagione. Di sicuro la primaria fonte di attrazione verso la scuola napoletana si originò dalla presenza di Eduardo Dalbono agli inizi degli anni Ottanta il cui stile influenzò una parte cospicua della sua produzione ritrattistica successiva lungo tutto l'arco della carriera: dalle tele dei primi anni, come Angeliki, Mia figlia Jolanda, l'Autoritratto realizzato ad olio in piena maturità, ai finissimi ed eleganti pastelli quali la Pudica o Mia moglie Elisa.

Il rapporto con la scuola napoletana, purificata nell'Ottocento dagli ultimi residui tardi barocchi o caravaggeschi, e inseritasi in un più vasto movimento artistico paesaggistico tipico della Scuola di Posillipo, accentuò la propensione "realista" di Zonaro impreziosendo il suo stile con nuove suggestioni stilistiche e affinando ciò che aveva già appreso dalla pittura veneta. L'impronta accademica e formale dei primi anni lascia adesso il posto a una pittura più morbida ma allo stesso tempo più decisa e più pastosa e la tavolozza cromatica si arricchisce di cromatismi forti e vivi: dal rosso all'arancio, al giallo caldo e avvolgente, per sfumare in colori fangosi. La deliziosa scenetta familiare del Primo Frutto, come anche la gestualità e l'espressività delle due donne protagoniste del dipinto Vecchie conoscenze o il dittico Primi tuoni e Tempesta, sono solo alcune delle opere che mostrano come nell'ambiente partenopeo Zonaro elaborò con maggior vigore temi e soggetti di vita quotidiana ripresi nelle piccole vie, nei tradizionali mercati, nelle piazze, e intrisi di giochi di luce mediterranea.

Dalla lettura delle tanti fonti pervenute, si rivela che più che quadri a soggetto essi potrebbero essere considerati veri e propri studi dal vero di un pittore aneddotico dotato di spirito d'osservazione nel rappresentare le passioni, i costumi e le abitudini popolane come quelle del citato dipinto Primi Tuoni in cui le giovani donne appaiono vestite di percallo a fiorami, e che son lì, una di fronte all'altra, le mani ai fianchi, nell'atto di insultarsi, parlano davvero, gesticolano, si mandano veri fulmini dagli occhi, dal volto, da tutta la persona, un preludio alle baruffe e alle urla delle donne della nota Tempesta, un tumulto del quale resteranno tracce nelle graffiature dei volti e nelle ciocche dei capelli, seminati sul campo di battaglia. L'incontro con le tante eccellenze che popolavano in quei tempi la ridente Napoli come Mariano Fortuny padre, Gioacchino Toma, Michele Cammarano, contribuì ad arricchire il suo modo di dipingere, in quanto erano tutti artisti che attingevano alla stessa sorgente artistica di Fausto, patinata di verismo sociale e fortemente influenzata dalla fotografia".

 

(F. Midiri, Fausto Zonaro: un artista dallo stile multiforme, in Fausto Zonaro. Vita e luce tra fasti ottomani e belle époque italiana, catalogo della mostra (Palazzo Medici Riccardi, Firenze, 1 – 30 aprile 2015) a cura di E. Makzume, B. Baglivo, Firenze 2015, pp. 37-63, in particolare 44-45)

 

Stima   € 20.000 / 30.000
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94
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