Arte Moderna e Contemporanea

10 GIUGNO 2019

Arte Moderna e Contemporanea

Asta, 0304
MILANO
Centro Svizzero
via Palestro, 2
ore 16:00
Esposizione
MILANO
6 - 9 giugno ore 10-19

Contatti
Tel: +39 055 2340888
E-mail: artecontemporanea@pandolfini.it
info@pandolfini.it

Per informazioni e commissioni scritte e telefoniche
dal 6 all' 11 giugno
Centro Svizzero
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Tel. + 39 02 76320328
artecontemporanea@pandolfini.it

 
 
 
Stima   300 € - 150000 €

Tutte le categorie

91 - 120  di 165
98

MIMMO ROTELLA

(Catanzaro 1918 - Milano 2006)

Senza titolo

1961                                                  

decollage su cartoncino

cm 35x24                                 

firmato in basso a destra

dedicato ad personam, a Maurillo Maendez Rotella, Roma 14.6.61

 

Untitled

1961

decollage on cardboard

cm 35x24

signed lower right

dedicated to personam, to Maurillo Maendez Rotella, Rome 14.6.61

 

Opera registrata presso la Fondazione Mimmo Rotella con il numero n.2155 DC 961/961

 

I Décollage: narrazione della realtà

Il mio atto di strappare i manifesti voleva dire alla gente: guardate che per le strade abbiamo dei magnifici musei. Il linguaggio più consono alla nostra epoca è quello pubblicitario. Mimmo Rotella

Se Marcel Duchamp ha chiuso nella categoria elitaria del readymade la potenzialità espressiva degli oggetti privi d’arte, con il décollage Mimmo Rotella ha riaperto invece, per noi tutti, la via della bellezza che già può accomunarci quando guardiamo ai muri, poiché un décollage sancisce che in tutti i manifesti è insita l’intera forza potenziale della pittura. A differenza degli altri décollagistes, Rotella non si limita a mutare un manifesto in pittura, ma piuttosto indica che un quadro è un principiante della comunicazione di massa. E’ anche merito delle esplorazioni di Mimmo Rotella, se oggi il talento di Oliviero Toscani può dimostrare, che la pratica stessa della pubblicità è uno dei più avanzati sistemi per finanziare e veicolare le nuove espressioni dell’arte e della vita.

Tommaso Trini  -

Rotella iniziò a utilizzare la tecnica del décollage nel 1953, ne furono testimoni tra i primi i poeti Cesare Vivaldi e Emilio Villa che assistettero alla prima azione artistica in piazza Del Popolo a Roma, opere esposte per la prima volta nel 1954.  I primi décollage sono pura astrazione che si evolvono nel tempo, divenendo sempre più narrazione e poema, con l’inclusione di parole e personaggi più o meno noti

 

 

 

 

                            

Stima 
 € 6.000 / 10.000
Aggiudicazione  Registrazione
99

CAGNACCIO DI SAN PIETRO

(Desenzano del Garda 1897 - Venezia 1946)

Due bambini nell'aia  

1923

olio su tavola                     

cm 48,5x64,8  

firmato e datato in basso a destra           

 

Two children in the yard

1923

oil on canvas

cm 48,5x64,8  

signed and dated lower right         

 

 

Cagnaccio di San Pietro - pseudonimo di Natale Bentivoglio Scarpa -  nato a Desenzano nel 1897. Artista ribelle e anticonformista, prese come nome d’arte quello di Cagnaccio, a cui poi aggiunse anche il nome del luogo a cui era più legato: il borgo di San Pietro in Volta, nell’isola di Pellestrina, la striscia di terra che chiude la laguna di Venezia. Frequentò per un anno i corsi di Ettore Tito all’Accademia di Venezia, nel 1917 viene chiamato alle armi, entra a far parte dell’esercito e incontra Filippo Tommaso Marinetti, partecipando per un breve periodo al Movimento Futurista. Dal 1920 approfondì lo studio del disegno e della prospettiva dando avvio all’elaborazione del realismo magico, Dario Biagi  definì Cagnaccio : “ è un realista ad altissima definizione e tuttavia innaturale, surrealista senza simboli”. Nelle sue opere mette in atto un’ immagine prospettica che destabilizza la scena e crea un’atmosfera straniante, associando alla costruzione delle figure e degli oggetti un uso della luce che rendono le rappresentazioni statiche e irreali. Le figure femminili,  i disadattati, i pescatori, i poveri, i bambini, scene del quotidiano vivere sono i soggetti prediletti di Cagnaccio, che denotano, da parte dell’artista, una sentita e costante osservazione della realtà, in particolare di quella popolare legata alla sua terra. Nel 1916 circa decise di prendere il nome di Cagnaccio, forse per meglio rappresentare il suo spirito ribelle e anticonformista, si narra che fosse il soprannome con il quale veniva appellato nel suo paese,  e successivamente, dopo il 1925, aggiunse  San Pietro, quale segno di appartenenza all’anima popolare veneziana che così vivamente  rappresentò in tutta la sua carriera, ritraendo un mondo apparentemente stabile, quieto quasi immobile, capace di  aprirsi ad un spazio interiore ed emozionale. Cagnaccio, da sempre considerato uno spirito libero, era sperimentatore di tecniche pittoriche applicate con una perizia magistrale, apprezzato più dai colleghi artisti che dalla critica. L'indisponibilità di Cagnaccio di aderire a manifesti e movimenti legati al fascismo, le procurerà notevoli problemi: alla Biennale del '28, di cui fu commissaria Margherita Sarfatti, Cagnaccio presentò “Dopo l'orgia” l’opera venne respinta perché in netto contrasto con l’immagine che il  regime fascista dava di se. Per conservare la propria libertà espressiva, si finse squilibrato,  preferendo così il ricovero nel manicomio di San Servolo. Ci fu un riscatto a fronte di tale “esilio”, nel 1934 Hitler visitò la Biennale di Venezia vide “Il Randagio”, dipinto dal Cagnaccio nel 1932, e cercò di acquistalo, quando gli fu detto che era impossibile perché si trattava di opera ipotecata per i numerosi debiti contratti dall’artista, Hitler insorse così che Mussolini condonò i debiti e permise l’acquisto. Cagnaccio ne fu fieramente felice. A causa dei numerosi interventi e della conseguente salute cagionevole, mori nel 1946 all’età di 49 anni.

 

 

 

 

 

 

                              

Stima 
 € 18.000 / 22.000
Aggiudicazione  Registrazione
105

FERNANDEZ ARMAN

(Nizza 1928 - New York 2005)

Senza titolo APA#8110.03.005

2003

ukulele a fette con tubi di vernice e vernice acrilica (rosso cadmio) su tela nera

cm 82x60,5

a retro etichetta Arman Studio, New York

 

Untitled APA#8110.03.005

2003

sliced ukulele with paint tubes and acrylic paint (cadmium red) on black canvas

cm 82x60,5 

on the reverse label of Arman Studio, New York

 

L'opera è registrata presso l'Archivio Denyse Durand-Ruel, con il numero n. 7661

 

Arman si evidenzia, fin dall’inizio, come un “genio” irrequieto e nomade. Fa parte del suo carattere il continuo bisogno di fare, viaggiare, cambiare residenza, accumulare e distruggere, entrare in contatto con altri artisti con cui instaurare dialoghi profondi e amicizie importanti. Un modo di essere condiviso con la sua generazione, un gruppo di persone mai ferme e pienamente rappresentanti lo spirito del tempo, dell’avanguardia, del cambiamento.  I primi lavori di Arman non si discostano troppo dalla pittura astratta in stile Poliakoff De Stael. Ma dura poco. GiaÌ nel 1953 si interessa alla grafica e alla stampa, ovvero a un meccanismo di ripetizione, studiando in particolare la tipografia dell’olandese Hendrik Nikolaas Werkman, designer della rivista Art d’aujourd’hui. Nel 1954 scopre il cosiddetto Cachet, forma post-pittorica ottenuta mediante l’impressione su carta con tamponi a inchiostro da ufficio. La sua personale desordio, alla Galerie Haut-Paveì di Parigi nel 1956, accosta le ultime pitture astratte ai primi Cachets, che rappresentano la negoziazione della definitiva uscita dallarte di matrice espressionistico-gestuale per approdare a metodologie oggettuali in direzione del concettuale. L’insistere di Arman sul carattere tipografico e sulle date dei timbri postali anticipa le esperienze di Mail Art degli anni Settanta e, allo stesso tempo, riprende la pubblicistica del Situazionismo (manifesti, proclami, libri ecc...). Un linguaggio che si estenderà fino alla grafica “punk” di Jamie Reid, non a caso formatosi sulle pagine delle prime avanguardie di cui riadatta gli stilemi in chiave popolare e iper- trasgressiva.  Appena successive ai Cachets sono le Allures (1958-59), tracce, impronte di oggetti inchiostrati o colorati, per una pittura che ha perso completamente peso, interrogativo cui lavora in sincronia altri artisti aderenti al Nouveau Realisme - Yves Klein, Geìrard Deschamps, Jean Tinguely- e che esperisce ulteriormente il bisogno di lasciarsi alle spalle la lunga stagione dellinformale.  Vero e proprio marchio Arman e vertice creativo nella storia appena cominciata del gruppo messo insieme da Pierre Restany- eÌ linvenzione delle Accumulations, dove si manifesta tra le righe, come contraltare al Pop ortodosso e ottimista della versione americana, il criticismo sull’oggetto e sugli sprechi nella società neo-consumista. Il primo confronto reale tra queste due differenti “ideologie” soggiace in una delle mostre chiave dellepoca, ordinata presso la Sidney Janis Gallery di New York nel 1962 (e di liÌ a poco Arman stipuleraÌ un contratto desclusiva con la prestigiosa galleria, noncheì linizio del suo rapporto stabile con gli Stati Uniti, dove prende l’abitudine di soggiornare circa sei mesi l’anno). The New Realists presenta immagini e oggetti prelevati nell’ambito della cultura di massa e della vita quotidiana. Da una parte il Pop: una bombola di gas (Dine), fumetti (Lichtenstein), barattoli di zuppa Campbell (Warhol), biancheria femminile (Oldenburg). Dall’altra il Nouveau Realisme: un frigorifero (Tinguely), dei manifesti pubblicitari (Hains, Rotella), dei rubinetti (Arman). (…)A ben vedere le Accumulations hanno forse un’altra origine più privata per Arman. Ovvero il suo eterno incontro-scontro con il genio di Yves Klein, punto di riferimento, stimolo, continuo rispecchiarsi l’uno nell’altro, ma anche ragione di forte competizione. Arman e Klein si conoscono a Nizza nel 1947 durante un corso di judo e si frequentarono molto in quegli anni, fino alla prematura scomparsa di Yves le monochrome avvenuta nel 1962. Per amicizia e stima Klein introduce Arman nella sua galleria parigina, Iris Clert, dove aveva compiuto loperazione piuÌ estrema fino ad allora mai inscenata nell’arte, ovvero la celeberrima mostra “del vuoto” (aprile-maggio 1958). Di contro, forse per reazione, Arman, nell’ottobre 1960, installa il progetto dal titolo Le plein: aiutato da Martial Raysse ostruisce l’ingresso e stipa le sale della Galerie Clert con oggetti di scarto. La mostra, che viene chiusa in anticipo a causa del deterioramento di alcuni materiali, presenta anche le prime Accumulations. Da niente a tutto, forse ci vorrebbe un analista per spiegare il senso di tale operazione. Resta il fatto che Arman amava molto l’amico Yves, al punto da dedicare a lui e alla moglie Rotraut Uecker, artista aderente al Gruppo Zero, la celeberrima coppia di Portait Robot per il loro matrimonio officiato a Parigi il 21 gennaio 1962 presso la chiesa di Saint- Nicolas-des-Champs. Nel Portrait Robot di Klein, in particolare, eÌ contenuto labito da cavaliere dellOrdine di San Sebastiano completo di spada e cappello, un rullo per le antropometrie, una pistola per lidropittura e alcune fotografie. Particolare curioso, Christo decise ugualmente di omaggiare gli sposi con un ritratto, un dipinto molto classico, in cornice d’oro, che non rivela certo quello che sarà il linguaggio del celeberrimo “impacchettatore”, esposto in permanenza nella “sala Klein al MAMAC di Nizza. () Infine le Inclusioni, altro tema forte e ritornante nella lunga carriera di Arman, dove
l
oggetto eÌ imprigionato, costretto a non poter più progredire neì a corrompersi. Con un gesto profondamente laico, Arman si prende il diritto di decidere quando interrompere un processo, anche se attuato prevalentemente su cose inanimate che comunque sono metafora di un qualcosa che riguarda lessere vivente e che Damien Hirst svilupperaÌ brillantemente a partire dai primi anni Novanta. Saltano dunque il ciclo vitale, la biologia, la crescita, il degrado, la corruzione e, di conseguenza, la morte, diversamente che in Daniel Spoerri il quale preferisce fissare un frammento, bloccarlo, cristallizzare l’evento, attuare una glaciazione del reperto. Spoerri toglie l’aria, colloca sotto vuoto, eppure paradossalmente basterebbe una rottura del sistema protettivo a rimettere tutto in gioco. In Arman l’inclusione eÌ definitiva: larbitrarietà delluomo (e dellartista) si eÌ sostituita a quella di una qualsiasi entità suprema, se mai esistesse. Il tutto si gioca qui, esistendo, nel credo laico dell’arte. (…)

 

Luca Beatrice ARMAN  Palazzo Brichesario Torino 2008  Casa Editrice Cudemo Bordighera.

 

 

Stima 
 € 7.000 / 12.000
Aggiudicazione  Registrazione
109

PINO PINELLI

(Catania 1938)                                                         

Pittura 88

1988                                                      

Bianco, Grigio e Nero, opera di tre elementi

acrilico su flanella applicata su tavola

misure totali istallazione cm 30x138,5

al retro firmato, titolato e datato                        

 

Painting 88

1988

White, Gray and Black, the work of three elements

acrylic on flannel apllied on board

total measures installation cm  30x138,5

on the reverse signed, titled and dated

 

“ …A mio avviso, fare pittura, oggi significa attribuirle un nuovo modo di essere: pittura non è più rappresentazione oggettiva in uno spazio tridimensionale, non è fare come espressione di una semplice azione; ma è operazione cosciente, che usa strumenti pittorici che recupera la stessa manualità e la tecnica del dipingere, ponendosi come elemento primario…” Pino Pinelli  - Ottobre 1973 – Il corpo della pittura. Critici e nuovi pittori in Itali 1972-1976 Claudio Cerritelli  pag. 90

 

Tutto il mondo artistico di Pinelli è racchiuso in queste parole: colore e forma sono gli strumenti per approdare al personale gesto artistico. L’opera è una composizione di linea, colore, ritmo e luce distribuita sulla bianca parete a creare un tessuto compositivo totale, un costante gesto di rottura e superamento dei confini. La parete, insieme all’opera, diventa protagonista, perdendo così la sua condizione di neutralità e divenendo essa stessa opera.

 

 

 

 

Stima 
 € 2.500 / 5.500
Aggiudicazione  Registrazione
116

GiUSEPPE CESETTI

(Tuscania 1902 - 1990)

Buoi azzurri

olio su tela

cm 50x50

firmato in basso a sinistra

 

Blue oxen

oil painting on canvas

cm 50x50

signed lower left

 

Che Cesetti sia un etrusco è, oramai, un mito dei critici d’arte e dei suoi amici. Cesetti in persona li ha messi sulla via ( “sono un etrusco senza tempo”) e se ne compiace. E’ una proposizione tante volte ripetuta da essere diventata una formula per definire con comodità la complessa umanità del pittore; e, nel migliore dei casi, è servita come base e pretesto a belle pagine letterarie. Nessuno, o quasi, ha cercato di approfondire la definizione di etrusco che si dà a Cesetti in quanto uomo e pittore e così per il pubblico grosso come gli intellettuali italiani, che sono troppo spesso provinciali bonari oppur gelosi, Cesetti ha finito per passare per quello che non è: per un buttero della Maremma, per un naif, pittore contadino, per un pittore naturalista di paesaggi. Non c’è nessun in Italia che non conosca i quadri etruschi  di Cesetti: tra le colline della Tuscia cavalli e tori e buoi tra querce e ulivi; o nella Maremma tra arbusti, mirti, lentischi; con nello sfondo antiche mura e segrete città; e cieli azzurri, forti e delicati. E caccie. E arcaiche figure.

Andate a sostenere, una volta di fronte a questi quadri, che Cesetti non è un classico! La verità è che Cesettii, per paradossale che ciò sia, è un Etrusco vivente  non curioso sopravvissuto. Il suo modo di dipingere la natura e la figura al modo stesso degli Etruschi ne fa un pittore originale ed inimitabile tra tutti nella produzione d’arte contemporanea  e l’unico, per tempo, della grande civiltà pittorica italiana che è tradizione di pittori della natura e della figura.

 

Franco Cagnetta  Parigi, settembre 1970  da 100 Opere di Giuseppe Cesetti

 

 

 

 

Stima 
 € 2.500 / 5.500
91 - 120  di 165