old master paintings

23 NOVEMBER 2016
Auction, 0189
28

λ

Scuola fiorentina, XVII secolo

LA CACCIA DEL CARDINALE GIOVAN CARLO DE’ MEDICI A CAFAGGIOLO, 1641-1644  

olio su tela, cm 164,5x313,5

sull'etichetta applicata alla cornice si legge: "Sc. Fiorentina del sec. XVII/Cacciata data a Cafaggiolo al card. Corsi"

 

Provenienza

Già collezione Corsi, Firenze

Collezione privata

 

Bibliografia

G. Guicciardini Corsi Salviati, La villa Corsi a Sesto, Firenze, 1937, p. 18 e p. 67, fig. 28

D. Pegazzano, Corsi (parte prima), in Quadrerie e committenza nobiliare a Firenze nel Seicento e nel Settecento, a cura di C. De Benedictis, D. Pegazzano, R. Spinelli, Ospedaletto (Pisa), 2015, pp. 97-99, figg. 7-8

 

 

Il grande dipinto qui presentato mette in scena la caccia del cardinal Giovan Carlo de’ Medici presso la Villa Medicea di Cafaggiolo detta anche Castello di Cafaggiolo.

Il cardinale dei Medici è raffigurato al centro della composizione seguito dai battitori e da un corteo di nobili anch’essi a cavallo; sul lato sinistro invece, girato verso lo spettatore, è ben riconoscibile il committente dell’opera, monsignor Lorenzo Corsi (1601-1656) figlio di Jacopo e Laura Corsini, che fu protonotario apostolico a Roma dal 1626 al 1630 e vice legato ad Avignone dal 1645 al 1653.

Il quadro si presenta come chiara testimonianza del forte legame che nei primi anni Quaranta del Seicento intercorreva tra Lorenzo Corsi e Giovan Carlo dei Medici. I due personaggi condividevano infatti la passione per il collezionismo e il mecenatismo come per il teatro, la musica e i giardini, secondo quanto richiesto ad esponenti delle famiglie aristocratiche, per giunta insigniti delle più alte cariche della gerarchia ecclesiastica.

Ulteriore testimonianza di questo legame è dato anche dalla presenza di Lorenzo Corsi come sovrintendete ai lavori per il giardino del Casino di Giovan Carlo in via della Scala.

Monsignor Lorenzo si distinse per i suoi ampli orizzonti culturali che lo portarono ad interessarsi a diversi generi pittorici come la ritrattistica, la natura morta e le allegorie morali più che alla pittura sacra. Un tipo di gusto e di inclinazione che aveva maturato sicuramente durante il periodo romano ma anche per l’influenza della famiglia granducale: non è casuale infatti la scelta di acquistare o commissionare opere a determinati artisti fiorentini come Giovanni Martinelli, Mario Balassi, Francesco Furini e Salvator Rosa che gravitavano intorno ai Medici e a Giovan Carlo in particolare.

La collezione di famiglia venne così incrementata grazie alla spiccata sensibilità di Lorenzo Corsi che continuò quanto già iniziato con lungimiranza dal padre Jacopo alla fine del Cinquecento e dallo zio Bardo, ovvero l'accrescimento della quadreria e la valorizzazione degli spazi del palazzo di città (Palazzo Tornabuoni Corsi) e della villa di Sesto.

La caccia del cardinale è ricordata nell'inventario della nobile famiglia di appartenenza del 1747 (si veda in G. Guicciardini Corsi Salviati, La villa Corsi a Sesto, citato alla pagina 18 e riprodotto a pagina 67 fig. 28); la ritroviamo poi pubblicata da Donatella Pegazzano nell’ambito del suo studio sulla famiglia Corsi, qui citato in bibliografia.

In base ai documenti reperiti di committenza e pagamento, che iniziano nel novembre del 1641 e continuano fino al marzo del 1643, la studiosa restituisce anche un nome agli autori del quadro: Giovan Battista Stefanini, detto Battistone e Francesco Arrigucci; il primo pittore si occupò della realizzazione delle figure mentre il secondo del paesaggio; l’opera risulta terminata nel 1644 anche se nel 1646 lo Stefanini non l’aveva ancora consegnata a causa del mancato pagamento, complice probabilmente l’assenza da Firenze di Lorenzo Corsi  che era partito già da un anno ad Avignone per esercitare la vice legatura, anticamera al cardinalato.

Questa tipologia di opere che hanno per soggetto una veduta celebrativa rientra in un genere che ebbe molto successo dal Cinque al Settecento e che trova un illustre precedente nelle quattordici lunette raffiguranti le ville medicee dipinte da Giusto Utens tra il 1599 e il 1602. Si tratta di eleganti vedute delle ville di proprietà della famiglia Medici caratterizzate da una grande precisione descrittiva; oltre a costituire una preziosa testimonianza sull’aspetto originario di questi edifici, esse formano anche un vero e proprio inventario dei possedimenti granducali.

La scelta della villa di Cafaggiolo come sfondo per la caccia del nostro dipinto non è casuale: infatti dal 1537, quando divenne di proprietà del duca Cosimo I, vi venne realizzato un "Barco" murato ossia una riserva di caccia dove animali rari potevano girare liberamente.

L'utilizzo della villa come casino di caccia fu continuato anche dai figli di Cosimo, Francesco I e Ferdinando I, che vi soggiornarono soprattutto nei mesi autunnali.

La villa faceva parte dei possedimenti medicei già dalla metà del Quattrocento quando fu ristrutturata da Michelozzo su incarico di Cosimo il Vecchio.

Abitata generalmente in estate, fu un luogo assai amato anche da Lorenzo de' Medici che vi ospitò la sua corte di umanisti; secondo la tradizione compose proprio lì il poemetto La Nencia da Barberino.


Estimate
€ 60.000 / 80.000
Price realized  Registration

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Scuola fiorentina, XVII secolo

LA CACCIA DEL CARDINALE GIOVAN CARLO DE’ MEDICI A CAFAGGIOLO, 1641-1644  

olio su tela, cm 164,5x313,5

sull'etichetta applicata alla cornice si legge: "Sc. Fiorentina del sec. XVII/Cacciata data a Cafaggiolo al card. Corsi"

 

Provenienza

Già collezione Corsi, Firenze

Collezione privata

 

Bibliografia

G. Guicciardini Corsi Salviati, La villa Corsi a Sesto, Firenze, 1937, p. 18 e p. 67, fig. 28

D. Pegazzano, Corsi (parte prima), in Quadrerie e committenza nobiliare a Firenze nel Seicento e nel Settecento, a cura di C. De Benedictis, D. Pegazzano, R. Spinelli, Ospedaletto (Pisa), 2015, pp. 97-99, figg. 7-8

 

 

Il grande dipinto qui presentato mette in scena la caccia del cardinal Giovan Carlo de’ Medici presso la Villa Medicea di Cafaggiolo detta anche Castello di Cafaggiolo.

Il cardinale dei Medici è raffigurato al centro della composizione seguito dai battitori e da un corteo di nobili anch’essi a cavallo; sul lato sinistro invece, girato verso lo spettatore, è ben riconoscibile il committente dell’opera, monsignor Lorenzo Corsi (1601-1656) figlio di Jacopo e Laura Corsini, che fu protonotario apostolico a Roma dal 1626 al 1630 e vice legato ad Avignone dal 1645 al 1653.

Il quadro si presenta come chiara testimonianza del forte legame che nei primi anni Quaranta del Seicento intercorreva tra Lorenzo Corsi e Giovan Carlo dei Medici. I due personaggi condividevano infatti la passione per il collezionismo e il mecenatismo come per il teatro, la musica e i giardini, secondo quanto richiesto ad esponenti delle famiglie aristocratiche, per giunta insigniti delle più alte cariche della gerarchia ecclesiastica.

Ulteriore testimonianza di questo legame è dato anche dalla presenza di Lorenzo Corsi come sovrintendete ai lavori per il giardino del Casino di Giovan Carlo in via della Scala.

Monsignor Lorenzo si distinse per i suoi ampli orizzonti culturali che lo portarono ad interessarsi a diversi generi pittorici come la ritrattistica, la natura morta e le allegorie morali più che alla pittura sacra. Un tipo di gusto e di inclinazione che aveva maturato sicuramente durante il periodo romano ma anche per l’influenza della famiglia granducale: non è casuale infatti la scelta di acquistare o commissionare opere a determinati artisti fiorentini come Giovanni Martinelli, Mario Balassi, Francesco Furini e Salvator Rosa che gravitavano intorno ai Medici e a Giovan Carlo in particolare.

La collezione di famiglia venne così incrementata grazie alla spiccata sensibilità di Lorenzo Corsi che continuò quanto già iniziato con lungimiranza dal padre Jacopo alla fine del Cinquecento e dallo zio Bardo, ovvero l'accrescimento della quadreria e la valorizzazione degli spazi del palazzo di città (Palazzo Tornabuoni Corsi) e della villa di Sesto.

La caccia del cardinale è ricordata nell'inventario della nobile famiglia di appartenenza del 1747 (si veda in G. Guicciardini Corsi Salviati, La villa Corsi a Sesto, citato alla pagina 18 e riprodotto a pagina 67 fig. 28); la ritroviamo poi pubblicata da Donatella Pegazzano nell’ambito del suo studio sulla famiglia Corsi, qui citato in bibliografia.

In base ai documenti reperiti di committenza e pagamento, che iniziano nel novembre del 1641 e continuano fino al marzo del 1643, la studiosa restituisce anche un nome agli autori del quadro: Giovan Battista Stefanini, detto Battistone e Francesco Arrigucci; il primo pittore si occupò della realizzazione delle figure mentre il secondo del paesaggio; l’opera risulta terminata nel 1644 anche se nel 1646 lo Stefanini non l’aveva ancora consegnata a causa del mancato pagamento, complice probabilmente l’assenza da Firenze di Lorenzo Corsi  che era partito già da un anno ad Avignone per esercitare la vice legatura, anticamera al cardinalato.

Questa tipologia di opere che hanno per soggetto una veduta celebrativa rientra in un genere che ebbe molto successo dal Cinque al Settecento e che trova un illustre precedente nelle quattordici lunette raffiguranti le ville medicee dipinte da Giusto Utens tra il 1599 e il 1602. Si tratta di eleganti vedute delle ville di proprietà della famiglia Medici caratterizzate da una grande precisione descrittiva; oltre a costituire una preziosa testimonianza sull’aspetto originario di questi edifici, esse formano anche un vero e proprio inventario dei possedimenti granducali.

La scelta della villa di Cafaggiolo come sfondo per la caccia del nostro dipinto non è casuale: infatti dal 1537, quando divenne di proprietà del duca Cosimo I, vi venne realizzato un "Barco" murato ossia una riserva di caccia dove animali rari potevano girare liberamente.

L'utilizzo della villa come casino di caccia fu continuato anche dai figli di Cosimo, Francesco I e Ferdinando I, che vi soggiornarono soprattutto nei mesi autunnali.

La villa faceva parte dei possedimenti medicei già dalla metà del Quattrocento quando fu ristrutturata da Michelozzo su incarico di Cosimo il Vecchio.

Abitata generalmente in estate, fu un luogo assai amato anche da Lorenzo de' Medici che vi ospitò la sua corte di umanisti; secondo la tradizione compose proprio lì il poemetto La Nencia da Barberino.