ARCADE | Dipinti dal secolo XVI al XX

2 OTTOBRE 2019

ARCADE | Dipinti dal secolo XVI al XX

Asta, 0311
FIRENZE
Palazzo Ramirez-Montalvo


ore 10.30
lotti 1-120

ore 15.00
lotti 121-223

ore 17.00
lotti 231-310
Esposizione
FIRENZE
Venerdì     27 settembre               10-18
Sabato      28 settembre               10-18
Domenica  29 settembre               10-18
Lunedi       30 settembre               10-18


 
 
 
Stima   200 € - 30000 €

Tutte le categorie

1 - 30  di 301
191

Scuola fiorentina, fine sec. XV                                           

NATIVITÀ                                                                  

tempera su tavola, cm 65x46, altezza totale cm 130                        

                                                                          

Florentine school, late 15th century                                      

THE NATIVITY                                                              

tempera on panel, cm 65x46, total height cm 130                           

                                                                          

La composizione qui presentata, racchiusa entro un tabernacolo ligneo, è un tipico esempio della pregiata produzione delle botteghe fiorentine quattro e cinquecentesche, come quelle di Botticelli, Jacopo del Sellaio, Domenico di Zanobi e Cosimo Rosselli. Tali scene sacre, destinate soprattutto alla devozione privata all'interno di cappelle di importanti dimore, sono     contraddistinte, e così nel nostro caso, per lo schema prospettico diligentemente eseguito, uno spiccato gusto decorativo e una notevole attenzione per il dettaglio. La centina alla sommità della tavola racchiude la patetica iconografia del Vir dolorum tra due angeli in volo.                                       

 

Stima   € 30.000 / 50.000
192

Bartolomeo Biscaino                                                       

(Genova 1632  1657)                                                       

TRIONFO DI DAVID                                                          

olio su tela, cm 120x188                                                  

                                                                          

THE TRIUMPH OF DAVID                                                      

oil on canvas, cm 120x188                                                 

                                                                          

Provenienza                                                               

Genova, Rubinacci Antichità Genova, collezione privata  

 

Bibliografia

M. Bonzi, Il Biscaino, Savona 1940, pp. 8 e 17, illustrato a p. 9; Rubinacci Antichità, Dipinti del XVII e XVIII secolo, catalogo della mostra, Genova s.d. (ma 1968), n. 7; C. Manzitti, Per Bartolomeo Biscaino, in “Paragone” 1971, 253, pp. 37-38, fig. 22; La pittura del ‘600 a Genova, a cura di P. Pagano e M. C. Galassi, Milano 1988, ill. tav. 85; F. Lamera, Miti allegorie e tematiche letterarie per la committenza privata, in E. Gavazza, F. Lamera, L, Magnani, La Pittura in Liguria. Il secondo Seicento, Genova 1990, p. 188 e fig. 231; F. Affronti, Biscaino e Castello. Due artisti a confronto, in “La Casana” s.d., p. 46; ill. a p. 45.

 

Reso noto per la prima volta da Mario Bonzi nella sua pionieristica ricognizione dell’artista genovese, il dipinto qui offerto è stato in breve riconosciuto un vero e proprio caposaldo della prima attività di Bartolomeo Biscaino, intorno al 1650. Un’attività così breve, considerando la sua giovane età all’ingresso nella bottega di Valerio Castello intorno al 1649, e la morte precoce nella peste del 1657, da rendere pressoché superflue ipotesi di datazione più precise.

Giustamente Bonzi richiamava i modelli di Pellegro Piola per le figure, plastiche nella loro arrotondata fisicità ma insieme stilizzate nella cifra della Maniera, che accompagnano la scena di trionfo, e riconosceva l’ascendente di Valerio Castello nei colori acidi e squillanti, anch’essi un retaggio del tardo Cinquecento tra Genova e Milano.

Rispetto al maestro, Biscaino mostra stesure maggiormente studiate che restituiscono alla ritmata scansione delle figure una cadenza più pacata oltre che la più marcata consistenza plastica a cui si è appena accennato. I volti mostrano poi la tipica dolcezza che caratterizza sia il suo corpus pittorico che quello di disegni e incisioni.

                 

                                                                          

Stima   € 25.000 / 35.000
164
Scuola veneta, fine sec. XVII
VENERE ALLO SPECCHIO
olio su tela, cm 97x75

Venetian school, late 17th century
VENUS WITH A MIRROR
oil on canvas, cm 97x75

Referenze fotografiche
Fondazione Zeri, scheda 58376.

Proveniente da Palazzo Corsini di Firenze, di cui rimane l’antica etichetta al retro, l’opera rientra nel cospicuo numero di tele raffiguranti Venere seminuda nell’atto di ammirare la propria immagine riflessa in uno specchio tenuto da un Amorino fra le quali l’unico esemplare considerato unanimemente autografo di Tiziano è il dipinto conservato presso la National Gallery of Art di Washington, dove è presente anche un altro Amorino che regge una ghirlanda di fiori. Nel 1576, alla morte del pittore, la tela oggi esposta nel museo americano si trovava ancora nel suo studio e fu senz’altro utilizzata come modello, da Tiziano e bottega, per successive repliche introducendo anche notevoli varianti.Ritenuta opera del Vecellio quando si trovava all’interno della prestigiosa collezione fiorentina, come testimonia la fotografia Alinari - databile tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento - che la documenta, il dipinto presentato serba il ricordo dell’invenzione tizianesca nella figura della Venere, più pudicamente e sobriamente vestita, e nel suo timido osservare la sua immagine riflessa nello specchio retto da un Amorino che, nel nostro caso, mostra tutto il suo profilo ricciuto, parzialmente tuffato nell’ombra, tipico della scuola veneta di ascendenza tizianesca.La cornice finemente intagliata e dorata è un magnifico esemplare di manifattura fiorentina seicentesca (cfr. M. Mosco, Cornici dei Medici. La fantasia barocca al servizio del potere, Firenze 2007).
Stima   € 25.000 / 35.000
165

Pacecco de Rosa

(Napoli 1607-1656)

SANTA CATERINA E SANTA DOROTEA

coppia di dipinti, olio su tela, cm 104x78,5

(2)

 

SAINT CATHERINE AND SAINT DOROTHEA

a pair of paintings, oil on canvas, cm 104x78,5ù

(2)

 

 

Referenze Fotografiche

Fototeca Zeri, scheda 51662

Fototeca Zeri, scheda 51663

 

Nulla è lasciato trasparire dei martirii ai cui furono sottoposte le due sante: sulle due tele qui offerte il napoletano Pacecco de Rosa raffigura due bellissime cortigiane i cui profili si stagliano su cieli di un azzurro intenso percorsi da candide nuvole a cui fanno da contrappunto quinte rocciose. La tipologia femminile, dai lineamenti dolci e dalla pelle immacolata, e altre riconoscibili caratteristiche quali il modo di arricchire di riflessi cangianti i suntuosi mantelli, permettono di collocare la nostra coppia di tele in prossimità di opere pacecchiane datate agli anni Quaranta, quali la Santa Barbara, già Parigi, Galerie Canesso, e la Santa Dorotea della Galerie Národní di Praga, raffigurata come nel nostro caso secondo la tradizionale iconografia che vede un putto porgerle il vassoio con tre rose e tre mele provenienti dall’orto del Signore (cfr. V. Pacelli, Giovanni Francesco de Rosa detto Pacecco de Rosa 1607 – 1656, Napoli 2008, schede 79-80, pp. 343-344). Si tratta di opere della piena maturità del pittore quando abbraccia uno stile più prossimo al purismo dominichiano.

La coppia di dipinti è stata attribuita a Pacecco de Rosa da Roberto Longhi in una comunicazione scritta alla proprietà del 7 marzo 1966.     

 

Stima   € 25.000 / 35.000
Aggiudicazione  Registrazione
112

Scuola veneta, sec. XVII

I TRE FILOSOFI

olio su tela, cm 103,5x134

 

Venetian school, 17th century

THE THREE PHILOSOPHERS

oil on canvas, cm 103,5x134

 

Eraclito e Democrito si trovano spesso raffigurati con un singolare contrasto poiché l’uno continuamente ride, l’altro invece piange. Il filosofo che ride è Democrito: se tutto è davvero una danza di atomi nel vuoto ne consegue che ogni vicenda umana deve rinunciare ad avere un senso e ridicole appaiono le preoccupazioni degli uomini che non sanno adeguare le proprie passioni a ciò che la ragione ci insegna. Al suo riso fa da contrappunto il pianto di Eraclito, il filosofo del divenire che non può distogliere gli occhi dalla caducità degli eventi e che nel tempo che travolge tutte le cose avverte la tragicità del mondo.

I due atteggiamenti emblematicamente contrapposti nei riguardi degli accadimenti terreni, simboleggiati dal globo a cui i due filosofi si rivolgono, vengono, nella tela offerta caricati sino al grottesco: l’ambientazione e il carattere semplice, quasi popolare, dei saggi, richiamano le numerose prove conosciute, ritraenti filosofi antichi, di ambito napoletano – si vedano per esempio le prove di Mattia Preti e Luca Giordano - soggetti però notevolmente diffusi anche in area veneta tra i cosiddetti pittori tenebristi.

Le smorfie grottesche sono altresì avvicinabili ad artisti nordici, per lo più fiamminghi, operanti in Italia, suggestionati a loro volta dalle ombrose atmosfere di matrice caravaggesca.

 

Stima   € 22.000 / 35.000
198

Artus Wolffort

(Anversa 1581-1641)

CRISTO ALLA PISCINA DI BETZAETA

olio su tela, cm 170x240

 

CHRIST IN THE POOL OF Bethesda

 oil on canvas, cm 170x240

 

Il tema di della Piscina di Betzaeta, desunto dal racconto del Vangelo di Giovanni circa la guarigione di un paralitico da parte di Gesù (Giovanni 5: 1-15), è stato esplorato con successo da alcuni dei più grandi artisti fiamminghi seicenteschi.

Michael Jaffé ha pubblicato una versione di questo dipinto come di Pieter van Mol (cfr. M. Jaffé, Exhibitions for the Rubens Year - II, in “The Burlington Magazine”, CXX, marzo 1978, p. 139, fig. 11) mentre altre opere con una composizione simile sono state variamente riferite a Otto van Veen, Werner van den Valkert, Claes Moeyaert e Jacob Jordaens (per un elenco completo delle versioni, cfr. H. Vlieghe, Zwischen van Veen und Rubens: Artus Wolffort (1581-1641) , ein vergessener Antwerpen Maler, in “Wallraf-Richartz-Jb.”, XXXIX, 1977, pp. 107-8, pl. 26-8 e note in calce 22-3).

Un'altra versione, di pressocché analoghe dimensioni alla nostra, lasciata in eredità alla Galleria dell'Ontario nel 1983, è considerata autografa di Artus Wolffort (Anversa, 1581 – 1641): anche per la tela presentata il nome del Wolffort è quello più probabile.

L’attività artistica di Artus Wolffort, quasi del tutto sconosciuta fino agli anni Settanta, è stata ricostruita sulla base di numerose immagini monogrammate: la maggior parte dell’opera documentata è costituita da soggetti religiosi e mitologici realizzati raffigurando figure quasi a grandezza naturale, come nel nostro caso. L'inclinazione barocca e l'atmosfera rubensiana della tela presentata suggerisce un confronto più stringente con le sue opere di età matura, dopo il 1630.

 

 

Stima   € 18.000 / 25.000
186

Luigi Amidani

(Parma 1591- post 1629)

MADONNA COL BAMBINO DORMIENTE

olio su tavola di noce, cm 35x26

 

MADONNA WITH SLEEPING CHILD

oil on walnut panel, cm 35x26

 

L'opera è corredata da una scheda di Laura Bartalucci di cui pubblichiamo un estratto:

 

"La piccola tavola, destinata alla devozione privata, presenta il suo consueto tema della Madonna col Bambino nella variante iconografica di Gesù addormentato, chiara prefigurazione della passione di Cristo.

L'conografia, affermatasi nel Quattrocento, fu codificata in questa particolare declinazione in ambito emiliano da Guido Reni, che dipinse più versioni con il dipinto soavemente addormentato e vegliato dalla Vergine (Roma, Galleria Doria Pamphili).

I caratteri stilistici salienti del dipinto orientano, con ogni evidenza, in direzione di un artista di sicura formazione emiliana, che sintetizza in un felice quanto accattivante connubio i modelli della tradizione pittorica parmense cinquecentesca e le novità emiliano-bolognesi di fine Cinquecento ed inizio Siecento. La cifra espressiva del nostro artista palesa una complessa stratificazione della cultura pittorica correggesco-parmigianinesca, che si spinge fino a Sisto Badalocchio e si innesta nella tradizione bolognese rinnovata dai Carracci, quella di Ludovico in particolare. Tuttavia un modello in particolare sembra essere il punto forte di riferimento dell'autore della tavoletta in esame: Bartolomeo Schedoni, che aderisce al nuovo corso carraccesco, e al quale si deve l'avvio del rinnovamento della pittura modenese del Seicento. Proprio in questo artista il recupero di Correggio, che resta una della costanti del suo percorso, si attua attraverso l'intenso Chiaroscuro di Ludovico Carracci.

E' sufficiente osservare il volto della Vergine della tavola in esame per rileva una riproposizione quasi palmare dei caratteri morfologici di molte Madonne schedoniane.  Lo stesso ovale perfetto, con larghe palpebre e sopracciglia ad arco, la caratteristica acconciatura con la scriminatura al centro e la sottile trecciuola che ferma la capigliatura. Anche l'intonazione di intimo ed affettuoso raccoglimento, l'accostante e affabile naturalezza, derivate da modelli carracceschi, la dolcezza dell'ispirazione, sono proprie di Bartolomeo Schedoni, del quale si può richiamare a confronto la bella Annunciazione di Formigine. Tuttavia nell'autore del nostro dipinto emergono impreviste e solo apparentemente anacronistiche, virate manieristiche. Basti osservare infatti il corpo del Bambino, dalla forma quasi serpentinata, con il caratteristico ventre pronunciato, le fossette che sottolieneano le articolazioni, la consistenza quasi porcellanata delle carni e le estremità innaturalmente allungate e ridotte nelle dimensioni; o il panneggio come inamidato della veste della Vergine, quasi geometrizzate, caratterizzato da piatte campiture e sottolineato dalle linee diagonali. Ritengo che questi elementi siano sufficienti per escludere a priori l'autografia della Schedoni, il quale proprio sulla scia del rinnovamento carraccesco si libera dagli schemi cifrati del tardo manierismo ancora vigenti a Modena...."

Stima   € 12.000 / 20.000
176

Giacomo Francia

(Bologna, 1484-1557)

MADONNA CON BAMBINO E SAN GIOVANNINO

olio su tavola, cm 62x51

 

MADONNA WITH CHILD AND SAINT JOHN THE BAPTIST

oil on panel, cm 62x51

 

Bibliografia di riferimento

E. Negro, N. Roio, Francesco Francia e la sua scuola, Modena 1998.

 

Come era consuetudine i figli di Francesco Francia (Bologna, 1447-1449 circa – 1517), Giacomo e Giulio, lavorarono fin da giovanissimi nella fiorente bottega del padre: nelle opere eseguite quando ancora è in vita Francesco è quanto mai difficoltoso sia riconoscere il loro operato da quello del maestro sia distinguere le rispettive mani.

Tuttavia, grazie all’analisi delle poche opere certe - La Madonna col Bambino in trono, due angioletti, i Ss. Gervasio e Protasio e al centro le Ss. Caterina, Giustina con quattro monache benedettine, firmato “JACOBUS FRANCIA P: MDXLIII”, oggi nella chiesa di S. Maria di Piazza di Busto Arsizio, e l’ancona della chiesa di S. Cristina della Fondazza a Bologna, documentata e datata al 1551 - è stato possibile tratteggiare la fisionomia di artista di Giacomo,  caratterizzata da figure tendenti alla magniloquenza, con forme semplificate ma solide, visi tondeggianti e gesti pacati, ravvisabili anche in alcune Madonne col Bambino della fase franciana più tarda in cui la critica ha infatti ipotizzato che siano state ideate dal maestro ma eseguite con una larga partecipazione del primogenito, Giacomo appunto. È il caso della Madonna col Bambino e San Giovannino della Galleria nazionale di Parma (E. Negro, N. Roio, Francesco Francia e la sua scuola, Modena 1998, pp. 226-227, n. 125), da cui deriva l’invenzione compositiva della tavola offerta dove la robustezza dei corpi, dettata da una stesura pittorica più sintetica e compatta, rivela analogamente la mano di Giacomo Francia.

 

Stima   € 10.000 / 15.000
Aggiudicazione  Registrazione
182

Jacob de Heusch

(Utrecht 1657 - Amsterdam 1701)

LE CASCATE DI TIVOLI

olio su tela, cm 62x100

 

TIVOLI WATERFALLS

oil on canvas, cm 62x100

 

L'opera è corredata da parere scritto di Caterina Volpi di cui pubblichiamo un estratto:

 

"...Il dipinto raffigura alcuni pastori che si bagnano presso il lago formato dalle cascate del Tempio della Sibilla a Tivoli, uno dei luoghi maggiormente rappresentati dai paesaggisti nordici nel corso del Seicento per la sua unica e caratteristica commistione di natura selvaggia e rovine antiche, per quell'innesto di civiltà classica in un luogo pittoresco e impervio. Infaticabili disegnatori dei luoghi della campagna romana artisti come Poelemburgh e Breemberg rappresentarono nei loro schizzi gli aspetti più tipici del luogo di Tivoli, come Gaspard Dughet che nella zona comprò perfino un terreno. Al tempo di Jacob de Heusch Tivoli veniva ritratta da Gaspar van Wittel e, poco dopo, da Franz Van Bloemen e Andrea Locatelli, diventando un topos figurativo includibile della pittura del Gran Tour (Paesaggio laziale tra ideale e reale, dipinti del XVII e XVIII secolo, catalogo della mostra (Tivoli, giugno-novembre 2009) a cura di F. Petrucci, Roma 2009).

Del quadro esiste un versione di analogo formato oggi conservata presso le Galleria dell'Accademia Nazionale di San Luca a Roma; esso faceva parte di un pendant con Paesaggio laziale con corso d'acqua e figure, di uguali dimensioni. Entrambi i dipinti che provengono dal lascito di Fabio Rosa (P. Coen, La raccolta di Fabio Rosa e il suo ingresso in Accademia di San Luca, in "Ricerche di Storia dell'Arte", 107, 2012, pp. 5-16), sono attribuiti ancora a Salvator Rosa da Susinno nel 1974, fino alla correzione apportata da Busiri Vici prima della sua monografia su Andrea Locatelli del 1976, e infine in quella dedicata al de Heusch (Busiri Vici di Arcevia, 1997, nn. 43,44, pp. 142-143). Lo stesso studioso pubblicava due pendant di formato ridotto (49x78 cm) di collezione privata a Roma che replicavano, con minime varianti, i due dipinti dell'Accademia di San Luca (Busiri Vici di Arcevia, 1997, nn. 47,48, pp. 146-147)....."

 

Stima   € 10.000 / 15.000
1 - 30  di 301