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Scultore fioren

Scultore fiorentino prossimo a Donatello, secondo quarto sec. XV COPPIA DI PUTTI ALATI CHE SORREGGONO FESTONI due altorilievi angolari in marmo bianco (parte di un fregio), cm 49x21x35 e 49x22,5x32 Lopera è corredata da parere scritto di Giancarlo Gentilini, Firenze, 22 luglio 2011 Questa vivace coppia di gagliardi puttini alati - genietti, amorini o piuttosto creature angeliche - in atto di sorreggere festoni vegetali con nastri svolazzanti, scolpiti ad altorilievo con simili pose speculari in soluzione angolare su due blocchi marmorei posti in origine alle estremità di un fregio monumentale (poi di recente reimpiegati come sostegni di un pregevole sarcofago di età adrianea), costituiscono una testimonianza inedita particolarmente significativa, per la notevole qualità plastica e la datazione precoce, della fortuna dellantico nella scultura del Quattrocento e della cosiddetta invenzione del putto rinascimentale. Palese, nellinsolita disposizione in angolo aggettante e nellenergica postura a gambe divaricate caratterizzata dalla torsione allindietro del braccio esterno sollevato sopra la testa (ora mutilo), appare infatti la loro derivazione da un sarcofago romano del secondo secolo D.C. con Nereidi ed Eroti che sostengono festoni, secondo una tipologia nota al tempo in almeno due redazioni: una integra (con tre putti e due scene poste nelle anse dei due festoni) conservata nel Camposanto di Pisa, laltra frammentaria (con un solo festone sorretto da due putti) oggi nellabbazia di Grottaferrata, che nel Quattrocento si poteva vedere nella zona archeologica romana di Montecavallo, lattuale piazza del Quirinale, come attesta unattenta copia del Codex Escurialensis, già riferito a Domenico Ghirlandaio ma ritenuto ora di un anonimo dei primi anni del Cinquecento. La posa più eretta e un analogo andamento dei nastri inducono a privilegiare come modello dei nostri marmi il reperto, più facilmente accessibile e meglio conservato, del Camposanto pisano: luogo che offriva unampia raccolta di sarcofagi antichi - fonte dispirazione ricorrente per gli artisti fiorentini del primo Rinascimento - dai quali era desumibile anche la variante del braccio steso adottata nel putto a destra (come, ad esempio, nellErote che regge il festone sul laterale di un sarcofago dionisiaco con Pan e Prigionieri). Peraltro, la complessa gestualità ed articolazione spaziale di questi putti è riscontrabile in altri rilievi romani al centro di attenti studi e puntali derivazioni (da Raffaello a Sodoma, da Tiziano a Palma il Vecchio), come nel Pan ebbro trasportato da amoretti e da un satiro scolpito sul laterale sinistro di un noto sarcofago con il corteo di Bacco e Arianna che si trovava nella piazza di Santa Maria Maggiore a Roma (oggi al British Museum di Londra), già disegnato prima della metà del Quattrocento da due anonimi artisti inclini al nuovo naturalismo dimpronta archeologica (Parigi, Louvre; Milano, Biblioteca Ambrosiana) e citato allinterno di una composizione marmorea dambito donatelliano (Parigi, Louvre) nellangiolino intento a sostenere una Madonna col Bambino del tipo Dudley. Ma si pensi soprattutto alle celebri lastre frammentarie del fregio augusteo raffigurante amorini che recano gli attributi di varie divinità attestate fin dal Medio Evo in San Vitale a Ravenna: il cosiddetto Trono di Nettuno (tuttora in San Vitale, in due redazioni), oggetto di numerose copie tra le quali un precoce disegno databile intorno al 1420-25 riferito oggi al Pisanello (Parigi, É des Beaux-Arts) e la stampa incisa nel 1519 da Marco Dente, il Trono di Saturno (Venezia, Museo Archeologico), trasferito a Venezia intorno al 1335 dal notaio trevigiano Oliviero Forzetta, pioniere del collezionismo di antichità e il Trono di Giove (Firenze, Uffizi), posseduto forse da Lorenzo il Magnifico. Il primo appassionato e consapevole interprete di tali modelli antichi, capace di coglierne appieno le implicazioni formali e concettuali, fu certamente Donatello, che a partire dagli anni Venti del Quattrocento ripropone sempre più spesso simili movenze particolarmente vive e ardite, al punto da suscitare perplessità nei contemporanei - veggo dalla natura quasi mai le mani levarsi sopra il capo, né le gomita sopra la spalla scriveva nel 1436 Leon Battista Alberti -, e figure che, come qui, sembrano varcare la dimensione virtuale dellimmagine, debordando dalle partiture o persino sovrapponendosi alle cornici, quasi volessero entrare a far parte dello spazio tangibile dellosservatore. Lo vediamo nei cherubini reggiscudo che si sporgono circospetti dal tempietto nel pastorale del San Ludovico di Tolosa già in Orsanmichele (Firenze, Museo di Santa Croce), negli angeli spaventati dallaltezza che sorreggono festoni sul coronamento dellAnnunciazione Cavalcanti in Santa Croce, e soprattutto in quelli che danzano sfrenati nel Pulpito esterno del Duomo di Prato e nella Cantoria di Santa Maria del Fiore (Firenze, Museo dellOpera del Duomo), dove una formella del registro inferiore dichiara la conoscenza dei marmi ravennati citando la composizione del Trono di Cerere (ora nel Museo Arcivescovile). Sono anni in cui linteresse di Donatello per i sarcofagi romani, enfatizzato dal Vasari ricordandone lentusiastico apprezzamento per la perfezione e la bontà di magistero di un pilo antico bellissimo reimpiegato come sepoltura cristiana nella Pieve di Cortona (oggi nel Museo Diocesano) che avrebbe immediatamente contagiato Brunelleschi, è ben documentato da alcune lettere scritte nel 1428-30 da un suo collaboratore, Nanni di Miniato detto Fora, al facoltoso patrizio fiorentino Matteo Strozzi in merito a due sepolture antiche reperibili nel territorio pisano, una delle quali proprio con spiritelli, ossia puttini alati, che il maestro aveva lodate per cose buone. Laccostamento dei nostri marmi allattività donatelliana che qui si propone trova ulteriori, efficaci conferme in varie soluzioni stilistiche, come la fluenza grafica dei capelli, la penetrante vivacità degli sguardi, le