ARCADE | DIPINTI DAL XVI AL XX SECOLO

3 MARZO 2020

ARCADE | DIPINTI DAL XVI AL XX SECOLO

Asta, 0334
Firenze
Palazzo Ramirez Montalvo
Borgo degli Albizi 26


ore 10.30
lotti 1-120

ore 14.30
lotti 121-234

ore 16.30
lotti 244-353
Esposizione

FIRENZE
Venerdì     28 febbraio    10 -18
Sabato      29 febbraio    10 -18
Domenica   1 marzo       10 -18 
Lunedì        2 marzo       10 -18 

info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   250 € - 20000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 342
159

Scuola veneta, inizio sec. XVII

SAN SEBASTIANO                                                            

olio su tela, cm 234x83                                                   

                                                                          

Venetian school, early 17th century

SAINT SEBASTIAN                                                           

oil on canvas, cm 234x83                                                  

 

L’importante tela, se pur ancora in parte legata, mostra uno sganciamento dal tardo manierismo di Palma il giovane e seguaci: nel colore schiarito e nei motivi tipologici e compositivi sembra tener d’occhio il mondo veronesiano ma nel modo di impostare la figura del santo si nota una certa ricercatezza e robustezza formale che lo avvicinano alle aperture seicentesche di Alessandro Varotari detto il Padovanino, strada seguita anche da Pietro Damini, che ricoprì una posizione di rilievo, soprattutto nella provincia veneta. Firmata da Damini e datata 1622 è la pala con l’Angelo custode ora esposta nel Museo civico di Treviso, ma eseguita per Sant’Agostino a Padova, dove analogamente all’opera qui offerta vengono raggruppati due episodi, uno in primo piano e l’altro sullo sfondo, dando grande prova di capacità di impaginazione soprattutto nell’utilizzo della luce che riesce a restituire una evidenza materica nuova alle forme.

 

Stima   € 20.000 / 30.000
49

Giacomo Francesco Cipper, detto il Todeschini

(Feldkirch, 1664  Milano, 1736)

PESCIVENDOLO

POPOLANA CON SELVAGGINA

coppia di dipinti a olio su tela, cm 86x105

(2)

                                                                          

A FISH SELLER

A PEASANT WOMAN WITH GAME

oil on canvas, cm 86x105, a pair

(2)

 

Bibliografia di riferimento

M. S. Proni, Giuseppe Francesco Cipper detto 'Il Todeschini', Cremona,1994   

 

La coppia di dipinti offerta costituisce un magistrale esempio dell’abilità di Giacomo Francesco Cipper quale naturamortista: attraverso sapienti colpi di pennello carichi di materia e un accorto utilizzo di luci e ombre il pittore riesce a restituire mimeticamente le forme rendendo quasi vibranti le piume dei volatili e iridescenti le squame dei pesci. Ritratti assai naturalisticamente sono anche i personaggi che mostrano il caratteristico ductus della pennellata trasversale del Todeschini, particolarmente evidente sulle mani del pescivendolo.

Il taglio compositivo con la figura che fa come ‘da spalla’ alla ricca esibizione degli animali in primo piano, dove la casualità del loro posizionamento è solo casuale, è stato più volte utilizzato dall’artista, e permette di rapportare il pendant qui presentato con altre tele del pittore datate al primo decennio del Settecento, del tutto prossime anche a livello stilistico: si veda la Fruttivendola e ragazzo con cesta in collezione privata milanese (cfr. Proni, 1994 cit., scheda 8, pp. 52-53) o il Giovane venditore di selvaggina (Roma, collezione privata, olio su tela, cm 133x183. Cfr. scheda 11, pp. 60-61.

Ciò che rende particolarmente suggestive le due opere è il gioco di rimandi compositivi che le rende indubitabilmente compagne ma al contempo assai diverse tra loro, essendo una giocata sul tema della pesca, e l’altro su quello terrestre, finanche negli sfondi paesisti.

 

                                                               

                                                                          

Stima   € 20.000 / 25.000
250

Piet Jan Van der Ouderaa

(Antwerpen 1841 - 1915)

IL FRUTTIVENDOLO VENEZIANO

olio su tavola, cm 113x71

firmato e datato "Antw 1875" in basso a destra

retro: etichetta della galleria Guillaume Campo di Anversa, cartiglio iscritto "PVanderouderaa / Plantyn Lei 56 / Antwerpen / Venitiaansche / Fruitverkoopers / Prys / 2500 Franken"

 

THE VENETIAN FRUIT SELLER

oil on panel, 113x71 cm

signed and dated "Antw 1875" lower right

on the reverse: label of the Guillaume Campo gallery in Antwerpen, label inscribed "PVanderouderaa / Plantyn Lei 56 / Antwerpen / Venitiaansche / Fruitverkoopers / Prys / 2500 Franken"

 

Pierre Jean Van der Ouderaa nasce ad Anversa nel 1841, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti, divenendo allievo di Jacob Jacobs e Joseph van Lerius. Prosegue la carriera accademica come professore all’Istituto Superiore delle Arti e come membro del Corpo Accademico nel 1890. Durante il suo percorso compie viaggi di studio in Italia: visita con sicurezza Roma dove ammira le opere di Raffaello e Venezia nel 1866, dove prende ispirazione per l’esecuzione del dipinto che presentiamo in asta. Si reca poi in Terra Santa nel 1893, tappa fondamentale per la realizzazione di soggetti biblici.

Van der Ouderaa dipinge paesaggi, ritratti, scene di genere, in cui si distingue per l’attenzione al dettaglio, ma predilige i soggetti storici, legati in particolare alla storia della sua città, Anversa. Nel 1912 espone la tela “Due poveri eredi” a Palazzo Strozzi a Firenze in occasione della mostra dell’Associazione degli artisti italiani. Tra le sue opere più rilevanti ricordiamo “Le Baiser judiciaire” del 1879, “L’ultima spiaggia” del 1885, due grandi affreschi eseguiti tra il 1886 e il 1888 per il Palazzo di Giustizia di Anversa, e “L’ultimo rifugio” conservato nel Museo di Bruxelles.

 

 

Stima   € 15.000 / 25.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
105
Stima   € 15.000 / 25.000
14

Scuola marchigiana, sec. XVII

MADONNA COL BAMBINO E I SANTI FRANCESCO E ANTONIO

olio su tela, cm 214,5x149

 

School of the Marches, 17th century

MADONNA WITH CHILD WITH SAINT FRANCIS AND SAINT ANTHONY

oil on canvas, cm 214,5x149

 

L’autore di questa suggestiva pala va cercato fra quegli artisti che diffusero nelle Marche le correnti figurative nate dalla “crisi” del Manierismo e sostenute dagli intenti propagandistici della Chiesa controriformata, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento.

Il ricordo di due “campioni” della pittura marchigiana quali Federico Barocci e Federico Zuccari si fondono nella nostra tela con le novità pittoriche arrivate da Roma, circolanti nella regione grazie al mecenatismo di ordini religiosi e committenti laici.

Nello specifico si possono stabilire convincenti confronti con la produzione pittorica di Giuseppe Bastiani da Macerata (Macerata, ca. 1570 – Caprarola, ca. 1639), figura non certo trascurabile nell’ambito della storia artistica marchigiana, attivo all’interno di importanti luoghi di culto e anche a Roma (Sulle tracce di Giuseppe Bastiani da Macerata: pittura del ’600 nell’Umbria meridionale, Alto Lazio, Marche, atti della giornata di studio, Terni 2004). Accostabile a quella qui offerta è la pala raffigurante Le Stimmate di San Francesco conservata nella chiesa di Santa Vittoria in Matenano (Ascoli Piceno) (Le Arti nelle Marche al tempo di Sisto V, a cura di Paolo Dal poggetto, Cinisello Balsamo 1992, ill. p. 403) dove si vede un analogo fondale paesistico aperto e luminoso che sfuma nella parte alta in una abbagliante luce dorata. Inoltre la tipologia della figura risente, come nel nostro caso, oltre che del classicismo zuccaresco dell’avvicinamento a modelli figurativi più avanzati quali il naturalismo carraccesco già diffuso a Roma e altrove a inizio del Seicento.

 

Stima   € 12.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
23

Nunzio Rossi

(Napoli?, 1626 circa – Palermo?, 1651 circa)

MOSÈ E IL SERPENTE DI BRONZO

olio su tela, cm 175x135

 

MOSES AND THE RAISED SERPENT

oil on canvas, cm 175x135

 

Esposizioni

Civiltà del Seicento a Napoli. Napoli, Museo di Capodimonte, ottobre 1984 – aprile 1985; Ritorno al barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. Napoli, Museo di Capodimonte, dicembre 2009 – aprile 2010.

 

Bibliografia

G. De Vito, Ritrovamenti e precisazioni a seguito della prima edizione della mostra sul 600 napoletano, in “Ricerche sul 600 napoletano. Saggi vari in memoria di Raffaello Causa”, Milano 1984, p. 15, fig. 57; G. De Vito, in Civiltà del Seicento a Napoli. Catalogo della mostra, Napoli 1984, I, p. 432, n. 2.219; G. De Vito, Un Sacrificio d’Isacco di Nunzio Russo e altri passi lungo il suo percorso, in “Ricerche sul 600 napoletano”, Milano 1989, p. 42; N. Spinosa, in Ritorno al barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli. Catalogo della mostra, Napoli 2009, I, p. 126, n. 1.47; G. Forgione, “Rossi, Nunzio”, in Dizionario Biografico degli Italiani, 88, Roma 2017.

 

La riscoperta di Nunzio Russo si deve alle ricerche di Giuseppe De Vito e di Magda Novelli Radici, pionieri negli studi sul Seicento napoletano entrambi recentemente scomparsi, che nei loro ripetuti interventi (si veda innanzi tutto M. Novelli Radice, Inediti di Nunzio Russo, in “Napoli nobilissima” XIX, 1980, 5-6, pp. 185-198) hanno ricostruito a partire dalle fonti il breve e singolare percorso di un artista napoletano attivo a Bologna e a Messina, oltre che nella probabile città natale, peraltro non documentata.

Distinto da una personalissima cifra stilistica che lo rende difficilmente assimilabile ai suoi contemporanei nelle città in cui, imprevedibilmente, si trovò ad operare, Nunzio Russo lavorò essenzialmente per commissioni pubbliche nelle chiese di Bologna, in particolare nella Certosa, con tele documentate o datate del 1644, e successivamente a Napoli, prima di trasferirsi a Messina al servizio di don Antonio Ruffo, noto e raffinato collezionista, avido di novità e di opere d’arte da Guercino a Rembrandt, in questo unico tra i suoi contemporanei italiani. Per lui Nunzio Russo dipinse anche opere di soggetto profano ispirate al mito, stando alle fonti e ai documenti d’archivio che ricostruiscono l’importante collezione dispersa, e intervenne con affreschi nel palazzo messinese distrutto dal terremoto del 1908.

Il nostro dipinto, ripetuto nel soggetto vetero-testamentario in un’altra tela di raccolta privata, si situa alla metà degli anni Quaranta, seguendo a breve distanza le pale bolognesi, stilisticamente affini, ed è considerata di poco anteriore all’Assunta nel Duomo di Castellammare di Stabia (cfr. Civiltà del 600 a Napoli, 1984, n. 2.220).

Sebbene mutilo nella parte destra e a tratti lacunoso, non essendo stato sottoposto a interventi di restauro oltre a quelli meramente conservativi, si impone per la sua originalità nella caratterizzazione a tratti grottesca dei protagonisti – forse debitrice dell’esempio del Lanfranco coevo - e soprattutto per il colore acceso, la “gran macchia” poco gradita alla Bologna dove trionfava Guido Reni, come isolata nella Napoli di Massimo Stanzione, ma appunto tratto inconfondibile di questo maestro minore.

 

 

Stima   € 10.000 / 15.000
39

Scuola toscana, sec. XVII                                                 

VEDUTA DI FONTEBRANDA                                                     

olio su tela, cm 168x219

 

Tuscan school, 17th century

VIEW OF FONTEBRANDA

oil on canvas, cm 168x219                                              

                                                                          

Bibliografia di riferimento                                               

N. Barbolani di Montauto, Pandolfo Reschi, Firenze 1996; La collezione Terruzzi. I capolavori, a cura di A. Scarpa Sonino, pp. 437-438, schede II.127-III.128.                                                           

                                                                          

In occasione di un viaggio a Siena, racconta F. S. Baldinucci, il cardinale Francesco Maria de Medici commissionò a Pandolfo Reschi, pittore di origine polacca ma di formazione romana, due vedute, una della più antica tra le fonti senesi, Fontebranda, e l'altra di una villa medicea sulle colline fiorentine, villa Lappeggi.                                               

Le due tele, tra le più celebri e documentate del Reschi, entrate successivamente a far parte della raccolta del cavalier Ascanio Samminiati dove le videro Baldinucci e Maria Niccolò Gaburri descrivendole come opere eccezionali, sono oggi nella collezione Terruzzi (La collezione Terruzzi. I capolavori, a cura di A. Scarpa Sonino, pp. 437-438, schede II.127-III.128).                                                          

La Veduta di Fontebranda qui presentata, per fedeltà e qualità di esecuzione, deve essere considerata una replica uscita dalla bottega di Pandolfo Reschi.                                                          

L'analoga precisione nella descrizione delle tre grandi arcate ogivali della fonte, sovrastata dalla chiesa di San Domenico, e delle numerose e animate figurette, tra cui si segnalano al centro "il gruppo di giocatori e scioperati, che pare si adirino con le loro carte, in diversi moti e scorci e un altro di più ragazzi che, cavalcando alcune travi, fanno all'altalena e insieme scherzano", su cui si soffermò anche Baldinucci (F. S. Baldinucci, Vita del pittore Pandolfo Reschi in F. S. Baldinucci, Vite di artisti dei XVII-XVIII, ed. a cura di A. Matteoli, Roma 1975, p. 221), permette di ipotizzare che furono utilizzati per la realizzazione della nostra tela i medesimi studi progettuali. Si conoscono alcuni disegni acquarellati, conservati presso lIstituto Nazionale per la Grafica di Roma, segnalati da Novella Barbolani di Montauto (N. Barbolani di Montauto,     

Pandolfo Reschi, Firenze 1996, p. 80) quali preparatori per le figure sulla sinistra della tela che assistono lo stesso pittore autoritrattosi in atto di schizzare la veduta. 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
178

Scuola veronese, sec. XVII

TRE PUTTI IN BARCA NELLE VESTI DI VIRTÙ TEOLOGALI

olio su tela, cm 118x167

 

Veronese school, 17th century

THREE PUTTO ON A SHIP AS THEOLOGICAL VIRTUES

oil on canvas, cm 118x167

 

La bellissima invenzione della tela si deve ad Alessandro Turchi, detto l’Orbetto (Verona, 1578 – Roma, 1649), concepita con ogni probabilità in occasione della commissione romana, nel 1625, a diversi pittori della serie di quattro dipinti raffiguranti Tre putti da parte del cardinale Maurizio di Savoia, di cui noti sono oggi i Tre putti come allegoria dell’Architettura, dell’Astronomia e dell’Agricoltura di Domenichino (Torino, Galleria Sabauda)  e quella del Turchi, riconosciuta nell’opera di collezione privata esposta ad Ariccia nel 2006 e successivamente a Torino (cfr. G. Papi, La “schola” del Caravaggio. Dipinti della collezione Koelliker, catalogo della mostra, Milano 2006, pp. 184-187, scheda 52; V. Natale (a cura di), Spiritelli, amorini, genietti e cherubini. Allegorie e decorazione di putti dal Barocco al Neoclassicismo, catalogo della mostra, Cinisello Balsamo 2016, pp. 56-57, scheda 56).

Nel raffigurare la Speranza aggrappata all’ancora, la Carità con la fiaccola accesa e la Fede mentre sta manovrando il timone della barca, drappeggiate nei colori propri di ogni virtù, grande attenzione è data anche nell’esemplare qui presentato nella resa delle candide ed eleganti nudità che l’Orbetto ha proposto in numerose occasioni nell’arco della sua carriera.

 

Stima   € 10.000 / 15.000
179

Scuola ferrarese, inizio sec. XVI

MADONNA COL BAMBINO

olio su tela, cm 57,5x45,5

 

Ferrarese school, early 16th century

MADONNA WITH CHILD

Oil on canvas, cm 57,5x45,5

 

Il dipinto è una versione su tela della tavola, oggi in collezione privata, commissionata dal Duca di Mantova e successivamente entrata a far parte della cospicua raccolta del re Carlo I d’Inghilterra, recentemente resa nota e restituita a Lorenzo Costa (cfr. Charles I. King and collector, catalogo della mostra, Londra 2018, p. 240, no. 48; p. 110, tav. 48). Tale artista (Ferrara, 1460 circa – Mantova, 1535) dopo una formazione nella sua città natale con Cosmè Tura e Ercole de’ Roberti e una successiva attività a Bologna soprattutto come autore di pale d’altare, si trasferì a Mantova, coinvolto dapprima da Isabella d’Este, sposa del duca Francesco II Gonzaga, nella realizzazione delle tele per il suo celebre studiolo all’interno del Palazzo Ducale, per poi divenire nel 1506 il successore di Andrea Mantegna quale pittore di corte presso gli stessi Gonzaga.    

L’opera presentata partecipa pienamente dello stile ormai affinato di Lorenzo Costa nello studio di quelle dolcezze che andavano riscuotendo grande successo a inizio Cinquecento e che Costa proporrà a Mantova proprio come alternativa all’archeologismo di Mantegna, trovando conferme nelle opere mantovane del pittore intorno agli Venti, quale la pala del 1525 in Sant’Andrea a Mantova. Si segnala infine come confronto, ancora più stringente a livello tipologico oltre che stilistico, una Madonna col Bambino su tela, conservata presso la Galleria Nazionale d’Arte Antica di Trieste (inv. 29/1; cfr. E. Negro, Lorenzo Costa 1460-1535, Modena 2001, cat. n. 72).

 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
229

Scuola veneta, sec. XVI

LA MADONNA COL BAMBINO APPARE A FANTINO PIZZAMANO

VENEZIA RICEVE LA SPADA DELLA GIUSTIZIA 

coppia di miniature da commissione ducale, tempera, inchiostro e oro su pergamena, mm 210x146 circa

(2)

 

Venetian school, 16th century

MADONNA AND CHILD APPEARING TO FANTINO PIZZAMANO

VENICE RECEVEING THE SWORD OF JUSTICE

a pair of illuminations from a commissione ducale, tempera, ink and gold on parchment, mm 210x146 circa

(2)

 

Bibliografia di riferimento

H. K. Szépe, Venice Illuminated. Power and Paintings in Renaissance Manuscripts, Yale University Press, New Haven and London 2018.

 

La coppia di raffinate miniature fa parte della Commissione del doge Alvise Mocenigo (1570-1577) a Fantino Pizzamano, come è riportato sul testo manoscritto presente sul verso della pergamena raffigurante Venezia mentre riceve la spada della Giustizia, relativa all’incarico del patrizio veneto come capitano di Brescia.

Le Commissioni dogali o ducali erano lussuose presentazioni di contratti che sancivano l’elezione a incarichi amministrativi sul territorio della Repubblica di Venezia: alcune pagine di tali copie manoscritte venivano abbellite con immagini allegoriche e religiose volte a celebrare la carriera politica dell’eletto e naturalmente la Serenissima.

Dopo la fine della Repubblica molti di questi manoscritti furono venduti e smembrati proprio per le loro preziose miniature e per le suntuose rilegature.

Da un punto di vista compositivo le due pergamene offerte sono assai vicine a quella con Girolamo Venier in adorazione della Madonna col Bambino proveniente dalla Commissione per Girolamo di Giovanni Andrea Vernier conservata presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, volta a ricordare il suo incarico di Podestà e Capitano di Capodistria del 1564 (cfr. H. K. Szépe, Venice Illuminated. Power and Paintings in Renaissance Manuscripts, Yale University Press, New Haven and London 2018, p. 29, fig. 0.14): simile è l’impostazione e il protagonismo delle figure all’interno di una cornice dorata, nel nostro caso più riccamente decorata.

Più stringenti confronti stilistici possono invece essere effettuati con alcune esemplari attribuiti al cosiddetto “Morgan Master”. Si tratta di una coppia di miniature per l’elezione di Sebastiano di Fantin Marcello a provveditore e capitano di Salò e della Riviera del Garda nel 1565, oggi nella collezione della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi (cfr. H. K. Szépe, Venice Illuminated, cit., p. 30, fig. 0.16) e di un’altra raffigurante Venezia che riceve la spada della Giustizia (da una Commissione di Antonio di Andrea Bragadin come Podestà di Brescia del 1567) della Pierpont Morgan Library di new York ( cfr. H. K. Szépe, Venice Illuminated, cit., p. 187, fig. 5.40), quest’ultima con una cornice abitata dalle personificazioni delle Virtù come nel nostro caso.

Le figure sono debitrici della cultura artistica veneta contemporanea e in particolare è stato suggerito come confronto i dipinti di Veronese e Giambattista Zelotti inseriti all’interno di fastose decorazioni dorate sui soffitti di Palazzo Ducale a Venezia. Si sottolinea infine il suggestivo naturalismo ritrattistico nella raffigurazione del volto del committente in adorazione della Madonna col Bambino.

 

 

 

Stima   € 8.000 / 15.000
279

Pietro Benvenuti

(Arezzo 1769 - Firenze 1844)

RITRATTO DI LEOPOLDO II DI LORENA

olio su tela, cm 119x89

 

PORTRAIT OF LEOPOLDO II DI LORENA

oil on canvas, 119x89 cm

 

Il dipinto in esame è da attribuire a Pietro Benvenuti sulla base del confronto con opere certe, oltre che sulla valutazione dell’ottima qualità del dipinto, corrispondente ai modi dell’artista, particolarmente apprezzato anche da Leopoldo II. La stima che il Granduca Leopoldo II ha avuto nei confronti dell’artista aretino fu tale da confermare la sua nomina a pittore di corte e di Primo Pittore di Camera, affidandogli nel 1828 la grande impresa della decorazione della volta della Cappella dei Principi in San Lorenzo. Due considerazioni sono fondamentali. La prima è che Leopoldo II è succeduto al padre Ferdinando III nel 1824, all’età di ventisette anni dovendo affrontare un alternarsi di eventi difficilmente prevedibili anche da chi avesse posseduto virtù politiche, delle quali il nuovo granduca era privo. La seconda riguarda invece l’attività di Benvenuti che agli inizi degli anni Venti era molto impegnato in ritratti facendo diventare il suo ruolo di ritrattista una delle sue più importanti attività.  La prima riflessione rimanda al fatto che nel dipinto in questione il granduca è raffigurato molo giovane e in atto di appoggiare la mano sul volume Della Politica, visibile a sinistra e forse identificabile con l’opera omonima di Aristotele. E’ questo un piccolo dettaglio, simbolo di una particolare formazione politica, che fa riferimento alla situazione iniziale del regno di Leopoldo II, affiancato non per caso ancora una volta da Neri Corsini e da Vittorio Fossombroni, entrambi ormai consolidati funzionari della corte lorenese. Le difficoltà per Leopoldo non venivano soltanto dalle tracce lasciate dall’astro di Napoleone, da poco tramontato, ma anche dagli Asburgo a Vienna, che tentavano di togliere alla Toscana l’indipendenza di Stato sovrano e farne un’appendice soggetta al potere centrale degli Asburgo.Il Fossombroni e il Corsini difesero  diritti  di Leopoldo II e quelli del suo Stato ricordando a Vienna che era stato Ferdinando III a nominare suo successore il figlio. Con un Editto il Fossombroni comunicò a Vienna e all’intera Europa che Leopoldo giurando di assumere la piena sovranità e governo era il successore nei diritti della Corona di Toscana. L’aspetto giovanile del granduca e la presenza del volume sono elementi che rendono plausibile il fatto che il ritratto  in esame sia uno dei più precoci tra i numerosi fatti del granduca in momenti diversi della sua esistenza. Il primo termine di confronto è quello, oggi conservato presso la collezione  Linari e databile al 1828 per l’iscrizione visibile nel cartiglio, in basso a sinistra. Rispetto a quest’ultimo il ritratto esaminato è precedente almeno di un paio di anni. Un secondo termine di paragone è l’effigie incisa dal parmense Paolo Toschi, anch’essa successiva alla nostra tela, sebbene perfettamente corrispondente nelle medaglie indossate dal sovrano: il Toson d’Oro, quella dell’Ordine di Santo Stefano,  quella dell’Ordine di San Giuseppe e quella dell’Ordine dinastico della Corona di Ruta. Il dipinto è da collocare subito dopo il 1824 e prima del gennaio del 1827, data in cui Leopoldo II dopo una seduta generale fu nominato accademico d’onore presso l’Accademia di San Luca a Roma. Alla riunione era presente anche Benvenuti, cui fu affidata la lettera da consegnare al sovrano.  

Liletta Fornasari

 

Stima   € 8.000 / 12.000
1 - 30  di 342