OLD MASTER PAINTINGS

13 NOVEMBER 2018

OLD MASTER PAINTINGS

Auction, 0274

FLORENCE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26


3.30 p.m.
Viewing
FLORENCE
9th-12th November 2018
10 a.m. - 1 p.m. / 2 p.m. – 7 p.m.
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Estimate   2500 € - 100000 €

All categories

1 - 30  of 49
46

Johann Heinrich Schmidt

(Ottweiler 1740 o 1757-Darmstadt 1821 o 1828)

SAFFO CHE SI GETTA DALLA RUPE DI LEUCADE

olio su tela, cm 100x123,5

firmato e datato “H. Schmidt 1811” in basso a sinistra 

 

SAPPHO JUMPING FROM THE LEUCADE CLIFF

oil on canvas, cm 100x123,5

signed and dated "H. Schmidt 1811" lower left

 

 

Sebbene la letteratura artistica riporti date diverse per quanto riguarda gli estremi biografici del pittore, tutti gli autori concordano nel ricordare la sua presenza a Roma, documentata nel 1787 e accertata dagli “Stati d’Anime” nei primi anni Novanta. Nel 1811 l’artista tedesco risulta presente a Napoli dove lavorerà fino al 1814 per la corte di Gioacchino Murat, di cui in quell’anno dipinge il ritratto, ricevendo commissioni anche per la reggia di Caserta; ne resta forse memoria in un dipinto ora a Parigi, Musée Marmottan, rievocante la conquista di Capri nel 1808.

Ancora più copiosa la sua produzione per committenti privati, tra cui il principe di Fondi e Giovanni Andrea de Marinis. A questo secondo aspetto della sua attività appartiene il dipinto qui offerto. La data del 1811 e il soggetto inconsueto suggeriscono trattarsi della tela ispirata a un testo di Alessandro Verri pubblicato a Roma nel 1791 e dedicato appunto alla poetessa che, secondo quanto riporta il “Monitore delle Due Sicilie” dell’8 agosto 1811, il pittore aveva esposto al pubblico nel proprio studio, riscuotendo giudizi diversi e non sempre favorevoli. Lo stesso Schmidt intervenne infatti sulle pagine della stessa rivista (12 settembre 1811) per rispondere ai suoi detrattori, secondo quanto ricostruito da Ornella Scognamiglio (Le riviste napoletane nel decennio francese. In Percorsi di critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’800 e 900. Atti del Colloquio, 2006. Milano, 2007, pp. 13-16).

Considerato perduto da quanti si sono occupati dell’artista tedesco (vedi anche Ingrid Settel Bernardini, Johann Heinrich Schmidt, gennant Fornaro (1757-1828) in Rom und Neapel, in “Kunst in Hessen und am Mittelrhein” 2008, pp. 53-68, in particolare pp. 60-61) il dipinto riemerge oggi in maniera imprevista da una raccolta privata milanese.

 

Estimate   € 8.000 / 12.000
Price realized  Registration
44

Scuola genovese, sec. XVII

ORFEO INCANTA GLI ANIMALI

olio su tela, cm 135,5x105

 

Genoese school, 17th century

ORPHEUS CHARMING THE ANIMALS

oil on canvas, cm 135,5x105

 

Il dipinto offerto si colloca senza ombra di dubbio nella fortunata congiuntura fiammingo – genovese che portò a un notevole successo presso la committenza aristocratica della Repubblica ligure temi più caratteristici della cultura figurativa oltremontana, quali animali, fiori e paesi, tradotti con la forza materica e di colore tipica degli artisti formatisi a Genova nella prima metà del Seicento.

Orfeo che incanta gli animali è stato un soggetto assai frequentato con numerose varianti da Sinibaldo Scorza (Voltaggio, 1589 – Genova, 1631), artista senz’altro determinante per l’inizio dell’attività di Gio. Benedetto Castiglione, detto il Grechetto (Genova, 1609 – Mantova, 1664), indirizzandolo proprio verso composizioni che gli permettevano di esercitare la sua fantasia compositiva e l’abilità di  mimesi coloristica in un continuo assemblaggio di elementi di repertorio collocati nella profondità dello scenario paesistico a partire dal primissimo piano.

La ricchezza cromatica, nei contrasti fra i toni bruni, i blu e i rossi accesi e le caratteristiche rapide e sottili pennellate per meglio rendere le pellicce e i piumaggi degli animali delle celebri composizioni castiglionesche – gli esodi biblici, le transumanze, i baccanali – contraddistinguono anche la tela qui presentata suggerendo una datazione verso la metà del XVII secolo.

 

Estimate   € 5.000 / 8.000
Price realized  Registration
33

Bartolomeo Biscaino

(Genova 1632 – 1657)

TRIONFO DI DAVID

olio su tela, cm 120x188

 

THE TRIUMPH OF DAVID

oil on canvas, cm 120x188

 

Provenienza

Genova, Rubinacci Antichità; Genova, collezione privata

 

Bibliografia

M. Bonzi, Il Biscaino, Savona 1940, pp. 8 e 17, illustrato a p. 9; Rubinacci Antichità, Dipinti del XVII e XVIII secolo, catalogo della mostra, Genova s.d. (ma 1968), n. 7; C. Manzitti, Per Bartolomeo Biscaino, in “Paragone” 1971, 253, pp. 37-38, fig. 22; La pittura del ‘600 a Genova, a cura di P. Pagano e M. C. Galassi, Milano 1988, ill. tav. 85; F. Lamera, Miti allegorie e tematiche letterarie per la committenza privata, in E. Gavazza, F. Lamera, L, Magnani, La Pittura in Liguria. Il secondo Seicento, Genova 1990, p. 188 e fig. 231; F. Affronti, Biscaino e Castello. Due artisti a confronto, in “La Casana” s.d., p. 46; ill. a p. 45.

 

Reso noto per la prima volta da Mario Bonzi nella sua pionieristica ricognizione dell’artista genovese, il dipinto qui offerto è stato in breve riconosciuto un vero e proprio caposaldo della prima attività di Bartolomeo Biscaino, intorno al 1650. Un’attività così breve, considerando la sua giovane età all’ingresso nella bottega di Valerio Castello intorno al 1649, e la morte precoce nella peste del 1657, da rendere pressoché superflue ipotesi di datazione più precise.

Giustamente Bonzi richiamava i modelli di Pellegro Piola per le figure, plastiche nella loro arrotondata fisicità ma insieme stilizzate nella cifra della Maniera, che accompagnano la scena di trionfo, e riconosceva l’ascendente di Valerio Castello nei colori acidi e squillanti, anch’essi un retaggio del tardo Cinquecento tra Genova e Milano.

Rispetto al maestro, Biscaino mostra stesure maggiormente studiate che restituiscono alla ritmata scansione delle figure una cadenza più pacata oltre che la più marcata consistenza plastica a cui si è appena accennato. I volti mostrano poi la tipica dolcezza che caratterizza sia il suo corpus pittorico che quello di disegni e incisioni.

 

 

Estimate   € 50.000 / 70.000
31

Pietro Negri

(Venezia 1628 – 1679)

GIUSEPPE SPIEGA I SOGNI IN PRIGIONE

olio su tela, cm 148x117

 

JOSEPH EXPLAINS THE DREAMS

oil on canvas, cm 148x117

 

Immediatamente riconducibile alla maniera dei “tenebristi” veneziani che intorno alla metà del Seicento sperimentarono variamente temi e modelli di Giuseppe Ribera (a cui non a caso il nostro dipinto era riferito nella raccolta di provenienza) la tela qui offerta sembra più precisamente attribuibile a Pietro Negri, condiscepolo del “tenebrista” Antonio Zanchi nella bottega veneziana di Francesco Ruschi, e documentato con opere datate dal 1660 al 1679.

È appunto un disegno iscritto con il suo nome e la data del 1660, incluso nel cosiddetto album di Camerino e ispirato al modello classico del Laocoonte, tradotto però con intenso e pittorico chiaroscuro, a offrire i più immediati confronti con la figura in primo piano nel nostro dipinto, e non solo sotto il profilo tipologico ma essenzialmente nello stile, intensamente pittorico, e nelle sigle personalissime con cui l’artista risolve i piani del viso, le sopracciglia e le labbra della figura. Lo stesso modello è stato da tempo riconosciuto all’origine della figura del protagonista nel dipinto nella Gemäldegalerie di Dresda raffigurante Nerone contempla il cadavere di Agrippina, e ancora in uno dei personaggi della tela già nella galleria Giamblanco a Torino, raffigurante Semiramide riceve la notizia dell’assedio di Babilonia (G. Fossaluzza, in “Verona Illustrata” 23, 2010, pp. 71-90, fig. 61 e tav. III) databile alla metà degli anni Sessanta.

 

Estimate   € 30.000 / 40.000
30

Jacopo Fabris

(Venezia, 1689 – Charlottenborg, 1761)

VEDUTA IDEATA CON L’ARCO DI GIANO

olio su tela, cm 73x99

 

VIEW WITH THE ARCH OF JANUS

oil on canvas, cm 73,99

 

Il dipinto qui offerto riunisce, quasi in un capriccio di rovine, monumenti diversi nell’area del Velabro alle pendici del Palatino. Elemento principale è l’arco quadrifronte detto di Giano, che la collegava al Foro Boario segnandone il limite; è raffigurato completo della copertura in laterizi demolita nell’Ottocento ma documentata da vedute incise o dipinte. A sinistra, il portico della chiesa di San Giorgio al Velabro, mentre resta invisibile l’arco degli Argentari, sullo stesso lato. Di invenzione è invece il lato destro della veduta, con la facciata di una chiesa che forse richiama la non lontana Santa Maria della Consolazione.

La stessa zona è protagonista di una veduta dominata invece dall’arco degli Argentari, firmata per esteso da Jacopo Fabris e completata, come tutte le tele dell’artista veneziano, da “macchiette” nel gusto di Bernardo Canal e molto vicine alle nostre. Analoghe caratteristiche ritornano nella veduta del Foro Romano con il tempio di Antonino e Faustina, il tempio detto di Romolo e la torre delle Milizie, anch’essa firmata per esteso (cfr. R. Pallucchini, La pittura nel Veneto. Il Settecento, Milano 1996, II, fig. 456), probabilmente il suo capolavoro. Derivata da un’incisione di Aegidius Sadeler, altre volte ripresa da artisti nordici, la veduta citata è, come la nostra, esemplificativa dei metodi di lavoro di Jacopo Fabris, vedutista veneziano e autore di scenografie per corti nord-europee, che probabilmente non visitò mai Roma.

 

Estimate   € 15.000 / 20.000
Price realized  Registration
27

Giovanni Andrea De Ferrari

(Genova, 1589 circa – 1669 circa)

REBECCA AL POZZO

olio su tela, cm 188x238

 

REBECCA AT THE WELL

oil on canvas, cm 188x238

 

Provenienza

Genova, collezione privata

 

Bibliografia di riferimento

G. V. Castelnovi, La pittura nella prima metà del Seicento: dall’Ansaldo a Orazio De Ferrari, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova1971, ed. consultata Genova 1987, II, pp. 90-96; F. R. Pesenti, La pittura in Liguria. Artisti del primo Seicento, Genova 1986, pp. 307-369; A. Acordon in Genova nell’Età Barocca, catalogo della mostra di Genova a cura di E. Gavazza, G. Rotondi Terminiello, Bologna 1992, pp. 157-163.

 

Inedita alla letteratura artistica e al mercato, questa grande tela rivela l’uso personalissimo della materia pittorica a cui giunge in età matura Giovanni Andrea De Ferrari, apostrofato da Roberto Longhi come “l’ignaro Velasco di Genova” per le assonanze, successivamente notate da molti, con la pittura spagnola di Velasquez e di Murillo (R. Longhi, Gentileschi padre e figlia, in “L’Arte” 1916, pp. 245-314).

Giovanni Andrea aveva iniziato il suo apprendistato con Bernardo Castello per poi entrare nella bottega di Bernardo Strozzi, pittore a cui le sue prime prove note sono senza dubbio debitrici.

Dopo una serie di pale d’altare e dipinti da stanza realizzati a partire dagli anni Trenta, datati e documentati, dove forte si avverte la vicinanza al collega genovese Domenico Fiasella, nella sua opera inizia a splendere soprattutto la lezione di Van Dyck, ravvisabile nella morbidezza e graduazione dei passaggi e delle penombre.

Le sue figure emergono dalla sottile preparazione della tela attraverso diafane velature di colore su colore, che ne restituiscono la particolare delicatezza e una sorta di effetto vibrato dato dalla riflessione della luce sulle differenti stesure.

Di grande suggestione risultano essere soprattutto gli incarnati dei volti, come è possibile notare anche nella tela qui offerta, caratterizzati anche da una particolare espressività, resa ancor più evocativa proprio grazie alla tessitura sottile della trama coloristica. Analogamente identificative dei modi dell’artista genovese sono le liquide pennellate che movimentano le vesti, quasi sempre dalle tonalità calde, quali il rosso spento dell’abito della nostra Rebecca o i bruni aranciati e i bianchi ribassati di quelli delle sue ancelle e di Eleazaro a cui sta offrendo da bere.

Il soggetto, tratto dall’Antico Testamento, a cui si rifanno moltissime delle storie messe dal De Ferrari in pittura, incontrò grande fortuna in età controriformata, alla luce del significato di prefigurazione del Nuovo Testamento di cui vengono rivestiti alcuni importanti episodi veterotestamentari e, in ambito genovese, per il culto rivolto alla Vergine, proclamata ufficialmente protettrice di Genova nel 1637 e rivestita di insegne regali: Rebecca - e così Sara (moglie di Abramo) e Rachele - diventa infatti oggetto di venerazione in quanto, come Maria, prescelta dal Signore per portare in grembo importanti eredi.

Le liquide e frante pennellate accostano questa importante versione della Rebecca al pozzo alle opere appartenenti all’ultima fase del pittore - quali il Giuseppe rifiuta i doni dei fratelli, di collezione privata genovese, ma ampiamente pubblicata nella letteratura di settore, o La famiglia di Giacobbe conservata presso la pinacoteca dell’ Accademia Ligustica di Genova - dove si assiste a un progressivo disfacimento della materia pittorica e a un costruire le forme grazie al raffinatissimo impasto di luce e colore oltre che alla predilezione per il formato orizzontale, maggiormente adatto alla contenuta teatralità delle sue scene sacre dove spesso è in grado di inserire brani di sapore velasqueziani.

 

Estimate   € 100.000 / 150.000
26

Pandolfo Reschi 

(Danzica,  1640- Firenze, 1696)

PAESAGGIO CON CORSO D'ACQUA O L'ESTATE

PAESAGGIO CON BATTUTA DI CACCIA O L'AUTUNNO

coppia di dipinti ad olio su tela, cm 119,4x171,1 e 120,5x170,5

(2)

 

LANDSCAPE WITH A WATERCOURSE OR THE ALLEGORY OF SUMMER

LANDSCAPE WITH AN HUNTING TRIP OR THE ALLEGORY OF AUTUMN

a pair of paitings, oil on canvas, cm 119,4x171,1 and 120,5x170,5

(2)

 

 

Provenienza

U.S.A., collezione privata; donati al Museum of Fine Arts di Boston; New York, Sotheby’s, 22 maggio 1992, n. 58.

 

Bibliografia

Cy., Reschi (Resch) Pandolfo, in U. Thieme, F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Kunstler, Leipzig, 1907-1950, 37 voll., XXVIII,  1934, p. 181;  A. R. Murphy, European Paintings  in the Museum of Fine Arts Boston, Boston 1985, p. 241; Important Old Master Paintings, New York, Sotheby’s, 22 maggio 1992, n. 58; N. Barbolani di Montauto,  Pandolfo Reschi, 1996, pp. 77-78, nn. 25-26, fig. 18.

 

 

Nel primo elemento della serie, a sinistra, il paesaggio presenta un rigoglioso corso d’acqua che sgorga da una roccia frastagliata incombente su tutta la scena. E’ un luogo ameno di ristoro per coloro che sono convenuti a discorrere al refrigerio oltre le mura cittadine, come i quattro personaggi riuniti sul masso a ridosso della cascata più grande, o per chi assolve il quotidiano e faticoso lavoro di pascolare il gregge, come l’uomo al centro della scena che, affiancato da un cane, attende l’arrivo del bestiame.

Pandolfo Reschi ha voluto conferire particolare rilievo alla presenza della grande rupe bilanciando i pieni e i vuoti della composizione tramite la raffigurazione dell’albero, alto, anche se non corposo e robusto, che incornicia la scena sulla destra. L’inventiva del pittore è evidente non solo nella rappresentazione paesaggistica ma anche in quella figurativa: ne sono esempio i quattro uomini in conversazione, ciascuno ritratto in una posa originale: uno disteso con le gambe divaricate poste in evidenza dai pantaloni arrotolati e i gomiti saldi al terreno, uno  prono con le gambe incrociate e con la mano destra a reggere il volto, l’altro in piedi, appoggiato sulla gamba destra e l’ultimo seduto con le gambe scoperte e lo sguardo rivolto alla cascata d’acqua, alle spalle dei suoi amici.

Nell’elemento compagno, in una bella giornata d’autunno quattro gentiluomini, accompagnati da due servitori e da una coppia di cani, si recano fuori città per dedicare la propria giornata alla caccia. In primo piano Reschi dipinge il momento in cui la battuta è ormai terminata: i cani sono già stati richiamati all’ordine stretti al guinzaglio e i due cavalieri giungono a controllare il succulento bottino di cacciagione recuperato dai due inservienti, uno dei quali sta tornando dalla radura con una preda in mano seguito da altri due uomini che avanzano con calma, persi nei loro discorsi.

A far da cornice alla scena si estende uno sterminato paesaggio, dove il verde delle foglie sta svanendo per lasciar spazio ai caldi e malinconici colori autunnali e un corso d’acqua appare appena accennato sulla sinistra. La tela, realizzata in pendant con quella che ritengo una probabile Allegoria dell’estate, recupera nel paesaggio e nelle figure allungate  i modi di Salvator Rosa.

La medesima tipologia di figure e la coppia di cani si ravvisa nel Ritorno dalla caccia di Reschi, un’opera conservata presso le Gallerie degli Uffizi di Firenze (inv. 1890, n. 5405).

I due quadri compagni sembrerebbero raffigurare due diverse stagioni, uno l’estate, rigogliosa ed oziosa, l’altro l’autunno, che invece annuncia il ritiro in letargo della flora e della fauna e le fredde giornate invernali; un’ ipotesi, quest’ultima, che risulta avvalorata da alcuni particolari come la tipologia dell’abbigliamento o la ricerca del fresco in opposizione alla calura. Lo stesso grande masso sembra ergersi a portare refrigerio d’estate, mentre con l’avvicendarsi delle stagioni, quando il cambiamento climatico non obbliga più a rifugiarsi in luoghi di frescura, il suo dorso, da scosceso, diviene più agevole.

 Di origini polacche, Reschi beneficiò del mecenatismo del marchese Pier Antonio Gerini, il quale gli offrì la possibilità di trascorrere gli anni settanta del Seicento nel palazzo della nobile famiglia situato in via del Cocomero a Firenze per studiare le opere della collezione fiorentina, in particolare i dipinti di Salvator Rosa e di Jacques Courtois, detto il Borgognone. Del resto questa significativa roccia irregolare è  un chiaro omaggio al pittore partenopeo che Reschi poté studiare, tra l’altro, anche durante gli anni al servizio del cardinale Francesco Maria de’Medici, nella cui villa di Lappeggi visse a lungo, partecipando alla decorazione dei suoi quartieri più significativi con dipinti di paesaggio, battaglie e animali, ma anche dedicandosi alla pittura di ‘oggetti minore’, come paraventi, orologi e specchi.

 

Francesca Baldassari

 

 

 

Estimate   € 28.000 / 35.000
23

Luca Giordano

(Napoli 1634-1705)

PRESENTAZIONE DELLA VERGINE AL TEMPIO

olio su tela, cm 106,6x134,6

 

THE PRESENTATION OF THE VIRGIN

oil on canvas, cm 106,6X134,6

 

Provenienza

Londra, Christie’s, 5 luglio 1985, n. 72; Londra, Christie’s, 26 ottobre 1990;

Napoli, collezione privata.

 

Bibliografia

O. Ferrari – G. Scavizzi, Luca Giordano. Nuove ricerche e inediti, Napoli 2003, p. 82, AO 224; ill. p. 108; M. Hermoso Cuesta, Las Pinturas de Lucas Jordàn en las colecciones españolas. Ph. D. Diss., Ann Arbor (MI), 2007, III, pp. 1483-84, P 271.

 

Databile negli anni del soggiorno di Luca Giordano alla corte di Madrid a partire dal 1692, il dipinto qui offerto è senza dubbio il bozzetto relativo a un’opera oggi non identificata o forse non realizzata, se non variata in corso d’esecuzione.

Numerose sono del resto le tele dedicate dall’artista napoletano alla vita della Vergine, in particolare durante il periodo spagnolo. Tra queste, l’importante ciclo probabilmente eseguito nel 1696-97 per Mariana d’Austria e documentato a Vienna nella collezione dell’imperatore Carlo VI nel 1716, ora al Kunsthistorisches Museum. In quella serie di grandi dimensioni e di formato verticale, la scena della Presentazione al Tempio (a cui si riferisce un disegno al museo del Prado) è in controparte rispetto alla nostra e, come le altre, immaginata dal basso, con le figure in primo piano disposte lungo la scalinata secondo il modello della pittura veneziana. Più vicina alla nostra, sebbene in formato verticale, una tela di uguale soggetto in collezione privata a Roma (O. Ferrari – G. Scavizzi, Luca Giordano, Napoli 1992, I, A 585; II, p. 777, fig. 741) ripete in parte le nostre figure in una composizione più serrata.

 

Estimate   € 30.000 / 50.000
20

Scuola napoletana, sec. XVII

PASSAGGIO DEL MAR ROSSO

CONVERSIONE DI SAN PAOLO

coppia di dipinti a olio su tela ovale,  61,5 x 83,5

(2)

 

Neapolitan school, 17th century

THE CROSSING OF THE RED SEA

THE CONVERSION OF SAUL

a pair of paintings, oil on canvas, in oval 61,5 x 83,5

(2)

 

A mezza via tra il genere della storia biblica e della scena di battaglia, le due inedite tele qui presentate si iscrivono con ogni evidenza nella pittura napoletana del quarto decennio del secolo, non senza qualche riferimento, per quanto riguarda la Caduta di San Paolo, alla produzione coeva del romano Michelangelo Cerquozzi: di quest’ultimo si può infatti citare la tela di uguale soggetto e molto simile nella composizione a Roma nella Galleria Nazionale di Arte Antica (cfr. Laura Laureati, Michelangelo delle Battaglie, in “Paragone” 1993, 523-525, p. 57 e fig. 31). Numerosi elementi richiamano tuttavia in maniera più specifica l’opera giovanile di Salvator Rosa – a cui, non a caso, le nostre tele erano attribuite nella raccolta di provenienza – e in particolare alcune scene di battaglia dipinte nel 1637-38, appunto tra Roma e Napoli. Ci riferiamo in particolare alla notissima Battaglia siglata e datata del 1637, un tempo nella raccolta Mostyn Owen e poi in collezione privata francese, che a lungo ha costituito il punto di partenza per la ricostruzione del corpus giovanile dell’artista napoletano, e a un’altra scena di battaglia a Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica. Da ricordare, anche le storie mosaiche dipinte da Aniello Falcone sul soffitto di una sala della villa di Gaspar Roomer a Barra, documentata dl 1642-43, in cui compare l’episodio del Passaggio del Mar Rosso.

 

 

Estimate   € 25.000 / 35.000
1 - 30  of 49