Importanti Dipinti Antichi

16 APRILE 2014

Importanti Dipinti Antichi

Asta, 0039Part 1
FIRENZE
Palazzo Ramirez- Montalvo
ore 15.30
Esposizione

FIRENZE
dal 11 al 14 aprile 2014
orario 10-13 / 14– 19
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   700 € - 100000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 165
11

Maestro senese, metà sec. XIV

MADONNA CON BAMBINO IN TRONO E REDENTORE BENEDICENTE

scomparto centrale di polittico, tempera su tavola fondo oro cuspidata, cm 157x58,5

 

Provenienza: già San Clemente, Prato (?);

galleria Luigi Albrighi (dal 1931), Firenze;

collezione Gnecco, Genova;

collezione privata, Milano

 

Bibliografia: W.Angelelli-A.G. De Marchi, Pittura dal Duecento al primo Cinquecento nelle fotografie di Girolamo Bombelli, Milano 1991, p. 60 n. 96

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

Il fondo oro qui presentato è noto attraverso una riproduzione fotografica degli anni ’30 pubblicata nel volume sull’archivio fotografico Bombelli (C 13674) che documenta un diverso stato di conservazione del dipinto. Si possono infatti notare alcune differenze come ad esempio il piccolo fiore, sorretto nella mano destra del Bambino, visibile nella fotografia, che risulta sostituito da un mazzolino di fiori nello stato attuale del dipinto. Inoltre l’uccellino trattenuto nella mano sinistra del Bambino non compare nella fotografia, anche se la posa della mano lascerebbe pensare che nello stato originario egli stringesse un uccellino (o qualcos’altro) andato forse perduto a seguito di antiche puliture. I volti della Vergine e del Bambino mostrano nell’immagine fotografica alcuni interventi pittorici a rinforzo delle lumeggiature che li hanno resi più volumetrici, secondo un’interpretazione legata al gusto di fine Ottocento e di primo Novecento. Il velo nella foto appare probabilmente anch’esso arricchito rispetto alle tracce attualmente visibili le quali lasciano ipotizzare che quello originale sia andato in gran parte perduto.

L’opera risulta inoltre documentata da una fotografia probabilmente coeva a quella dell’archivio Bombelli conservata presso la Fototeca Berenson di Villa I Tatti, Firenze (classificazione S 40, inv.125662_1) come Scuola di Simone Martini, sul retro della quale sono riportate notazioni relative all’ipotesi di provenienza da San Clemente a Prato e il passaggio dall’antiquario Luigi Albrighi nel dicembre del 1931. Informazioni circa la successiva collocazione della tavola nella collezione genovese Gnecco sono state rinvenute sulla lastra fotografica Bombelli.

 

Nella pubblicazione sull’archivio Bombelli l’opera, conosciuta dai curatori probabilmente solo dalla riproduzione fotografica, veniva riferita ad “Anonimo toscano del primo quarto del XV secolo (?)” con qualche incertezza circa la datazione, da mettere probabilmente in relazione con gli interventi di epoca posteriore apportati al dipinto che già erano stati segnalati attraverso un parere orale di Miklòs Boskovits il quale collocava correttamente l’opera in ambito senese e ne riconosceva “modi simili a quelli di Jacopo di Mino del Pellicciaio”.

L’impostazione stilistica e compositiva del fondo oro riconduce infatti all’ambito artistico senese dopo il ritorno di Simone Martini da Avignone e la morte del maestro avvenuta nel 1344, dopo la quale si sviluppò il cosiddetto “revival martiniano” che influenzò, dopo Naddo Ceccarelli, anche gli artisti operanti nei decenni successivi. Riteniamo pertanto che la nostra opera possa essere collocata intorno alla metà del Trecento e riferita ad un maestro tra Naddo Ceccarelli e Jacopo di Mino del Pellicciaio.

Il Redentore benedicente raffigurato nella cimasa risulta meglio conservato rispetto ad altre parti della tavola e mostra per taluni aspetti arcaici alcune affinità con il polittico del Museo Diocesano di Montalcino dell’anonimo Maestro del 1346. Artista quest’ultimo legato ai modelli lorenzettiani e tardo-ducceschi il quale mantiene una dimensione più locale e mostra una qualità esecutiva meno elevata rispetto al nostro dipinto. Sembra tuttavia di poter rilevare alcune similitudini nel modo in cui il Cristo sorregge il libro che si ravvisa anche nel Sant’Agostino del polittico di Montalcino, come pure nell’esecuzione delle mani affusolate e allungate e nel particolare uso delle lumeggiature. I curatori della pubblicazione suggeriscono per il Redentore un accostamento con il frammento del medesimo soggetto riferito ad Andrea Vanni della Società Esecutori di Pie Disposizioni di Siena in cui si colgono tuttavia affinità più di tipo iconografico che stilistico.

Stima   € 100.000 / 150.000
Aggiudicazione  Registrazione
13

Niccolò Betti

(Firenze 1550 ca.-notizie fino al 1618)

MADONNA CON BAMBINO E SAN GIOVANNINO

olio su tavola, cm 47x32

 

Corredato da parere scritto di Alessandro Nesi

 

La tavola qui proposta viene riferita con certezza a Niccolò Betti da Alessandro Nesi, il quale lo definisce uno dei “più intriganti e piacevoli coloristi del secondo Manierismo fiorentino”. Betti si formò nella bottega di Michele Tosini che affiancò nella preparazione di diversi apparati come per le decorazioni delle nozze del 1565 e per l’impresa dello Studiolo di Palazzo Vecchio eseguendo l’ovale con il Saccheggio di una città, firmato e databile al 1571.

Nel nostro dipinto si possono evidenziare aspetti peculiari del pittore come il “gusto assolutamente personale nell’uso dei colori, che sono sempre accesi e squillanti, e partecipano ad una tavolozza dominata da rosa scuri, rossi brillanti e arancioni quasi accecanti”. Il volto della Madonna riprende una fisionomia che ricorre nelle opere di Tosini tradotta attraverso la tipica stilizzazione dei tratti di Betti. Altre cifre stilistiche del pittore che si possono evidenziare nel nostro dipinto sono la forma tondeggiante della testa del Bambino, resa con rapidi tocchi chiari nelle lumeggiature dei ricci, e le mani della Madonna leggermente piegate e accuratamente scandite dalla luce. La scioltezza del ductus pittorico nel presente dipinto permette di ipotizzare una possibile datazione verso la fine degli anni Settanta o gli inizi degli anni Ottanta del Cinquecento, prima pertanto dell’esecuzione del Martirio di San Regolo (1588) quando recupera forme e posture accademiche.

Lo studioso propone alcuni confronti per il nostro dipinto con la Madonna col Bambino, i Santi Giovanni Battista e Marco, firmata della chiesa di Santa Maria delle Grazie, con l’Adorazione dei pastori, chiesa di Sant’Agnese e con la Madonna del Rosario, chiesa di San Zanobi e Santi fiorentini, Firenze.

Stima   € 10.000 / 12.000
14

Domenico di Zanobi (Maestro della Natività Johnson)

(Firenze, documentato dal 1467 al 1481)

MADONNA IN ADORAZIONE DEL BAMBINO

tempera e olio su tavola, cm 74x43, entro cornice coeva a tabernacolo dorata e dipinta nella fascia con piccole stelle, intagliata a motivo di palmette e fiori sulla cimasa e ai lati della centinatura. Sul gradino iscrizione dipinta “•AVE•MARIA•GRATIA•P•”, nella parte inferiore, terminante a volute con rosette, stemma nobiliare dipinto, cm 127x75

 

Corredato da attestato di libera circolazione

 

Il nome convenzionale di Maestro della Natività Johnson fu proposto da Everett Fahy nel 1966 sulla base dell’Adorazione del Bambino della collezione Johnson, l’opera meglio conosciuta agli studi storico artistici del corpus del maestro. Sulla base dei dipinti raccolti attorno al nome del pittore da parte di Fahy, Gemma Landolfi nel 1988 pubblicò un più completo repertorio di fotografie delle opere dell’artista, ricostruendone la probabile formazione attraverso i suoi cambiamenti stilistici.

Successivamente nel 1990 Anna Maria Bernacchioni identificò l’artista con Domenico di Zanobi che risulta iscritto nel 1445 alla compagnia di San Zanobi delle Laudi che si adunava in Santa Maria del Fiore.

A partire dallo studio della tavola di Domenico di Michelino per la cappella Chellini di San Miniato al Tedesco, la studiosa individuò nella predella un intervento di un suo collaboratore che stilisticamente coincideva con la mano del Maestro della Natività Johnson, al quale peraltro la storiografia artistica aveva attribuito l’Incoronazione della Vergine di Santa Maria del Fortino, ora in Palazzo Roffia, San Miniato, commissionata dalla stessa famiglia a un artista di nome Domenico che tuttavia per ragioni stilistiche e di datazione non poteva essere identificato con Domenico di Michelino. Fu quindi l’intrecciarsi delle strettissime analogie stilistiche con gli indizi documentari, quali la presenza dal 1467 nella bottega di Domenico di Michelino di via delle Terme di un compagno di nome Domenico, a confermare l’identificazione del Maestro della Natività Johnson con Domenico di Zanobi.

A seguito di tale identificazione è stato inoltre possibile chiarire taluni aspetti relativi ai collaboratori di Lippi tra cui va senza dubbio annoverato Domenico di Zanobi da individuare con il maestro di nome Domenico documentato come aiutante di Lippi nel 1460 per l’altare della compagnia dei Preti di Santa Trinità in Pistoia. Il pittore fu infatti a lungo scolaro e collaboratore di Lippi ed anche dopo la morte di quest’ultimo collaborò con il figlio Filippino per portare a termine opere lasciate incompiute da Filippo.

Domenico di Zanobi ricevette quindi negli anni ’70 due importanti commissioni quali la Lamentazione sopra la testa di Cristo per la chiesa di Santa Felicita, da parte di Caterina Frescobaldi Pitti, e la Vergine del Soccorso per la cappella dei Velluti in Santo Spirito.

Nel suo stile l’artista mostra l’influenza di molteplici maestri fiorentini contemporanei come nella Crocifissione del Fogg Art Museum di Cambridge in cui rivela l’influsso di Andrea del Castagno o come nell’Adorazione Johnson che richiama Alessio Baldovinetti. Tali affinità con Baldovinetti si devono probabilmente alla popolarità della Natività ad affresco dipinta nell’atrio dell’Annunziata, come nell’uso di muraglie diroccate e tettoie che forse a causa della ripetitività delle commissioni vennero tradotte il più delle volte dal nostro maestro secondo soluzioni semplicistiche.

Verso il 1476 l’artista iniziò ad adattare il suo stile alla nuova generazione di artisti ed in particolare guardò a Sandro Botticelli, nella maggiore attenzione per i dettagli eleganti, come le mani lunghe e affusolate delle Madonne, e una resa più raffinata e addolcita delle fisionomie.

Il dipinto qui presentato si colloca pertanto nella serie di Adorazioni eseguite da Domenico di Zanobi secondo schemi compositivi in parte ripetuti e realizzate in gran parte, come nel nostro caso, con un formato centinato. La Vergine della nostra tavola viene rappresentata in adorazione del Bambino il quale viene raffigurato disteso su un cuscino posto sul manto della Vergine adagiato su un prato fiorito mentre rivolge lo sguardo alla madre. Sullo sfondo, un paesaggio roccioso con scorcio di paese in cui viene rappresentata la visione della stella cometa. La posa della Madonna in contemplazione del figlio a mani giunte e il Bambino disteso sul manto della madre si ritrovano simili in quasi in tutti i dipinti con il medesimo soggetto ed in particolare si propone il confronto con l’Adorazione del Bambino, già in collezione Moyo, con quella in collezione Pellerano di Buenos Aires e con quella già proveniente dal The Chrysler Museum di Norfolk, in cui permangono tuttavia taluni elementi più arcaici come l’inserimento del San Giovannino. Si riscontrano inoltre affinità, più stilistiche che compositive, nelle opere della fase più matura del nostro maestro, quando si accosta agli esempi di Sandro Botticelli, come nella Madonna col Bambino in collezione Bearsted, Edgehill, Upton House, in cui si ravvisano strette vicinanze esecutive con il Bambino raffigurato nel nostro dipinto.

 

Bibliografia di confronto: E. Fahy, Some notes on the Stratonice Master, in “Paragone”, 197, 1966, p. 28; G. Landolfi, Il Maestro della Natività Johnson, in Il “Maestro di San Miniato”. Lo stato degli studi, i problemi, le risposte della filologia, a cura di G. Dalli Regoli, Pisa 1988, pp. 242-307; A.M. Bernacchioni, Documenti e precisazioni sull’attività tarda di Domenico di Michelino: la sua bottega di Via delle Terme, in “Antichità Viva”,6, 1990, pp. 5-14; A.M. Bernacchioni, Committenti sanminiatesi nell’attività di Domenico di Michelino, i Borromei e i Chellini, in “Bollettino della Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, 57, 1990, pp. 95-118; A.M. Bernacchioni, Le botteghe di pittura: luoghi, strutture e attività, in Maestri e botteghe, a cura di M. Gregori, A. Paolucci, C. A. Luchinat, Cinisello Balsamo 1992, pp. 23-34; C. Lachi, Il problema della bottega di Filippo Lippi: nuove scoperte, in M.P. Mannini, La natività di Filippo Lippi: restauro, saggi e ricerche, Pisa 1995, p. 34; A.M. Bernacchioni, Una proposta di identificazione per il Maestro della Natività Johnson, collaboratore di Filippo Lippi a Prato, in La Toscana al tempo di Lorenzo il Magnifico, 1, Pisa 1996, pp. 313-323; C.B. Strehlke, Italian paintings, 1250-1450, in the John G. Johnson Collection and the Philadelphia Museum of Art, Philadelphia 2004, pp. 121-123

Stima   € 60.000 / 80.000
28

Simone Pignoni

(Firenze 1611-1698)

ALLEGORIA DELLA PUREZZA (SANTA REPARATA)

olio su tela, cm 72,5x58

 

Bibliografia: G.Cantelli, Repertorio della pittura fiorentina del Seicento, Firenze 1983, p. 122, fig. 639

 

Da tempo noto agli studiosi fiorentini, il dipinto qui offerto presenta una figura femminile più volte replicata da Simone Pignoni che, variandone le vesti e gli attributi iconografici, la piegò ad impersonare soggetti diversi. La ritroviamo ad esempio, identificabile come Santa Caterina d’Alessandria grazie alla ruota del martirio, in un dipinto nell’Arcivescovado di Rouen databile nel quinto decennio del Seicento che ne costituisce probabilmente la più antica apparizione; la stessa modella ricorre poi, quale Elisabetta di Ungheria, in una tela di raccolta privata riferibile alla bottega dell’artista, mentre la posizione delle mani è ripresa nella Santa Caterina nella raccolta della Cassa di Risparmio di Pistoia. Ritorna infine con numerose varianti nell’Allegoria della Temperanza venduta in questa sede nell’autunno 2013, a conferma della fortuna di una formula compositiva che consentiva all’artista fiorentino di proporre il suo ideale di bellezza muliebre nei più diversi soggetti sacri o profani.

Notevole anche per la qualità dei suoi panneggi impreziositi da ricami, la nostra allegoria, che può anche essere identificata come Santa Reparata per via della palma del martirio, si iscrive nel gusto dei pittori fiorentini per i materiali più sontuosi, di cui seppero restituire l’aspetto con raffinata maestria.

Stima   € 18.000 / 22.000
1 - 30  di 165