Oggetti d'arte e sculture

30 GIUGNO 2020

Oggetti d'arte e sculture

Asta, 0340
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
ore 15.30
Esposizione
FIRENZE
Venerdì        26 giugno 2020   10-18
Sabato         27 giugno 2020   10-18
Domenica    28 giugno 2020   10-18
Lunedì         29 giugno 2020   10-18

Palazzo Ramirez Montalvo
Borgo degli Albizi 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   300 € - 40000 €

Tutte le categorie

91 - 120  di 164
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Scultore fiorentino prossimo a Luca della Robbia (Firenze 1399/1400-1482), Antonio di Cristoforo? (doc. a Firenze 1435-1442 e Ferrara 1443-1451/59)

MADONNA COL BAMBINO, 1430/1440 circa

altorilievo scontornato in terracotta dipinta, cm 65x44x14, entro tabernacolo ligneo di gusto neogotico, cm 214x82x24

 

Florentine sculptor close to Luca della Robbia (Florence 1399/1400-1482), Antonio di Cristoforo? (working in Florence 1435-1442 and Ferrara 1443-1451/59), Madonna with child, circa 1430/1440

 

In questo gentile rilievo la Vergine, pensosa e malinconica, è raffigurata nell’atto di sostenere, cingendolo con un gesto protettivo di entrambe le mani, un gagliardo Bambin Gesù che si erge nudo con i piedini poggiati in modo instabile sul limitare del sottile gradino di base (inteso come un parapetto) e si protende ad abbracciare la madre intorno al collo, cercando conforto da un sentore che ne turba il volto imbronciato. L’inedita, originale composizione allude dunque al tema della “preveggenza” della Passione di Cristo ispirato dai Vangeli Apocrifi, secondo un’iconografia assai diffusa con varie interpretazioni nelle immagini mariane e nella plastica fiorentina del primo Quattrocento fiorentino destinata alla devozione domestica (Kecks 1988). Si tratta di una composizione della quale non conosciamo altre repliche, foggiata modellando direttamente l’argilla senza far uso di una forma ‘a calco’ (tecnica ricorrente nella gran parte dei rilievi affini realizzati nelle botteghe del tempo), come ben si evince osservando la terracotta da tergo, dove la superficie, priva delle cavità distintive dei calchi, rivela nelle venature e nelle impronte l’aggregazione della materia sulla tavola di modellazione.

L’opera è caratterizzata da un composto classicismo, dichiarato anche dai tratti matronali e dell’acconciatura ‘all’antica’ di Maria con la fronte cinta da una ‘tenia’, coniugato a vivaci attenzioni naturalistiche, quali si colgono nelle floride, teneri fattezze del Bambino e nella sua arguta espressività, e declinato in terse forme tondeggianti, che, insieme all’affabile intimità della composizione, ci induce ad accostarla all’attività giovanile di Luca della Robbia, scultore poliedrico riconosciuto già dai contemporanei tra i “padri” del Rinascimento (Marquand 1914; Pope-Hennessy 1980; Gentilini 1992, I, pp. 11-167). Celebre per aver scolpito, tra il 1432 e il 1438, la monumentale Cantoria per l’organo maggiore di Santa Maria del Fiore, oggi nel Museo dell’Opera del Duomo, e altri importanti lavori marmorei, ma soprattutto quale “inventore” della scultura in terracotta invetriata, un’ “arte nuova, utile e bellissima” come avrebbe detto Giorgio Vasari (1568), elaborata intorno al 1440, Luca aveva dato prova sin dai suoi esordi di “una maravigliosa pratica nella terra, la quale diligentissimamente lavorava” - lo afferma ancora il biografo aretino -, verosimilmente realizzando numerose Madonne in terracotta dipinta ad oggi identificate solo in piccola parte (Gentilini 1992, I, pp. 39-81).

Tra queste si presta a un efficace riscontro con l’opera in esame in special modo la Madonna col Bambino della chiesa di Santa Felicita, ormai confermata a Luca nei primi anni Trenta (A. Bellandi, in La Primavera del Rinascimento 2013, pp. 442-443, n. VIII.10), per la struttura piramidale del gruppo, la foggia e l’andamento del manto di Maria che ricade sotto le braccia formando due ampie, fluide anse, proprio come nelle Suonatrici di cetra della Cantoria, ed anche per la vacillante postura inclinata, la complessione anatomica e l’espressione corrucciata del Bambino, simile, pure nella definizione dei capelli a caschetto, a uno dei due spiritelli che sorreggono l’Arme del podestà Amico della Torre scolpito da Luca nel 1431/32 per il Palazzo del Bargello (B. Paolozzi Strozzi, Ivi, pp. 350-351, n. IV.6 ).

D’altra parte, se i confronti con la produzione autografa di Luca della Robbia potrebbero estendersi ad altre opere - quali, ad esempio, varie Madonne invetriate in cui ricorre l’accorato abbraccio del Bambino proteso intorno al collo della Madre (Madonna ‘di Genova’, Detroit Institute of Arts: A.P. Darr, Ivi, pp. 446-447, n. VIII.12; Madonna ‘Bliss’, New York, The Metropolitan Museum: V. Krahn, Ivi, pp. 450-451, n. VIII.14), o, per la singolare articolazione della mano destra della Madonna con le dita incurvate aperte a ventaglio, uno degli Angeli reggicandelabro eseguiti per il Duomo di Firenze nel 1448 -, è pur vero che si riscontrano qui alcune soluzioni formali più rigide e schematiche, come l’ovale allungato del volto della Vergine o le pieghe secche e semplificate del panneggio, tali da far pensare alla responsabilità di un qualche collaboratore o scultore autonomo assai prossimo al maestro: un’incertezza che l’accomuna ad una Madonna col Bambino in terracotta dipinta conservata nel Bode-Museum di Berlino, connotata da stilemi analoghi e pure databile intorno al 1430/40, la cui controversa attribuzione a Luca appare piuttosto problematica (Pope-Hennessy 1980, pp. 249-250, n. 24; Gentilini 1992, p. 45).

Può fornire un’adeguata soluzione a tali quesiti attributivi la maggiore conoscenza, affinata da contributi recenti (Galli 2010), di uno scultore ai sui tempi piuttosto rinomato, Antonio di Cristoforo, che dovette essere il principale collaboratore di Luca della Robbia tra la metà degli anni Trenta sino al 1442, come attestano alcuni pagamenti relativi alla Cantoria e al Tabernacolo del Sacramento di Santa Maria Nuova (ora in Santa Maria a Peretola), poi trasferitosi nel 1443 a Ferrara dove realizzo in bronzo il perduto Monumento equestre di Niccolò III d’Este, insieme al fiorentino Niccolò Baroncelli, e fu a lungo favorito dalla committenza della corte estense. La sua unica opera documentata che sopravvive è infatti una Madonna col Bambino a figura intera in terracotta dipinta eseguita per la Cattedrale di Ferrara (oggi nel Museo Civico di Arte Antica di Palazzo Schifanoia), che ne testimonia il magistero nella plastica fittile - sottolineato nello stesso atto di allocazione - e una forte consonanza con i modi di Luca della Robbia, con esiti che ben si accordano col rilievo in esame sia nella definizione anatomica e fisionomica sia nel ductus ampio ma conciso del panneggio.

Dobbiamo infine osservare che la terracotta ci è giunta all’interno di un fastoso tabernacolo ligneo di gusto neogotico, finemente intagliato con protomi angeliche, tralci florali e altri decori, lumeggiato in oro e parte ebanizzato, assai elaborato anche nella fattura delle staffe in ferro battuto applicate sul retro, che fu realizzato, forse nell’ultimo quarto dell’Ottocento, proprio per accogliere quest’apprezzata immagine, come dichiara la forma convessa del basamento recante la salutatio angelica iscritta a rilievo: eloquente testimonianza del pregio attribuitogli e di un’interessante vicenda collezionistica.

 

Giancarlo Gentilini

Firenze, 7 giugno 2020

 

Bibliografia di riferimento

A. Marquand, Luca della Robbia, Princeton 1914;

J. Pope-Hennessy, Luca della Robbia, Oxford 1980;

R.G. Kecks, Madonna und Kind. Das häusliche Andachtsbild im Florenz des 15. Jahrhunderts, Berlin 1988;

G. Gentilini, I Della Robbia. La scultura invetriata nel Rinascimento, 2 voll., Firenze 1992;

A. Galli, Vocazione e prime esperienze di Antonio di Cristoforo e Niccolò Baroncelli, scultori fiorentini a Ferrara, in “Prospettiva”, 139-140, 2010 (2012), pp. 35-57;

La Primavera del Rinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400 - 1460, a cura di B. Paolozzi Strozzi e M. Bormand, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi, 23 marzo - 18 agosto 2013), Firenze 2013

Stima   € 18.000 / 25.000
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105

Luca della Robbia “il giovane” (Firenze 1475 - Parigi 1548)

GHIRLANDA DI FRUTTA E FIORI (DA UNO STEMMA DELLA FAMIGLIA BARTOLINI SALIMBENI), 1521/1523

cornice circolare ad altorilievo in terracotta invetriata policroma; diam. cm 120, largh. del serto cm 23

 

Luca della Robbia the younger (Florence 1475 - Paris 1548), a fruit and flowers garland (from a coat of arms of the Bartolini family), 1521/1523

 

La rigogliosa cornice a ghirlanda di verzura, definita con spiccato naturalismo e vivificata da un’intensa, variegata policromia ceramica, si colloca, per la sua non comune ricchezza e la sorprendente perfezione del modellato, tra le testimonianze più rappresentative e pregevoli di una tipologia decorativa che, per quanto assai diffusa nell’ornato rinascimentale, si considera a buon diritto peculiare dell’arte robbiana.

Infatti, simili ghirlande, adottate per incorniciare medaglioni araldici, rilievi mariani o effigi clipeate ‘all’antica’, allusive alla prosperità familiare o civile oppure alla feconda profusione della grazia divina, insieme ai festoni, i tralci e i fregi vegetali che guarniscono pale d’altare, lunette e tabernacoli, ricorrono a partire dalla metà del Quattrocento e per oltre un secolo nella produzione dei Della Robbia, variamente interpretate da Luca, dal nipote Andrea e dai suoi cinque figli che ne ereditarono il magistero e la rinomata bottega. La straordinaria capacità di riprodurre i doni della natura eternando nella maiolica la fragranza effimera di frutta, ortaggi, verzura e la fragile bellezza dei fiori, con un virtuosismo illusionistico tale da emulare le leggendarie creazioni del coroplasta greco Posside celebrate da Varrone e da Plinio, fu certo tra gli esiti più distintivi e apprezzati - come già si legge nelle Vite del Vasari (1550, 1568) - della poliedrica attività di questa celebre famiglia, impresso ancor oggi nell’immaginario quale sigillo inconfondibile della plastica robbiana.

La turgida corona è qui composta da una straripante varietà di frutti (pigne, grappoli d’uva, mele cotogne, melagrane, susine gialle, mele gialle), agrumi (limoni, cedri), ortaggi (cetrioli), e ovari di papavero, intercalati da altri vegetali più radi e piccoli (piselli, spighe di grano, susine, bulbi d’aglio) e da alcuni fiori di campo bianchi, azzurri, gialli (roselline, campanule, parnassie, genzianelle e altri). Tale profusione è però regolata da una sapiente disposizione matematico-geometrica, secondo il principio albertiano della “varietas” disciplinata dalla “compositio”. Infatti, i frutti e gli ortaggi più grandi e riconoscibili che connotano la ghirlanda sono raggruppati in dieci mazzetti che si succedono con una cadenza regolare e un andamento orario, ciascuno dei quali composto da cinque frutti della medesima specie botanica - disposti in due coppie seguite da un singolo frutto al centro, con quelli di minori dimensioni all’interno della sequenza -, e sono abbinati anche i vegetali meno vistosi. Risaltano in particolare gli ovari (o capsule) di papavero che, oltre a formare un mazzetto autonomo, ricompaiono in coppie nel punto di giunzione di ogni mazzetto, assumendo dunque una particolare evidenza, estranea alle innumerevoli ghirlande robbiane, e pertanto un probabile valore simbolico, allusivo al ben noto emblema della famiglia Bartolini Salimbeni cui è da riferire - anche in ragione della provenienza e della paternità - la committenza della ghirlanda.

Per quanto la datazione e l’attribuzione di una scultura decorativa aniconica possa sovente risultare ardua, le ricerche sulla plastica robbiana, assai rinvigorite negli ultimi decenni, ci consentono oggi di cogliere anche nelle ghirlande, e specialmente in quelle di qualità più elevata, i caratteri distintivi dei diversi interpreti di una tale vasta produzione, solo in apparenza conformi a tipologie codificate e ad medesimo un lessico ornamentale.

In questo caso la forbita profusione e la verità della turgida verzura, modellata con particolare risalto plastico e nitore formale incavando con la stecca i profondi sottosquadri dell’intricato fogliame, insieme all’elegante, misurata disposizione dei vegetali che abbiamo descritto e a una tavolozza ceramica vivida ma delicata, quale risalta nelle screziate tonalità del verde, inducono un fondato riferimento attributivo a Luca della Robbia ‘il giovane’ (Firenze 1475 - Parigi 1548) con una plausibile datazione intorno al 1520. Questi, tra i cinque figli di Andrea della Robbia (Firenze 1435 - 1525) che dopo aver collaborato col padre per vari decenni ne ereditarono il magistero tecnico e la prolifica, rinomata bottega impiantata nel 1446 in via Guelfa a Firenze da Luca ‘il vecchio’ (Firenze 1399/1400 - 1482), fu certamente il più abile, raffinato e incline a una sofisticata vena decorativa, riconosciutagli già dal Vasari (1568, ed. 1878-1885, II, 1878, p. 182, IV, 1880, p. 363) ricordandolo “molto diligente negl’invetriati”, che ne lodò la “tanta perfezione” con la quale aveva eseguito “per ordine di Raffaello” i pavimenti delle Logge e di altre stanze in Vaticano con le imprese araldiche di papa Leone X. […]

Particolarmente sensibile ai valori dell’ornato e della scultura decorativa con esiti di grande raffinatezza plastica e pittorica, Luca ‘il giovane’ fu in grado di orientare una produzione tradizionalmente rivolta a una committenza ecclesiastica verso il gusto di una committenza signorile laica, erudita e raffinata, desiderosa di rispecchiarsi, per le frequentazioni umanistiche e la cultura antiquaria, in opere dallo spiccato richiamo al mondo classico, degne di arredare i più suntuosi palazzi privati. Lo attestano la fantasiosa serie di medaglioni con le imprese medicee provenienti dalla residenza romana di Alessandro de’ Medici, ora conservati nel Museo di Roma e in Castel Sant’Angelo, gli elaborati pavimenti ceramici, come quello nella Cappella di Santa Caterina in San Silvestro al Quirinale decorato con motivi araldici medicei, i preziosi vasi ‘all’antica’ e i canestri ornamentali colmi di frutta e fiori, gli stemmi, talora di foggia assai ricercata - tra i quali ricordiamo lo stemma Visdomini già nella raccolta Carlo De Carlo, lo stemma Caiani da Diacceto nella Collezione Contini Bonacossi agli Uffizi, e gli stemmi Bartolini Salimbeni, contornati da ghirlande – affini, come quella in esame, agli opulenti festoni della Natività in Santa Chiara a Monte San Savino del 1509 riferita concordemente a Luca ‘il giovane’ - che ben si distinguono sia da quelle più scandite e rarefatte di Andrea sia dagli analoghi lavori di Giovanni, più ridondanti nel repertorio decorativo, modellati con minore accuratezza e smaltati con tonalità più cariche.

Un confronto particolarmente efficace, anche per le notevoli dimensioni e la conformazione della folta ghirlanda, ci viene offerto dallo spettacolare medaglione araldico con l’impresa dei Bartolini Salimbeni conservato oggi nel Museo del Bargello a Firenze, dove una corona vegetale altrettanto rigogliosa racchiude il consueto emblema di questa famiglia (tre ovari di papavero) concatenato a quelli dei Medici (tre anelli con punte di diamante, ciascuno attraversato da tre piume di struzzo, bianche, rosse e verdi), emblemi a loro volta avviluppati da un cartiglio con i motti delle due casate (“P[ER] NON DORMIRE” e “SEMP[ER]”), la cui stretta alleanza fu suggellata da legami matrimoniali. Si tratta di una delle testimonianza più grandiose e raffinate nella pur vasta, secolare produzione araldica robbiana, e forse la più significativa tra le rare opere documentate di Luca ‘il giovane’, identificabile per ragioni tipologiche, araldiche, stilistiche e cronologiche con uno dei due medaglioni realizzati per l’elegantissimo, innovativo palazzo edificato da Baccio d’Agnolo per Giovanni Bartolini dirimpetto a Santa Trinita tra il febbraio 1520 e il maggio 1523... Ma è per noi di particolare interesse il fatto che lo stemma Bartolini Salimbeni del Bargello, acquisito nel marzo 1939 attraverso gli eredi dell’antiquario fiorentino Luigi Pisa (dono valutato 100.000 lire), in precedenza si trovava anch’esso nella collezione Torrigiani. Lo attestano i fondamentali repertori robbiani di Allan Marquand che nel 1919 (pp. 219-221, n. 279, fig. 202) e nel 1920 (pp. 110-111, n. 113, fig. 62) riproduceva la relativa ghirlanda, attribuendola a Giovanni della Robbia intorno al 1515, pervenuta in circostanze imprecisate al marchese Torrigiani e conservata nel suo palazzo di Firenze, seppure al tempo priva dell’impresa araldica e reimpiegata come cornice di un’epigrafe marmorea posta nel 1878 dai figli del marchese Luigi nel palazzo Torrigiani Del Nero (1804 - 1869) per celebrare la cospicua raccolta d’arte antica riunita dal padre [   ]. Inoltre, dobbiamo qui ricordare che, di fatto, Luigi Torrigiani aveva posseduto almeno due grandi stemmi robbiani con l’imprese Bartolini Salimbeni, presentati nel 1861 alla Esposizione di oggetti d’arte del Medio-Evo e dell’epoca del Risorgimento dell’Arte allestita a Firenze in casa Guastalla. E’ quindi probabile che questa famiglia fosse entrata in possesso di entrambi gli stemmi eseguiti da Luca ‘il giovane’ per palazzo Bartolini Salimbeni di piazza Santa Trinita, forse intorno al 1838-40 quando l’edificio fu adattato ad albergo di lusso, se non già nel 1559 quando i Torrigiani acquisirono l’attiguo palazzo Bartolini Salimbeni di via Porta Rossa, ristrutturato anch’esso nel primo Cinquecento, passato alla fine del Settecento a Pietro Guadagni. La ghirlanda proveniente dalle raccolte Torrigiani che qui si presenta, caratterizzata come abbiamo visto dall’evidenza degli ovari di papavero, emblema peculiare dei Bartolini Salimbeni, è dunque plausibilmente identificabile con quella di uno dei due medaglioni eseguiti da Luca ‘il giovane’ nel 1521 per il sofisticato palazzo di Giovanni Bartolini in Santa Trinita - forse proprio con il “tondo di fogliami per la volta della loggia” -, ed è certo una delle due ghirlande con l’impresa di questa famiglia appartenute al marchese Luigi Torrigiani e da lui esposte nel 1861, in seguito privata del disco araldico, in quanto non pertinente alla nuova collocazione nelle proprietà dei Torrigiani, proprio come avvenne nel 1878 per lo stemma oggi al Bargello, e reimpiegata per impreziosire la copia del busto di Giovane venduto nel 1893 a Bardini e da questi al Museo di Berlino. Ma, mentre il tondo araldico della ghirlanda utilizzata per l’epigrafe marmorea posta nel 1878 in palazzo Torrigiani Del Nero fu poi ricongiunto alla sua cornice robbiana, in questo caso la parte con gli emblemi Bartolini Salimbeni venne presumibilmente restituita o ceduta a questa stessa famiglia. Infatti la possiamo riconoscere nel rilievo pubblicato dal Marquand nel 1919 e poi nel 1920, al tempo in “Casa Bartolini Salimbeni Vivai” a Dicomano, incastonato in una parete e circondato da una ghirlanda dipinta: tondo, la cui attuale ubicazione non ci è nota, ch’egli rapportava alla corona di palazzo Torrigiani e dunque al medaglione ora al Bargello, ma erroneamente in quanto a ben vedere differisce in alcuni dettagli, quali la disposizione delle lettere nel cartiglio.

Stima   € 40.000 / 60.000
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L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
106

Manifattura fiorentina, fine secolo XIX (Manifattura Cantagalli?)

RITRATTO DI GIOVANE, 1893-1894 (COPIA DA ANDREA DELLA ROBBIA)

busto clipeato ad altorilievo in terracotta invetriata di bianco su fondo azzurro con vesti policrome; diam. cm 46,5

 

Florentine, late 19th century (Cantagalli?), portrait of a young man, 1893-1894 (copy after Andrea della Robbia)

 

L’effigie di giovane di questo tondo è identica nel modellato al busto clipeato del museo di Berlino - dove lo smalto appare oggi gravemente danneggiato da un incendio conseguente agli eventi bellici nel maggio 1945 -, ma differisce per le dimensioni minori (diametro cm 46,5 invece di cm 55,5), rivelando così una traduzione a calco, e per i caratteri dell’invetriatura, tali da dichiarare un’esecuzione moderna. Incongrui con le consuetudini tecniche robbiane risultano infatti la stesura dello smalto bianco a ricoprire l’intera superficie del rilievo, anche sotto le campiture di altri colori, e il taglio del busto, la sua consistenza disomogenea, tale da ottundere i dettagli della modellazione, così come quella troppo liquida e poco coprente dell’azzurro del fondo che lascia scorgere le pennellate, mentre nell’abito le tonalità appaiono più cariche e la rosetta dello scollo insolitamente diversificata nella cromia.

Il Giovanetto di Berlino era stato acquistato dal museo prussiano (al tempo Altes Museum, dal 1904 Kaiser Friedrich Museum) nel 1894 a Firenze, come opera proveniente proprio da “Palazzo Torrigiani”, residenza da identificare con il palazzo Torrigiani già Del Nero in piazza de’ Mozzi, dove al tempo era concentrato il meglio delle raccolte d’arte della famiglia. Recenti ricerche hanno rivelato che il busto fu venduto dal rinomato antiquario fiorentino Stefano Bardini, la cui sfarzosa galleria si trovava in quella stessa piazza de’ Mozzi, principale fornitore delle molte sculture rinascimentali acquisite in quegli anni per le raccolte berlinesi da Wilhelm Bode, l’autorevole storico dell’arte che dal 1905 ne sarebbe stato il direttore generale.

Bardini, infatti, nella primavera del 1893, dopo quasi vent’anni di attesa in quanto la collezione Torrigiani era stata posta in vendita sin dal 1869, era entrato in possesso “dei più bei quadri di casa Torrigiani”, come egli stesso vantava in una lettera inviata a Bode il 5 giugno di quell’anno, sottolineando che “quest’affare deve rimanere segreto per un poco di tempo, avendo già messo al posto delle copie”. Di quali opere si trattasse Bardini informò Bode in una successiva lettera del 4 novembre, alla quale allegò anche una documentazione fotografica del busto robbiano, probabilmente quella stessa della quale si conservano quattro lastre nell’Archivio Bardini oggi presso il Comune di Firenze che lo mostrano già corredato dalla cornice lignea intagliata in forma d’anello diamantato con foglie d’acanto, poi distrutta nell’incendio del 1945. Il tondo, subito venduto, fu inviato a Berlino nel febbraio del 1894, come si apprende da altre lettere nelle quali l’antiquario ribadiva di non divulgarne la provenienza per evitare uno scandalo; l’anno successivo venne presentato dal Bode nella sua elegante raccolta di tavole illustrate dedicata scultura fiorentina del Rinascimento con una lusinghiera attribuzione a Luca della Robbia, poi riproposta in varie occasioni, poco dopo rivelandone anche la provenienza da palazzo Torrigiani.

Come attesta un’inedita ricevuta conservata nell’Archivio Bardini, sottoscritta da Filippo Torrigiani in data 3 giugno 1893, il ritratto, definito “un busto di un giovane a medaglione di terra Della Robbia”, era stato acquisito da Bardini attraverso un prestanome, tal avvocato Guido Nobili, in un lotto di otto opere - tra le quali spiccava un noto ritratto di Luca Signorelli pure ceduto al museo di Berlino - pagate 100.000 lire, cui l’acquirente veniva “obbligato a sostituire fedelissime copie”.

E’ dunque assai probabile che il rilievo di cui ci stiamo occupando sia stato eseguito proprio in occasione di questa vendita, per rimpiazzare l’originale alienato o comunque serbarne memoria, secondo una consuetudine piuttosto diffusa nelle collezioni nobiliari; forse, come suggeriscono il notevole magistero tecnico e la vivacità degli smalti, affidandone la realizzazione alla Manifattura Cantagalli di Firenze, la più qualificata e rinomata tra le non poche officine ceramiche al tempo impegnate nelle riproduzioni di manufatti robbiani.

 

Giancarlo Gentilini

Firenze, 9 novembre 2018

 

Bibliografia di riferimento

W. Bode, Florentiner Bildhauer der Renaissance, Berlin 1902, p. 187;

F. Schottmüller, Königliche Museen zu Museen. Beschreibung der Bildwerke der Christlichen Epochen. Die Italienischen un Spanischen Bildwerke der Renaissance und des Boarocks in Marmor, Ton, Holz und Stuck, Belin 1913, pp. 33-35 n. 75;

J. Pope-Hennessy, Luca della Robbia, Oxford 1980, p. 272 n. 77;

G. Gentilini, I Della Robbia. La scultura invetriata nel Rinascimento, vol. I, Firenze 1992, p. 173;

V. Niemeyer Chini, Stefano Bardini e Wilhelm Bode. Mercanti e connaisseur fra Ottocento e Novecento, Firenze 2009, pp. 98-100

Stima   € 5.000 / 7.000
112

Romolo Ferrucci del Tadda (Fiesole, Firenze 1544 - Firenze 1621)

LEONESSA

in pietra serena raffigurata seduta, cm 106x72x52, su ampia base quadrangolare in pietra serena, cm 19x99x84

 

Romolo Ferrucci del Tadda (Fiesole, Firenze 1544 - Firenze 1621), a lioness

 

Bibliografia di confronto

G. Pratesi (a cura di), Repertorio della scultura fiorentina del Seicento e Settecento, Torino 1993, vol. I pp. 44-45, vol. II nn. 148-149;

G. Capecchi, I cani in "pietra bigia" di Romolo Ferrucci del Tadda. Simbolismo e "capriccio" nel giardino di Boboli, Firenze 1998

 

La scultura mostra stringenti affinità con le opere conosciute di Romolo Ferrucci del Tadda, figlio di Francesco Ferrucci detto del Tadda, scultore attivo a Firenze soprattutto nell'ambito di Cosimo I, presso la cui bottega si forma. Inizia la sua attività indipendente nel 1585, ottenendo rapidamente commissioni destinate in particolar modo alla corte medicea. Specializzatosi nella realizzazione di animali in pietra, isolati o in gruppo, con opere documentate soprattutto per il Giardino di Boboli e per la Villa Caruso di Bellosguardo, la sua fama di scultore “animalista” arriva ad estendersi ben oltre i confini del granducato toscano: non solo infatti la sua specialità viene apprezzata e rinonosciuta fino a Mantova, il cui duca risulta per decenni essere un suo committente, ma il Baldinucci (1681-1728) ricorda che a fine Cinquecento, per completare l'arredo di una fontana nel giardino di palazzo Gondi a Parigi per il quale il Francavilla aveva eseguito un marmo con Orfeo, Romolo Ferrucci realizza una "buona quantità d'animali varie sorti" (VII, p. 36).

Stima   € 5.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
91 - 120  di 164