Arte Moderna e Contemporanea

10 GIUGNO 2019

Arte Moderna e Contemporanea

Asta, 0304
MILANO
Centro Svizzero
via Palestro, 2
ore 16:00
Esposizione
MILANO
6 - 9 giugno ore 10-19

Contatti
Tel: +39 055 2340888
E-mail: artecontemporanea@pandolfini.it
info@pandolfini.it

Per informazioni e commissioni scritte e telefoniche
dal 6 all' 11 giugno
Centro Svizzero
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Stima   300 € - 150000 €

Tutte le categorie

61 - 90  di 165
62

CLAUDIO PARMIGGIANI

(Luzzara 1943)

Senza titolo

1978

carboncino su tela

cm 90x70

firmato e datato in basso a destra

 

Untitled

1978

charcoal on canvas

cm 90x70

signed and dated lower right

Il mio lavoro si esprime attraverso un vocabolario più segreto che

estroverso, tende a velare piuttosto che a svelare, a ricondurre le

immagini alla loro ombra

Claudio Parmiggiani


Il mio lavoro si esprime attraverso un vocabolario più segreto che

estroverso, tende a velare piuttosto che a svelare, a ricondurre le

immagini alla loro ombra

Claudio Parmiggiani

 

Claudio Parmiggiani (Luzzara, 1943) si forma allIstituto darte Venturi a

Modena (1958-1960), negli stessi anni inizia a frequentare lo studio di

Giorgio Morandi a Bologna il cui influsso e lamicizia saranno di forte

orientamento per lartista, in particolare laspetto etico più che

stilistico. Da sempre interessato anche alla poesia negli anni 60, si

avvicina al Gruppo 63 e ai poeti e letterati del momento come Luciano

Anceschi che sarà fondamentale per linteresse alle arti visive e alla

poesia, ma è soprattutto con Emilio Villa che avrà un profondo sodalizio.

La sua prima mostra si tiene nel 1965 alla libreria Feltrinelli di Bologna,

dove espone calchi in gesso dipinti, definite dallartista pitture scolpite,

che segnano quella che viene considerata la prima apparizione di un calco

in gesso nella vicenda artistica delle neoavanguardie. Nel 1970 realizza le

prime Delocazioni, opere di ombre e impronte realizzate con fuoco, polvere

e fumo, tra cui si ricordano quelle per il Musé dArt Moderne et

Contemporain di Ginevra (1995), il Centre Pompidou di Parigi (1997), la

Promotrice delle Belle Arti di Torino (1998), il Musé Fabre di Montpellier

(2002), il Tel Aviv Museum of Art (2003).sue opere sono state presentate in

diverse edizioni della Biennale di Venezia (1972-1982-1984-1995-2015) e nei

più importanti musei internazionali. Tra le mostre personali più

importanti: al Pac di Milano (1982), allAlbert Totah Gallery di New York

(1986), al Museum Moderner Kunst di Vienna (1987), al Museo dArte Moderna

di Strasburgo (1987), a Villa Arson a Nizza, al Palacio de Cristal di

Madrid (1990), al Mathildenhö Institut di Darmstadt (1992), alla Galleria

dArte Moderna di Praga (1993), al Centre méé dart di Tolone (1999), nel

2000 realizzaIl faro dIslanda, opera permanente posta alla periferia di

Reykjavik, altre sue sculture sono collocate inFrancia, Egitto, Repubblica

Ceca. Al Musé Fabre di Montpellier (2002), a Palazzo Fabroni a Pistoia

(2007). Jean Clair lo invita, unico artista italiano, alla grande mostra Mé

Gé et folie en Occident, al Grand Palais di Parigi e alla Neue

Nationalgalerie di Berlino (2005). Tra le numerose opere permanenti nel

paesaggio nel 1990 installa Il bosco guarda e ascolta nel Parco di Pourtalé

a Strasburgo.

Stima 
 € 15.000 / 20.000
63

OSVALDO LICINI

(Monte Vidon Corrado 1894 - 1958)

L'amalassunta

1952 

matita su carta gialla

cm 30x40

firmato e datato in basso  destra: 18.8.1952 O Licini

iscrizione sul retro: "Alla più cara, alla più dolce, alla più chiara, alla più delicata, alla più

forte, alla più saggia, alla più pazza, alla più preziosa, alla più attesa, alla più luminosa, ed

a quella che sarà l'ultima luna del mio cuore"                                                               

 

L'amalassunta

1952

pencil on yellow paper

cm 30x40

signed and dated lower right: 18.8.1952 O Licini

inscription on the reverse

 

 

Osvaldo Licini dedica questo disegno ad un amore segreto, che lo accompagnerà tutta la vita, esistono vari carteggi, in cui dichiara il suo amore a Olga Zannoni.

 

Osvaldo Licini dedicates this work on paper to his secret love, which will accompany him throughout his life, there are various correspondences, in which he declares his love to Olga Zannoni.

 

L’ Amalassunta è la raffigurazione della “luna nostra bella d’argento” ebbe a chiamarla Licini in un frammento poetico: personalizzata, si avvicina con un ingannevole aspetto antropomorfo di sorriso, di estasi, di sibillina attesa. Soprattutto essa sembra voler parlare e indicare nel suo spostarsi lungo un arco con segni misteriosi di volta in volta variato, diversamente associati. Numeri formano gli occhi e il naso o la bocca; e i numeri 6 e 3 sono le cifre che ricorrono con maggior frequenza nei cicli lunari. Altre volte questi sono rovesciati e l’ Amalassunta acquista un aspetto “ calante” o “ crescente” secondo le sue fasi di influsso. Ma il suo pallido candore si complica inaspettatamente per la natura stessa della luna, astrale e simbolica di forze divine (la Divina-Artemis), quando compie gesti e invia con la mano magici messaggi.  Essa è accompagnata talora da un piede e si trasforma in cifra ed è presente sotto altre simbolizzazioni, in compagnia della presenza maschile di un angelo. (…) Significati antichi di Sdoppiamento e raddoppiamento della presenza lunare e di tutto il mondo che partecipa alla vita e al ritmo dell’astro. Il pittore li ritrova con una ricerca originale e “solitaria” del colloquio con la sapienza degli antichi. In questo senso egli aveva scoperto il rapporto ambientale con la sua terra e con la tradizione popolare, che rinnova le leggende e gli atteggiamenti contemplativi come racconto favolistico. Occorre aggiungere che quasi tutte le figure dipinte da Licini si possono ricondurre all’ambito lunare: del Serpente, alle Croci viventi, agli stessi temi della partenze e del ritorno, intesi quali cicli di morte e di rinnovamento. (cit. Zeno Birolli)

 

 

 

 

 

 

Stima 
 € 5.000 / 9.000
Aggiudicazione  Registrazione
66

LUCIO FONTANA

(Rosario de Santa Fè 1899 - Comabbio 1968)

Studio per la Cappella Melandri

1958

china nera e acquerello su carta

cm 49,8x33,5

firmato e datato in basso a destra

 

Study for the Melandri Chapel

1958

black ink and watercolor on paper

cm 49,8x33,5

signed and dated lower right

 

L'opera è accompagnata da autentica, rilasciata dalla Fondazione Lucio Fontana, n.

3092/1

 

Bibliografia

L.M.Barbero ( a cura di ), Catalogo ragionato delle opere su carta di Lucio Fontana, Skira, 2013, n. 58 DAD 6 ( si riconduce al gruppo di disegni del 1956 per la tomba Melandri terminata nel 1959) , ill.

 

LUCIO FONTANA DISEGNO TOMBA MELANDRI

Il disegno qui proposto fa parte del gruppo di disegni iniziati nel 1956 per la realizzazione della tomba Melandri nel Cimitero dell’Osservanza di Faenza, commissionata dall’imprenditore Antonio Melandri, terminata nel 1959. L’opera  è composta da una forma a parallelepipedo, dalle linee semplici ed essenziali, con le strutture in cemento rivestite da mattonelle in greÌs monocrome. E’  considerato un lavoro di  particolare interesse proprio per gli elementi così minimal solitamente estranei allo stile dell’artista ma volutamente create per originare un’atmosfera ultraterrena. Da documenti ritrovati negli archivi della città di Faenza: “Riassumendo, eÌ intenzione dell’artista di dare all’insieme dell’opera un carattere di purezza francescana e di intensa pace religiosa.”. Il carattere mistico della facciata eÌ confermato anche da una dichiarazione di Gastone Croci, uno dei muratori che collaboroÌ alla realizzazione della tomba “Ogni facciata allude ad un momento del giorno. La facciata con la porta eÌ divisa tra alba e tramonto. Poi procedendo verso sinistra si hanno il mattino, il mezzogiorno e la notte.”

 

 

Stima 
 € 3.000 / 8.000
Aggiudicazione  Registrazione
69

CARLA ACCARDI

(Trapani 1924 - Roma 2014)                                                          

Due punti arancio

2010                                                         

acrilico su tela

cm 50x60

al retro firmato, titolato e datato

al retro dedicato ad personam

 

Two orange dots

acrylic on canvas

2010

cm 50x60

on the reverse signed, titled and dated

on the reverse dedicated ad personam

 

L'opera è accompagnata da autentica su fotografia, rilasciata dallo Studio Accardi, n.

33/10 arch. 291c

 

- Anche in Italia la pittura del segno e del gesto doveva trovare tosto degli adepti; una rivista giovanile (di cui uscirono alcuni numeri tra il ’58 e il ’60) si intitolò appunto “ Il Gesto”….Più coerenti rispetto all’impostazione segnica delle loro pitture furono alcuni artisti del gruppo romano, che si valsero piuttosto dell’elemento segnico che di quello gestuale e che in tal modo riuscirono a rimanere liberi da un inutile bagno nell’informale…Carla Accardi – una delle più coerenti manipolatrici di personali alfabeti…; -  Gillo Dorfles  Ultime Tendenze nell’arte d’oggi.

 

La pittura segnica è l’unica forma espressiva che Carla Accardi abbia pratico sino dagli esordi, quando nel 1947 entra a pieno diritto nel movimento Forma 1, insieme a Dorazio, Consagra, Perilli, Turcato e Sanfilippo, corrente pittorica che incentrava la propria arte sulla forma e sul segno. Un continuo e costante evolversi, un autismo che si ripete ma che è anche sempre diverso. Segno che raggiunge il suo apice negli anni ’60 e che l’artista porterà avanti fino alla fine utilizzando inizialmente le tempere, poi le vernici fluorescenti e colorate e successivamente gli olii, prima su tela poi su supporti plastici, per poi ritornare nuovamente alla tela.  Fu grazie alla critica di Michel Tapié, che la inserì anche tra i protagonisti della sua teorizzazione dell’art autre insieme a Burri, Capogrossi e Fontana, che la fama dell’artista si consolidò definitivamente.  La stessa artista  definiva il suo segno come parte dell’universo, non una semplice elaborazione dell’inconscio, ma un vero proprio linguaggio che dava vita alla sua inconfondibile espressione artistica.

 

 

 

 

Stima 
 € 5.500 / 10.500
Aggiudicazione  Registrazione
70

RENATO MAMBOR

(Roma 1936 - Roma 2014)                                                       

Figure

1966

acrilico su tela

cm 180x140

 

Figures

1966

acrylic on canvas

cm 180x140

 

Voglio fare di tutto, ballare, cantare, scrivere, recitare, fare il cinema, il teatro, la poesia, voglio espirmermi con tutti i mezzi, ma voglio farlo da pittore perché dipingere non è un modo di fare ma un modo di essere.

Renato Mambor

 

 

Renato Mambor, personaggio di spicco della Scuola di Piazza del Popolo di Roma, entrò a far parte del movimento che vedeva già partecipi gli artisti: Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Franco Angeli e Tano Festa.  Annoverato tra i grandi innovatori artisti, tra i più proliferi delle arti visive, poliedrico ed eclettico, si dedicò alla pittura, al cinema, al teatro, alla scultura, alla scenografia e alla perfomance. Utilizzando varie forme espressive sperimentò linguaggi diversi, creando sempre una relazione visiva: concatenazione di parole, persone e immagini, un cortocircuito tra oggetto e soggetto. Il suo pensiero espressivo ha avuto come elemento principale l’uomo e l’ambiente, agendo come pensiero riflessivo sulla percezione e sulla coscienza. La sua pittura era un suggerimento allo sguardo, una guida al vedere, arte con linguaggio da trasmettere.  Nascono così le forme e le sagome di uomini statistici, riempite a campiture di colore omogeneo, i ricalchi fotografici, i segnali stradali  e i rulli da tappezzeria.

 

 

 

 

Stima 
 € 25.000 / 40.000
Aggiudicazione  Registrazione
71

GETULIO ALVIANI

(Udine 1939)                                                     

Rilievo speculare ed elementi curvi

1962-1965

acciaio

cm 90x90

 

Specular relief and curved elements

1962-1965

steel

cm 90x90

 

Nuovi materiali e progetto aperto

( … ) Alviani ha continuato a rispondere attraverso il rigore che sempre lo ha contraddistinto, la coerenza e l’impegno del suo lavoro, approfondendo caparbiamente quell’elemento che principalmente connota il suo operare: la ricerca sulla struttura e sul linguaggio dell’opera, il progetto aperto. I suoi primi lavori, solitari, iniziati nella seconda metà degli anni cinquanta, sono soprattutto piccoli disegni che raffigurano fili elettrici dell’alta tensione che si stagliano nel cielo, ai quali seguono sperimentazioni con i materiali industriali, con la tipografia, e in questo periodo si delinea un’attitudine verso un fare dove l’elemento caratterizzante è l’interesse nei confronti dei materiali,  della loro natura e del  loro funzionamento. In particolare, a partire dal 1960, l’utilizzo delle lastre di alluminio, e successivamente di acciaio, sulle quali agisce con frese, in modo da far affiorare sulla superficie della lastra variazioni di luce sempre mutevoli.  Sono le Superfici a testura vibratile, esatte nella loro progettazione, perfette nella loro messa in atto, e che successivamente si  compongono di moduli quadrati variabili, vibratili, grazie al variare della luce, alle sue vibrazioni, alle infinite combinazioni e sviluppate secondo una programmazione capace di moltiplicarle e ripeterle in serie. Il suo lavoro sembra ricordare agli espressionisti astratti, agli informali che l’arte non è solo un mestiere, ma, come vuole l’etimologia stessa del termine, è tecnica, nel suo caso una tecnica perfetta. Tecnica e tecnica moderna. Non più tela ma alluminio e acciaio, non colore a olio ma fresa, non chiaroscuro ma effetti della sensazione ottica. A Getulio Alviani spetta il merito di aver gettato via gli orpelli del pigmento, di aver tenuto lontano da sé, dalla sua opera, la tossicità dei colori che da sempre gli artisti utilizzano per nascondere il corpo della superficie su cui lavorano, la tela, la tavola, e che vogliono mascherare (il termine colore significa etimologicamente proprio nascondere, coprire). (…)

Fresate, lucidate e cromate le superfici di alluminio e acciaio sembrano muoversi con molta grazia, quasi fossero intrise d’acqua, in polivalenti giochi di interpretazione. Brillanti supporti moderni l’alluminio e l’acciaio, lavorati con le moderne tecniche della “bella industria” sembrano scivolare nell’informe per dar vita a molteplici e rigorosi giochi formali. Nel lavoro di Getulio Alviani lo sguardo analitico mette a fuoco soprattutto la struttura dell’oggetto, la sua plasticità e il rigore esatto, matematico e sofisticato della realizzazione. La sua opera si propone uno studio rigoroso della percezione visiva, di cui analizza i procedimenti ottici e psicologici in rapporto dialettico con la moderna tecnologia. L’oggetto plastico possiede per Alviani una sua concreta esistenza con valori suoi propri, definiti attraverso le fasi della progettazione, le sue specifiche regole costruttive, la scelta dei materiali e i processi di esecuzione. Perfezione della forma compiuta e autonomia plastica dell’oggetto sono il risultato di un percorso razionale di strutturazione della visione che presuppone, in fase di progettazione, una infinita e calcolata possibilità di variabili basata sui molteplici punti di vista dello spettatore. Alla precisione tecnica del progetto corrisponde la variabilità dell’interpretazione, la mutevolezza del punto di visione. In questo caso lo spettatore prende posto all’interno dell’opera per viverla, non ha con essa un rapporto di contemplazione, ma si colloca in una condizione interna al lavoro stesso che lo rende parte essenziale di un tutto. Proprio perché l’opera nasce dalla necessità di un processo di strutturazione visiva, che mantiene forte il legame fra la parte e il tutto, fra la struttura e i singoli elementi che la compongono, ciò prevede da parte dello spettatore un essere partecipe al farsi del fenomeno estetico. Da una parte Alviani pone l’accento sull’individuazione di un metodo produttivo ed estetico dell’opera, dall’altra sviluppa l’intento di coinvolgere lo spettatore, che viene chiamato ad attivare con il suo intervento o la sua presenza l’opera stessa.

Loredana Parmesani  - Getulio Alviani -  Gamec Bergamo 22 ottobre 2004-27 febbraio 2005 Ed. Skira

 

Stima 
 € 140.000 / 180.000
Aggiudicazione  Registrazione
74

GIULIO TURCATO

(Mantova 1912 - Roma 1995)

Cangiante Grigio

anni '80

olio e tecnica mista su tela

cm 120x60

firmato in basso a destra

al retro firmato ed autenticato

 

Gray Changeling

executed in the early 80s

oil and mixed media on canvas

cm 120x60

signed lower right  

on the reverse signed and authenticated

 

L'opera è accompagnata da autentica rilasciata dall'Archivio Giulio Turcato

L'opera è registrata presso l'Archivio Giulio Turcato, con il numero ML60414EZ1099

 

TURCATO

“ Ho tentato di risolvere il problema posto dall’arte moderna: linguaggio e contenuto. Circa il linguaggio, - forma, colore, ricerca di una nuova prospettiva - mi sono servito dell’astrattismo per raggiungere una figurazione. Credo che l’astrattismo sia la strada migliore, per il dato scientifico d’impostazione spaziale e coloristica della composizione, e possa risolvere i problemi formali e prospettici, quale premessa ad un nuovo
stile del nostro tempo, atto ad esprimere i nuovi contenuti, ispirati da un’umanità nuova, in una società migliore. L’arte, che di ogni tempo ha espresso la realtà umana e sociale, si appresta oggi ad assolvere il suo compito esaltando il grande valore sociale e umano del lavoro e ad esprimere, attraverso una nuova visione del mondo, la sua realtà. “
Giulio Turcato - Il lavoro nella pittura italiana d’oggi, Raccolte Verzocchi Milano 1950 p. 429. - nota per il dipinto Gli scaricatori.

 

Tra anni Ottanta e gli anni Novanta le ricerche di Turcato si concentrano sul colore e le sue infinite possibilità. Nascono in questo periodo i Cangianti, opere dove l’artista sperimenta le varie  combinazioni e tonalità  cromatiche,  le stesure creano mutazioni del colore, divenenendo vibrazione e musica, esprimono stati d’animo e  cambiamenti d’umore, sottolineano emozioni e sensazioni, cercano un rapporto dinamico con l’osservatore. Con un unico colore, attraverso varie gradazioni, Turcato offre la possibilità di compiere un itinerario nell’universo cangiante.

 

 

 

 

Stima 
 € 6.000 / 12.000
76

FRANCESCO GUERRIERI                                                       

(Borgia 1931 - Sovereto 2015)                                               

Senza titolo  

1966                                                            

matite e pennarelli colorati su carta

cm 20x30

al retro dedica ad personam                                                        

                                                                          

Untitled

1966                                                                 

colored pencils and markers  on paper,

cm 20x30

on the reverse dedicated to personam

                                                         

                                                                          

Fondatore del Gruppo 63 con Di Luciano, Drei e Pizzo, arriva  a Roma nel

1939 e nel 1958 ha dato inizio a una ricerca artistica peculiare, realizzando lavori 

polimaterici che poi ebbero grande importanza nella sua arte avanguardista e

sperimentale. Nel settembre del 1963 ha formato con Lia Drei lo Sperimentale p. che ha

operato fino ai primi anni '70 in una posizione di avanguardia nell'ambito dell'Arte

Programmata e dello strutturalismo.  Il suo percorso di ricerca culminò con la grande

opera-ambiente, Immaginazione, presentata al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel

1978.                    

 

 

 

                  

Stima 
 € 1.000 / 1.500
77

GIUSEPPE CAPOGROSSI

(Roma 1900 - 1972)

Superficie 686

1955 – 1968

olio su carta intelata

cm 23x16

 

Area 686

1955 - 1968

oil on paper laid dowm on canvas

cm 23x16

 

Provenienza

Collezione Bosi, Bologna

Collezione privata

Galleria Tega, Milano

 

Esposizioni

Giuseppe Capogrossi, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1980

Giuseppe Capogrossi, Elementi, Galleria Tega, Milano, 2014

 

Bibliografia

G. C. Argan, M. Fagiolo dell’Arco, Catalogo Generale dell’opera di Capogrossi, Editalia, 1967, p. 241 n. 36 ill.

Capogrossi, Edizioni del naviglio, Milano, 1974, p. 15 n. 36 ill. b/n

Giuseppe Capogrossi, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1980, ill.

L. M. Barbero, L. Caprile, Giuseppe Capogrossi, Elementi, Silvana editoriale, Milano, 2014, p. 58 ill.

 

Capogrossi

Il quadriennio 1954-1958 è di nuovo un periodo di grande invenzione sia per quel che riguarda la mutazione ed evoluzione dell’elemento “segno”, sia relativamente al dialogo interrogativo e misterioso della superficie come luogo di un’azione immota, destinata a muovere magicamente ogni elemento. (...)
Luca Massimo Barbero
Pag 126 Capogrossi Una Retrospettiva Collezione Peggy Guggenheim Venezia

Capogrossi ha completamente conquistato il suo personale algoritmo, mi faceva osservare un importante architetto di questo tempo,e forse non vi è una frase più straordinaria per un’artista oggi. Tutto ciò con la coscienziosa sincerità interiore, senza perder nulla di quello che ci aspetta da un’artista di sensibile, di umano, di disponibile.
Michel Tapie’.

 

Stima 
 € 16.000 / 20.000
80

GASTONE NOVELLI

(Vienna 1925 - Milano 1968)

Senza titolo

1955

tecnica mista su carta

cm 49,5x69  

firmato e datato in basso a destra

                            

 Untitled

1955

mixed media on paper

cm 49,5x69  

signed and dated lower right

 

Bibliografia

Gastone Novelli 1985, ill.

Alla sperimentazione di una materia cromatica che suggerisce con la sua variata corporosita
leffetto e la fisicità della superficie del muro, si accompagna nelle opere del 1958/59 la progressiva prevalenza del bianco. Si tratta ovviamente di un bianco gessoso o calcinato, destinato a raccogliere in se, graffiati nella sua stessa materia, i segni di una violenta disperazione, precedentemente registrata nel contrasto netto tra plumbee colate di colore scuro e squarci luminosi. È un momento questo in cui emerge con forza dagli scritti dellartista una situazione di rabbia e di profondo malessere. La ricerca di nuove possibilità di comunicazione e una fatica dolorosa che mette in discussione le ragioni del dipingere e delloperare creativo. Questa è una pittura senza possibili descrizioni avverte Novelli dipinta per non urlare in faccia al prossimo, chiedere bisogna a chi la vede di coltivare in se qualche cosa di umano, se questo è possibile in un mondo in cui la gente, in ogni sua azione, ha paura di perdere. È ancora: questa pittura me la porto dietro ormai per forza come la vita. È sempre su di me lo stesso grande peso morto, senza calore, e lamore è la speranza si trascina in terra, smangiucchiata tanto lho ripetuta. Cosa deve, cosa può succedermi in questa botte vuota? Ma le case scoppiano di gente e la gente scoppia di vita. Che vita? Poco importa. ( Discorso ai critici, ai poeti, agli amatori, ai passanti, 1957)

Nicoletta Cardano - Gastone Novelli 1925-1968 Galleria Nazionale

dArte Moderna Roma a cura di Pia Vivarelli 1988

 

                                    

Stima 
 € 4.000 / 7.000
86

DADAMAINO

(Milano 1930 - Milano 2004)

Alfabeto della mente lettera 6

1978

china su cartoncino

cm 72,9x51,1

al retro firmato, titolato e datato

al retro cartiglio Galleria Cortina Arte

 

Brain's alphabet letter 6

1978

china on paper

cm 72,9x51,1

on the reverse signed, titled and dated

on the reverse inscription Galleria Cortina Arte

 

L’opera è accompagnata da autentica su fotografia dell'Archivio Dadamaino 075/10

 

Provenienza

Eredità Dadamaino

 

Esposizioni

2012 Cortina Arte Milano, a cura di Tommaso Trini (pubblicato in catalogo) –

2016 Frankfurter Westend Galerie, Frankfurt am Main (D), a cura di Marco Meneguzzo

 

Bibliografia

Dadamaino “Gli anni ’70, rigore e coerenza” ed. Cortina Arte pag. 76

- Tredici anni fa, all’epoca delle sue opere dedicate alla strage di Talle l Zaatar, si verificò nell’artista come una caduta di quei presidi ideologici che la facevano lavorare con un rigore che si rifaceva ai procedimenti della ragione, a un certo sillogismo della tendenza che fu detta “programmata”. Dopo aver vissuto la fuga delle emozioni, Dadamaino si è ad esse, in un certo senso, consegnata. Da allora si è andata affidando a una sorta di scrittura dell’inconscio quasi, a segni, a grafemi, a sensazioni possiamo dire, più che percezioni a appercezioni… - Dadamaino va oltre, si spinge nell’ “altrove”, nel “nondove”. Tratto dopo tratto, asticella dietro asticella. In tal modo l’incantesimo continua e il gesto di demenza è, insieme, il gesto che annulla la demenza. ….

 

Lea Vergine “ Echi del Gamelan dopo Debussy” estratto dal testo pubblicato nel catalogo generale della XLIV Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia 1990

 

 

Stima   € 2.500 / 3.500
87

EMILIO ISGRO'

(Barcellona Pozzo Di Gotto 1937)                                             

Dichiaro di non essere Emilio Isgrò

1971                                     

tela emulsionata in teca di legno

opera composta da sette pannelli, ciascuno di cm 160x135

al retro firmato

 

I declare that I am not Emilio Isgrò

1971

emulsified canvas in wooden case

work composed of seven panels, each cm 160x135

on the reverse signed

 

DICHIARO DI NON ESSERE EMILIO ISGRO’

 

 

“ Ho cercato sempre di fare le cose in modo che queste non fossero controllate dal sistema, questo mi ha permesso di sentirmi libero”  Emilio Isgro’

 

 

 

S.C. - "Oggi, 6 febbraio 1971, dichiaro di non essere Emilio isgrò" quale significato aveva questa affermazione?

 

E.I. – Ho fatto questa dichiarazione non per una forma rituale di suicidio ma per affermare meglio la presenza di un artista nel mondo, non volevo certo sparire. Era un’autocancellazione omeopatica, scaramantica.

 

 

S.C. - Giornalista, scrittore, poeta, artista visivo, regista, dimentico qualcosa?

 

E.I. - Credo di essere soprattutto un Cancellatore di tutte le forme esistenti e possibili, con lo scopo di crearne sempre di nuove.

 

S.C. - Nella Cancellatura c'e volontà di distruggere la scrittura o di esaltarla?

 

E.I. –  Nel mio lavoro esiste questa doppia funzione: fingere di distruggere per esaltare e qualche volta esaltare per distruggere. È un’azione che nel momento stesso in cui distrugge, ricostruisce. È il negativo della scrittura che presuppone il suo positivo, difatti certe parole scampano alla cancellatura, a volte sono semplici segni come le virgole, la punteggiatura e le parentesi. Penso che la mia cancellatura non sia distruzione della parola ma un’esaltazione della scrittura e della sua funzione.

 

S.C. - Quindi è un’affermazione del pensiero?

 

E.I. – Si, è un’affermazione del pensiero. I latini dicevano che due negazioni affermano, io a forza di cancellare, quindi di negare, ho affermato la bellezza del mondo e della vita. Tutto il contrario di quello che la gente pensa del mio lavoro, che troppo spesso è percepito come un’azione distruttiva. Negli anni ho cercato di portare la cancellatura a essere uno strumento dialettico tra il si e il no delle cose, in un modo pendolare tra le varie possibilità, quindi un dubbio permanente, tipico del pensiero greco, mediterraneo e ancor più siciliano.

 

S. C. – Cosa vuol dire essere un artista?

 

E.I. -   Per fare il mestiere dell’artista devi essere emotivamente coinvolto, ma devi anche essere in grado di farti scivolare le cose addosso altrimenti soccombi. Per un artista il consenso è importante, ma è ancora più importante come questo consenso si ottiene: se lavorando con fatica, poco o molto che questa sia, allora riesci a gestirlo e a difenderti dagli aspetti negativi che questo può avere. Un artista deve mantenere la sua visione, che dovrebbe essere sostanzialmente critica e divergente. L’arte è sempre un forte dubbio sull’esistente. Fare l’artista è stata una scelta voluta e costruita, l’ho fatto senza mai preoccuparmi degli esiti del mio lavoro.

 

da un'intervista del 2013

 

 

 

Stima 
 € 150.000 / 220.000
Aggiudicazione  Registrazione
88

ANGELO SAVELLI

(Pizzo 1911 - Brescia 1995)                                                       

Stato di grazia

1961                                                           

acrilico su tela

cm 90x70

al retro firmato, titolato e datato

 

State of grace

1961

acrylic on canvas

cm 90x70

on the reverse signed, titled and dated

 
Questo bianco....si riferisce ad una luce che viene fuori dall'oscurità, che deriva dall'associazione delle ombre del proprio io e che da ad un altro tipo di luce, un pò come la parola illuminazione. "

da " questo bianco" Angelo Savelli - Vittoria Biasi Stati del bianco, ed. Stampa Alternativa, Roma 1994

 

Angelo Savelli (Pizzo, 30 ottobre 1911 – Brescia, 27 aprile 1995),

Nel 1930 si trasferisce a Roma per frequentare i corsi alla Scuola Libera di Nudo e all'Accademia di Belle Arti dove consegue il diploma nel 1936.  Nel 1940 inizia a insegnare all’Accademia di Belle Arti e avvia il suo atelier in via Margutta 49,  partecipa e vince numerosi premi come il III e il IV Premio Bergamo  ( 1941 e 1942). Rientrato a Roma, dopo la chiamata alle armi, entrò a far parte dell’Associazione Art Club insieme a Severini, Tamburi, Turcato, Fazzini, Dorazio, Mafai, Corpora e Consagra, sviluppando vari percorsi e stili, dal figurativo all’astratto. Grazie a una borsa di studio nel 1948 si trasferisce a Parigi, città in continuo fermento  che le permetterà di allacciare rapporti e amicizie internazionali,  portandolo a una trasformazione artistica che  in Italia verrà accolta con scetticismo . Nel 1950 partecipa con due opere astratte alla XXV Biennale di Venezia, l’ambiente italiano risulta sempre più limitato e conservatore al tal punto che Savelli decide di trasferirsi a New York, dove  entra in contatto con artisti come Marcel Duchamp, Barnett Newman, Friz Giarner e Hans Richeter. Nel 1955 tiene la prima personale alla galleria  The Contemporaries,  nel 1957 partecipa ad una collettiva presso la Galleria Leo Castelli e nel 1958, sempre alla Leo Castelli, presenta la sua personale che riscuote grande successo e Castelli le propone un rapporto a contratto ma Savelli rifiuta rimanendo  libero da ogni condizionamento . Sono gli anni dedicati all’astrazione e al percorso verso il “bianco” che nel 1959 presenterà  per la prima volta  alla Tweed Gallery del Department of Art della University of Minnesota,  nello stesso anno partecipa con alcuni rilievi bianchi, alla Quadriennale d'Arte di Roma.
Si alternano le mostre tra l’America e l’Italia, oltre alle Biennali di Venezia (partecipò a cinque edizioni) espone anche alla galleria Il Cavallino di Venezia e al Naviglio di Milano, dove incontra Lucio Fontana al quale rimarrà legato da sincera amicizia: "Ci sono due forme di spazialità" scrisse Savelli. "Quella reale e terrena di Fontana, e quella mia che definirei eterica, in grado di comunicare con il subcosciente." A New York entra in contatto e stringe amicizia con esponenti dell'espressionismo astratto come Herbert Ferber, Robert Motherwell, Philip Pavia, Ad Reinhardt, Theodoros Stamos e Clyfford Still. Dal 1960, insieme a Piero Dorazio, organizza numerose mostre e programmi di studio per il Dipartimento di Belle Arti all'Institute of Contemporary Art della University of Pennsylvania, a Filadelfia. Nel 1962 inizia a produrre i primi lavori con la corda, realizzando undici opere litografiche a rilievo, bianco su bianco, presentate da Giulio Carlo Argan al Grattacielo di Milano, nel 1964 vince il Gran Premio della Grafica alla XXXIII Biennale di Venezia per i ventisette rilievi bianco su bianco. Nel 1966 insegna alla Columbia University di New York. Nel 1972 espone all’Everson Museum di Syracuse dove presenta il progetto
Illumine one. Nel 1976 realizza le prime tele senza telaio applicate direttamente sul muro, continuano gli anni d’insegnamento in America e si susseguono le numerose mostre e installazioni commissionate da enti istituzionali e privati. Al Pac (Padiglione d’Arte Moderna Contemporanea) di Milano, nel 1984, espone una serie di opere  bianco su bianco, mostra che riscuote grande interesse e  successo di pubblico e che, finalmente, permette a Savelli di avere il meritato riconoscimento anche in Italia.  Trascorre ancora lunghi periodi a New York alternati alla sua presenza in Italia, dove nel 1991 a Lamezia Terme, viene creato il Centro d’Arte Contemporanea Angelo Savelli. Gli anni ’90 sono l’inizio della sua collaborazione con Fondazione Prada, la partecipazione alla XLV Biennale di Venezia con una sala personale, e dell’antologica al Museo d’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” di Prato, mostra che non riuscirà a vedere realizzata a causa della sopraggiunta morta il 27 aprile 1995.

 

 

Stima 
 € 10.000 / 15.000
61 - 90  di 165