DIPINTI E SCULTURE DEL SECOLO XIX

26 NOVEMBRE 2019

DIPINTI E SCULTURE DEL SECOLO XIX

Asta, 0318

FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo


Ore 16.30
Esposizione

FIRENZE
Venerdì       22 novembre  10-18
Sabato        23 novembre  10-18
Domenica    24 novembre  10-18
Lunedì         25 novembre  10-18

Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it

 
 
 
Stima   400 € - 80000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 52
61

Pietro Paoletti

(Belluno 1801 - 1847)

IL TRIONFO DI ANFITRITE

1838

olio e tempera su tela, diam. cm 110

 

THE TRIUMPH OF ANFITRITE

1838

oil and tempera on panel, diam. 110 cm

 

Provenienza

Roma, palazzo Torlonia (demolito nel 1903), Sala di Telemaco

Collezione privata

 

Bibliografia

G. Dal Mas, Pietro Paoletti (1801-1847), Belluno 2001, pp. 123-124

G. Dal Mas, Ritrovata (e già identificata) un’opera perduta di Paoletti, in “L’Amico del Popolo. Giornale di informazione generale della provincia di Belluno”, 23 marzo 2002, n. 12

 

Cugino di Ippolito Caffi, allievo dell’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la prestigiosa guida di Giovanni De Min dal 1821, una volta trasferitosi a Roma Paoletti divenne una tra i più interessanti pittori classicisti attivi a Roma nella prima metà dell’Ottocento. Sulla scorta della lezione di De Min, di Francesco Hayez e Pelagio Palagi, Paoletti – come Francesco Podesti – seppe ammodernare il linguaggio neoclassico e accademico sulle istanze realiste che l’Europa iniziava a saggiare già negli anni trenta dell’Ottocento.

Insieme a De Min lavorò a Padova dal 1821 al 1824. Nel 1827 si trasferì a Roma, dove ricevette la committenza di una serie di affreschi per il palazzo Lucernari di via del Babuino progettato da Giuseppe Valadier (oggi Hotel de Russie) e l’incarico di affrescare la chiesa cattedrale di Rieti. A Rieti decora anche palazzo Ricci su commissione dell’erudito, letterato e storico dell’arte Amico Ricci.

 

Già artista di successo, attivo anche a Napoli e Montecassino, Paoletti salì a maggiore notorietà nel 1832, quando fu eletto papa con il nome di Gregorio XVI il concittadino bellunese Alberto Cappellari Della Colomba, che di Paoletti fu un grande protettore. Per volere del papa, nel settembre-ottobre del 1833 accompagna il cardinale Placido Zurla in un viaggio in Sicilia, cui poi eseguirà un reportage pittorico per il pontefice stesso.

Nel 1836 si impegna con il principe Torlonia per dipingere in due anni le decorazione ad olio e tempera su tela della Sala di Telemaco al piano nobile del palazzo Torlonia di piazza Venezia a Roma, poi abbattuto nel 1903 per fare spazio alla risistemazione urbanistica e viaria della piazza. Questa grande impresa decorativa fu ultimata tra il 1838 e il 1839 e comprendeva ben 25 dipinti di diverse dimensioni che decoravano le pareti e il soffitto di questo grande salone.

Come si nota chiaramente in una delle fotografie degli interni del palazzo scattate nel 1901-1902 prima che fosse distrutto, il dipinto di Paoletti qui presentato, l’unico dell’intera decorazione ad oggi superstite, era collocato sul soffitto della sala assieme ad altri dello stesso formato e di formato rettangolare.

Negli anni seguenti Paoletti continua a lavorare per i Torlonia. Nel 1842 si reca a Padova per affrescare una delle sale del celebre caffè Pedrocchi. Nel 1842 affresca il palazzo Thiene di Vicenza, nel 1844-1845 la chiesa di Santa Maria Formosa a Venezia (lavori distrutti da un bombardamento di guerra nel 1918).

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
100

Oscar Ghiglia

(Livorno 1876 - Firenze 1945)

IL RAMMENDO o ISA ALLA STUFA

olio su tela, cm 51x60,5

firmato e datato "921" in alto a destra

retro: etichetta della mostra La poesia agreste nell'Appennino Tosco Emiliano con titolo "Il rammendo"

 

DARNING or ISA NEAR THE STOVE

oil on canvas, 51x60.5 cm

signed and dated "921" upper right

on the reverse: label of the exhibition La poesia Agreste nell'Appennino Tosco Emiliano with the title "Il rammendo"

 

Provenienza

Collezione privata

 

Esposizioni

La poesia agreste nell'Appennino Tosco Emiliano, Palazzo Malaspina, San Donato in Poggio, 27 settembre - 29 novembre 2015

 

Bibliografia

M. Marabottini, V. Quercioli, Oscar Ghiglia. Maestro del Novecento italiano, Firenze 1996, pp. 181, 298 n. 119

 

L’impostazione del quadro ricorda moltissimo la Sedia rossa, dipinta da Ghiglia ben otto anni prima. Sempre la stessa sedia con Isa vista di spalle, intenta al lavoro e disposta sulla diagonale della tela. Sempre una fonte di calore, nell’una il caminetto con alzata di vetro con la frutta, nell’altro la stufa con sopra appoggiata la brocca verde. Questa Isa alla stufa, uno dei più significativa dipinti di Oscar Ghiglia dell’inizio del terzo decennio, è stata pubblicata erroneamente come dipinta nel 1929. La data apposta dal pittore sul quadro dopo la firma si legge chiaramente ed è il 1921. D’altronde non sarebbe stata possibile data diversa, poiché l’opera presenta tutti gli elementi sia coloristici che di tessuto pittorico di questi anni. A conferma di quanto asserito, in un album fotografico dell’Archivio Ghiglia, esiste una foto raffigurante questo dipinto scattata da Valentino nel 1922 che testimonia inequivocabilmente come a questa data il dipinto fosse già stato eseguito. (in: Oscar Ghiglia, Maestro del Novecento italiano, catalogo della mostra, Firenze 1996, pag. 298)

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
62

Gaetano Gigante

(Napoli 1770 - 1840)

BALLO DELLA ZEZA

olio su tela, cm 76x121

firmato in basso a destra

 

ZEZA DANCE

oil on canvas, 76x121 cm

signed lower right

 

La scena di carnevale, meglio identificabile col Ballo della Zeza, è una rara rappresentazione di una scena in costume popolare di un festeggiamento tipico del Carnevale della tradizione campana. L'usanza di festeggiare il carnevale col Ballo rimanda alla memoria delle più antiche commedie atellane (cfr. E. Bidera, Passeggiate per Napoli e contorni, Napoli 1844), esibizioni di strada con spettatori improvvisati da lazzari e gente del popolo. La scena è incentrata sui quattro personaggi in primo piano, vestiti in costume, tra i quali si riconosce la celebre maschera di Pulcinella (B. Croce, I teatri di Napoli, Napoli 1891). Nella Zeza i quattro personaggi hanno ruoli prestabiliti e ballano con passo ritmico cadenzato improvvisando una burla da offrire agli astanti. I protagonisti sono Pulcinella (padre), Zeza (la madre), che vorrebbe indurre a maritare la figlia Porzia e don Nicola, vestito da notaio che minaccia con un pistolone Pulcinella perché ostinato a non maritare la figlia. La recita andava svolgendosi tradizionalmente nelle quattro domeniche prima di carnevale, a partire dal 17 gennaio in poi (giorno dedicato a Sant'Antonio Abate) presentando caratteristiche differenti di ballo a seconda delle province dalle quali prendeva origine. Secondo gli approfondimenti di carattere antropologico avanzati da Roberto de Simone (A. Rossi - R. de Simone, Carnevale si chiama Vincenzo, Roma 1978), tale forma di commedia popolare presentava diverse varianti a seconda dei personaggi e dei costumi che risalivano alle tradizioni di provincia alle quali si lega il Carnevale nei secoli. La rappresentazione della Zeza si presenta come una scena fondata sul ballo dove l'esibizione teatrale improvvisata parte, tuttavia, dalle regole di un intreccio a forma di stella ed un ruolo attivo determinante è assegnato alla partecipazione improvvisata del popolo di strada. Gaetano Gigante è un artista di tradizione colta, non frequente sul mercato, attivo tra fine sec. XVIII e inizi sec. XIX, noto per le sue "bambocciate" di carattere popolare. L'opera più antica, a noi nota, firmata e datata, conservata alla Reggia di Caserta, è il Banchetto all'Albergo dei poveri alla presenza di Gioacchino Murat (1811), mentre la più celebre Festa popolare alla Madonna dell'Arco (Napoli, Museo di San Martino) risale al 1825. Altri dipinti più tardi, sempre con soggetti di feste di tradizione campana (Ritorno della Festa di San Paolino a Nola o Il ritorno dalla festa di San Gennaro a Pozzuoli), documentano la sua partecipazione alle esposizioni biennali borboniche nel 1833 e nel 1835. La pittura di Gaetano Gigante, padre del più celebre Giacinto, si contraddistingue per un linguaggio corsivo e semplice che traduce la tradizione delle scene di genere di fine Settecento, per intenderci alla Fedele Fischetti, in una versione popolare, attingendo al grande patrimonio antropologico delle feste campane, in una maniera realistica di notevole guizzo cromatico. Allievo di Giacinto Diano, Gigante senior risente della maniera tardo-settecentesca di Pietro Fabris e Alessandro d'Anna per la misura elegante della composizione scenica, non disgiunta da un'attenzione precipua alla tradizione scultorea presepiale di tradizione napoletana, di cui è ben nota la passione collezionista di famiglia (Sergio Ortolani, La pittura di paesaggio a Napoli e in Italia dal '600 all'800, a cura di Luisa Martorelli, Franco di Mauro ed., Napoli 2009). Il soggetto del Gigante, d’interesse così particolare, non ha precedenti. L’unica rappresentazione scenica della Zeza, nota a tutt’oggi, si riscontra in una versione, tuttavia molto diversa dalla nostra, di un piatto di maiolica napoletana di derivazione da una stampa del Seicento di Abraham Bosse (cfr. Guido Donatone, Maiolica napoletana del seicento, Napoli 1984, tav. 9). Sul retro del dipinto è visibile un’’etichetta con la scritta “M. De Baunly”, probabilmente il barone francese omonimo, primo tesoriere dell’’esercito napoleonico.

 Luisa Martorelli

Stima   € 35.000 / 50.000
86

Francesco Gioli

(San Frediano a Settimo 1846 - Firenze 1922)                                                   

IL RITORNO DELLE MAMME

olio su tela, cm 66x137

firmato in basso a destra

retro: cartiglio dell'Esposizione dell'Associazione degli Artisti Italiani di Firenze, cartiglio dell'Esposizione dell'Associazione degli Artisti Italiani di San Remo n. 102, cartiglio dell'XI Esposizione Internazionale d'Arte di venezia del 1914 n. 1301, cartiglio della Mostra di Francesco e Luigi Gioli del 1949 con il titolo "Il ritorno delle mamme", cartiglio della mostra La poesia agreste nell'Appennino Tosco Emiliano del 2015 con il titolo "Il ritorno delle mamme"

 

THE RETURN OF THE MOTHERS

oil on canvas, 66x137 cm

signed lower right

on the reverse: label of the exhibition of the Associazione degli Artisti Italiani in Florence, label of the exhibition of the Associazione degli Artisti Italiani in San Remo n. 102, label of the XI Esposizione Internazionale d'Arte of Venice 1914 n. 1301, label of the exhibition of Francesco and Luigi Gioli 1949 with the title "Il ritorno delle mamme", label of the exhibition La poesia Agreste nell'Appennino Tosco Emiliano 2015 with the title "Il ritorno delle mamme"

 

Esposizioni

Esposizione dell'Associazione degli Artisti Italiani, Firenze, 1877

XI Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia, 1914

Mostra di Francesco e Luigi Gioli, Chiostro Nuovo, Firenze, 1949

La poesia agreste nell'Appennino Tosco Emiliano, Palazzo Malaspina, San Donato in Poggio, 27 settembre - 30 novembre 2015

 

Bibliogfrafia

F. Cagianelli, Francesco Gioli. Il sentimento del vero, Pisa 2002, p. 27

 

Se d’altra parte la riflessione sui capisaldi della ritrattistica internazionale si pone come una delle massime acquisizioni di questo primo soggiorno parigino, sarà ,come vedremo, in occasione del viaggio del 1878 che si chiariranno ulteriormente le tangenze di Gioli con le tendenze più attuali dei Salons parigini, basti pensare alla vicenda di Passa il viatico e alla nota redazione di Degas al cospetto di quest’ultima. Nel frattempo l’artista approfondisce, sulla scia di episodi veristi quali Un incontro, Il Guado, il filone delle tematiche agresti in Ritorno delle mamme (1877), presentato all’Esposizione dell’Incoraggiamento delle Belle Arti in Firenze e premiato “con menzione notevole”, insieme con Una fiera sull’Appennino di Stefano Bruzzi.

Giunge infatti ad animare  quest’opera  un soffio  di maggiore naturalezza, come rileva Bernardo Marrai, sulle pagine di Rivista Europea: “ Nel Ritorno delle mamme, del Gioli, che ci fa sovvenire di quel verso di Marziale Matremque plenam mollis agnus expectat, è pure colpito giusto il carattere, e reso molto bene l’effetto di luce nel fondo del quadro. Dalla tinta calda del cielo è evidente il far della sera; e quel campire sull’aria del gregge e dei pastori che lo guidano alla stalla, è bellissimo. E’ anche questa una scena veduta e studiata sul vero. Negli agnellini che escono dall’ovile dischiuso, belando e saltellando in cerca delle loro mamme, è una grande naturalezza. Sono proprio quelli i loro atti spontanei; e così fanno nel sottomettersi, raggiunte e riconosciute che le hanno, alle loro poppe, dimenando la coda”. (in: F.Cagianelli, Francesco Gioli, il sentimento del vero, Pisa 2001, pagg. 20-21)

Stima   € 5.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
1 - 30  di 52