DIPINTI ANTICHI

26 NOVEMBRE 2019

DIPINTI ANTICHI

Asta, 0317
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo Degli Albizi, 26
ore 15.30
Esposizione
FIRENZE
Venerdì       22 novembre  10-18
Sabato        23 novembre  10-18
Domenica    24 novembre  10-18
Lunedì         25 novembre  10-18

Palazzo Ramirez-Montalvo
Borgo degli Albizi, 26
info@pandolfini.it
 
 
 
Stima   2000 € - 150000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 46
8

Vincenzo Civerchio

(Crema 1460/70  - 1544)
SAN GIOVANNI EVANGELISTA
SAN PAOLO
SAN PIETRO
tre dipinti a tempera ed oro su tavola, cm 20,5x18,4; cm 20,5x18,4; cm 20,9x19,1 (rispettivamente)
(3)

SAINT JOHN THE EVANGELIST
SAINT PAUL
SAINT PETER
three paintings, tempera and gold on panel, cm 20,5x18,4; cm 20,5x18,4; cm 20,9x19,1(respectively)
(3)

Provenienza
Christie’s, New York, 12 giugno 1981, n. 124 e 126; Sir John Pope-Hennessy, Londra; Christie’s, New York, 10 gennaio 1996, n. 91 (San Pietro); Sotheby’s, New York, 16 maggio 1996, n. 5 e 7 (San Giovanni e San Paolo).

Comparse in asta per la prima volta nel 1981 come opere di Carlo Crivelli, le tavolette qui presentate, insieme ad altre della stessa serie (un San Tommaso venduto da Sotheby’s a New York il 16 maggio 1996, lotto 6, e i Santi Andrea e Giuda Taddeo, presso Richard Feigen a New York) sono state restituite a Vincenzo Civerchio a partire dall’attribuzione avanzata da Keith Christiansen per il San Pietro già nella collezione di Sir John Pope-Hennessy, il grande studioso della scultura del Rinascimento la cui raccolta fu oggetto di diverse aste organizzate da Christie’s.

Si ritiene che tutte le tavole facessero parte di una più ampia serie di dodici, e che affiancate costituissero la predella di una pala non identificata, in un insieme confrontabile all’altare portatile con l’Annunciazione e i Santi Benedetto e Scolastica conservato a Bergamo, Accademia Carrara (per cui si veda M. Marubbi, Vincenzo Civerchio. Contributi alla cultura figurativa cremasca nel primo Cinquecento, 1986, pp. 80-81, ill.) del 1490 circa.

Si tratterebbe dunque di un vero e proprio incunabolo nella produzione dell’artista lombardo, documentato per la prima volta a Brescia nel 1491, un anno dopo aver firmato la pala nella parrocchiale di Travagliato, con una Andata al Calvario sormontata dalla Deposizione. A Brescia l’artista rimarrà fino ai primi anni del Cinquecento aggiudicandosi importanti commissioni per le principali chiese della città e riscuotendone immediato successo. Si stabilì a Crema nel 1507, continuando però la sua attività in area bresciana.

Nel corso della sua lunga carriera a cavallo di due secoli Vincenzo Civerchio passa dai riferimenti prettamente milanesi di Butinone e  Zenale, il cui interesse per la prospettiva è evidente anche nelle finte incorniciature delle nostre figure di Apostoli, all’aggiornamento su modelli leonardeschi e, come è naturale, su quelli dei colleghi cremonesi e bresciani, dal più antico Francesco Ferramola ai più eccentrici Altobello a Romanino.

Stima   € 30.000 / 40.000
Aggiudicazione  Registrazione
24

Scuola romana, sec. XVII

SUSANNA E I VECCHIONI

olio su tela, cm 175x122

 

Roman school, 17th century

SUSANNA AND THE ELDERS

oil on canvas, cm 175x122

 

Verosimilmente eseguito a Roma nella prima metà del Seicento, il dipinto qui offerto ripete con numerose e significative varianti la Susanna di Artemisia Gentileschi ora a Burghley House nella collezione del conte di Exeter, pubblicata per la prima volta da Mina Gregori in un breve saggio che costituisce uno dei più precoci ed articolati recuperi dell’artista nel suo periodo fiorentino e romano. (M. Gregori, Su due quadri caravaggeschi a Burghley House, in “Festschrift Ulrich Middeldorf”. A cura di Antje Kosegarten e Peter Tigler, Berlino 1968, I, pp. 414-421, in particolare pp. 415 e 418, fig. 2).
A seguito di un recente restauro l’intuizione della studiosa che riferiva il dipinto ad un momento successivo al soggiorno fiorentino è stata confermata dalla data del 1622 riapparsa accanto alla firma dell’artista. Più recentemente è stata avanzata la proposta di riconoscere il dipinto nella
Susanna di Artemisia ricordata nell’inventario del cardinale Ludovisi del 1623, e quindi di riferire a quest’ultimo la committenza dell’opera (Judith Mann, Ritorno a Roma; Artemisia allarga gli orizzonti 1620 – 1627, in Artemisia Gentileschi e il suo tempo. Catalogo della mostra. Milano 2016, pp. 35-38).
Come è noto, la
Susanna inglese è la seconda redazione del tema biblico proposta da Artemisia, questa volta autonoma anche nell’invenzione oltre che nella stesura: la più antica versione di Pommersfelden datata del 1610 si deve infatti in larga parte all’intervento di suo padre Orazio.
Variata nell’intenzione, e più aderente al senso del testo biblico, la nuova versione sottolineava il dolore della donna e la sua fede nell’intervento divino. Il suo successo nell’ambiente romano, e verosimilmente nella cerchia dei Ludovisi, è oggi documentato dal dipinto qui offerto che, come si è detto, presenta numerose varianti rispetto alla tela inglese: innanzi tutto nel volto della protagonista e nell’acconciatura ornata di perle, come nella maggiore elaborazione delle pieghe della sua camicia.

 

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
28

Scuola lombarda, sec. XVI

RITRATTO DI GIURISTA

olio su tela, cm 97x76

iscritto a destra “A.o 1569/AETATIS . SUAE. 63”

 

Lombard school, 16th century

PORTRAIT OF A JURIST

oil on canvas, cm 97x76

inscribed “A.o 1569/AETATIS . SUAE. 63” upper right

 

Il personaggio qui raffigurato, la cui identità potrebbe essere precisata da studi araldici che ne individuassero il blasone raffigurato in alto a destra, si caratterizza per la sua professione grazie al volume aperto sul tavolo e che la scritta sul taglio delle pagine identifica come il Tractatus de Maleficiis di Angelo Gambiglioni (Arezzo, fine XIV sec. – Bologna, 1461). Pubblicato nel 1438 a Bologna, dove l’autore insegnò tra il 1431 e il 1445 circa, il Tractatus divenne la più popolare e diffusa trattazione di diritto e procedura penale del suo tempo. Destinato alla teoria e alla pratica della professione giuridica, godette infatti nel Cinquecento di numerose edizioni, oltre a diciotto versioni manoscritte e numerosi incunaboli.

Tra i volumi presenti sulla mensola a sinistra si riconosce altresì un’opera di “Paris De Puteo”, ovvero il giurista napoletano Paride Del Pozzo (1411-1493), allievo del Gambiglioni presso lo Studio bolognese e poi consigliere di Ferrante d’Aragona e Giudice della Vicaria dal 1473. Tra le sue numerose opere, il De Syndicatu, composto fra il 1473 e il 1485 fu molto diffuso anche in Lombardia, con due edizioni a Pavia nel 1493 e nel 1495 seguite da numerose ristampe cinquecentesche. È quindi probabile che sia proprio questo il volume raffigurato nel nostro dipinto.

In verticale, accanto a un volumetto intitolato Officium si riconosce infine un’opera di Giulio Claro (Alessandria 1525-1575), forse la Practica Civilis atque Criminalis, che raccoglieva le principali fattispecie criminali e civili.

Riconducibile all’area lombarda per l’intenso realismo che caratterizza il suo protagonista, il ritratto presenta punti di contatto con opere della scuola bergamasca. A questo proposito, Giuliano Briganti aveva suggerito oralmente il confronto con il ritratto del musicista Gasparo de Albertis, eseguito nel 1547 da Giuseppe De Belli (Bergamo 1520 – 1580) conservato all’Accademia Carrara (cfr. I Pittori Bergamaschi. Il Cinquecento, II, Bergamo 1976, pp. 101-107). Rispetto a quest’ultimo, strettamente lottesco nella presentazione frontale del soggetto, il nostro dipinto si mostra più attento ai modelli bolognesi di Bartolomeo Passerotti.

 

Stima   € 10.000 / 15.000
33

Scuola fiorentina, sec. XVI, da Andrea del Sarto
MADONNA CON BAMBINO E SAN GIOVANNINO E TRE ANGELI ("MADONNA CORSINI")
olio su tela, cm 117x96,5

Florentine school, 16th century, after Andrea del Sarto
MADONNA WITH CHILD AND SAINT JOHN THE BAPTIST AND THREE ANGELS ("MADONNA CORSINI")
oil on canvas, cm 117x96,5

Il dipinto ripete una composizione perduta di Andrea del Sarto, descritta da Vasari che la dice eseguita per Alessandro Corsini. Sebbene l’originale, verosimilmente su tavola, non sia stato rintracciato, la composizione è nota grazie a una copia antica nella cappella Corsini in San Gaggio, appena fuori Firenze, dove era monaca una sorella del committente.
Come ricostruito da John Shearman (
Andrea del Sarto, Oxford 1965, II, pp. 217-219, n. 32; I, fig. 35a) la copia che la sostituì nella collezione Corsini a Firenze e che ancora vi si trovava nel Settecento deve probabilmente identificarsi con la versione oggi nel museo di Toronto; quella presumibilmente più fedele all’originale sarebbe, secondo lo studioso, la versione da lui catalogata a Petworth House, dalla collezione del Duca di Buckingham. Varianti tra le diverse repliche vanno comunque confrontate con l’incisione di Jerome David che riproduce l’invenzione originale, completa della firma di Andrea in un cartiglio in basso a destra.
Particolare anche nell’iconografia, che recupera e aggiorna quella trecentesca della Madonna dell’Umiltà, la Madonna Corsini fu senza dubbio uno dei capolavori della prima maturità di Andrea del Sarto, godendo di particolare fortuna presso i collezionisti fiorentini.

 

Stima   € 20.000 / 30.000
Aggiudicazione  Registrazione
19

Scuola di Agnolo di Cosimo, detto "il Bronzino"

MADONNA  ANNUNCIATA

olio su tela, cm 70x54

iscritto al retro “del salviati […] 25”

 

School of Agnolo di Cosimo, known as "il Bronzino"

MADONNA

oil on canvas, cm 70x54

inscribed on the back "del salviati [...] 25"

 

Referenze fotografiche

Fototeca Federico Zeri, scheda 36743

 

Attribuito a Francesco Salviati nella raccolta di provenienza in virtù di una vecchia scritta di collezione al retro, il dipinto qui offerto, inedito e non replicato, è invece riconducibile con tutta evidenza alla bottega del Bronzino, come già indicato da Federico Zeri in una nota al verso della fotografia da lui archiviata negli anni Settanta del Novecento, e come ora conferma oralmente Carlo Falciani, che vivamente ringraziamo.

Sebbene il nostro dipinto non dipenda in maniera specifica da un modello conosciuto del maestro fiorentino né da un suo disegno attualmente noto, sono infatti del tutto evidenti i confronti con opere della sua maturità al servizio della corte medicea.

Da ricordare, in primo luogo, la Madonna annunciata eseguita fra il 1563 e il 1564 per la cappella di Eleonora di Toledo a Palazzo Vecchio, in sostituzione dell’immagine di San Cosma che in origine aveva affiancato la più antica versione della Pietà sull’altare della cappella. La posa eretta della nostra figura e lo sguardo volto alla propria destra differenziano tuttavia la nostra Annunciata da quel modello, ove la Vergine abbassa pudicamente lo sguardo e trattiene con la mano il manto azzurro.

La stessa ideale figura femminile, in qualche modo esemplata sull’algida bellezza di Eleonora, ritorna nelle pie donne del Noli me tangere al museo del Louvre, eseguito nel 1561 per la cappella Cavalcanti in Santa Croce.

Anni in cui Bronzino si valeva dell’aiuto di Alessandro Allori, ormai venticinquenne e futuro erede della sua bottega: e proprio a un intervento del Bronzino minore potrebbe far pensare la cura con cui è descritto il raffinato merletto che orla la camicia della giovane donna.

 

Stima   € 80.000 / 120.000
Aggiudicazione  Registrazione
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
26

Scuola dell'Italia centrale, sec. XV

CROCIFISSO

tempera e oro su tavola, cm 197x146

 

Central Italian school, 15th century

CRUCIFIX

tempera and gold on panel, cm 197x146

 

La croce dipinta rappresenta Gesù nella arcaica iconografia del Cristus Triumphans, con gli occhi aperti e il busto eretto, non ancora gravato dal patimento e dal dolore. In alto l’Eterno benedicente mostra il libro delle sacre scritture mentre nella grande parte centrale si vedono le figure dei due dolenti in piedi.

Il modello è da riconoscere nel Cristo di San Damiano, oggi nella basilica di Santa Chiara ad Assisi, l'icona a forma di croce dinnanzi a cui Francesco d'Assisi, mercante ventiquattrenne in cerca di identità, nella chiesetta diroccata di San Damiano, nel 1206, avrebbe deciso di dare una svolta radicale alla sua vita, rispondendo all’invito del Signore di riparare la sua casa.

Venerato come una reliquia, divenne ben presto immagine esemplare per committenti devoti e artisti, grazie anche all’interpretazione che ne fece Giotto nella parete destra della basilica assisiate, nella scena del Crocifisso che parla a Francesco in San Damiano (fig. 1).

Ciò giustifica la diffusione in Umbria e nelle Marche di tavole sagomate col Cristo vivo in momenti in cui l’iconografia più diffusa era quella del patiens e successivamente del Gesù morto (M. Bollati, Francesco e la croce di S. Damiano, Milano 2016; Francesco e la croce dipinta, catalogo della mostra a cura di M. Pierini, Perugia 2016).

I colori squillanti, stesi in maniera compatta e la resa degli incarnati attraverso pennellate a tratteggio sovrapposte a seguire l’andamento delle forme, semplificate ma delineate con una certa attenzione per l’anatomia, consentono di collocare l’esecuzione dell’opera in un momento già avanzato, tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento.

Stima   € 40.000 / 60.000
22

Pierre Denis Martin

(Parigi 1663 o 1673 - 1742)

SCONTRO DI CAVALIERI

coppia di dipinti, olio su tela, cm 60x83

(2)

 

BATTLE SCENES
oil on canvas, cm 60x83, a pair

(2)

 

Provenienza

Torino, galleria Caretto

 

Documentato per la prima volta nel 1694 come aiuto del suo parente e omonimo Jean-Baptiste Martin, (Martin “il Vecchio”, 1659 – 1735) pittore di battaglie alla corte di Luigi XIV, Pierre-Denis Martin (“il Giovane”) collaborò innanzi tutto alla serie delle Conquêtes du Roi, ovvero le battaglie vittoriose di Francia raffigurate in formato monumentale per il castello di Marly, commissionate in origine a Adam Frans van der Meulen e completate dopo la sua morte dalla bottega Martin.

L’impresa valse al giovane Pierre-Denis Martin la nomina a “peintre du Roi” nel 1699, che segna l’avvio di una prestigiosa carriera al servizio della corte e dell’aristocrazia parigina. Pittore di battaglie spesso commemorative di un evento specifico e quindi estremamente curate nella topografia, Pierre-Denis Martin fu attivo per un’altra commissione reale, una serie di tele di grande formato raffiguranti la reggia di Versailles e il suo parco, teatro della corte del Re Sole.

All’attività per la corte, culminata con la serie dei castelli reali per Luigi XV, Pierre-Denis Martin affiancò un’importante produzione destinata all’aristocrazia francese, raffigurandone i castelli e le proprietà feudali (per cui si ricorda la Veduta del Castello di Juvicy recentemente acquistata dal Victoria and Albert Museum). Fu inoltre richiesto da diversi sovrani europei, tra cui i re di Polonia e di Svezia, di cui raffigurò le imprese militari. A quest’ultimo aspetto della sua attività si legano i dipinti qui offerti, da confrontare in maniera specifica con la Battaglia firmata per esteso in asta da Dorotheum nell’ottobre 2017.

 

Stima   € 40.000 / 60.000
L'opera è corredata di certificato di libera circolazione
12

Pier Dandini

(Firenze 1646 – 1712)

VENERE SCOPRE IL CORPO SENZA VITA DI ADONE

olio su tela, cm 172x211,5

 

VENUS FINDS THE  BODY OF ADONIS

oil on canvas, cm 172x211,5

 

Bibliografia di riferimento

S. Bellesi, Pier Dandini e la sua scuola, Firenze 2014.

 

La scenografica composizione mitologica è stata riconosciuta quale autografa di Pier Dandini da Sandro Bellesi in una comunicazione scritta alla proprietà.

La scena, che si svolge quasi tutta sul primissimo piano, raffigura il concitato arrivo su un carro dorato trainato da una coppia di cigni bianchi, in compagnia di un corteo di putti, di Venere nel bosco, dove è stato appena ucciso Adone: Marte fautore, per gelosia, della morte del giovane sembra rincorrere la dea per spiegare le motivazioni del suo gesto.

Appartenente a una famiglia di pittori, Pier Dandini iniziò a dipingere presso la scuola dello zio Vincenzo e dopo alcuni viaggi di formazione a Venezia e Roma divenne verso la metà degli anni settanta del Seicento uno dei protagonisti della pittura fiorentina contemporanea, ottenendo numerose commissioni destinate sia a quadrerie private che ad arricchire l’arredo ecclesiastico di importanti chiese.

Secondo Sandro Bellesi il dipinto offerto è contraddistinto solo in parte dai caratteri tipologici più tipici dell’artista in quanto vi si rilevano, insieme alle componenti toscane, anche chiari riferimenti figurativi e stilistici alla pittura lagunare e in particolare a Pietro Negri, Pietro della Vecchia e Antonio Zanchi. Tali richiami veneziani permettono pertanto di collocare l’esecuzione della tela nel periodo giovanile di Dandini, poco dopo il 1670, anno del suo rientro in Toscana dopo un lungo soggiorno lagunare. Probanti i confronti con la pala d’altare nel duomo di Siena raffigurante lo Sposalizio mistico di Santa Caterina da Siena e con la Santa Maria Maddalena de’ Pazzi che riceve il velo della Purezza dalla Vergine e da Gesù Bambino nella chiesa di San Bartolomeo a Prato: nella nostra tela si riscontra la medesima tipologia dei putti decisamente insoliti nella loro vena descrittiva rispetto a quelli presenti nelle prove più tarde, caratterizzati da volti maggiormente stereotipati.

 

 

Stima   € 20.000 / 30.000
16

Lippo d'Andrea (Pseudo Ambrogio di Baldese)

(Firenze, 1377 – ante 1457)

MADONNA COL BAMBINO

tempera e oro su tavola, cm 47x37,5

 

MADONNA WITH CHILD

tempera and gold on panel, cm 47x37,5

 

Bibliografia di riferimento

L. Pisani, Pittura tardogotica a Firenze negli anni trenta del Quattrocento: il caso dello ‘Pseudo Ambrogio di Baldese’, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, XLV, 2001, pp.1-36; S. Chiodo, Lippo d’Andrea: problemi di iconografia e stile, in “Arte cristiana”, 90, 2002, pp. 1-16.

 

Noto alla storiografia artistica come Pseudo Ambrogio di Baldese, l’autore di questa dolcissima immagine della Madonna col Bambino è stato identificato con Lippo d’Andrea, citato da Giorgio Vasari nella vita di Lorenzo Monaco e documentato a Prato quando partecipa nel 1411 alla decorazione della facciata del Palazzo del Ceppo di Francesco Datini insieme a Niccolò di Pietro Gerini, Ambrogio di Baldese, e Alvaro di Pietro, mentre nel 1424 è registrato un suo intervento nell’ospedale di Santa Maria  Nuova di Firenze. Nello stesso 1424 è citato insieme a Masolino e dodici anni dopo con Bicci di Lorenzo, Rossello di Jacopo e Giovanni di Marco, in riferimento agli affreschi dell’abside del duomo di Firenze.

Molti sono i confronti con altre sue opere conservate in importanti istituzioni museali che, per le formule attardate impiegate, testimoniano la fortuna del tardogotico ancora nella Firenze del Quattrocento.

Si ricordano la Madonna col Bambino del Museo di Worcester, assai vicina nella posa e nell’espressione della Vergine e nelle pieghe del velo che scende sul manto aperto per mostrare la sontuosa veste damascata, e la Madonna dell’Umiltà, della collezione del Museo Bardini di Firenze, già collezioni Corsi (cfr. F. Zeri, A. Bacchi (a cura di),_^ý[ýýL Wýý[]ý[ýýýýýýÈýý]ýH[Hý[ýXHýýHý[]ý[ýýý[ý_^ý[ýýL ýýýNNLKýý ýýÈý[ýýKýýýHHýýHJKõýýýsC•ýýG&6ýý6ýýýWýýýýR6ý'6ýýFýýýFýýF–ýFýýýbýýb6V6ýýýõýýýsCýýG&6ýýýýýý1qýýýýýýý4ýý$ýýAýeýýýUýýqýýTýqeýýýýýuýýTýýýýýýýýEýdýýýýýýýýUDýýUUýEýdýýýýýeýýýýýýýýýýýýDýEýýýýýýýýýDýýýýýýýýDýýýýýýýUeýýýýEDýýqýýýqdýqDýqHýqýýýqiqýýýý4)ýqýqýýýqdýqDýqHýqýýýqiqýýýý4)ýqýqýýýqdýqDýqHýqýýýqiqýýýý4)ýqýqýýýqdýqDýqHýqýýýqqqýýýý4)ý4

Stima   € 30.000 / 50.000
15

Joos de Momper

(Anversa 1564 – 1635)

PAESAGGIO MONTANO CON CASTELLO E VIANDANTI

olio su tavola, cm 36,5x84,5

 

A MOUNTAIN LANDSCAPE WITH CASTLE AND WAYFARERS

oil on panel, cm 36,5x84,5

 

Il suggestivo scorcio di paesaggio che qui proponiamo è caratterizzato dai tipici elementi stilistici e scenici del pittore fiammingo Joos de Momper. Larga parte della sua produzione artistica è contraddistinta da paesaggi fantastici, ispirati per lo più alle montagne alpine connotate da alture ripide e scoscese, rappresentate da un prominente punto di osservazione su cui si staglia l'intera vallata sempre contornata da un'alternanza omogenea di colori, dal marrone in primo piano, al verde fino al blu utilizzato per lo sfondo.

Il nostro dipinto, che rappresenta un'ampia insenatura tra due imponenti montagne rocciose su una delle quali si erge un castello e poco più a valle una chiesa con campanile, trova ampi riscontri stilistici e compositivi con il Paesaggio montano con castello eseguito tra il 1600 e il 1610 insieme a Jan Brueghel il vecchio, oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna e con il Paesaggio montano in una valle con fiume realizzato sempre da De Momper e Jan Brueghel nello stesso periodo, con la medesima collocazione.

L'artista fu principalmente ispirato dalle composizioni artistiche di Pieter Brueghel (1525/35), Jan Brueghel il vecchio (1568-1625) e nell'ultimo periodo da Paul Brill (1554-1626) , formandosi come pittore nella bottega del padre Bartholomaus de Momper; molte delle sue opere hanno visto la collaborazione di vari artisti fiamminghi suoi contemporanei, principalmente per l'esecuzione dei personaggi e degli animali in secondo piano che sono spesso presenti nei suoi lavori, come Frans Francken il giovane (1581-1642), Pieter Snayers (1592-1666/67), Peter Brueghel il vecchio e Jan Brueghel il giovane (1601-1678).

 

 

 

 

Stima   € 12.000 / 18.000
Aggiudicazione  Registrazione
40

Jan Roos

(Anversa 1591 – Genova 1638)

ALLEGORIA DELLA CITTÀ DI GENOVA

olio su tela, cm 166x231

 

ALLEGORY OF THE CITY OF GENOA

oil in canvas, cm 166x231

 

Provenienza

Genova, Francesco Imperiale (inventario 1658); Firenze, collezione privata; Genova, collezione privata.

 

Bibliografia

A. Orlando, Il ruolo di Jan Roos. Un fiammingo nella Genova di primo Seicento, in “Nuovi Studi”, 2, 1996, pp. 35-57, fig. 56.

Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600-1640, catalogo della mostra a cura di Anna Orlando, Genova 2018, p. 131, fig. 8.

 

La grande tela allegorica è stata convincentemente identificata con il “Munimenta libertatis di Giovanni Rosa” presente nell’elenco dei beni del patrizio genovese Francesco Imperiale datato 1658 (Orlando 1996, p. 48, nota 27) e posta in relazione all’invasione della Repubblica di Genova da parte delle truppe franco-piemontesi nel marzo del 1625, conclusa con una tregua nel 1626 e con la firma del trattato di pace nel 1634. La figura femminile che con la torcia nella sua mano destra si accinge a bruciare l’armatura giacente ai suoi piedi mentre offre in dono alla statua di Giano bifronte, mitico fondatore della città di Genova, un ramo di ulivo, altro non è che la personificazione della Pace, dipinta da Roos, insieme a un’allegra danza di putti che innalzano frutti, fiori e argenti, come augurio di una nuova fertile stagione per la Repubblica genovese, una volta allontanata la guerra con i Savoia, evidentemente su suggerimento del committente, a oggi non ancora identificato.

Assai vicina alla tela offerta è il grande Sileno ebbro noto in due versioni, una dei Musei di Strada Nuova di Genova e una in collezione privata (cfr. A. Orlando, I fiamminghi e la nascita della natura morta a Genova, in Pittura fiamminga in Liguria. Secoli XIV – XVII, a cura di P. Boccardo e C. Di Fabio, Cinisello Balsamo 1997, p. 278, fig. 120), composizione fatta risalire al terzo decennio quando preferenziale è il rapporto del Roos con Anton Van Dyck – a Genova tra il 1621 e il 1627 - accanto al quale la sua mano è stata più volte riconosciuta per l’esecuzione di stupendi brani di natura morta.

La frequenza del suo nome negli inventari antichi testimonia la sua assidua frequentazione con la committenza e la collaborazione anche con altri importanti artisti genovesi quali Giovanni Benedetto Castiglione.

La recente mostra dedicata all’attività genovese di Van Dyck e di altri importanti pittori fiamminghi nella prima metà del Seicento (Van Dyck e i suoi amici. Fiamminghi a Genova 1600-1640, Genova, Palazzo della Meridiana, 9 febbraio – 10 giugno 2018, a cura di Anna Orlando) ha reso finalmente noto al grande pubblico l’abilità di Jan Roos nel dipingere “naturalissimi i frutti, e con tenerezza i fiori” come afferma lo storiografo seicentesco Raffaele Soprani e come la nostra tela conferma.

Stima   € 30.000 / 50.000
Aggiudicazione  Registrazione
38

Icilio Federico Joni

(Siena, 1866 – 1946)

GESÙ BAMBINO

olio su tavola in cornice cuspidata, cm 23,5x15,5

 

JESUS CHILD

oil on panel in a cuspidated frame, cm 23,5x15,5

 

La tavola frammentaria mostra il piccolo Gesù posto frontalmente, intento alla lettura del libro aperto retto dalla mano destra, evidentemente un rimando al Vangelo e al destino che egli sembra presagire, col suo sguardo triste e meditabondo. Il manto azzurro della Vergine, con un residuo di stella dorata, è visibile sul retro. Lungo il profilo inferiore è rimasto il dito indice della mano della Madonna che cingeva il corpo del pargolo, mentre sul lato destro si notano tracce di una leggera e trasparente fusciacca. Del retrostante schienale lapideo, forse pietra serena, restano le modanature della parte superiore oltre la quale, entro il nimbo punteggiato d'oro, s'intravede il verde di una verzura inframezzata da una margherita. Al di là dello stato residuale che rimanda a vicissitudini e maltrattamenti subiti dalla tavola originaria, di cui è dato intuire per cenni, sorprende come la superficie pittorica del frammento si presenti in sostanziale buono stato di conservazione. Il dipinto è ispirato, con piena evidenza allo stile di Domenico Ghirlandaio ed è certo modulato sulla celebre pala proveniente da San Marco già all'Accademia, conservata dal 1919 alla Galleria degli Uffizi, raffigurante la Madonna in trono con i Santi Dionisio Areopagita, Domenico, Clemente e Tommaso d'Aquino. Da qui sono derivati la testa e il torso del Bambino, anche se opportunamente variati, oltreché alterati, in specie alcuni tratti del volto, sulla base della Madonna col Bambino e san Girolamo di Fiorenzo di Lorenzo (1440 circa-1525) oggi al Museum of Fine Arts di Boston (inv. 20.431) proveniente dalla collezione Bachetoni di San Gemini, presente sul mercato italiano nel secondo decennio del XX secolo, prima dell'acquisto da parte degli antiquari Duveen nel 1917, di sicuro nota a Joni almeno attraverso riproduzioni fotografiche. I medesimi riferimenti stilistici sono presenti in un'altra opera di Joni – che ha subito un simile destino di riduzione a frammento –, già attribuita a Davide o Domenico Ghirlandaio, pervenuta in forma di tondo raffigurante la Madonna con il Bambino, al Trinity College di Hartford, in Connecticut (ex collezione Kress, K1147: acquistata nel 1938 da Alessandro Contini Bonacossi: cfr. F. R. Shapley, Paintings from the Samuel H. Kress Collection. Italian Schools XII-XV Century, London, Phaidon, 1966, pp. 126-127, fig. 341). Di questo dipinto esiste una foto, peraltro autografata da Icilio Federico Joni e proveniente dal suo archivio (vi si legge: «Ghirlandaio / F. Joni»), in cui il medesimo dipinto appare nella sua integrità all'uscita dallo studio del noto "pittore di quadri antichi" senese. Grazie a questa riproduzione fotografica possiamo apprezzare la composizione originaria della pittura, realizzata presumibilmente intorno al 1915-20, raffigurante la Madonna in trono con il Bambino, san Giovannino, su sfondo di paesaggio (cfr. G. Mazzoni, Quadri antichi del Novecento, Vicenza, Neri Pozza, 2001, pp. 64-65, 401, figg. 137-138). Va da sé che la testa del Gesù Bambino con Libro qui presentata ha caratteristiche morfologiche così affini alla testa del Gesù Bambino oggi ad Hartford, da crederle realizzate entrambe a breve distanza di tempo e sulla base di un medesimo cartone.

Con apprezzabile capacità di interpretazione critica e intuizione filologica il pittore attinge coerentemente a opere degli anni Ottanta del quindicesimo secolo innestando sulla matrice ghirlandaiesca stilemi di origine verrocchiesca – e non soltanto – ricavati dalla pittura di Fiorenzo di Lorenzo: la pelle grassoccia quasi traboccante di pieghe sotto al mento, la fronte alta, le sopracciglia lievi e nette, le labbra turgide e ben disegnate, il mento stondato, le gote scaldate da rossori leggeri e le penombre alonate di luce (parafraso E. Zappasodi, in Verrocchio il maestro di Leonardo, catalogo della mostra, a cura di F. Caglioti e A. De Marchi, Venezia, Marsilio, 2019, p. 182).

Gianni Mazzoni

 

Stima   € 6.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
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